giovedì 27 settembre 2012

Dalla Chiesa Ortodossa Russa

Visita del metropolita Hilarion in Grecia

Dal 22 al 25 settembre 2012 il metropolita Hilarion di Volokolamsk, Presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, ha compiuto una visita in Grecia con la benedizione di Sua Santità il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill. Durante il viaggio, il metropolita era accompagnato dall’arciprete Igor Yakimchuk, segretario per i rapporti inter-ortodossi del Dipartimento, dallo ierodiacono Ioann (Kopeikin), assistente del Rettore della Scuola di dottorato e post-laurea intitolata ai santi Cirillo e Metodio, e da Leonid  Sevastyanov, direttore esecutivo della Fondazione San Gregorio il Teologo.
Nel primo giorno della visita, il metropolita Hilarion ha incontrato Sua Beatitudine l’Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Hieronymus, presso la residenza del Primate della Chiesa ortodossa di Grecia. Il metropolita Hilarion ha trasmesso al Primate della Chiesa greca i saluti di Sua Santità il Patriarca di Mosca Kirill.
Sua Beatitudine l’Arcivescovo Hieronymus ha detto di ricordare con affetto la visita alla Chiesa ortodossa russa, da lui compiuta nello scorso mese di maggio, la comunione con Sua Santità il Patriarca Kirill, con i vescovi, il clero e laici del Patriarcato di Mosca.
Sua Beatitudine ha parlato della difficile situazione che ora vive la Chiesa ortodossa di Grecia insieme con il suo popolo, ha illustrato le varie attività di beneficenza intraprese dalla Chiesa e ha ringraziato la Chiesa ortodossa russa per il sostegno morale e materiale in questo lavoro.
Nel corso della riunione sono state discusse le prospettive per un’ulteriore cooperazione tra le due Chiese sorelle nei campi educativo, culturale e di altro tipo.
L’incontro ha visto la partecipazione del vescovo Gabriel di Daulia, segretario generale del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa greca, dell’archimandrita Maksim (Papayannis), protosincello dell’Arcidiocesi di Atene, e dei membri della delegazione che accompagnavano il metropolita Hilarion durante il viaggio.
Domenica 23 settembre il metropolita Hilarion ha celebrato la Divina Liturgia nella chiesa di Santa Sofia a Atene.
Il 24 settembre il Presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca si è incontrato col Ministro per lo sviluppo, la competitività, i trasporti e le reti della Repubblica Greca K. Hagidakis, col Ministro della difesa P. Panagiotopoulos, col Ministro dell’istruzione, la religione, la cultura e lo sport K. Arvanitopoulos, e col Direttore del Centro di edizioni patristiche, proto presbitero Ioannis Diotis.

 

mercoledì 26 settembre 2012

  Chiesa Ortodossa 
 Patriarcato di Mosca
Parrocchia
San Giovanni di Kronstadt
Palazzo Gallo - P.zza Vittorio Em. II 
(di fronte la pizzeria da Armando -
seguendo Corso Garibaldi a destra)
Castrovillari (cs)

 
30 Settembre 2012

Santa Sofia e le sue tre figlie
Fede - Speranza - Carità

Tono VIII

 
Orario Ufficiature 

Sabato 29 - Ore 17,30: Vespro (Vecernie)

Domenica 30 - Ore 10.00 : Divina Liturgia 


  Carissimi Fedeli Ortodossi di 
Castrovillari e del circondario, 
carissimi Arbëreshë  dei paesi viciniori,
(San Basile - Frascineto - Ejanina - Civita)
 come sempre vi aspetto numerosissimi,
 per celebrare con Voi le Ufficiature 
della Vostra Chiesa e della Vostra
 Santa Tradizione Ortodossa.
Per qualsiasi informazione chiamate
 il Parroco al: 3280140556

Dal sito amico: http://makj.jimdo.com/

«Gli ortodossi non hanno mai avuto simpatia per le summe teologiche, né per i sistemi scolastici. Ogni formulazione o definizione eccessiva provoca una diffidenza istintiva, L’ortodossia non ha bisogno di formulare, ha bisogno di non formulare. È una convinzione innata che viene dai Padri della Chiesa, che non è bene speculare sui misteri, è meglio contemplarli, lasciarsi illuminare e penetrare dalla loro luce; così senza farsi razionalizzare, il mistero diviene illuminante. Da qui ogni tipo di spiritualità, molto più liturgico e iconografico che discorsivo, concettuale e dottrinale». 
                                                                     P. N. Evdokjmov
                                                            (teologo russo – 1901/1970)
 
 CULTO, CULTURA E CRISTIANESIMO (1)
 
