martedì 31 agosto 2010

dal sito amico: Eleousa.net

Russia - Veglia in onore della Madre di Dio

Mosca, 27 agosto 2010 - Alla vigilia della Dormizione della Beata Vergine, il metropolita Hilarion Volokolamsky ha celebrato i Vespri nel tempio in onore della Madre di Dio "Gioia di tutti coloro che Soffrono" sulla Grande Ordynka. Con il metropolita hanno concelebrato il metropolita Callisto Diokliysky, vicario di Tiatira e Gran Bretagna (Patriarcato ecumenico), presidente dell’associazione caritativa “Amici del Santo Monte Athos”, i chierici del tempio, così come il famoso teologo svizzero, monaco Gabriel (Bunge), che prima della Veglia ha ricevuto la Santa Ortodossia.
Nella chiesa hanno pregato molti parrocchiani, come pure i pellegrini provenienti dal Regno Unito, USA, Grecia e altri paesi – i membri della delegazione degli “Amici del Santo Monte Athos”. L'obiettivo della società è quello di diffondere la conoscenza sul Santo Monte e la tradizione monastica, contribuendo a ripristinare i monasteri del Monte Athos, attirando pellegrini al Monte Athos. Con la benedizione di Sua Santità il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia Kyrill, la delegazione è in visita in Russia. Durante il soggiorno, i pellegrini hanno visitato Uglich, Kostroma, Jaroslavl, Rostov, Nizhny Novgorod, Gorodets Kalyazin, la Lavra della Santa Trinità di San Sergio e hanno pregato dinanzi alle reliquie e alle Icone della Chiesa ortodossa russa.
Dopo il servizio, il metropolita Hilarion nel suo discorso ha detto: “Mi congratulo con voi di cuore, in occasione della Dormizione della Beata Vergine. In questo giorno celebriamo la sua Dormizione e nello stesso tempo pensiamo alla vita e alla morte. L'uomo è chiamato a vivere su questa terra una vita piena, spirituale e divina. La morte non dovrebbe essere un evento tragico, ma un passaggio naturale verso la vita eterna.
La Vergine Maria dimostra che è possibile passare dalla morte alla vita, dal peccato – attraverso la grazia della vita umana – alla vita divina.
La Chiesa crede che la Madonna non aveva mai peccato. Siamo il popolo dei peccatori ma per noi è stata aperta la strada verso il regno dei cieli se viviamo secondo i comandamenti di Dio, se preghiamo il Signore e la Sua Santissima Madre per il dono di una morte onorevole e pacifica, che sarà per noi di transizione verso la vita eterna".
In particolare, il metropolita Hilarion Volokolamsky ha rivolto un pensiero al metropolita Kallistos Diokliyskomu: “Stimo molto l’arcivescovo Kallistos, gerarca del Patriarcato di Costantinopoli, che per più di 40 anni ha insegnato all'Università di Oxford in Gran Bretagna. Quindici anni fa ho avuto la fortuna di imparare da lui: è stato il mio supervisore nella tesi su San Simeone il Nuovo Teologo. Oggi, il metropolita Kallistos è uno dei teologi più famosi del Patriarcato di Costantinopoli. A Mosca è arrivato a capo del gruppo di pellegrini, che comprende sacerdoti, professori, laici. In dieci giorni hanno visitato le città della Russia, i santuari, hanno sperimentato il culto della nostra terra, la nostra cultura spirituale. Nel giorno della festa della Dormizione della Beata Vergine Maria, il metropolita Kallistos celebrerà con Sua Santità il Patriarca Kyrill nella Cattedrale della Dormizione.
Vi dò il benvenuto non solo come gerarca e noto teologo, ma come mio maestro e amico. Mi auguro che il vostro soggiorno in terra russa sia una benedizione, il Signore vi aiuti nel ministero pastorale e teologico e vi benedica per molti anni”.
In memoria del comune servizio, il metropolita Hilarion Volokolamsky ha consegnato in dono al metropolita Kallistos la mitra, realizzata nei laboratori del Patriarcato di Mosca.
Il Vescovo Hilarion inoltre ha salutato il monaco Gabriel (Bunge), che per più di 30 anni ha vissuto sulle montagne della Svizzera. "Eravate un cattolico, ma nel vostro cuore siete sempre stato ortodosso – ha detto il metropolita Hilarion. - Oggi, vi siete convertito all'Ortodossia, come una naturale conclusione di un lungo cammino spirituale".
Il metropolita Hilarion si è calorosamente congratulato con padre Gabriel per la sua adesione alla Santa Ortodossia e ha presentato l’Icona della Madonna "Gioia di tutti coloro che Soffrono" in memoria dell’evento che ha avuto luogo nella chiesa, consacrata in onore di questa Immagine.
Nella sua risposta, il metropolita Kallistos ha detto in particolare: "E’ stato un grande piacere e un onore per me essere qui alla vigilia della Dormizione della Beata Vergine Maria. Ho bei ricordi del vostro soggiorno a Oxford. È inoltre particolarmente gratificante essere rimasti in contatto negli anni successivi, siamo in contatto costante, spesso ci incontriamo ... Credo che grazie alla Beata Vergine tutto ciò che si compie per l’Ortodossia universale è grazia del Signore.
Sono anche lieto di apprendere che in questa chiesa oggi Padre Gabriel ha preso l’Ortodossia. Apprezziamo le sue opere teologiche, e mi auguro che la croce del cristiano ortodosso, che ha messo su di lui, non sia troppo pesante per lui. Prego che la Beata Vergine riempia i vostri cuori di gioia e di consolazione.

