mercoledì 31 agosto 2011

Dalla Chiesa Ortodossa Russa

Metropolita Hilarion: non aspettiamoci sorprese dal Concilio Pan-ortodosso



Alla fine di agosto, il presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca ha fatto un viaggio in Medio Oriente, durante il quale ha visitato tre antiche Chiese ortodosse e si è incontrato coi loro Patriarchi. Dei risultati di questi incontri ha parlato, al suo ritorno a Mosca, in un’intervista rilasciata al portale “Interfax-Religion”.

- Si è appena concluso il suo viaggio nella regione del Medio Oriente e in Turchia, durante il quale lei ha visitato tre Patriarcati. Qual era lo scopo di questo viaggio?
- Il viaggio è stato fatto con la benedizione del Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill. Святейший Патриарх и Священный Синод поручили мне регулярно посещать Глав Поместных Православных Церквей, консультироваться с ними по вопросам межправославных отношений, по актуальным вопросам современного бытия Православной Церкви. Sua Santità il Patriarca e il Santo Sinodo mi hanno incaricato di visitare frequentemente i capi delle Chiese ortodosse locali, per intrattenere  consultazioni regolari sulle questioni riguardati i rapporti inter-ortodossi e affrontare assieme temi di attualità della vita della Chiesa Ortodossa. Поездка по странам Ближнего Востока была необходима, чтобы лично встретиться с Предстоятелями трех древних Патриархатов: Константинопольского, Антиохийского и Иерусалимского. Questo  viaggio in Medio Oriente è stato di importanza essenziale perché ho potuto incontrare personalmente i Primati dei tre antichi patriarcati di Costantinopoli, Antiochia e Gerusalemme.
Attualmente, in Medio Oriente sono in corso eventi politici che rischiano di rendere estremamente difficile la vita ai cristiani in questa regione. Non è un caso che i problemi dei cristiani locali sono stati oggetto di preoccupata attenzione da parte dei Capi delle Chiese del Medio Oriente. Il 1 agosto, in Giordania si è tenuta una riunione dei Capi delle Chiese ortodosse di Antiochia, Gerusalemme e di Cipro, con la presenza anche di un rappresentante del Patriarcato di Alessandria. Il 23 agosto una riunione analoga si è tenuta a Cipro, e il 1 settembre un altro incontro sui problemi del Medio Oriente si terrà a Istanbul, sotto la presidenza del Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo.
La Chiesa ortodossa russa non è mai rimasta indifferente ai problemi dei nostri fratelli ortodossi del Medio Oriente, e la nostra preoccupazione per la situazione dei cristiani in Medio Oriente e in altre regioni del mondo è stata espressa in un’apposita dichiarazione del Santo Sinodo del 30 maggio.
- Come è stata accolta questa dichiarazione dai Capi delle Chiese con i quali lei si è incontrato?
– A tutti e tre i Primati ho dato il testo della dichiarazione, tradotto in diverse lingue, tra cui il greco e l’arabo. I primati delle Chiese del Medio Oriente hanno accolto questo testo con gratitudine. In particolare, il Patriarca di Antiochia ha detto che esso sarà pubblicato nei media ortodossi in Siria e Libano.
- Cosa pensa del tema dei cristiani in Medio Oriente il leader palestinese Mahmoud Abbas, col quale lei si è incontrato domenica scorsa?
– Nella sua qualità di leader di una delle regioni con una popolazione prevalentemente araba, in cui musulmani e cristiani vivono fianco a fianco, Mahmoud Abbas è ben consapevole di questi problemi e spera che eventi come quelli che si sono verificati recentemente in Iraq ed Egitto non si ripetano in altri paesi del Medio Oriente. Come si sa, in questi paesi la situazione dei cristiani si è deteriorata in modo significativo immediatamente dopo che i regimi esistenti sono stati rovesciati con l’aiuto di forze esterne alla regione. Se in Iraq, secondo varie stime, abitavano circa un milione e mezzo di cristiani, oggi ve ne restano meno della metà. La vita dei cristiani è sotto costante minaccia, e molti sono stati costretti ad abbandonare città e villaggi in cui i loro antenati cristiani avevano vissuto per molti secoli.
- Il fatto che i capi delle Chiese di questa regione si riuniscano ora molto più frequentemente è dovuto solo alle circostanze politiche attuali? Nella prossima riunione a Istanbul dei Primati delle Chiese ortodosse della regione si discuteranno solo le questioni locali, o saranno affrontati anche temi di interesse pan-ortodosso?
- Ho fatto questa domanda a tutti e tre i patriarchi. Il Patriarca Bartolomeo mi ha detto che l’incontro verterà soprattutto sui problemi del Medio Oriente. E ciò è stato confermato dal Patriarca di Antiochia Ignazio e dal Patriarca di Gerusalemme Teofilo, il quale, tuttavia, ha aggiunto che quando i Capi delle Chiese si incontrano, possono discutere di qualunque problema.
Non saprei dire ora se nella riunione a Istanbul sarà discusso anche il tema dell’imminente Concilio Pan-ortodosso. Ma ritengo che le questioni di interesse pan-ortodosso debbano essere discusse da tutte le Chiese ortodosse locali, per evitare che si crei l’impressione che un  gruppetto di Chiese voglia prendere decisioni a nome di tutte le Chiese ortodosse in loro assenza.
- Negli incontri con i Patriarchi di Antiochia e di Gerusalemme avete parlato del Concilio Pan-ortodosso e della sua preparazione?
- Abbiamo trattato anche questa questione. E ‘stato importante discutere con i Primati del Patriarcato ecumenico e di queste altre Chiese sulla questione delle possibili configurazioni del Concilio, il suo argomento, su come saranno rappresentate le Chiese e quale sarà il procedimento di presa delle decisioni. Oggi, nella collaborazione inter-ortodossa, l’unico metodo valido di processo decisionale è il consenso, e su di esso si basa la possibilità di cooperazione tra le Chiese ortodosse locali. Proprio questo metodo aiuta ad affrontare le questioni che emergono in uno spirito di amore fraterno, e a raggiungere un accordo anche nei problemi sui quali sussistono delle differenze.
Recentemente, alcuni hanno proposto di abbandonare questo metodo negli incontri inter-ortodossi, e di prendere le decisioni a maggioranza semplice. Ma un cambiamento così radicale nel lavoro degli organismi inter-ortodossi può portare a conseguenze molto gravi: se anche solo una Chiesa sarà contraria a una qualche decisione, e con una votazione a maggioranza il suo parere verrà ignorato, ciò porterà inevitabilmente a una frattura all’interno della famiglia delle Chiese ortodosse. E se la divisione non potrà essere superata a livello del lavoro di preparazione, essa inevitabilmente si porrà a livello del Concilio stesso. Pertanto, oggi non è assolutamente possibile proporre qualsiasi altro metodo, diverso da quello del consenso.