 di p. Pavel A. Florenskij
 
Una foto giovanile di Pavel A. Florenskij (1882/1937)
     La cultura è la lotta consapevole contro l’appiattimento generale; la cultura consiste nel distacco, quale resistenza al processo di livellamento dell’universo, è l’accrescersi della diversità di potenziale in ogni campo che assurge a condizione di vita, è la contrapposizione all’omologazione, sinonimo di morte. Ogni cultura è un sistema finalizzato e saldo dimezzi atti alla realizzazione e al disvelamento di un valore, adottato come fondamentale e assoluto, e dunque fatto assurgere a oggetto di fede. I primi riflessi di questa fede nelle funzioni imprescindibili dell’uomo determinano i punti di vista sui settori inerenti a dette funzioni, ossia sulla realtà oggettiva nella sua interazione con l’uomo. Tali punti di vista sono, sì, categorie, ma non categorie astratte, bensì concrete (si veda la Kabbalah); la loro manifestazione nella pratica è il culto. La cultura, come risulta chiaro anche dall’etimologia, è un derivato del culto, ossia un ordinamento del mondo secondo le categorie del culto. La fede determina il culto e il culto la concezione del mondo, da cui deriva la cultura (…)
     Per un ortodosso la Chiesa non è un’autorità esterna come per i cattolici; gli ortodossi non hanno mai avuto cara quell’unità della Chiesa che i fedeli conquistano a scapito detta propria libertà, ma sono altrettanto lungi dall’interpretazione protestante, per la quale «Chiesa» è una  parola vuota. Il cattolicesimo tende a identificare la Chiesa con il Clero, a opporre il clero ai laici. Nell’ortodossia la Chiesa non è pensabile senza la gente, e il popolo dei credenti è la Chiesa. È un’opinione che accomuna tutte le Chiese ortodosse, dagli armeni ai greci; nel XV paragrafo dell’enciclica dei patriarchi d’Oriente del 6 maggio 1848 dice: «Né i patriarchi né le chiese hanno mai potuto introdurre, da nessuno  alcunché di nuovo, giacché custode della nostra devozione e dottrina il corpo stesso della Chiesa, cioè il popolo». Innocenzo, vescovo dei isole Aleutine, sosteneva che il vescovo è allo stesso tempo maestro allievo dei proprio gregge.(…)
     Un’altra peculiarità del rapporto tra ortodossia e Chiesa è il primato del culto, e della liturgia in particolare, sulla dottrina e la morale cristiana. Turpiloquio, zuffe, ubriachezza sono un peccato minore rispetto a un digiuno violato; un confessore perdona più facilmente un peccato di lussuria che una celebrazione mancata; prender parte alla liturgia avvicina alla salvezza più che la lettura del Vangelo; l’esercizio del culto è più importante della beneficenza. Non per nulla il nostro popolo ha assimilato il cristianesimo non dal Vangelo ma dal prologo (delle vite dei santi), è stato edotto non dai sermoni ma dalle liturgie, non dalla teologia ma dal culto e dalla devozione alle cose sacre. Menti avvezze a concedere il primato alla ragione, all’intelletto e all’analisi si scandalizzano della cosiddetta fede liturgica degli ortodossi; ma il loro scandalo altro non è che un malinteso. Forse che un malato farebbe meglio a studiare medicina invece di prendere un farmaco e curarsi? La religione non è mai figlia della ragione; a infastidire chi non la ammette non è solo la fede liturgica, ma anche la filosofia religiosa; che la religione la ammette, invece, riconoscerà che essa non è propriamente ragione, né conoscenza, ma relazione concreta con Dio; la religione non è speculazione sulle cose di Dio, ma accoglimento del divino nella sua essenza. Perciò la preghiera - durante la quale Dio scende nel cuore deflorante - è per chi crede financo superiore alla lettura della Bibbia o alla devozione per le reliquie, dalle quali, come da un vaso ricolmo, si riversa la grazia; è più importante del far propria la saggezza teologica. L’Eucaristia, l’accoglienza del Corpo del Signore nel proprio, è infinitamente più importante di qualunque sermone, di istituti di beneficenza, scuole, ospedali da fondare ecc. L’ortodosso ritiene graditi a Dio non solo gli atti suddetti: le formule di preghiera pronunciate in chiesa, le melodie che visi cantano, i lumi, i ceri accesi non sono solo parole e gesti, ma cerimoniali, ossia formule e atti che - per quanto somiglino a parole e gesti consueti - se ne distinguono per una forza misteriosa, mistica, sovrannaturale. Esteriormente l’acqua santa non è diversa dalla normale, ma scaccia i demoni, guarisce dal malocchio ed è d’aiuto contro i malanni. Si comprende, così, l’ostinato conservatorismo dell’ortodossia russa, che non consente di modificare una sola lettera, un solo gesto della liturgia. Sono quelle formule ad aver dato la salvezza, e non è dato mai sapere se le nuove possano fare altrettanto. (…)
     «L’ortodossia» ha scritto Pobedonoscev « è religione di pubblicani e prostitute, che entreranno nel Regno dei Cieli prima di uomini di legge e farisei.» Così intendevano l’ortodossia Leskov e Dostoevskij, e nessuno meglio di loro ha descritto la sostanza della fede popolare. La forza di Dio si compie nella debolezza; se Dio stesso si è fatto debole, come possiamo noi disprezzare i deboli? Che sia nella debolezza che si manifesta la grazia? Per questo l’ortodosso non giudica mai dall’aspetto esteriore. Egli non ha fretta di giudicare e scandalizzarsi, prova persino una certa simpatia per ubriachi, miseri, straccioni, ignoranti o semplici idioti. Egli non cerca splendore, grandezza forza, al contrario è quanto mai cauto quando vede forza e fulgore che sempre gli paiono «umani, troppo umani». L’ortodossia è l’esito opposto dell’idea pagana ed europea moderna (come espresso suo massimo da Nietzsche) per la quale il valore dell’uomo aumenta con l’accrescersi delle sue qualità esteriori, per la quale quanto più intelligente, bello e forte in corpo e volontà è l’uomo, tanto più egli sarà divino. L’ortodossia attua un rovesciamento dei valori assai più radicale; non solo essa mette in dubbio la corrispondenza diretta il valore dell’uomo e i suoi meriti umani, ma è incline a intende tale corrispondenza come inversa. (…)    
     Il suo giudizio l’ortodossia lo applica anche all’ambito del sociale. «Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori (Salmi CXXVI)» Essa guarda con sospetto al processo sociale e culturale, e nel migliore dei casi lo giudica opera assai relativa, del tutto umana e che poco ha in comune con quei processi autenticamente divini e misteriosi che si compiono nell’animo delle genti. Raggiungere l’uguaglianza, eliminare la povertà e la fame, ottenere che la pace regni nel mondo è forse possibile, ma «quando si dirà: “pace i sicurezza”, allora all’improvviso li coprirà la rovina» (1 Tessalonicesi 5,3). E se al mondo servissero sofferenze e povertà? Se una volta raggiunto il benessere, l’umanità si facesse presuntuosa e dimenticasse Dio? Se la sazietà quietasse la coscienza? Se l’ozio e una vita senza dolore risvegliassero vizi inauditi? Per questo l’ortodossia non mira ad adoperarsi nella società e non ha un’alta opinione delle iniziative sociali. Persino nell’ambito della Chiesa e delle sue opere (la missione, l’istruzione religiosa), l’ortodossia mostra non solo imperizia, ma financo indifferenza. Di questo atteggiamento ha dato una definizione precisa san Eulogio quando venne consacrato vescovo di Lublino: «Dobbiamo forse impugnare la spada anche noi» disse «armarci di tutto punto per la battaglia come fanno le altre religioni che si vantano dei grandi, enormi successi della loro propaganda? Si ode allora la voce minacciosa del nostro primo pastore: “chi di spada ferisce, di spada perisce”. No, non è questa la forza del vero pastore nello spirito di Cristo: essa non sta nel rigore e nella salda organizzazione dei suoi uomini, non nel fatto che essi occupino ogni ambito della società, non nell’abbondanza di mezzi materiali, e nemmeno nei sermoni che tanto ripugnano alla saggezza umana; no, dice il santo apostolo, non è per la carne che combattiamo; le armi del nostro esercito non sono di carne, ma hanno forza in Dio; sono la corazza della giustizia, lo scudo della fede, l’elmo della salvezza, la spada dello spirito, il verbo di Dio e la preghiera».
     Le parole citate esprimono con chiarezza sia il disprezzo per le forme umane di lotta, sia il timore di scambiare per divine quelle che sono gesta umane. Ciò non significa che l’ortodossia neghi tutte le opere dell’uomo, ma più d’ogni altra cosa essa teme di confondere il divino col terreno. Siamo agli antipodi del luteranesimo che ritiene compito della Chiesa, o meglio degli uomini, sia gli uffici religiosi che la predicazione, e la beneficenza. L’ortodossia non nega la beneficenza; vestire gli ignudi, sfamare gli affamati, visitare i malati sono virtù antiche dei russi, ma hanno senso solo in quanto atti d’amore, di carità, e non quale mutamento del mondo da «valle di lacrime e pianto» in paradiso terrestre. Laddove in Occidente l’attività sociale e la beneficenza religiosa si prefiggono di rendere più normali le condizioni di vita e assumono perciò forme neutre e meccaniche (ospizi per i poveri, eliminazione della povertà, pensioni di Stato per gli anziani, assistenza), pur provando grande compassione per chi soffre, l’ortodossia non crede nella possibilità di cambiare le cose per tramite di sforzi umani, e dunque la beneficenza… ha carattere personale di aiuto a una determinata persona, senza intermediari e solo per amore nei confronti del singolo uomo, e non perché si creda con ciò: di cambiare le condizioni di vita dell’umanità. (…)
     E poiché tutto si compie non grazie alla nostra ragione, ma nel giudizio Divino, poiché l’uomo pone e Dio dispone e tutto, alla fin fine, è nelle Sue mani, il dovere religioso dell’uomo è di sottomettersi a Dio, di rinunciare alla propria volontà umana e di non contrariare quella Divina. Questo è il primo obbligo del cristiano. E deve compiere in umiltà ciò a cui viene chiamato, vivere come tutti gli altri senza mettersi in evidenza né porsi grandi traguardi, e disquisire il meno possibile. (…)
     Vien da credere che di tutte le confessioni cristiane nessuna senta proprio Cristo come l’ortodossa. Nel protestantesimo Cristo è un’immagine lontana senza nulla di individuale; nel cattolicesimo egli è fuori dal mondo e fuori dal cuore dell’uomo. I santi cattolici lo vedono dinanzi a loro, come modello a cui somigliare fino alle stigmate, le ferite dei suoi chiodi, e solamente l’ortodosso - non solo il santo, ma qualsiasi laico devoto lo sente dentro di sé, nel proprio cuore. (…)
     L’intimità con Dio non ha nulla in comune con l’esaltazione e il sentimentalismo occidentali...
 