(Fonte: Decr Servizio Comunicazione; www.mospat.ru)

lunedì 30 agosto 2010

Dal sito: http://fidesetforma.blogspot.com/

lunedì 2 agosto 2010



ΔΙ'ΕΥΧΩΝ ΤΩΝ ΑΓΙΩΝ ΠΑΤΕΡΩΝ ΗΜΩΝ... PER MEZZO DELLE PREGHIERE DEI NOSTRI SANTI PADRI...

di Francesco Colafemmina

Isolarsi per qualche giorno aiuta a comprendere mille cose. Te ne accorgi quando torni a casa e ritrovi le solite polemiche, le affilate lame di gente che non sa bene cosa fare, trame cortigiane, marchette curiali e scomposte logorree.
Arriva un momento in cui realizzi che tutto ciò non ha alcun valore. Che probabilmente anche la tua lotta sacrosanta e sincera perde senso nella sterile dialettica. Che infine certa gerarchia della Chiesa Cattolica costituisce ormai una strana entità alla quale difficilmente si riesce ad associare il nome di Cristo.
Domina l'interesse, l'ambizione, dominano le stesse prepotenti passioni degli uomini semplici, quelli che non hanno bisogno di travestirsi da preti per condurre le proprie vite verso il baratro. Sono queste le divinità pagane cui molti monsignori, preti, cardinali si sono pienamente votati.
Per un attimo uno squarcio di cielo ti riporta all'essenziale e impercettibilmente sali su una collina dalla quale la frenesia umana ti appare insana e febbrile agitazione di anime mosse dall'interesse e dall'esaltazione dell'io.
Qualche giorno fa, mentre ascendevo non più metaforicamente, ma fisicamente, sull'aspra collina di un'isola greca, laddove un tempo s'ergeva un kastro veneziano, il mio sguardo è rimasto folgorato da una data: 1675. Questa data scolpita sull'architrave di una delicata chiesa ortodossa mi ha rapito in un vortice di memorie. In quegli anni l'Europa vedeva splendere gli ori del barocco, architetture leziose e audaci, opere d'arte sublimi che mirano a illudere e stupire, la musica avanzava verso nuovi orizzonti armonici, il teatro trionfava ovunque e le corti europee erano floride e raffinate (tra una guerra e l'altra...).
Quanta differenza nella Grecia sottomessa all'Ottomano invasore. Su quella collina la stessa terra secca di oggi, le stesse ruvide pietre e la semplicità del luogo sacro erano specchio di un popolo sinceramente cristiano. Così anche l'arte e l'architettura sacra di quel popolo erano intrise di Vangelo. Non è forse contenuta nel Vangelo una norma etica fondamentale che spinge l'uomo a mettere sempre l'altro dinanzi a sé, ad amare il più debole, il più semplice, a innalzarlo scorgendo nei suoi occhi quelli del Redentore?
Ecco dunque che quell'architettura semplice e banale, quell'iconostasi ferma ai canoni estetici dell'epoca bizantina classica, attestano la perfetta congiunzione fra un'arte e un'architettura intimamente sacre e cristiane, ossia in grado di comunicare con un linguaggio semplice e immediato i misteri della fede incarnati con somma elevazione teologica nelle forme materiali e spirituali. Il punto di maturazione di arte e architettura non più semplicemente sacre o chiesastiche, ma di Cristo e per Cristo, con i propri fruitori, i fedeli, cristallizzato nell'esperienza artistica bizantina, non richiese più modifiche, audacie o avanzamenti, ma bastò a se stesso.