- Eminenza, quale sarà secondo lei la norma di rappresentanza in occasione del prossimo Concilio Pan-ortodosso? Vi parteciperanno alcune centinaia o solo poche decine di vescovi?
- Penso che la questione dovrà essere discussa dalla Commissione preparatoria del Concilio. Se vogliamo convocare un vero Concilio pan-ortodosso, credo che dovrebbero essere invitati tutti i vescovi diocesani, in modo che ogni chiesa locale sia rappresentata nel Concilio dal proprio vescovo, come avveniva all’epoca dei Concili ecumenici. Il numero totale dei vescovi diocesani delle Chiese ortodosse, nel loro insieme, è di circa 500 persone, e penso che sarebbe del tutto realistico radunare 500 persone. Tuttavia, se per motivi tecnici si rivelerà impossibile riunire un forum così rappresentativo, allora le rappresentanze delle Chiese, naturalmente, dovrebbero essere proporzionali alle loro dimensioni.
Oggi esistono meccanismi di cooperazione inter-ortodossa, in cui ogni Chiesa è rappresentata da uno o due rappresentanti. Ma quando si parla della Chiesa ortodossa russa, non bisogna dimenticare che il numero dei suoi fedeli supera il numero totale dei fedeli di tutte le altre Chiese ortodosse prese insieme. Le dimensioni di ogni singola Chiesa non possono essere trascurate nel determinare la quota della sua rappresentanza al Concilio Pan-ortodosso.
- Che cosa pensa, quando e dove potrebbe riunirsi il Concilio?
- Sua Santità il Patriarca Bartolomeo ha espresso la speranza che questo Concilio sia tenuto a Istanbul, nella chiesa di sant’Irene, dove nel 381 si è svolto il secondo Concilio ecumenico. Personalmente, penso che il Concilio possa riunirsi in un avvenire non troppo lontano, naturalmente a patto che vengano accuratamente discusse e risolte le questioni relative alla rappresentanza, al protocollo e all’ordine del giorno.
- Possiamo dire che, previo accordo su tutti questi temi, il Patriarcato di Mosca oggi è favorevole alla convocazione del Concilio?
– Siamo favorevoli alla convocazione del Concilio, perché oggi di fronte alle sfide poste alla Chiesa Ortodossa in tutto il mondo, occorre pronunciarsi con una voce comune e solidale di tutta l’Ortodossia. Proprio per questo è importante superare tutti i disaccordi nella fase preparatoria, affinché il Concilio stesso possa essere un fattore di unità, e non un fattore di divisione. Ed è per questo che è assolutamente indispensabile che, come già avviene nella cooperazione inter-ortodossa, il consenso resti l’unico metodo del processo decisionale.
- Alcuni rappresentanti dell’opinione pubblica ecclesiale temono che questo ottavo Concilio possa annullare le decisioni dei sette Concili ecumenici precedenti …
- Questi timori sono infondati, perché, in primo luogo, il Concilio non prenderà alcuna decisione che non sia stata già espressa dalla Commissione preparatoria in questi ultimi cinquant’anni. Le decisioni della Commissione preparatoria sono ben conosciute, non sono mai state nascoste a nessuno: sia i documenti, che i verbali delle riunioni della Commissione sono accessibili a chiunque. Molti dei documenti della Commissione preparatoria sono stati pubblicati dalla “Rivista del Patriarcato di Mosca” negli anni 1970-1980.
Inoltre, se la decisione di convocare il Concilio Pan-ortodosso sarà presa (e vorrei sottolineare che tale decisione può essere presa solo da tutte le Chiese ortodosse locali), tutti gli argomenti che sono stati discussi durante questi 50 anni nelle riunioni preparatorie pre-conciliari, verranno studiati di nuovo. Si potranno apportare tutte le modifiche necessarie, tenendo conto delle mutate circostanze; le decisioni che verranno prese saranno note in anticipo: non c’è motivo di aspettarsi sorprese sconvolgenti da questo Concilio.
- Possiamo dire che il principio del consenso nel processo decisionale durante il Concilio esclude la possibilità che vengano prese decisioni che vadano contro la tradizione della Chiesa, come temono alcuni fedeli?
- Sì, perché il principio del consenso richiede l’accordo di tutte le Chiese con le decisioni prese. E se anche una sola Chiesa non è d’accordo su qualcosa, ciò significa che ha le sue ragioni, e queste ragioni si basano sulla tradizione di quella data Chiesa locale. Bisogna dire che tra le Chiese ortodosse locali non ci sono alcune differenze dottrinali, non c’è nessun disaccordo nel campo del diritto canonico. Tutte le difficoltà che ci troviamo a affrontare riguardano soprattutto questioni politiche, cioè questioni che possono essere risolte in un dialogo bilaterale tra le due Chiese tra le quali è sorto il problema, o al livello inter-ortodosso.
Per quanto riguarda i dieci argomenti che erano stati messi all’ordine del giorno del Concilio Pan-ortodosso 50 anni fa, su otto di essi è già stato raggiunto un accordo, e le due questioni rimanenti sono, per così dire, di natura tecnica. Si tratta di come debba essere concessa l’autocefalia, e dell’ordine in cui le Chiese saranno nominate negli elenchi ufficiali, i dittici. Queste domande che, è opportuno sottolinearlo, non sono di natura dottrinale, possono essere risolte anche dopo il Concilio Pan-ortodosso.
- Nel frattempo, rappresentanti di gruppi non-canonici in Ucraina, che non sono in comunione con nessuna delle Chiese ortodosse locali, si aspettano che il Concilio Pan-ortodosso (o anche la riunione dei cinque capi delle Chiese ortodosse del Medio Oriente, questo 1 settembre) riconoscano la loro autocefalia e aggiungano i loro nomi nei dittici.
- La questione di uno scisma è molto dolorosa. Lo scisma è una ferita sul corpo della Chiesa. Naturalmente, la Chiesa deve fare uno sforzo continuo per sanare le divisioni esistenti. E la Chiesa esorta sempre coloro che si sono allontanati, coscientemente o incoscientemente, a far ritorno, li aspetta sempre a braccia aperte.
Sono convinto che il Concilio Pan-ortodosso può discutere anche di questi argomenti e prendere decisioni che aiuteranno i nostri fratelli e sorelle che sono caduti nello scisma a ritornare in seno alla Chiesa. Ma non credo che l’assemblea dei Primati delle Chiese del Medio Oriente, che avrà natura consultiva e sarà dedicata ai problemi di questa regione particolare, possa prendere qualsiasi tipo di decisioni sulla questione ucraina. L’Ucraina non fa parte del Medio Oriente. Si tratta di un incontro regionale che si concentrerà sui temi locali, relativi al Medio Oriente.