NOTA
 
(1)Tratto dal libro di Florenskij, Bellezza e liturgia - Oscar Mondadori - I edizione oscar - 2010

lunedì 24 settembre 2012


  Chiesa Ortodossa 
 Patriarcato di Mosca
Parrocchia di
San Giovanni di Kronstadt
Palazzo Gallo - P.zza Vittorio Em. II 
(di fronte la pizzeria da Armando -
seguendo Corso Garibaldi a destra)
Castrovillari (cs)

27 Settembre 2012
 Воздвижение Честного и
 Животворящего Креста Господня
Inaltarea Sfintei Cruci

ESALTAZIONE DELLA PREZIOSA 
E VIVIFICANTE CROCE 

 
Orario Ufficiature 

Mercoledi 26 Ore 16.00 : Vespro (Vecernie)

Giovedi 27 Ore 10.00 : Divina Liturgia 


  Carissimi Fedeli Ortodossi di 
Castrovillari e del circondario, 
carissimi Arbëreshë  dei paesi viciniori,
(San Basile - Frascineto - Ejanina - Civita)
 come sempre vi aspetto numerosissimi,
 per celebrare con Voi le Ufficiature 
della Vostra Chiesa e della Vostra
 Santa Tradizione Ortodossa.
Per qualsiasi informazione chiamate
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Dal sito: http://russiaoggi.it

Milano si veste di Russia

Dal 25 settembre al 14 ottobre 2012 il capoluogo lombardo ospiterà mostre, concerti ed eventi per rinsaldare i rapporti con San Pietroburgo e la Federazione
Un ponte di amicizia tra Milano e San Pietroburgo. In occasione del 45esimo anniversario della cooperazione e dello sviluppo tra le due città, anche quest’anno torna il progetto “Città partner. San Pietroburgo – Milano”, cui si aggiunge la “Serata russa a Milano”.
 Cinema, mostre e concerti animeranno la vita culturale del capoluogo lombardo: la girandola di eventi inizierà il 25 settembre 2012 con il tradizionale evento di gala “Serata russa a Milano” (Palazzo Cusani). Istituzioni, imprenditori e professionisti del mondo della cultura e della moda saranno insieme come ospiti d’onore. L’evento sarà completato da un’asta di beneficenza, il cui ricavato sarà devoluto all'orfanotrofio n.4 di San Pietroburgo.
 L’incontro sarà allietato dal concerto dei Solisti del Teatro Mariinksij, accompagnati dalla Cappella “Tavriceskaya”. A ciò faranno seguito la mostra di costumi della stilista Tatiana Parfenova e la presentazione di oggetti, dipinti dalla stessa artista, a cura della Fabbrica Imperiale di Porcellana.
 L’evento si svolgerà inoltre sulle note dei giovani musicisti dell’Istituto Rimskij-Korsakov di San Pietroburgo e si concluderà con la sfilata di moda dello stilista Ralph Lauren, socio della Camera di Commercio Italo-Russa, e con le mostre “Le immagini del balletto russo” e “Il giardino Magico”.
 Il 26 settembre 2012 presso Palazzo Moriggia (Via Borgonuovo, 23), verrà inaugurata la mostra “Porcellane pietroburghesi. Storia e contemporaneità”, aperta fino al 14 ottobre 2012. L’esposizione presenterà pezzi della prestigiosa Fabbrica Imperiale di Porcellane di San Pietroburgo, fondata nel 1744 e sarà accompagnata dalle fotografie di Yuri Molodkovets dedicate alla storia della fabbrica.
 Per finire, dal 1° al 5 ottobre 2012 il cinema Apollo ospiterà il "Festival del Cinema Russo", nell’ambito del quale saranno proiettati film di registi di pietroburghesi.
 Gli eventi, ai quali parteciperà anche Svetlana Medvedeva, Presidente della Fondazione per le iniziative sociali e culturali, moglie del primo ministro russo Dmitri Medvedev, sono organizzati nell’ambito del Foro di dialogo italo-russo dal Governo di San Pietroburgo, dalla Fondazione per le Iniziative Sociali e Culturali e la Direzione dei Programmi Internazionali della Federazione Russa, oltre alla Fondazione “Centro per lo sviluppo dei rapporti Italia Russia”, con il sostegno del Comune di Milano, della Camera Nazionale della Moda Italiana e del Consolato Generale della Federazione Russa a Milano.

venerdì 21 settembre 2012

Dal sito: http://www.balcanicaucaso.org

Il Papa, la Serbia e l'Editto di Costantino 

Giovanni Bensi  -  19 settembre 2012 

Il Papa, sul suolo della Serbia, non ha mai messo piede. Ma potrebbe farlo in occasione delle celebrazioni nel 2013 dei 1700 anni dalla promulgazione dell'Editto di Costantino. I rapporti tra cattolici e ortodossi, le divisioni nella chiesa serba, i macigni del '900 che pesano sui rapporti interreligiosi in questo approfondimento

(L'articolo è stato pubblicato anche dal quotidiano russo Nezavisimaja Gazeta)

Non si può certo dire che le Chiese cristiane, quella cattolica come quella ortodossa, abbiano dato la prova migliore di sé durante le guerre jugoslave degli anni novanta del secolo scorso. Troppo spesso entrambe si sono prestate a far da supporto alle tendenze nazionalistiche dei popoli fra i quali sono maggiormente rappresentate, i croati e i serbi. Ed anche fra loro stesse non vi è stata pace e collaborazione.
Ancora pesa il passato più remoto, quello della Seconda guerra mondiale, che ha crudelmente spezzato un legame che non si è ancora riusciti a riannodare. In particolare per gli ortodossi è bruciante il ricordo del "genocidio" perpetrato contro i serbi, e del tentativo di “convertirli” con la forza al cattolicesimo nella Nezavisna Država Hrvatska (NDH), il cosiddetto “Stato Croato Indipendente” del periodo bellico. Era lo stato guidato dagli ultra-fascisti ustaša di Ante Pavelić, Andrija Artuković e simili. Non si è neppure dimenticato che quel regime ebbe l’appoggio, anche se non sempre entusiastico, della Chiesa cattolica e del suo capo, Alojzije Stepinac, sempre in bilico fra il sostegno al regime (non riconosciuto, fra l’altro, dal Vaticano) e la condanna delle sue atrocità. Stepinac fu successivamente condannato nella Jugoslavia di Tito alla prigione a Lepoglava e poi al confino nel suo villaggio natale di Krašić, elevato alla porpora da Pio XII e, dopo la morte (è seppellito nell’abside del duomo di Zagabria sul Kaptol), beatificato da Papa Giovanni Paolo II. E duole ancora il ricordo dello spaventoso lager ustaša di Jasenovac che, purtroppo, fu diretto per due mesi anche dal francescano Miroslav Filipović-Majstorović. La Chiesa lo espulse dall'ordine nel 1942, e la nuova Jugoslavia lo giustiziò nel 1946.
Gli odi e le violenze degli anni novanta si assommarono a tutto questo, rendendo ancor più pesante il ricordo e più lancinante il dolore. Ma ora molto tempo è passato e le due chiese tentano faticosamente di diventare un veicolo di rinascita e riconciliazione fra serbi e croati.