D'altronde al di fuori della Corte Papale e delle singole corti delle Monarchie europee, non furono gli artisti più noti a trionfare, né tantomeno le mode più singolari o le tensioni innovative e rivoluzionarie, bensì la semplice pulizia degli anonimi artigiani, dei mastri costruttori, di manieristi maldestri o di geni sottovalutati. Ed è tutta quest'arte e quest'architettura anonima a perpetuare il messaggio di Cristo anche nei luoghi meno frequentati dal talento sublime o dal genio inarrivabile. Artisti e architetti scompaiono e restano opere solenni e benedette dal tempo e dalla fede che hanno nutrito.
Questo anonimato solenne l'ho ritrovato in quella chiesa dell'anno 1675 ancor più esaltato dall'intima volontà di aderirvi senza rampogne, non per semplice necessità, ma per convinzione.
Nel fiume in piena del tempo che non possiamo risalire un conto è veder passare panorami sempre nuovi e immagini riflesse che si susseguono senza tregua, in un impeto di superare il tempo col tempo, e un altro è contemplare un panorama che muta solo nelle sfumature, nei colori che il sole disegna sugli alberi e sull'acqua, nell'alternanza tra il giorno e la notte, e resta sempre uguale a se stesso, fedele a Colui cui radicalmente appartiene.
Quest'arte dà conforto e accompagna il fedele nella solida certezza del suo messaggio immutabile.
Ecco perché non si può non sorridere dinanzi ai vaniloqui ben calibrati, agli autoreferenzialismi accademici, alla vanità di quei quattro gatti che in fondo se la suonano e se la cantano fra di loro, ebbri di un aristocratismo castale rinsecchito e isterilito da un'assordante assenza di contenuti e da un silenzioso serpeggiare di ambizioni.
Ah, com'è bello il silenzio di quella chiesetta su cui soffia il meltemi, seduta sulla cima della collina a guardare le miserie del mondo, di una fede calpestata e spenta, mentre un vecchio sacrista ornato di un paio di grossi baffi grigi s'affretta a cambiar l'olio alle lanterne dell'iconostasi, prima che si canti l'esperinòs! Allora il sacerdote, mentre il sole allagherà il mare con i suoi colori, potrà ripetere serenamente: Δι' εὐχῶν των ἁγίων Πατέρων ἡμῶν, Κύριε Ἰησοῦ Χριστέ, ὁ Θεὸς ἡμῶν, ἐλέησον καὶ σῶσον ἡμᾶς. Ἀμήν. (Per mezzo delle preghiere dei noi Santi Padri, Signore Gesù Cristo, nostro Dio, abbi pietà di noi e salvaci. Amìn.)

Su suggerimento del P. Giovanni Festa di Palermo.


Dal sito di Contessa Entellina (PA)

Alla fine la teologia delle porte chiuse ha trovato proseliti in comparti della vita socio-religiosa insperati. Proprio la manifestazione spontanea alimentata dal passaparola dei greco-bizantini ha offerto una sponda ad un comportamento tanto contrastato e avversato perché espressione del “teologo delle porte chiuse” che per un anno ha impedito la celebrazione della Paraklisis all’interno della Chiesa della Favara.