Dal sito cattolico: Zenit.org

La Turchia restituirà le proprietà confiscate alle minoranze religiose
Il decreto, entrato in vigore sabato, non riguarda però i cattolici latini
di Paul De Maeyer

ROMA, martedì, 30 agosto 2011 (ZENIT.org).- Nel suo discorso dopo la nuova vittoria dell'AKP (Partito per la Giustizia e e lo Sviluppo) alle elezioni legislative del 12 giugno scorso, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan aveva promesso di lavorare per tutti i cittadini del suo Paese, di tutte le religioni e tutti gli stili di vita. E sembra che questa volta ad Ankara si voglia fare sul serio. Il governo Erdogan ha approvato infatti un decreto-legge per la restituzione alle minoranze cristiane e a quella ebraica delle proprietà confiscate dal 1936 in poi.
Il nuovo decreto è entrato in vigore sabato 27 agosto dopo la sua pubblicazione sulla gazzetta ufficiale di Ankara, come annunciato dai media turchi, fra cui l'emittente NTV e il quotidiano di lingua inglese Today's Zaman, che hanno lanciato la notizia solo poche ore prima della cena-festa dell'Iftar - la rottura del digiuno durante il mese del ramadan – organizzata domenica  28 agosto per la prima volta in onore di Erdogan dal rappresentante delle minoranze presso la Direzione generale delle Fondazioni religiose, Lakis Vingas, noto esponente della comunità ortodossa. All'evento, che si è svolto nel Museo archeologico di Istanbul ed è stato definito un "novum" nella storia della Turchia dalla rivista tedesca specializzata nei temi di migrazione e di integrazione MiGAZIN (29 agosto) , hanno partecipato i rappresentanti di 161 fondazioni non musulmane.
La nuova normativa sancisce che tutte le minoranze religiose riconosciute nel quadro del Trattato di Losanna, ratificato nel luglio del 1923 ad Ankara dall'allora nuovo governo di Mustafa Kemal Atatürk, hanno un anno di tempo per chiedere la restituzione di tutte le proprietà registrate come appartenenti alle fondazioni religiose nel censimento del 1936 e confiscate successivamente dallo Stato turco. Poiché il Trattato di Losanna riconosceva ufficialmente come "minoranze" solo quelle non musulmane storicamente presenti sul territorio turco, cioè armeni, greci ortodossi ed ebrei, significa che il decreto non contempla ad esempio la restituzione dei beni immobili espropriati ai cattolici latini. Secondo la Radio Vaticana (29 agosto), i cattolici caldei potranno invece beneficiare del decreto.
Il testo del ddl prevede non solo il ritorno degli edifici censiti nel 1936 ma anche i cimiteri e persino le sorgenti d'acqua appartenenti alle fondazioni non musulmane. Come spiega AsiaNews (29 agosto), verranno restituiti anche i beni immobiliari dai titoli di proprietà non definiti, ad esempio quelli di monasteri e parrocchie, che sono privi di personalità giuridica e dunque non esistono per la legge turca. Si stima che circa 1.000 proprietà immobiliari saranno restituite ai greco-ortodossi, circa 100 agli armeni e diverse aicaldei cattolici e agli ebrei. Secondo Today's Zaman (28 agosto), almeno 157 case, 21 complessi di appartamenti, una fabbrica, tre cimiteri e tre locali notturni torneranno ad esempio all'Ospedale Greco di Balikli, un quartiere di Istanbul. La normativa stabilisce inoltre che le fondazioni non musulmane verranno risarcite se nel frattempo le proprietà confiscate dovessero essere state vendute a terzi. Secondo i calcoli dei media locali, quest'ultima operazione potrebbe costare allo Stato turco circa 700 milioni di euro (Domradio, 30 agosto).
Lo stesso Erdogan ha spiegato la decisione del suo governo - definita da AsiaNews un "coup de théâtre" (colpo di scena) - come un passo nella lotta contro le ingiustizie del passato e contro l'esclusione e la disuguaglianza in Turchia. "I tempi in cui i nostri cittadini venivano oppressi a causa della loro fede, la loro etnia, il loro abbigliamento o stile di vita del passato appartengono al passato del nostro Paese", ha detto l'ex sindaco di Istanbul durante la cena dell'Iftar (MiGAZIN, 29 agosto). "I 74 milioni di persone che vivono in questo Paese sono cittadini di prima classe e sono ai nostri occhi - con tutte le loro differenze – uguali", ha continuato il politico dell'AKP.
Le dichiarazioni del premier hanno suscitato reazioni molto positive, come dimostrano le parole del rabbino capo della Turchia, Ishak Haleva. "E’ un fatto straordinario. Oggi è una giornata storica. La luce dell'Impero ottomano continua a brillare", ha detto Haleva, che ha parlato di "correzione di una ingiustizia".
Entusiasta è stato anche il commento di uno dei più noti imprenditori della Turchia, Ishak Alaton, che ha qualificato la mossa del governo come "una specie di rivoluzione", che spiana "la strada verso la pace sociale". Secondo l'esponente della comunità ebraica, "fino ad oggi, abbiamo sempre parlato di cittadini di prima e seconda classe. Ma oggi abbiamo ci siamo lasciati alle spalle questa discriminazione. Ora tutti saranno uguali".
Soddisfatta si è dichiarata anche l'avvocatessa Kezban Hatemi, da tempo impegnata nella difesa degli interessi delle minoranze, tra cui quella cattolica. "Questa è un primo passo nella storia della Repubblica turca e una mossa molto significativa", ha detto a Today's Zaman. Secondo la Hatemi, "questo è il ripristino di un diritto. Si tratta di un provvedimento richiesto dal Trattato di Losanna e che fa sentire i cittadini non musulmani in Turchia come cittadini con pari uguaglianza". 
Per il direttore dell'Ufficio per i Diritti umani dell'organizzazione cattolica tedesca Missio, Otmar Oehring, che da anni segue da vicino la situazione delle minoranze religiose in Turchia,  se il decreto viene ratificato, sarà un passo "coraggioso e anche sorprendente" (Domradio, 30 agosto).
Al coro di "sì" si è unito anche il presidente della Conferenza Episcopale della Turchia, monsignor Ruggero Franceschini. Anche se la comunità dei cattolici latini rimane fuori dalle disposizioni del decreto, ha detto di accogliere la notizia "con gioia" (Radio Vaticana, 29 agosto).
Per i commentatori, la decisione va letta alla luce delle recenti condanne inflitte alla Turchia dalla Corte Europea dei Diritti umani. Al termine di una battaglia iniziata nel 2007, il tribunale con sede a Strasburgo aveva condannato nel giugno 2010 il Paese a restituire l'orfanotrofio di Büyükada, sull'omonima isola nel Mare di Marmara, al patriarcato ecumenico di Istanbul. La sentenza era stata giudicata di "grandissima importanza" (AsiaNews, 16 giugno 2010) perché comportava il riconoscimento esplicito dello stato giuridico del Patriarcato.
Non è da escludere che Erdogan - dotato di un grande intuito politico - ha voluto giocare d'anticipo ed impedire un ricorso alla Corte di Strasburgo da parte di altre entità cristiane, ad esempio i monaci del monastero siro-ortodosso di Mor Gabriel (cfr. ZENIT, 11 febbraio). Oltre a perdere una parte delle sue terre, il monastero situato nel sud-est dell'Anatolia rischia di dover abbattere anche i possenti muri che lo proteggono da attacchi e ladri. "Non vogliamo più belle parole, ma fatti", aveva dichiarato il metropolita Mor Timotheus Samuel Aktas dopo un deludente incontro con il premier Erdogan, svoltosi nell'aprile scorso (Domradio, 2 giugno).
"Se il governo non avesse preso alcuna iniziativa, la Turchia avrebbe affrontato severe sanzioni dalla Corte Europea", ha detto a Today's Zaman il sociologo Ayhan Aktar, autore di vari libri sulle minoranze nel suo Paese. D'altronde, si potrebbe considerare il decreto un asso nelle mani di Erdogan nei colloqui con Bruxelles sull'ingresso della Turchia nell'Unione Europea. In varie occasioni, l'UE ha chiesto infatti ad Ankara passi per eliminare le discriminazioni nei confronti delle minoranze religiose. In una prima reazione, un portavoce del Commissario per l'allargamento dell'UE, Stefan Füle, ha parlato di un passo "positivo e opportuno" (Domradio, 30 agosto). "La Commissione europea vigilerà con attenzione sull'attuazione della nuova legge, mantenendosi in contatto sia con le autorità turche che con le comunità religiose non musulmane", ha aggiunto il portavoce.
Cauto si è detto, invece, un funzionario del governo greco. "Ci sono state almeno cinque occasioni in cui sono state apportate delle modifiche alla legislazione corrente da quando l'AKP è al governo, ma non sono state molto soddisfacenti nella pratica", ha detto il rappresentante di Atene, che ha voluto mantenere l'anonimato (The New York Times, 28 agosto). "Speriamo che questa volta i cambiamenti produrranno un vero cambiamento", così ha auspicato.
Netto invece è stato il rifiuto da parte del presidente dell'Armenian National Committee of America (ANCA), Ken Hachikian. "Novantasei anni dopo il genocidio perpetrato contro gli armeni, greci e siriaci, questo decreto è una cortina di fumo per evitare conseguenze molto più ampie di quegli atti brutali", ha dichiarato (Asbarez Armenian News, 28 agosto). Secondo Hachikian, con il decreto tornerà infatti "meno dell'uno per cento delle chiese e proprietà ecclesiastiche confiscate durante il genocidio armeno e nei decenni che lo seguirono". Secondo esperti della Chiesa armena, degli oltre 2.000 luoghi di culto al servizio della comunità armena prima del 1915, meno di 40 funzionano oggi come chiese.