A Niš per Costantino

Un’occasione opportuna potrebbe essere data dalla conferenza internazionale che si terrà a Niš in Serbia, l’anno prossimo (e che ha già avuto un’anticipazione di tre giorni a Novi Sad quest’anno), dedicata al 1.700 anniversario dell’Editto di Milano con cui l’imperatore Costantino nel 313 concesse la libertà di culto ai cristiani (“Costantino il Grande alle radici d’Europa”, “Konstantin Veliki – na tragovima korena Evrope”). La conferenza sarà presieduta dal Patriarca della Chiesa ortodossa serba Irinej, lui stesso già vescovo di Niš. Perché proprio Niš? Perché in questa città, che allora si chiamava Naissus, nel 274 nacque lo stesso Costantino.
La ricorrenza del giubileo costantiniano offre alle Chiese di Serbia e di Croazia l’occasione per uscire dal provincialismo in cui le ha ridotte la loro scelta, avvenuta con lo sfaldamento della Jugoslavia, di essere in primo luogo chiese nazionali. A questo proposito incominciò a circolare la notizia che in occasione delle celebrazioni di Niš sarebbe venuto in visita in Serbia (e questo sarebbe un primum absolutum) Papa Benedetto XVI. Come nasce la notizia? Già il 27 gennaio 2010, poco dopo la sua elezione a Patriarca della Chiesa ortodossa serba, Irinej, in un’intervista al Dnevnik di Zagabria, rispondendo a una domanda sulla possibilità di una visita di Papa Benedetto XVI in Serbia, disse: “Forse è venuto il momento di affrontare questo problema nella maniera più seria. Come si può infatti agire se non vi sono dialogo e contatti? Nello stesso tempo – continuò Irinej – un tale incontro è necessario per incominciare a risolvere i problemi che si sono talmente accumulati (nataložili se) al punto da farci allontanare gli uni dagli altri”. Il Patriarca sottolineò che “la divisione tra Oriente e Occidente dura già da tanti secoli che forse è proprio giunto il momento che si arrivi a un tale incontro. "In modo che possiamo dirci gli uni gli altri ciò che abbiamo da dirci e poi possiamo gli uni e gli altri riflettere su tutto”.
E alla domanda se i vertici della Chiesa ortodossa avessero già, anche in passato, sollevato il problema della visita papale, il Patriarca ha risposto: “Anche in passato si parlò di una visita del vescovo di Roma. Il nostro punto di vista allora fu che il momento non era ancora giunto e che bisognasse aspettare un’occasione migliore. Adesso – aggiunse Irinej – ritengo che occorre salutare l’avvio di tali discorsi”. E proprio qui il protoierarca della Chiesa serba osservò che nell’opinione pubblica serba “finora più volte si è citato il 2013, quando si attendono i festeggiamenti del 1.700 anniversario della promulgazione dell’Editto di Milano”.

L'asfalto di Zagabria e le pietre dello scandalo

Nel giugno 2012 avvenne un avvenimento che dovrebbe avere riflessi positivi sul dialogo e la collaborazione fra cattolici e ortodossi in ex Jugoslavia. Il patriarca Irinej, accompagnato dai membri del S. Sinodo, si recò in visita in Croazia dove, come osserva ironicamente il Večernji list, “non aveva ancora messo piede sull’asfalto di Zagabria, che la sua visita era già stata proclamata storica”. Irinej ebbe un incontro con il presidente della Croazia Ivo Josipović, col premier Zoran Milanović ed altri politici croati, ma soprattutto con l’arcivescovo cattolico di Zagabria, card. Josip Bozanić e i membri dello Stalno vijeće (Comitato permanente) della Conferenza episcopale croata, al fine di “dare un impulso al dialogo cattolico-ortodosso” che, come osserva sempre il Večernji list, “si era congelato a causa dell’aggressione serba e della guerra contro la Croazia”.
Ufficialmente non si parlò della possibile visita del Papa, ma si affrontò un tema che necessariamente deve precederla: l’acclaramento delle responsabilità croato-cattoliche e serbo-ortodosse nelle atrocità delle recenti guerre “jugoslave”. “I partecipanti all’incontro – si legge in un comunicato – sono consapevoli del fatto che numerose questioni del passato sono ancora pietre dello scandalo”. I vescovi si sono detti d’accordo che “è necessario quanto prima far luce sugli avvenimenti sui quali non vi è ancora sufficiente sensibilità nell’opinione pubblica croata e serba”. I vescovi hanno inoltre espresso appoggio al lavoro della commissione di indagine sui “crimini comunisti” e sulla identificazione delle tombe delle vittime.

In missione

Due mesi dopo ritornò d’attualità il tema “papa”. A inizio agosto 2012 il giornale croato Večernji list, seguito a ruota dal serbo Vesti, ripresero un’informazione, diplomaticamente prudente, dell’agenzia IKA (Informativna katolička agencija), portavoce della Conferenza episcopale croata, sulla recente visita a Belgrado di due vescovi croati. Si tratta del vescovo di Požega, Antun Skvorčević e del vescovo di Ragusa (Dubrovnik) Mate Uzinić che hanno avuto un incontro con il Patriarca Irinej allo scopo, questa è stata l’interpretazione dei media, di discutere la possibilità di invitare il Papa in Serbia.
Il quotidiano Vesti ha anche la spiegazione dei motivi per cui questa delicata missione sarebbe stata affidata ai due vescovi citati. Scrive infatti il giornale: “La delegazione che doveva ‘sondare il terreno’ sulla possibilità di una venuta del Papa era costituita da due vescovi che sono andati più in là di altri nello stabilire buoni rapporti con i vescovi ortodossi in Croazia. Il vescovo di Požega, Skvorčević, in più occasioni ha celebrato messe in suffragio delle vittime di Jasenovac, ed ha preso l’iniziativa di riunire sacerdoti delle tre fedi, ortodossa, cattolica e giudaica, per celebrazioni ecumeniche in memoria di quelle vittime”. Nessun sospetto “neo-ustaša”, dunque.
L’agenzia IKA ha così riassunto la sostanza dei colloqui belgradesi dei due vescovi croati: “Il patriarca Irinej ha anche presentato il programma dei festeggiamenti per il 1.700 anniversario dell’Editto costantiniano sulla libertà dei cristiani e ha illustrato i preparativi a Niš, esprimendo la convinzione che in quell’occasione l’incontro in Serbia di Papa Benedetto XVI con gli altri patriarchi delle chiese ortodosse avrebbe un grande significato per l’instaurazione di rapporti di fiducia e di riconciliazione fra le chiese in generale. Ma a questo proposito esistono ancora determinate difficoltà, anche se si spera che, nonostante il breve tempo trascorso, sia pur sempre possibile superarle”.
La formula secondo cui “determinate difficoltà possono essere superate” indusse il Večernji list a vedervi un segno dell’esistenza di buone possibilità che il capo della Chiesa cattolica, nonostante tutto, sarebbe comunque stato invitato, l’anno prossimo, alla solenne celebrazione dell’editto sulla libertà dei cristiani. Il giornale Vesti confermò che l’8 agosto effettivamente si era svolto il citato incontro di Irinej con i due vescovi croati, al quale, rivelò il quotidiano, era presente anche l’arcivescovo cattolico di Belgrado, Stanislav Kočevar. Ma durante i colloqui non sarebbe stato trattato alcun argomento straordinario, come avrebbe potuto essere l’invito al Papa. Il Patriarca Irinej quindi partì per un breve viaggio negli Stati Uniti, mentre il portavoce della Chiesa ortodossa serba, vladika (vescovo) della Bačka Irinej si è rifiutato di confermare o smentire se nell’incontro alla Patrijaršija si fosse parlato anche del Pontefice.