Ieri pomeriggio la rabbia dei greco-bizantini, quella rabbia nata dall’avvenuta espropriazione, prevista dal piano di trasferimento dei parroci preparato da Mons. Sotir Ferrara e da Mons. Francesco Pio Tamburrino, ai loro danni del tanto amato e stimato Papas Nicola Cuccia è sfociata nel chiudere il passaggio di ingresso alla Chiesa SS. Annunciata al delegato diocesano papas Jianni Pecoraro -accompagnato da papas Giovanni Stassi, dal diacono Sergio e dal diacono Rosario-, e a papas Sepa Borzì, il sacerdote che era stato designato a traghettare la parrocchia degli arbërëshe che era stata privata dalla sua ventennale guida.
L’osservazione e l’analisi di quanto accaduto ieri sera ci induce a pensare che la manifestazione, che probabilmente nelle intenzione voleva essere l’estremo atto di solidarietà a Papas Nicola Cuccia, era guidata dalla rabbia, dalla sofferenza di non conoscere la ragione percui la “guida” di sempre era stata punita col trasferimento in un’altra parrocchia.
Certo è che nessuno avrebbe immaginato che proprio i greco-bizantini, le vittime della teologia delle porte chiuse, avrebbero tratto da questa strambalata teologia una qualche ispirazione, impedendo l’insediamento di un papas, pure esso greco-bizantino come papas Nicola, nella loro parrocchia.
Leggendo le cronache di queste settimane risulta che alche in altri luoghi della Sicilia episodi analoghi non mancano. Quando questi episodi accadono c’è sempre, a nostro giudizio, una carenza di informazione fra le gerarchie che dispongono ed i fedeli che sono chiamati ad ubbidire. Nel caso di Contessa Entellina c’è inoltre la pessima gestione di un “caso” insorto alcuni anni fa, lasciato crescere nel lassismo e nell’indifferenza, trattato con superficialità e taglio burocratico ed infine sfuggito al controllo di qualsiasi volontà che potesse in qualche modo incanalarlo.
Mons. Tamburrino, a cui l’esperienza non dovrebbe mancare, lo abbiamo evidenziato più volte, ha sbagliano a sottovalutare che il trasferimento di un prete sposato non è come spostare un celibe. Il prete sposato con la società in cui svolge la missione ha un rapporto molto, ma molto, più intenso di un prete celibe. Il prete sposato non è solo un prete, è un padre, un marito, un cognato, un cittadino che meravigliosamente si allinea al comune sentire della comunità. Il prete sposato è guida ma è anche “ascoltatore speciale” di ciò che serpeggia nella società. Non predica solamente dal pulpito il Vangelo per gli altri, lo amalgama col comportamento nelle cellule della società. Papas Nicola non appartiene solo alla sua famiglia, ma avendo intessuto della sua presenza e del suo comportamento di padre, marito, cognato le fibre della società contessiota egli costituisce una arteria del corpo sociale. Levare dal corpo sociale lui significa rischiare di assistere al collasso di un sistema di vivere.
Mons. Tamburrino che probabilmente non ama i preti sposati dovrebbe meglio approfondire il ruolo
di queste figure. Il patriarca dei maroniti che in uno scritto da noi pubblicato qualche giorno fa diceva che se nel Libano esiste ancora la fede cristiana è tutto merito dei preti sposati non errava. Egli ha molta ragione. Con un parroco sposato infatti dialogano e discutono tutti, fedeli in senso stretto e gente non praticante. Con un parroco celibe tanti passano alla larga e si danno a raccontare barzellette su di lui.
Forse ci siamo dilungati: ma l’intenzione che ci ha guidato era di spiegare come mai la gente di Contessa per Papas Nicola nutre tanto affetto, stima e simpatia.
Rientrando a passare in rassegna l’accaduto di ieri c’è da dire che un ruolo non secondario l’ha avuta, a far scoppiare la rabbia della gente, la circostanza di avere assistito già -da mercoledì scorso- all’insediamento di papas Nicola Cuccia a parroco di Palazzo Adriano e al permanere invece, a Contessa Entellina, del teologo delle porte chiuse.
Si, non c’è dubbio che la “vicenda Contessa Entellina” è stata, fin dal primo giorno, mal gestita.
Inoltre, lo diciamo per completare la panoramica, c’è qualcuno che dice che ciò che avviene non stia accadendo casualmente ma, se si guarda in controluce, si nota che una mano esperta, nei palazzi apostolici, con la abituale sottile diplomazia stia lavorando in vista di un obiettivo per il quale vale la pena alimentare un po’ di irrazionalità nella base credente: al momento giusto, poi, chiunque scoprirà quale sia il vero obiettivo per il quale “ove si puote” si sta lavorando.