lunedì 29 agosto 2011

http://makj.jimdo.com/ (Grazie Fratello Josiph Cosentino salvezza dell'identità della Fede Ortodossa Italo-Albanese)

Gli albanesi, andavano infettando il popolo con le stravaganti opinioni, e nutrivano nell’animo il veleno contro l’autorità del papa…, che avevano del disprezzo per le censure, e indulgenza, che negavano le pene del purgatorio, somministravano l’Eucarestia ai bambini…” (dal Romanus Pontifex - bolla papale di Pio IV – 1564)
 
 
GLI ALBANESI DI CALABRIA E IL GIUBILEO [i]
 
 
di Pietro De Leo
        
La breve relazione che terrò sul tema affidatomi, contiene alcuni aspetti biografici ed altri che connotano la mia esperienza di studi fatti su questa particolare etnia, quale è quella degli Albanesi calabresi. Ero ancora ragazzo quando nella città di Lecce mi aggiravo nei pressi di Santa Croce dove c’è tuttora una chiesa greca, l’unica parrocchia italo-albanese, nel quartiere omonimo, che non si apriva mai nello stesso giorno in cui si officiava nelle chiese latine, né sapevamo quando questo luogo di culto degli Albanesi veniva aperto. Appena si sentivano suonare le campane, tutti noi, ancora ragazzi, ci recavamo nei pressi di questa chiesa, incuriositi dalla diversità di questo luogo di culto, dove non c’erario altari privilegiati, né posti a sedere, per cui bisognava rimanere in piedi. Il Papas veniva presso questa comunità quando credeva, voleva o doveva, e noi eravamo curiosi di vedere e di sentire questa Messa che era diversissima da quella che noi ascoltavamo almeno una volta la settimana, ogni domenica. E la cosa ci incuriosiva davvero tanto.
     Ciò che notai sempre e subito era la diversità di approccio tra la religiosità greca e quella latina, erano però intuizioni che non si potevano capire a sette o otto anni e che invece, un giorno mentre, giovane liceale, andavo da Lecce a Bari, cominciai a capire meglio quando, nel vagone del treno dove io e il mio amico alloggiavamo, salirono a Brindisi alcuni preti ortodossi.
     Nel nostro scompartimento c’erano alcune suore che recitavano il rosario e, cosa che non dimenticherò mai — era il 2 agosto — dicevano che, non potendo partecipare quel giorno alla Messa, non avrebbero potuto lucrare l’Indulgenza.
     Appena videro questi Papas, col cappello inconfondibile, che entravano nello scompartimento, si alzarono come se avessero visto il diavolo e se ne andarono.
   Qualcosa non mi convinceva, e proprio da questo episodio nasceva la curiosità, divenuta in seguito anche riflessione culturale, di avviare uno studio approfondito sugli Albanesi di Lecce, dove erano già presenti nel secolo XVI, sin dagli inizi del Cinquecento.
     Avevo già pubblicato uno Stato delle Anime e mi ero imbattuto in quasi seimila Albanesi che costituivano un terzo della popolazione; vedevo però che nella mia città la loro lingua non si parlava più.
     Ma, ecco il fatto curioso che era emerso: c’era stato un Pietro Antonio Sanseverino, Principe di Bisignano, che aveva sposato una Castriota Scanderbeg, duchessa di San Pietro in Galatina e che si era interessato a questi reietti o depravati come si diceva nei Capitoli della città di Lecce: si esortava a portarli via perché erano un vero disastro!
     Li avevano condotti qui in Calabria, in luoghi impervi, dove appunto vigeva la cosiddetta «legge della montagna»: non era consentito loro uscire, specie nei giorni di fiera, perché erano considerati e chiamati «ladroni e mascalzoni».
     Parlavano una lingua diversa, tant’è che sono stati considerati come diversi e tali si qualificarono essi stessi.
* * *
 