Illazioni e divisioni ortodosse

Nell'aprile di quest’anno era del resto parso che il Vaticano avesse bloccato tutte le speculazioni fatte fino allora su un possibile viaggio del papa a Niš. Il giorno 17 il segretario-stampa della S. Sede, p. Federico Lombardi, proprio in una conferenza stampa dedicata alla conferenza di Niš, alla quale la chiesa cattolica sarà comunque rappresentata, disse che il Pontefice non ha in programma alcun viaggio in Serbia, anche se con il Patriarca serbo era stata menzionata “l’eventuale possibilità di una visita del Papa a Niš”, tenendo conto dell’”invito del presidente serbo”, ma che “queste considerazioni non si sono concretizzate”.
Il Papa in realtà aveva ricevuto l’invito dall’ex presidente della Serbia, Boris Tadić, ma non era arrivato un analogo invito da parte del Patriarcato di Belgrado, necessario perché il pontefice potesse recarsi a Niš. Nella Chiesa ortodossa serba infatti non c’è accordo su questo punto: il maggior rimprovero che si fa alla S. Sede è che due Papi, Giovanni Paolo II, che visitò la Croazia nel 2003 e beatificò Alojzije Stepinac, e Benedetto XVI, che venne a Zagabria (dove pregò brevemente sulla tomba del medesimo Stepinac) nel giugno 2011, non si recarono a Jasenovac per rendere omaggio alle vittime del regime ustaša. Alla Patrijaršija di Belgrado viene spesso ricordata la frase del defunto Patriarca Pavle, il predecessore di Irinej, il quale era solito ripetere che “dolazak Pape u Srbiju vodi preko Jasenovca” (“la venuta del Papa in Serbia passa per Jasenovac”). Molti però in Serbia si rendono conto che è solo una questione di tempo che il Papa venga in visita ufficiale, benché contro questa prospettiva si pronunci la Chiesa ortodossa russa con il suo Patriarca Kirill, che ha aperti con la Chiesa cattolica due contenziosi: quello dei “greco-cattolici” (uniati) o cattolici di rito bizantino-slavo in Ucraina Occidentale ed il problema del cosiddetto “proselitismo” cattolico fra gli ortodossi.
Il problema delle visita del Papa ha avuto una svolta in senso negativo il 14 agosto 2012, quando la Patrijaršija comunicò, con un documento assai duro nella forma, che Papa Benedetto XVI non ha mai inviato un messaggio, e men che meno un segnale alla Chiesa ortodossa serba circa un suo desiderio di visitare la Serbia e aggiungeva che il tema per la Chiesa serba “addirittura non esiste” (uopšte ne postoji). Il comunicato è firmato dal vescovo della Bačka, vladika Irinej, portavoce del Patriarcato (e da non confondere con il Patriarca Irinej, ndr), da sempre critico di un avvicinamento al Vaticano. Vladika Irinej aggiunge che “non esiste alcuna ‘opposizione di singoli vescovi’, ma una decisione unanime del Santo Sinodo (Sabor) Episcopale, secondo cui alla celebrazione dell’Editto di Milano verranno invitati i capi delle Chiese ortodosse e delegazioni di alto livello, quindi rappresentanti responsabili, delle Chiese cristiane ‘eterodosse’ (inoslavne), compresa la Chiesa cattolica romana, ma non i loro capi”.
La Chiesa ortodossa serba, si legge inoltre nel documento, ritiene che “il modo in cui la maggioranza dei media in Serbia, ma alcuni anche in Croazia, trattano un tema fabbricato ad arte e un falso dilemma, sia disgustoso per tutti i cristiani seri (“degutantan za ozbiljne hrišćane”) e ben intenzionati, ortodossi, cattolici romani ed altri”. “Sua Santità Benedetto XVI, Papa di Roma, non ha mai, né in modo ufficiale, né non ufficiale, né direttamente, né indirettamente, né per allusione, inviato un messaggio o almeno un segnale alla Chiesa ortodossa serba circa un suo desiderio di visitare la Serbia”, afferma vladika Irinej. Il comunicato della Chiesa ortodossa sottolinea che per essa il tema di una visita del Papa in Serbia non esiste affatto e che questo tema, “in tali condizioni”, non può neppure essere esaminato nell’ambito delle competenze canoniche della Chiesa.

Profughi terroristi?

A questo punto nella polemica si inserì lo stesso Patriarca Irinej, che in parte prese le distanze dal tono di chiusura del suo omonimo, vescovo della Bačka, in particolare sul preteso disinteresse del Papa per un viaggio in Serbia. Il patriarca Irinej disse di non aver nulla contro la visita del Papa, ma addusse due argomenti, uno ben noto, ma l’altro inedito, per ritenere inopportuno l’evento. Il Patriarca dichiarò che la venuta del Papa “sarebbe utile anche per la Serbia ed il popolo serbo poiché in questo modo si aprirebbe una nuova pagina nella storia dei rapporti fra la Chiesa cattolica e ortodossa”. Il patriarca aggiunse di “non vedere alcun danno nel fatto che il Papa visiti la Serbia”, anzi, “il dialogo con una personalità qual è il vescovo di Roma sarebbe molto utile perché egli è anche un capo di stato”. Ma qui Irinej citò le due ragioni, come dicevamo, una nota e l’altra “inedita”, per cui questo non può avvenire. Il capo della Chiesa serba, contraddicendo il vladika suo omonimo, ricordò che “il Papa anche in precedenza aveva espresso il desiderio di visitare la Serbia”. Tuttavia “le ragioni per la sua mancata visita sono i ricordi ancora freschi delle conseguenze della Seconda guerra mondiale, specialmente delle ultime guerre e tragedie”. Insomma, il ricordo ancora doloroso di Jasenovac e dell’”operacija ‘Oluja’” (l'operazione Tempesta dell'esercito croato che nel 1995 pose fine al controllo di parte del territorio della Croazia da parte delle milizie serbe e durante la quale vennero commessi numerosi crimini ai danni dei civili, ndr).
A questo punto però Irinej aggiunse la giustificazione “inedita”: “In più ci sono i motivi della sicurezza del Papa durante il suo soggiorno nel paese, che nessuno potrebbe garantirgli tenendo conto del fatto che qui ancora vivono molti profughi”. Insomma, Irinej per la prima volta ha fatto balenare il rischio di un atto di violenza, o addirittura di un attentato, contro Benedetto XVI da parte di qualche profugo serbo dalla Croazia, magari dalla Krajina. Le parole di Irinej hanno suscitato varie polemiche delle quali si è reso interprete il noto e controverso scrittore-giornalista serbo Petar Milatović Ostroški (che vive a Vienna). Egli ha inviato al Patriarca una lunga “lettera aperta” nella quale, pur bollando con parole di fuoco Papa Ratzinger, si dissocia dall’ipotesi di Irinej. Scrive dunque Ostroški: “Santità, ma è Lei veramente consapevole di ciò che hanno provocato le Sue parole ‘nessuno potrebbe garantire la sicurezza [del Papa], poiché qui vivono molti profughi’, parole che sono prive di ogni umiltà e di ogni conciliazione? Accusare i profughi serbi e proclamarli in anticipo potenziali terroristi veramente rappresenta il peggiore insulto all’intelligenza. I profughi serbi non sono stati bollati come potenziali terroristi che potrebbero minacciare la sicurezza del Papa in Serbia, da nessun frate o cardinale cattolico, da nessun mufti o ayatollah musulmano, ma ciò invece lo ha fatto l’eccellente (vrli) Patriarca serbo, Lei che siede sul trono di San Sava!”