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sabato 28 agosto 2010

Dal sito del mio confratello e concelebrante P. Giovanni di Palermo

Quelli che vogliono aggiornare Cristo

L'ortodossia e il rinnovamento nella Chiesa

di Inos Biffi

Tratto da L'Osservatore Romano del 25 agosto 2010

L'ortodossia, cioè il Credo cristiano nella sua integrità, è il fondamento e la condizione dell'esistenza stessa della Chiesa. Questa perderebbe la propria identità, se qualche verità del Credo si annebbiasse nell'incertezza o fosse rimossa o trascurata. La prima missione che sta a cuore alla Chiesa è la piena fedeltà alla Parola di Dio, autorevolmente espressa e proposta dalla stessa Chiesa.
Verso le formulazioni della fede non è raro riscontrare una diffidenza e reazione, ma è perché vengono fraintese, quasi riducessero e impoverissero tale Parola, frantumandola in enunciazioni astratte, prive di vita. Se è vero che nessun linguaggio umano riesce a esprimerne adeguatamente il contenuto, che solo nella visione beatifica sarà immediatamente percepito, è altrettanto indubbio che i simboli di fede coi loro articoli e le definizioni della Chiesa col loro rigore, grazie all'opera dello Spirito, mediano infallibilmente la Rivelazione. E proprio questa sta a cuore alla Chiesa, quale sua prima e insostituibile missione, in ogni tempo.
Già Paolo raccomandava a Tito di insegnare "quello che è conforme alla sana dottrina" (Tito, 2, 1), mentre, esortando Timoteo ad annunciare la Parola, gli prediceva: "Verrà un giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina" (2 Timoteo, 4, 2-3). D'altronde lui stesso si preoccupava di essere in sintonia con gli altri apostoli.
Oggi qua e là si reagisce quando si sente parlare di "eresia", non considerando che, se l'eresia non è possibile, vuol dire che non esiste neppure la Verità e tutto si stempera in una materia cristiana confusa e informe. Quando, al contrario, la fede ha degli oggetti precisi e non interscambiabili.
In questa trasmissione lo sguardo della Chiesa è sempre volto soltanto al Signore, che le affida il Vangelo: non a quello che una determinata cultura potrebbe gradire o approvare, e non limitatamente a quegli aspetti su cui si possa essere d'accordo e consenzienti dopo un accogliente dialogo. Non è fuori luogo sottolineare che il Verbo si è fatto carne non per istituire un disteso e lusinghiero dialogo con l'uomo, ma per creare e manifestare in sé l'unica immagine valida e riconoscibile dell'uomo. A prescindere da Gesù Cristo semplicemente non c'è l'uomo conforme al progetto divino. Per non equivocare si potrebbe aggiungere che Gesù Cristo non va mai "aggiornato", perché è Lui il perenne e insuperabile Aggiornamento, che include in sé ogni tempo, quello presente, quello passato e quello futuro. Siamo noi che invece, per non perdere l'"attualità", ci dobbiamo aggiornare a Lui, siamo noi che, per essere veri credenti, ci dobbiamo aggiornare al Credo cristiano in sé inalterato e inaggiornabile.
Un rinnovamento nella Chiesa passa sempre e imprescindibilmente da un lucido annunzio anzitutto dell'assolutezza di Gesù Cristo, che rappresenta "il mistero di Dio Padre" (Colossesi, 2, 2). Del resto, i concili più importanti e impegnativi furono quelli dedicati all'ortodossa proposizione del mistero di Cristo, della identità di Gesù di Nazaret: concili dottrinali e quindi, nel significato più alto, concili pastorali. A cominciare da Nicea.