Nell’ottobre del 1997 seguivo per conto della Regione Calabria i finanziamenti della Legge sul Giubileo, e vedevo che tantissimi paesi albanesi avevano fatto richiesta per i contributi economici legati all’Anno Santo. E visto che, appena sono a Roma una visita fugace alla Biblioteca Vaticana non manca mai, mi capitò sottomano una lettera del cardinale Santoro del 24 gennaio 1577 al vicario episcopale di Crotone, Girolamo Valente, il quale aveva denunciato di aver scoperto tutti eretici i preti greci della sua diocesi.
     Tra le accuse abituali che venivano loro mosse, in primo luogo, vi era la denuncia della convinzione che si dice essere propria di tutti gli Albanesi di Calabria, secondo cui non si devono osservare «iubilei
et indulgentiae» che manda il santissimo Padre, ma solo quelli che manda il Patriarca di Costantinopoli.
     Volli verificare la notizia e trovai che negli Statuti del 1596 della diocesi di Cassano redatti dal vescovo Auderio, poi segretario del cardinale Borromeo, si legge testualmente nel capitolo De
indulgentiis: «Ubi mero de indulgentiis agitur et iubileis, quondaim greci nullo pacto persuaderi possunt ut illa osservent» («Dove poi si tratta delle indulgenze e dei giubilei, non c’è per nulla verso che essi si possano convincere di questo»)
     Naturalmente dobbiamo capire perché gli Albanesi da sempre hanno osservato tale norma, nonostante tutti i contraccolpi dell’episcopato latino che li voleva assolutamente organizzare all’interno della propria Chiesa, e perché hanno sempre resistito alla celebrazione del Giubileo. Uno dei motivi fondamentali era il parametro diverso del computo del tempo; come ben sapete, noi cristiani, tardivamente, solo dal quarto secolo, iniziamo il computo in die a Nativitate Domini nostri Jesu Christi, ovvero dalla nascita di Cristo.
     La Chiesa greca, ha sempre calcolato gli anni ab origine mundi, quindi l’anno della nascita di Cristo éra il 5508, ed in Calabria in particolare, fino al 1620, molte comunità hanno sempre osservato sia il computo dalla creazione, sia quello greco, e iniziavano tranquillamente l’anno il primo di settembre, secondo quanto avveniva nel mondo orientale e nella Chiesa bizantina.
     Parlare di Giubileo era dunque un’argomentazione. che andava al di fuori dei riferimenti canonici e religiosi della Chiesa orientale che non concepisce in alcun modo il discorso sulle Indulgenze.
     Eppure, la cosa mi stupiva perché ricordavo di aver letto nel sesto capitolo del terzo libro del Rodotà[ii], quanto segue: «La fede che hanno professata gli Albanesi è quella stessa che è spuntata nell’emisfero della Macedonia nei primi secoli della chiesa, per opera di San Paolo; fu dai loro primi antenati, successivamente, tramandata ai tardi nipoti, i quali, volgendo a lei avidi gli occhi e stendendo pure le mani, la accolsero nei loro petti e la crebbero nei loro cuori serbandola schietta e limpida qual fu la pura sorgente donde sgorgò senza mai intorbidirla con mescolanza di fango e di creta che ne hanno dato sinceri e sicuri contrassegni fino ai nostri giorni».
     Quando poi mi soffermavo a leggere le memorie dei Valdesi di Calabria, che chiamavano «mescolanza di fango e creta» le Indulgenze dei Romani Pontefici, i quali le concedevano probabilmente anche in senso mercantile, allora ecco che in un certo senso questa connotazione del rifiuto del Giubileo e dell’Indulgenza, la trovavo molto adeguata agli schemi mentali e religiosi degli Albanesi stessi.
     A tale proposito, numerosi sono gli interventi che i Pontefici Romani soprattutto a partire dal Giubileo del 1575 al Giubileo del 1650, hanno fatto sia nei riguardi dei Grecanici sia nei riguardi degli Albanesi, minacciandoli di scomunica se avessero ancora ritenuto di non dovere accettare la sacra Indulgenza del Giubileo, che era in effetti molto lontana dalla loro spiritualità, dalla loro religiosità e dalla loro catechesi
     Darò poi tutte le indicazioni che vengono portate in questo senso nei Registri pontifici; vero che qualche Albanese è disposto ancora ad andare in pellegrinaggio verso la Terra Santa, ma non per acquistare l’Indulgenza bensì per visitare i luoghi della Redenzione.
     Siamo in presenza di due mondi differenti e distinti che sono stati poi in parte ricongiunti quando dopo l’istituzione del Collegio Greco (prima quello di Roma e poi quello di San Benedetto Ullano nella diocesi di Bisignano), con la sua particolare attenzione e lungimiranza la Sede Apostolica ha riconosciuto almeno parte di quelle identità religiose, costituendo tra l’altro due eparchie o diocesi greche per gli italo-albanesi (prima quella di Lungro in Calabria neI 1919, poi quella di Piana degli Albanesi in Sicilia nel 1937).
     Proprio quest’anno mi è capitato di andare al Collegio Greco di Roma e di incontrare il vescovo di Piana degli Albanesi, al quale ho rivolto questa domanda: « Eccellenza, ma lei crede nel Giubileo? »; rispose: «Ben conoscendo la teologia ortodossa, non scriverò mai la parola Giubileo nelle mie lettere pastorali».
     Era la risposta che io avevo già dato ai sindaci che facevano pressione per avere i finanziamenti del Giubileo, invitandoli ad una maggiore serietà nelle richieste. Giustamente, di fronte alla mia esortazione il comune di Guardia Piemontese, ritirò subito la sua richiesta in merito.
     Agli altri sindaci cercai di spiegare che era inutile richiedere finanziamenti in vista del Giubileo, visto che le loro tradizioni sono tutt’altro che in sintonia con tali prospettive e pratiche religiose.
Il sindaco di Bova mi disse: <
     A Bova difatti è stato finanziato il totale recupero della sinagoga. Perciò credo che anche queste situazioni, giubilari o non giubilari che siano, ci consentono di approfondire quei piccoli segmenti socio-culturali che sono propri dell’identità religiosa di un popolo, che vanno preservati come tali e che non vanno invece soggetti a confusione.
     Oggi esiste invece un pericolo reale: quello dell’omologazione degli Albanesi alle tradizioni della Chiesa e della cultura latina. Il pericolo è presente e per due motivi: quello che ormai gli Albanesi finalmente non vivono più isolati; la maggioranza di essi vive infatti in luoghi aperti che non tutelano, come accadeva in passato, una etnia chiusa (ed è bene che sia così); il secondo motivo è che per poter comunicare usano non il proprio idioma, ma la lingua italiana.
     Ed ancora, sussiste tra gli Albanesi la tendenza ad avere una sorta di riverenza verso la Chiesa latina pur avendo lottato fermamente in passato per preservare l’identità del proprio rito; tale riverenza si apre oggi a tal punto che era stato addirittura programmata l’istituzione di un santuario con possibilità di lucrarvi le indulgenze. Per fortuna un illuminato prelato come mons. Fortino osservò giustamente che la cosa era alquanto impropria e dell’iniziativa programmata non se ne è fatto più niente.
     Da tutto ciò nasce la considerazione che occorre stare molto attenti: lo studio del passato e quello delle identità delle singole etnie, ci consente anche di porre dei punti fermi, che non sono ottusità mentale, ma sono, a mio avviso, punti solidi per preservare dall’omologazione queste etnie che vanno invece e giustamente tutelate e salvaguardate
     Il Giubileo allora non c’entra assolutamente con le tradizioni degli italo-albanesi ed avrebbe più senso se le eparchie di Lungro o di Piana degli Albanesi si recassero a Roma non per il Giubileo, ma ad limina Apostolorum, come anticamente facevano i monaci greci; forse la cosa sarebbe sicuramente più appropriata e il giusto senso sarebbe più evidente.
     Il pellegrinaggio verso la tomba degli Apostoli aveva infatti questo particolare significato: non per ottenere l’indulgenza, ma per un forte senso di presenza fisica dei Santi Pietro e Paolo in quel luogo che è stato santificato dalla testimonianza altissima della loro fede nel martirio.
 