Il diavolo nel dettaglio

Concludiamo con una curiosità. Ricordiamo che a Niš, sul kej (passeggiata) lungo il fiume Nišava che bagna la città, è stato inaugurato un monumento a Costantino il Grande che ha scontentato un po’ tutti, anche al di là della controversia sul possibile arrivo del Papa. La composizione del monumento è stata elaborata da Piero Bordin, direttore della fondazione austriaca “Art Carnuntum” mentre lo scultore è Mile Kocev. Però, non appena inaugurata, l’opera ha suscitato la perplessità del sindaco di Niš Miloš Simonović, il quale, non senza ragione, ha osservato: “Ai cittadini non è chiaro perché sul piedistallo è indicato l’anno 312, quando l’Editto è datato al 313”. Già, c’è una piccola confusione. Nel 312 vi fu la celebre battaglia di Ponte Milvio contro Massenzio, durante la quale a Costantino, secondo la tradizione, comparve la Croce con la scritta “In hoc signo vinces”. E questo motto, tradotto in serbo-croato, è riprodotto anche a grandi lettere intorno ad un medaglione che orna il monumento: “Pod ovim znakom pobedićeš”. Però qui si è adontato il signor Željko Filipović, esponente dell’associazione “Ćirilica”, evidentemente costituita da zelatori dell’alfabeto cirillico. Anche lui ha pensato bene di spedire una lettera aperta al Patriarca Irinej, in cui lamenta che la traduzione del motto costantiniano non sia scritta in cirillico e che il testo in caratteri latini contenga due “errori ortografici”: nella parola “pobedićeš” le due lettere ć e š sono scritte senza il necessario segno diacritico: “pobedices”. Come si vede, “il diavolo sta nel dettaglio”, e ciò ci fa temere che anche la ben più complessa questione della visita del Papa a Niš non sarà di facile soluzione.

giovedì 20 settembre 2012

Dal sito cattolico: Zenit.org

L'incontro tra Papa e Patriarca di Mosca sembra oggi più vicino
Lo dichiara ad ACS lo ieromonaco Giovanni Guaita, studioso italiano da quasi trentanni in Russia
ROMA, martedì, 18 settembre 2012 (ZENIT.org).- «Un’eventualità mai esclusa in passato e che oggi sembra più vicina». Il tanto atteso incontro tra Benedetto XVI e il patriarca ortodosso Kirill potrebbe non essere troppo lontano, a patto che si risolvano alcune questioni aperte. E’ quanto dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre lo ieromonaco Giovanni Guaita, studioso italiano da quasi trent’anni in Russia, collaboratore del segretariato per i rapporti inter-cristiani del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca. Lo ieromonaco – titolo attribuito dalle chiese orientali ai monaci che hanno ricevuto l’ordinazione sacerdotale – ha accolto la Fondazione pontificia nel monastero moscovita di San Daniele, centro spirituale ed amministrativo della chiesa ortodossa dove ha sede il dipartimento presieduto dal metropolita Hilarion.
«Il desiderio è che l’incontro possa segnare un momento di effettivo cambiamento nei rapporti tra le due chiese. E non limitarsi ad una stretta di mano davanti ai fotografi». Prima però occorre sciogliere alcuni nodi. Non tanto in Russia, quanto in altri Paesi: ad esempio l’Ucraina. La volontà di rendere possibile un faccia a faccia tra i capi delle due Chiese comunque permane e - ironia della sorte - nel 2005 ne discussero proprio il neo eletto al soglio pontificio Ratzinger e l’allora “semplice” metropolita Kirill.
I rapporti tra Mosca e Santa Sede sono stati dibattuti anche lo scorso luglio in occasione della visita di Monti in Russia quando, complice un problema di calendario, il premier italiano ha infranto il protocollo incontrando il patriarca ortodosso prima ancora del suo omologo Medvedev. Lo ieromonaco era presente al colloquio in cui si è ovviamente parlato dell’attuale crisi economica, un tema profondamente sentito dal patriarcato. «La Russia si confronta oggi con problemi sociali che mai ha conosciuto in passato – spiega ad ACS-Italia – come l’enorme disparità economica tra i vari strati della popolazione. E la Chiesa ortodossa è sempre più attiva in questo ambito».
Un fenomeno relativamente recente è poi quello dell’immigrazione. Quelli che nel periodo sovietico erano semplici spostamenti interni sono ora diventati flussi migratori con conseguenti problemi di accoglienza e integrazione. «A Mosca la comunità d’immigrati, sia ufficiale che clandestina, è molto nutrita – continua il religioso – e proviene in larga parte da ex repubbliche sovietiche a maggioranza musulmana. Anche per questo è necessario favorire un dialogo interreligioso».
Il patriarcato russo-ortodosso è altresì fortemente impegnato a fornire sostegno ai cristiani perseguitati in tutto il mondo e contro una «certa cristianofobia presente in Europa occidentale e lì dove i fedeli non subiscono direttamente la persecuzione, ma si vorrebbe relegare la Chiesa ai margini della vita sociale e ridurre il fatto religioso ad una questione privata».
Infine il religioso ortodosso ha ringraziato ACS, «una delle primissime organizzazioni cattoliche a stabilire rapporti molto cordiali con il patriarcato di Mosca». Immediatamente dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’aria era tesa tra le due Chiese, tanto in Russia quanto negli altri Paesi ex URSS. La Fondazione pontificia ha però continuato a sostenere «una sorprendente quantità» di progetti in favore della Chiesa ortodossa sia a Mosca che nelle altre regioni della Federazione. «E’ in buona parte grazie al vostro aiuto se da ormai vari anni le relazioni con il Vaticano sono buone. Oggi col Patriarcato collaborano anche altre realtà cattoliche, Aiuto alla Chiesa che Soffre lo fa da sempre».

mercoledì 19 settembre 2012

Conclusa la visita del Patriarca Kirill in Giappone


Si è concluso il 18 settembre 2012 il soggiorno del Primate della Chiesa ortodossa russa in Giappone. La visita di Sua Santità il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill si è svolta in occasione del centenario della morte di S. Nicola, evangelizzatore ortodosso del Giappone.
In aeroporto il Patriarca è stato accompagnato dal Metropolita Daniel di Tokyo e tutto il Giappone, dall’arcivescovo Serafim di Sendai, dal clero della Chiesa Ortodossa Autonoma Giapponese, dall’arciprete Nikolaj Katsyuban, capo della Rappresentanza della Chiesa ortodossa russa a Tokyo, e dall’Ambasciatore della Federazione Russa in Giappone E.  Afanasiev.
La visita del Patriarca Kirill alla Chiesa Ortodossa Autonoma Giapponese è iniziata il 14 settembre dalla città di Hakodate, dove San Nicola aveva iniziato la sua missione nelle isole giapponesi.
Della delegazione ufficiale della Chiesa ortodossa russa che ha accompagnato Sua Santità  facevano parte i metropoliti Varsonofij di Saransk e Mordovia, cancelliere del Patriarcato e Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne, l’arcivescovo Varfolomej di Rivne e Ostrog, il vescovo Sergij di Solnechnogorsk, direttore della Segreteria amministrativa del Patriarcato, l’arciprete Nikolaj Balashov, vice presidente del Dipartimento per le relazioni esterne, Vladimir Legoida, presidente del Dipartimento sinodale per l’informazione, l’arcidiacono Vladimir Nazarkin, assistente del presidente del Dipartimento per le relazioni esterne e  Michail Kuksov, responsabile della segreteria personale del Patriarca.
Il giorno dell’arrivo in Giappone, Sua Santità ha visitato la chiesa della Resurrezione della città di Hakodate, prima chiesa ortodossa del Paese, e il cimitero degli stranieri della stessa città, dove si è raccolto in preghiera davanti alle tombe di diversi connazionali.
Il 15 settembre il Patriarca Kirill si è recato col suo seguito nella città di Sendai, dove ha pregato nella chiesa dell’Annunciazione, cattedrale della diocesi ortodossa locale. Il Patriarca ha poi visitato la regione di Arahama, sulla riva dell’oceano Pacifico, che l’11 marzo 2011 è stata devastata dal potente tsunami; qui Sua Santità ha pregato per le vittime della catastrofe naturale e deposto una corona di fiori alla base del monumento ai caduti. Nello stesso giorno il Patriarca Kirill si è incontrato col sindaco della città di Sendai, Emiko Okuyama.
Il 16 settembre, 15 domenica dopo la Pentecoste, il Patriarca Kirill ha presieduto la Divina Liturgia nella cattedrale ortodossa della Resurrezione a Tokyo in concelebrazione col metropolita di Tokyo Daniel e vescovi e chierici di entrambe le Chiese.
Nel cimitero di Tokyo il Patriarca Kirill ha pregato accanto alla tomba di san Nicola, missionario del Giappone e ha visitato le tombe degli altri vescovi della Chiesa Ortodossa Giapponese qui sepolti.
Nel corso della sua visita in Giappone, il Patriarca ha visitato la rappresentanza della Chiesa Ortodossa Russa a Tokyo e ha partecipato alla presentazione alla stampa dell’edizione giapponese del suo libro “Libertà e responsabilità. Alla ricerca dell’armonia. I diritti dell’uomo e la dignità della persona”.
Il 18 settembre, a conclusione della visita, il Patriarca Kirill si è incontrato con l’Ambasciatore della Federazione Russa in Giappone E. Afanasev, col Primo Ministro giapponese Josichiko Noda e con l’Imperatore del Giappone Akichito.

dal sito: http://www.ortodoxia.it

CALENDARIO LITURGICO 2013

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DIMENSIONI A3 - RIPORTA LE FESTIVITA' IL VANGELO, L'EPISTOLA E IL TONO
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DA MURO


martedì 18 settembre 2012

Dal Blog: http://chiesaortodossarussaitalia.blogspot.it/

Il Patriarca di Mosca contro i nemici della Chiesa


MOSCA, 11.