La storia della Chiesa mostra con innegabile evidenza che una ripresa della condotta evangelica si innesta sempre su una energica riproposizione dell'ortodossia. Si pensi al Concilio di Trento, che fu prima di tutto un concilio dottrinale - sul peccato originale, sulla giustificazione, sui sacramenti - a cui seguì un meraviglioso rifiorire di vita e di santità cristiana.
La Riforma aveva colto, e giustamente stigmatizzato, comportamenti antievangelici nella Chiesa del suo tempo. Solo che alla base del risanamento pose un aggiornamento dell'ortodossia di fatto consistente in eresie, che spezzavano la comunione con la Tradizione. Si pensi alla negazione del sacerdozio ministeriale, alla contestazione del sacrificio della Messa, alla negazione di alcuni sacramenti, al carattere ecclesiale dell'intepretazione della Scrittura. Sarebbe illuminante far passare analiticamente alcuni punti dell'ortodossia da riannunciare con vigore. Ma, prima di singoli dogmi, pare urgente la riproposizione del senso del "mistero", che sostiene tutto il Credo. La Parola di Dio manifesta il disegno, iscritto nell'intimo della Trinità e conoscibile soltanto per la condiscendenza divina e per la sua "narrazione" avvenuta in Cristo. Credere significa affidarsi a questa "narrazione" e quindi accogliere e annunciare un "altro mondo", il mondo invisibile e duraturo. Secondo quanto afferma Paolo: "Noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne" (2 Corinzi, 4, 18).
Lo smarrimento della "sensibilità al soprannaturale", razionalizzando il dogma, dissolve la fede; deteriora e dissipa l'evangelizzazione; altera e svuota la missione della Chiesa, che Cristo ha fondato come testimonianza della Grazia, e per il raggiungimento non del benessere e del fine terreno dell'umanità, ma della beatitudine eterna. Né per questo il Vangelo trascura o sottovaluta l'esistenza temporale dell'uomo, solo che questa esistenza, fragile e transitoria, è considerata nella sua destinazione e riuscita gloriosa.
Ovviamente, la conseguenza di un tale smarrimento è l'estinzione della teologia. A proposito del senso del mistero vengono in mente, e appaiono di sorprendente attualità, le luminose pagine che il più grande teologo dell'Ottocento, Joseph Matthias Scheeben, purtroppo dimenticato dall'esile riflessione dei nostri giorni, dedica nel primo capitolo de I misteri del cristianesimo, l'opera dogmatica a sua volta più originale e profonda dell'epoca: "Quello che ci affascina è l'apparizione di una luce che ci era nascosta. I misteri pertanto devono essere verità luminose, splendide", che "si sottraggono al nostro sguardo per soverchia maestà, sublimità e bellezza".
E anche andrebbe letto, specialmente da chi si sta formando nei seminari, l'ultimo capitolo dell'opera di Scheeben, quello sulla teologia, "la scienza dei misteri", appoggiata tutta "al Lògos di Dio".
L'ortodossia, quindi, con le sue verità "visibili" agli "occhi illuminati del cuore" (Efesini, 1, 18): ecco la condizione imprescindibile per un annunzio fedele del Vangelo e un rinnovamento nella Chiesa.