NOTE

[i] Tratto dagli “Atti del convegno di studi” dedicato alle “Minoranze etniche e culturali nella Calabria settentrionale fra il XV e il XIX secolo”, pagg. 23/27 – Presente nei Quaderni “il Palio” a cura di Luigi Falcone – Bisignano 19 giugno 2000;
[ii] Rodotà, Dell’origine, progresso e stato presente del rito greco in Italia, Roma, 1763.

La nostra Chiesa Parrocchiale - Castrovillari


sabato 27 agosto 2011

Pubblicata da Enoria e Shen Theodhorit Vlore

Shen Kozmai i Etolisë “Zëri i tij doli në gjithë dheun, dhe fjalët e tij deri në anët e botës”. (Romakëve 10, 18)

Më 24 të muajit Gusht Kisha kremton dhe nderon kujtimin e hirshëm të hierodëshmorit të lavdëruar Kozma nga Etolia. Shën Kozmai është nga shenjtorët e Kishës, që quhen dëshmorë të rinj dhe u dalluan në kohën e pushtimit turk. Turqit, pas rënies së Kostandinopojës, janë, në Lindje, përndjekësit e rinj të Kishës, dhe atëherë shumë të krishterë, burra dhe gra, që të mos ndërrojnë besën, parapëlqyen dhe dhanë jetën e tyre. Këta janë ata, që me shembullin dhe sakrificën e tyre, mbajtën të gjallë besën Orthodhokse të skllevërve të krishterë të Lindjes.
Kush tjetër do të ishte më i përshtatshëm të flasë në ditën e kujtimit të tij? Mësimet e tij janë të urta dhe të thjeshta. Të pakta por të arrira. Atje brenda gjen dikush esencën e Besës, të domosdoshmet për shpëtimin. Ndërmjet temave të tjera, flet në mësimet e tij edhe për të Tërëshenjtën.
I
Shën Kozmai kishte një dashuri dhe respekt të veçantë për Hyjlindësen. Besonte, se personi i së Tërëshenjtës, është çelësi i besimit dhe se besa tek misteri i së Tërëshenjtës dhe Hyjlindëses na dallon nga ateistët dhe heretikët. Ka të na thotë shumë për të Tërëshenjtën shën Kozmai. Por, nga gjithë ato që thotë në Mësimet e tij, pesë stoli për të Tërëshenjtën dhe katër mesazhe për ne do të na paraqesë në predikimin e sotëm.
Stolia e parë: E Tërëshenjta është Eva e re. Nëse nga Eva e parë trashëguam mëkatin dhe vdekjen, nga Eva e dytë, Hyjlindësja, trashëguam çlirimin dhe jetën. Thotë edhe një koment teologjik të bukur shën Kozmai. Gruaja e parë, Eva, lindi nga brinja e burrit, e Adamit. Kishte borxh gruaja tek burri. I detyrohej jetën. Vjen Eva e re, e Tërëshenjta, dhe shlyen borxhin në gjininë e burrit. Ashtu si pa grua lindi gruaja e parë, kështu pa burrë, Eva e re, e Tërëshenjta lindi njeriun e ri, Perëndinjerinë.
Stolia e dytë: E Tërëshenjta është më e lartë se gjithë gratë e botës, nga gjithë njerëzit, më e lartë edhe se engjëjt. Duke folur shën Kozmai për Hyrjen e Virgjëreshës në Tempull, thotë se engjëll i Zotit e ushqente me ushqim qiellor, bashkëbisedonte me engjëjt dhe u bë “më e nderuar se Keruvimet dhe më e lavdëruar pa krahasim se Serafimet”.
Stolia e tretë e shën Kozmait për të Tërëshenjtën: E Tërëshenjta u bë mjeti i dhembshurisë së Perëndisë. Patriku Jakov pa një shkallë, që bashkonte tokën me qiellin, dhe Zoti Perëndia zbriste nga kjo shkallë. E Tërëshenjta është shkalla që zbriti Perëndia nga qielli në tokë, duke u bërë njeri.
Profeti Ezekiel pa një portë, “portën nga lindja” (Ezekiel 44, 1), që është e mbyllur dhe asnjë nuk kaloi nga ajo, përveç Perëndisë, dhe mbas kalimit të Perëndisë mbeti prapë e mbyllur. Kjo është simbol i gjithmonvirgjërës Hyjlindëse. E Tërëshenjta u gjend e qashtër që të mikpresë në mitrën e saj Perëndinë e mishëruar. Kjo përbën edhe stolinë e saj të katërt.
Stolia e pestë: Është emri i së Tërëshenjtës. Maria është emri i saj. Por çdo të thotë Maria? Do të thotë Zonjë, do të thotë edhe Mbretëreshë. Është Zonja Hyjlindëse. Zonjë, sepse zotëroi mbi të keqen. Zonjë se është nëna e Zotit. Zonjë, sepse ne shërbëtorët e përulur i biem në gjunjë me dhimbje dhe shpresë dhe kërkojmë ndërmjetimin e saj. Cilado zonjë tjetër e rëndësishme e kësaj bote është një zero përpara Zonjës Hyjlindëse. Dhe është Mbretëreshë e Tërëshenjta. Në kokën e saj ka kurorën e shenjtërisë. Në duart e saj mban skeptrin e dashurisë. Dhe fronet e saj janë dy. Njëri në të djathtë të Perëndisë, sipas psalmit: “mbretëresha qëndroi në të djathtën tënde” (Psalm 44, 9). Tjetri, në të majtë të trupit njerëzor, është froni i zemrës sonë. Për mëkatet tona i lutet Birit të saj, të na mëshirojë. Dhe ka shumë guxim për të folur Nëna e Shpëtimtarit. Shumë fuqi ka lutja e nënës për dashamirësinë e Dhespotit, psal Kisha jonë çdo ditë në shërbesën e orëve.
II
Katër mesazhe për ne, në lidhje me të Tërëshenjtën.
1. I pari është mesazh feminist. Bëhen shumë fjalë në ditët tona për të drejtat e gruas dhe për barazinë e gruas me burrin. Barazinë e vërtetë të dy gjinive e predikoi Krishtërimi këtu e dy mijë vjet; barazi reale, jo sheshim. Shën Kozmai, mbartës i predikimit autentik të Ungjillit, kritikon ashpër pushtetin burrëror dhe predikon barazinë e krishterë:
“Duhet edhe ti, burrë, të mos përdorësh gruan tënde si skllave, sepse krijesë e Perëndisë është edhe ajo, ashtu si ti. Aq sa u kryqëzua Perëndia për ty, aq u kryqëzua edhe për atë. Atë e quan ti Perëndinë, Atë e quan edhe ajo. Keni një besim, një pagëzim, Perëndia nuk e ka më poshtë...”
Në një pikë tjetër të Mësimeve të tij, qorton burrin dhe lartëson gruan: “Çfarë dobie ke të mburresh se je burrë, nëse je më keq se gruaja dhe shkon në ferr e digjesh përgjithmonë, ndërsa gruaja jote shkon në parajsë të gëzohet përgjithmonë”.
2-3. Në personin e së Tërëshenjtës nderohet njëkohësisht mëmësia dhe virgjëria, martesa dhe përkushtimi. Atëherë gruaja është e denjë për nder dhe respekt, kur është ose nënë ose e virgjër. Thotë shën Kozmai: “U lind Zoti ynë nga gruaja, që të nderojë gruan. U lind Zoti ynë nga e virgjëra, që të parapëlqejë virgjërinë. Ti, vëllai im, që do të ruash virgjërinë, të urresh botën; atëherë je i mirë, atëherë bëhesh si engjëll. U lind Zoti ynë nga e fejuara, që të bekojë martesën”. Martesa dhe virgjëria përndiqen dhe luftohen në ditët tona. Martesa prishet me ligje jo të krishtera, të cilat lejojnë abortet, që vrasin frytin e amësisë që është fëmija. Për sa i përket virgjërisë, si të mbeten të rinjtë tanë të pastër dhe të virgjër, kur gjithë mjetet e komunikimit shfaqin gjithë këto pisllëqe?
Mesazhi i fundit i shën Kozmait është: Nderim për të Tërëshenjtën Hyjlindëse, i cili përkthehet në dy gjëra, në kreshmë dhe në lëmosha.
*  *  *
Vëllezërit e mi të dashur më Krishtin! E Tërëshenjta na fali dhuratën më të madhe, Shpëtimtarin Krisht. Le t’ia shpërblejmë me respekt, nder dhe modesti. E Tërëshenjta kërkon të reshtim së nderuari me hipokrizi dhe të rendim ta nderojmë me të vërtetë. Dhe nderi i vërtetë është imitimi. Këtë le të ndjekim duke psalur me shpresëtari dhe urtësi: O Hyjlindëse e Tërëshenjtë ndërmjeto për ne. U bëftë.