La “fusione” tra il Patriarcato di Mosca e lo Stato è una «invenzione», una «elucubrazione» fatta apposta per attaccare la Chiesa ortodossa russa e i valori da essa promossi e difesi: il Patriarca di Mosca, Cirillo, ha utilizzato un’intervista televisiva e il sermone domenicale pronunciato nella cattedra-le di Cristo Salvatore per sgombera-re il campo da vecchie e nuove illazioni che mettono in stretto collegamento il potere statale con la sfera religiosa e i suoi massimi rappresen-tanti. Una polemica tornata di attualità dopo recenti, clamorosi epi-sodi che hanno visto la Chiesa come bersaglio di insulti, minacce e mani-festazioni di dissenso (ignoti vandali in Russia e in Ucraina hanno anche tagliato di netto alcune croci). «Si tratta di una menzogna — ha detto Cirillo — creata ad arte da chi vuole attaccare la Chiesa con una certa concezione del mondo, per mostrare che attraverso questa presunta “fu-sione” con lo Stato essa intende controllare la vostra coscienza, la vostra volontà. Perché il fatto che il presidente o il primo ministro preghino con il Patriarca una o due volte all’anno deve portare alla con-clusione che esiste un amalgama? E perché si devono privare queste per-sone, credenti, del diritto di pregare, anche assieme al loro Patriarca?», si è chiesto il primate ortodosso. Sia nell’intervista alla catena tele-visiva Rossya 1 sia durante la cele-brazione in cattedrale (nella quale è stato ricordato il duecentesimo anni-versario della battaglia di Borodino, luogo di un epico scontro fra l’eser-cito russo e le truppe di Napoleo-ne), Cirillo ha affermato che la Chiesa ortodossa è attaccata da “nemici” che temono la sua rinascita, dopo la caduta del regime sovietico, e che vogliono distruggere i suoi luoghi di culto. «Non ci fermeremo», ha ammonito il Patriarca di Mosca rivolgendosi a tutti quegli “avversari” che intendono bloccare l’espandersi del cristianesimo orto-dosso nel Paese. E si è detto convin-to che questi attacchi sono “esplora-tivi”, fatti per «testare la profondità della fede e dell’impegno per l’orto-dossia in Russia». Oggi — ha ag-giunto — «penso che chi ha lanciato questa provocazione ha visto che davanti a sé non c’è una massa sen-za volto, silenziosa, ma un popolo in grado di proteggere ciò che è sa-c ro » . Com’è noto, nelle settimane scor-se, l’organizzazione ortodossa «La Santa Russia», per voce del suo re-sponsabile, Ivan Otrakovsky, ha of-ferto al Patriarcato la sua disponibi-lità a mettere in pratica l’idea di af-fidare a gruppi di fedeli volontari la difesa dei luoghi di culto e dei cimi-teri, anche per prevenire possibili aggressioni ai sacerdoti nelle strade di Mosca. Cirillo ha dipinto coloro che attaccano la Chiesa come nemici della Russia, affermando che tale “campagna” è «contro la nostra anima cul-turale, contro il nostro codice di civiltà». E riferendosi alla battaglia di Borodino ha spiegato che quello scontro contro le forze napoleoni-che, duecento anni fa, è stata una lezione per la Russia di oggi, minacciata «dalla blasfemia e dall’ol-traggio». Coloro che invitano a «prendere in giro i nostri santuari, a rigettare la nostra fede e, addirittura, a distruggere le nostre chiese, stanno tuttavia sperimentando — ha sottolineato il primate ortodosso — la capacità della gente di proteggere i loro luoghi sacri». Nei suoi interventi, il Patriarca di Mosca ha quindi replicato a chi vede nella Chiesa e nello Stato un tutt’uno, osservando che ciò che sta accadendo «non è una fusione ma la cristianizzazione della società». Ed è proprio questo «che spaventa i nostri nemici, è la paura di fronte al fatto che l’ortodossia russa, praticamente annientata all’epoca sovietica, è stata capace di tornare nella vita delle persone. Forse — ha concluso Cirillo — tutto questo “trambusto” è stato fatto per fermarci, ma non ci riusciranno, perché non ci fermeremo».

© Osservatore Romano - 12 settembre 2012

giovedì 13 settembre 2012



6 Settembre

Memoria del Santo, Neo Ieromartire, Massimo Sandovich

San Massimo Sandovich nacque nel 1886 nel villaggio di Zhdenia nell'attuale frontiera della Polonia con la Slovacchia, nel territorio che, a quel tempo, era parte dell'Impero Austro-Ungarico. La sua fede fu manifesta sin dai primi anni. Quando era ancora studente, si alzava presto per leggere le preghiere e cantare gli inni della Chiesa nella sua stanza. Voleva diventare sacerdote o monaco e così, alla fine dell'istruzione secondaria (scuole medie o liceo), entrò come novizio in un monastero uniata della regione (la scuola dei monaci basiliani di Cracovia). Ma la vita di questo monastero lo deluse presto, e dopo tre mesi andò via per entrare nel Monastero di Pochaev in Ucraina, molto rinomato per la rigidità del suo typikon e per la vita spirituale dei padri, così come per la sua testimonianza alla tradizione Ortodossa. Quando Massimo era ancora un novizio, il Metropolita Antonio Kharapovitsky (1863-1936), visitò il monastero e chiese all'Abate di permettergli di prendere con lui un novizio da mandare nel suo seminario per farlo studiare con la prospettiva di ordinarlo sacerdote per mandarlo poi, a servire le comunità ucraine nella regione dei Carpazi, che dall'Unia erano ritornate all'Ortodossia. Fu scelto Massimo che dovette rinunciare al desiderio del suo cuore per la vita monastica e seguire il vescovo. Quando ebbe finito i suoi studi al seminario di Zhitomir, sposò una donna bielorussa e fu ordinato dal Metropolita nel 1911.
Il suo ministero pastorale ebbe inizio nella città di Grab, non lontano dal suo paese natale, dove celebrò la prima Liturgia Ortodossa da quando i Carpato-Russi avevano ceduto all'Uniatismo nel diciottesimo secolo. Fu arrestato durante una visita alla sua casa natale, condannato a otto giorni di prigione e pesantemente multato. Padre Massimo non fu turbato dall'accaduto e continuò a servire la Divina Liturgia nei villaggi circostanti, nonostante le pene imposte dai tribunali a padre Massimo e ai fedeli che lo avrebbero aiutato. Nel Marzo 1912, fu rimandato in carcere a Lvov perché accusato di essere ortodosso, di aver usato i libri di Chiesa scritti in russo e di aver collaborato con il nemico, così era considerata la Russia dalle autorità austro-ungariche. Nonostante le false accuse raccolte contro di lui, il maltrattamento e le molestie di ogni genere, quando lui e i suoi compagni si presentarono in udienza, furono giudicati innocenti. In cattive condizioni di salute, riuscì a far ritorno a Zhdenia. Ma, allo scoppiare della Prima Guerra Mondiale, fu nuovamente arrestato, insieme con sua moglie che era incinta, a suo padre e agli ortodossi del suo paese. Furono imprigionati a Gorlice, il capoluogo di contea. Il 6 settembre 1914, padre Massimo fu fatto uscire dalla sua cella e fu condotto davanti a un giudice che lo informò sommariamente che era stato condannato a morte. Fu fucilato nel cortile della prigione davanti agli occhi dei prigionieri ortodossi presenti. Mentre cadeva, il valoroso Martire di Cristo gridò: “Viva la Santa Ortodossia!”, al che, uno dei suoi carnefici, preso dall'ira, si precipitò e lo accoltellò. Il suo corpo poté essere trasportato a Zhdenia sono nel 1922, dove fu deposto vicino alla chiesa. Da allora, i pellegrini affluirono in gran numero alla sua tomba. La venerazione di san Massimo, come immagine vera della loro identità etnica e religiosa, crebbe tra gli Ortodossi Carpato-Russi, specialmente durante gli anni della loro deportazione.