Me urime të përzemërta:

Mitropoliti i Beratit, Vlorës, Kaninës dhe gjithë Myzeqesë

IGNATI

Sabato 27 agosto 2011 - Battesimo della piccola Daria Vasilica


venerdì 26 agosto 2011

Dal sito cattolico: Zenit.org

Bartolomeo I convoca una Sinassi di antiche Chiese ortodosse
Preoccupazione del Patriarcato di Mosca
di Inma Álvarez

ISTANBUL, giovedì, 25 agosto 2011 (ZENIT.org).- Il Patriarcado ecumenico di Costantinopoli ha convocato una Sinassi (parola greca che designa un'assemblea di tipo religioso) alla quale ha invitato le antiche Chiese ortodosse, cioè i Patriarchi ortodossi di Gerusalemme, Antiochia e Alessandria, oltre all'Arcivescovo di Cipro.
Nella riunione, in programma a Istanbul il 1° e il 2 settembre, è previsto che vengano trattate due questioni: la situazione dei cristiani in Medio Oriente e lo stato attuale delle relazioni interortodosse, in vista di un futuro Concilio Panortodosso.
L'obiettivo è sbloccare l'impasse in cui si trova la Commissione Preparatoria di questo Concilio, annunciato più di un anno fa, nel giugno 2010, durante la storica visita del Patriarca Bartolomeo I in Russia.
Secondo quanto ha reso noto Orthodoxie.com, la decisione del Patriarca di invitare l'Arcivescovo di Cipro è dovuta al fatto che questa Chiesa, “come i tre Patriarcati, deve la sua autocefalia alla decisione di un concilio ecumenico”.
Nella lettera di convocazione della Sinassi, Bartolomeo I indicava che questa peculiarità “non vuole certamente escludere le altre Chiese ortodosse dalle decisioni panortodosse, ma al contrario, vuole sostenere e favorire l'unità”.
Uno dei dieci punti principali affrontati dalla Commissione Preparatoria è proprio rappresentato dai principi per la dichiarazione dell'autonomia delle Chiese ortodosse (proclamazione del carattere autocefalo), il punto di maggior frizione tra loro, soprattutto tra la Chiesa ortodossa greca e quella russa, quest'ultima maggioritaria nell'ortodossia e autocefala dal 1488.
Disaccordo di Mosca
La convocazione della Sinassi è stata infatti accolta con forti critiche dal Patriarcato di Mosca, secondo quanto espresso il 21 giugno scorso dal metropolita Hilarion, presidente del Dipartimento per le Relazioni Esterne.
In quell'occasione, il metropolita ha detto di “non essere d'accordo a che un gruppo particolare di Chiese si consideri 'il pilastro' dell'ortodossia mondiale sulla base del fatto che l'autocefalia è più antica di quella di altre Chiese”, osservando che “c'è un tentativo di dividere l'ortodossia in Chiese di 'prima categoria' e Chiese di 'seconda'”.
“Se vogliamo preparare degnamente e svolgere il Concilio Panortodosso, dobbiamo sostenere i concetti ecclesiologici che uniscono tutte le Chiese ortodosse e non creare nuovi concetti che non possono fare altro che portare alla divisione e al disordine”, ha affermato.
Negli ultimi giorni, ad ogni modo, come ha confermato il Patriarcato russo, il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I e il metropolita Hilarion si sono incontrati nell'isola turca di Imbros (non al Fanar, la sede del Patriarcato di Costantinopoli); una visita interpretata come un segno di distensione tra i due.
L'incontro è durato due giorni, il 21 e il 22 agosto, ha reso noto il Patriarcato di Mosca. Questa domenica il Patriarca Bartolomeo, che è originario di Imbros, ha voluto mostrare al metropolita Hilarion i luoghi della sua infanzia e giovinezza.
Dopo aver recitato insieme i vespri nelle chiesa della Dormizione di Santi Teodori, il Patriarca si è rivolto pubblicamente al metropolita, ringraziando per il lavoro del suo Dipartimento a livello di relazioni tra i due Patriarcati. “Ciò naturalmente non significa che a volte non ci sia qualche nube e non sorga qualche problema, ma cerchiamo di superarli e di risolverli insieme per proseguire la nostra armoniosa collaborazione”, ha concluso.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

CHIESA ORTODOSSA
PATRIARCATO  DI  MOSCA
PARROCCHIA
SAN GIOVANNI DI KRONSTADT
CASTROVILLARI

Care Fedeli, Cari Fedeli:
    Vi comunico che sabato 27 agosto 2011, con inizio alle ore 16.00 presso la nostra Chiesa parrocchiale conferiremo il battesimo alla piccola  Daria Vasilica,
di seguito celebreremo il  Vespro solenne della Festa della Dormizione della Madre di Dio e se ci saranno fedeli sufficienti svolgeremo anche la processione con l'icona della festa.
Domenica 28, Festa della Dormizione, celebrazione della Divina Liturgia alle ore 10.00 . Vi aspetto sempre numerosi, anzi vi consiglio di portare con voi, un parente, un amico; più siamo e meglio stiamo!!!!
p. Giovanni

sabato 20 agosto 2011

Dal sito: Nati dallo Spirito

“L’anima non ha un istante di tregua

quando Dio ritira da lei la grazia”


Quando la grazia abbandona l’anima, in quei momenti dolorosi l’anima ha la sensazione di essere caduta dal cielo sulla terra, e vede tutte le malizie del mondo. Non ci sono più momenti di gioia per l’anima, fino al momento in cui il Signore non le ridà la sua grazie.
L’anima che ha gustato la dolcezza dello Spirito Santo non può dimenticarla; essa languisce giorno e notte, e insaziabilmente si lancia verso Dio. Chi potrà descrivere l’ardore del suo amore per Dio nel quale ha riconsciuto il suo Padre celeste? Finché il Signore non avrà dato la sua grazia a quest’anima, essa non troverà sulla terra un istante di tregua [...]
L’anima mia languisce verso di Te, ma non ti può trovare.
Tu vedi Signore come essa è attratta verso la tua grazia e piange cercandola.
Quando io non la conoscevo non potevo chiedertela in questo modo.
Come potrei domandare ciò che non conosco?
Ma ora io Ti imploro, poiché l’anima mia Ti ha conosciuto e ha gusato la dolcezza
del tuo Spirito santo, ed ha amato Te, suo Creatore.
Tu hai dato ai tuoi Santi la grazia ed essi ti hanno amato fino alla fine.
Hanno disprezzato i beni terrestri,
poiché la dolcezza del tuo amore non permette che si ami la terra e la bellezza
di questo mondo, che non sono nulla dinanzi alla tua grazia.
San Silvano l’Athonita
tratto da Archimandrita Sofronio,
Silvano del Monte Athos, Gribaudi, p.297-298

Dal sito amico: Eleousa.net

Regno Unito - Consultazioni teologiche a Cambridge

Cambridge, 5 agosto 2011 - Dal 3 al 5 agosto 2011 si sono svolte a Cambridge, sulla base del college di Westminster, alcune consultazioni teologiche aventi lo scopo di preparare un manuale di patristica per diverse denominazioni cristiane, in primo luogo protestanti.
Promotore dell’idea di realizzare tale manuale è stato il metropolita Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca; il progetto viene realizzato sotto l’egida della commissione “Fede e costituzione” del Consiglio ecumenico delle Chiese.
Alle consultazioni ha preso parte l’archimandrita Kirill (Govorun), vicepresidente del Comitato educativo e vicerettore della Scuola di master e dottorato della Chiesa Ortodossa Russa, Susan Derber, direttrice del College di Westminster, il monaco cattolico Michel van Parys, già abate del monastero di Chevetogne in Belgio, e Tamara Grdzelidze, collaboratrice della commissione “Fede e costituzione” del Consiglio ecumenico delle Chiese.

(Fonte: Decr Servizio Comunicazione; www.mospat.ru)

Dalla Chiesa Ortodossa Russa

I cinque anni della chiesa russa della

Ss. Trinità festeggiati a Pyongyang

Una delegazione della Chiesa ortodossa russa guidata dall’arcivescovo Mark di Yegorevsk, responsabile del Segretariato per le istituzioni all’estero del Patriarcato di Mosca, ha visitato la Repubblica democratica popolare di Corea per partecipare alle celebrazioni in occasione del quinto anniversario della consacrazione della Chiesa della Trinità a Pyongyang.

Il 12 agosto la delegazione è stata accolta all’aeroporto di Pyongyang dai chierici della parrocchia della Ss. Trinità, da rappresentanti dell’Ambasciata russa in Corea del Nord e dall’arciprete Sergij Jakutov, a capo di un’altra delegazione, della diocesi di Vladivostok della Chiesa Russa.

Il 13 agosto l’arcivescovo Mark ha presieduto la celebrazione della divina liturgia nella chiesa della Ss. Trinità. Con lui hanno concelebrato i chierici locali e sacerdoti e diaconi della diocesi di Vladivostok. Al servizio liturgico erano presenti l’ambasciatore russo V. Sukhinin e diversi dipendenti dell’ambasciata, come anche capi e membri delle missioni diplomatiche della Romania, Svizzera, Etiopia e di altre ambasciate e organizzazioni internazionali.
 Dopo la celebrazione, l’arcivescovo Mark ha trasmesso ai presenti le parole di saluto e la benedizione del Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill, che in quella stessa data cinque anni prima – in qualità di presidente del Dipartimento per le relazioni esterne – aveva presieduto la grande consacrazione della chiesa della Trinità, e la prima ordinazione di un sacerdote ortodosso nella Corea del Nord. L’arcivescovo Mark ha espresso gratitudine alle autorità per la decisione di costruire una chiesa ortodossa in Corea del Nord, facendo notare che tale decisione fu presa dal presidente del Comitato nazionale per la difesa Kim Jong-il durante una sua visita a Mosca nel 2002.

Il presidente della Società dei credenti della Corea del Nord, Chang Jae-on, ha espresso le proprie congratulazioni ai partecipanti dell’avvenimento che – ha affermato – segna una data significativa nella storia dell’Ortodossia in Corea.
Dopo la celebrazione, l’arcivescovo Mark ha trasmesso ai presenti le parole di saluto e la benedizione del Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill, che in quella stessa data cinque anni prima – in qualità di presidente del Dipartimento per le relazioni esterne – aveva presieduto la grande consacrazione della chiesa della Trinità, e la prima ordinazione di un sacerdote ortodosso nella Corea del Nord. L’arcivescovo Mark ha espresso gratitudine alle autorità per la decisione di costruire una chiesa ortodossa in Corea del Nord, facendo notare che tale decisione fu presa dal presidente del Comitato nazionale per la difesa Kim Jong-il durante una sua visita a Mosca nel 2002.

Il presidente della Società dei credenti della Corea del Nord, Chang Jae-on, ha espresso le proprie congratulazioni ai partecipanti dell’avvenimento che – ha affermato – segna una data significativa nella storia dIl 15 agosto, festa nazionale della liberazione della Corea del Nord, la delegazione della Chiesa Russa ha presenziato alla deposizione di corone di fiori davanti al monumento alla Liberazione (monumento ai soldati sovietici sulle rive del fiume Tedon, al centro di Pyongyang) e al monumento ai soldati sovietici, nel cimitero di Pyongyang. Davanti alla croce ortodossa del cimitero il vescovo e i chierici hanno celebrato l’officio dei defunti dell’Ortodossia in Corea.
La visita della la delegazione della Chiesa Ortodossa Russa ha trovato grande eco nella stampa e nei mass-media coreani.

La sera del 15 agosto la delegazione ha fatto rientro in Russia.