Per le sue preghiere, Signore Gesù Cristo Dio nostro, abbi misericordia di noi e salvaci. Amin.

L'11 settembre 1994, a Gorlice, la Chiesa Ortodossa di Polonia ha canonizzato Padre Massimo come primo santo del popolo carpato-russo. La cerimonia ha visto riuniti, intorno a S.E. Basilio metropolita di Varsavia, numerosi preti e circa seicento fedeli venuti da Polonia, Slovacchia, Ucraina, Canada, Stati Uniti. Il Sinodo della Chiesa ortodossa di Polonia ha fissato la memoria liturgica di San Massimo Sandovich questo prete martire il 6 settembre, data della sua morte. Per i carpato-russi, in effetti, San Massimo Sandovich è il simbolo dell'attaccamento alla fede dei Padri e il testimone del martirio del popolo ortodosso.

martedì 11 settembre 2012



5 Settembre
Memoria del Santo Ieromartire Atanasio, Abate del Monastero di san Simeone lo Stilita di Brest-Litosvk.

 San Atanasio nacque nella provincia di Minsk nel 1596, nello stesso anno in cui si concluse la falsa Unione di Brest-Litosvk tra Roma e alcuni vescovi russi. Suo padre era un nobile lituano di modeste risorse economiche, nonostante ciò Atanasio acquisì un'ampiezza e una profondità di conoscenza a quei tempi eccezionale. Oltre alle lingue moderne e antiche e agli scritti dei Padri, era familiare con le opere dei filosofi e dei teologi occidentali.
Nel 1627, dopo aver trascorso parecchi anni come insegnate privato, divenne monaco al Monastero di Khutyn vicino a Orsha nella piccola Russia. Questo monastero era indipendente dalle forze di occupazioni polacche e, per tradizione, profondamente impegnato nella difesa dell'Ortodossia, a tal punto che era in grado di offrire un grande incoraggiamento al popolo Ortodosso di fronte della propaganda Romano-Cattolica. Atanasio partì per il suo cammino monastico in altri rinomati monasteri e fu ordinato sacerdote. Il Metropolita di Kiev, Peter Moghila, gli diede il compito di ristabilire il Monastero di Kupyatisk. In obbedienza a una rivelazione divina, Atanasio partì per Mosca, un lungo e pericoloso viaggio attraverso il territorio sotto l'occupazione polacca, al fine di chiedere l'assistenza economica per il restauro e di tenere informato lo zar riguardo alla sorte della Chiesa Ortodossa nelle terre a sud-ovest della Russia. Ottenne successo nella sua richiesta e così con l'aiuto della Madre di Dio, i lavori di restauro ebbero inizio. Due anni più tardi, Atanasio fu nominato Abate del Monastero di san Simeone lo Stilita in Brest-Litosvk. Da allora, fu un deciso e instancabile lottatore contro il proselitismo romano, vestito di riti e usanze ortodosse, conosciuto come Uniatismo.
Nei successivi otto anni, con la preghiera, la predicazione e attraverso i suoi scritti, il Santo consacrò tutte le sue forze nel rifiutare la falsa Unione e nel riportare coloro che si erano persi nel santo gregge di Cristo.
La popolazione dei territori occupati fu trattata brutalmente dai soldati polacchi e dai coloni, i missionari Gesuiti, da parte loro, non si astennero da qualsiasi mezzo che potesse servire a condurre le popolazioni della Piccola Russia alla loro fede. In questa situazione, Sant'Atanasio decise di chiedere al re della Polonia, Vladislav IV, che l'Ortodossia fosse trattata con più umanità. Il re fu commosso dalla sua richiesta e così stabilì un decreto che proibiva gli abusi che si erano verificati, ma i suoi ufficiali lo ignorarono. La condizione degli Ortodossi a Varsavia era particolarmente cattiva. Non era sconosciuto ai Polacchi e agli Uniati di appiccare il fuoco alle chiese ortodosse nei giorni di festa quando erano piene di fedeli, proprio come accadeva al tempo delle grandi persecuzioni.
Atanasio continuò la lotta, soccorso e confortato da nessuno eccetto che dalla Madre di Dio e nel 1643 a seguito di una nuova rivelazione, a nome degli Ortodossi chiese un rimedio al consiglio di Stato polacco. Ottenne un’udienza favorevole e agli Ortodossi furono garantite alcune protezioni legali. Tuttavia, alcuni nobili ortodossi, temendo per i loro privilegi, dichiararono che il Santo era pazzo e riuscirono a far togliergli l’abbazia, a deporlo dal sacerdozio e mandarlo a Kiev per rispondere davanti a una corte ecclesiastica.
L’umile Atanasio fu scagionato del tutto e riabilitato nella sua posizione, ma non ebbe pace a lungo, poiché la persecuzione degli Ortodossi ricominciò presto. Redisse una petizione indirizzata al re polacco, ma fu arrestato e messo in prigione prima che riuscisse a terminarla. Fu rilasciato dopo tre anni di detenzione ma, nel 1648, scoppiò una persecuzione più terribile che mai. Fu così sanguinosa che il popolo della Piccola Russia insorse e chiese la partenza dell’esercito polacco-lituano e la restituzione dei territori russi allo zar. Le autorità polacche arrestarono immediatamente i leader dei ribelli e i dignitari ortodossi di spicco. Sant’Atanasio fu imprigionato, e subì tormenti fisici e mentali di ogni genere nelle mani dei suoi carcerieri e delle autorità romano-cattoliche, ma nonostante ciò, non cessò mai di gridare: “Anatema all’Unione!”. Dopo essere stato torturato con carboni ardenti, fu scorticato e bruciato vivo. Siccome non era ancora morto, i suoi esecutori lo fucilarono.
Poi gettarono il suo corpo decapitato in una buca, dove, poco tempo dopo, fu trovato incorrotto. Negli anni che seguirono le reliquie del santo martire operarono molti miracoli.
 Avendo ripudiato l'Uniatismo, egli fu ispirato da un profondo senso di pietà e di amore nei confronti di coloro che erano diventati vittime del proselitismo uniata. La giustizia e la sincerità di Atanasio verso il prossimo hanno caratterizzato il corso di tutte le sue opere. Con la sua esistenza trascorsa nella vita solitaria, circondato da nemici dichiarati ma anche nascosti, il santo asceta rimase un fermo difensore e pilastro dell'Ortodossia.
Il santo ripeteva continuamente la sua profezia: “ L'uniatismo si estinguerà, l'Ortodossia prospererà”.

Per le sue preghiere, Signore Gesù Cristo Dio nostro, abbi misericordia di noi e salvaci. Amin