Dal sito amico: Eleousa.net

Ortodossia - Sorgente di beni ineffabili

Ora essa ha quale sua dimora il cielo ed esso le si addice, come propria reggia alla quale oggi viene trasferita dalla terra, e sta alla destra del re dell'universo, avvolta da un abito ricamato d'oro, secondo quanto è stato detto di lei dal profeta salmista. Per abito trapunto d'oro intendi il suo corpo, attraverso il quale Dio risplende, ricamato da ogni specie di virtù; essa sola con il suo corpo glorificato ora Dio ha posto in cielo insieme con il Figlio; la terra, la tomba e la morte non potevano, infatti, tratte¬nere fino alla fine quel corpo che diede principio alla vita e accolse Dio, dimora a Dio più cara del cielo e del cielo dei cieli. Se infatti l'anima, nella quale abitava la grazia di Dio, sale al cielo, sciolta dai vincoli di quaggiù, come attraverso molti segni si è reso manifesto e come noi crediamo, come è possibile che quel corpo, che non solo accolse in sé il Figlio di Dio eterno e unige-nito, l'eterna sorgente della grazia, ma anche lo generò, non sia stato elevato dalla terra al cielo? Essa che, quando aveva soltanto tre anni, e non portava ancora dentro di sé il celeste abitatore, non ancora incarnato, abitò nel Santo dei santi e fu iniziata a tali e tante virtù così da essere veramente al di sopra del mondo terrestre, come sarebbe potuta diventare terra, soggetta alla corruzione? E come potrebbe darsi ragione di ciò chi con la ragione considera? Perciò il corpo che generò viene glorificato insieme al generato, e, secondo il cantico profetico, l'arca della sua santità risuscitò insieme con il Cristo risorto prima di lei al terzo giorno. Prova per i discepoli della risurrezione della Madre di Dio dai morti sono i lenzuoli e il corredo funebre, le sole cose lasciate nel sepolcro, le sole cose trovate in esso da coloro che erano venuti a cercare, come era accaduto prima, per il Figlio e Signore. Non era necessario che essa, come il suo Figlio e il suo Dio, rimanesse ancora per un poco sulla terra e perciò fu subito trasportata dal sepolcro negli spazi del cielo, dal quale manda sulla terra luminosissimi e divini lampi di luce e di grazie, facendo luce di là su tutta la terra, venerata, ammirata e celebrata con inni da tutti i fedeli. Dio infatti volle creare un'immagine della sua assoluta bellezza e mostrarla nella sua purezza agli angeli e agli uomini; così creò costei, la tutta-bella, radunando tutti gli ornamenti di tutti i beni, visibili e invisibili, che aveva distribuito per adornare l'universo al tempo della creazione. Più ancora, Dio operò in lei una fusione di tutte le bellezze, divine, angeliche e umane, superiore a entrambi i mondi e più alta fonte per essi di ornamento. Preso inizio dalla terra, essa giunse al cielo e anche questo oltrepassò quando fu assunta, come oggi celebriamo, dalla tomba al cielo, congiungendo le cose di lassù a quelle di quaggiù, e i1 tutto abbracciando con le sue meraviglie; lei, che all'inizio è stata detta di poco inferiore agli angeli, intendo dire per aver gustato la morte, accresce in tutto l'eccellenza di Madre di Dio; perciò giustamente oggi tutto coopera e tutto insieme applaude per la celebrazione di questa festa.
Era dunque conveniente che colei che fece spazio in sé a colui che tutto riempie e che è al di sopra di tutto, oltrepassasse anch'essa il tutto, e fosse al di sopra del tutto con le sue virtù per la grandezza della sua dignità. E dunque quello, che a tutti i buoni bastò dall'inizio dei tempi, e che, pur distribuito, li rese ottimi, e tutto quello che tutti i beneficati da Dio, angeli e uomini, hanno in parte, essa tutto radunò; essa sola porta a compimento il tutto e anche lo supera, per quanto è possibile dire e, al di sopra di tutti, ora possiede anche questo privilegio, quello di risuscitare dopo la morte e di vivere, essa sola, in cielo con il corpo insieme al suo figlio e suo Dio. Di là, in ricchissima misura, essa effonde la grazia su chi la onora, e dona la capacità di tendere a lei, che è vassoio sul quale vengono offerte tali grazie. E, nella ricchezza dei doni, per la sua bontà sempre più grandi, essa non arresta mai la sua munificenza e la sua magnifica generosità verso di noi. E se dunque uno rivolge lo sguardo a tale compendio e distribuzione di ogni bene, dirà che questo la Vergine lo compie con la virtù e per coloro che vivono secondo virtù, così come fa il sole con la luce sensibile per coloro che vivono sotto i suoi raggi. E se rivolge lo sguardo al sole che miracolosamente è sorto per gli uomini da questa vergine, sole che tutto possiede e che per sua natura supera tutto quanto è per natura vicino a questa grazia, se dunque ad esso rivolge l'occhio della sua mente, la Vergine apparirà subito come un cielo divinamente tanto più preziosa di quanto è stato donato sotto il cielo e sopra di esso. Essa ha conseguito un'eredità di beni tanto maggiore, quanto il cielo è più grande del sole, e quanto il sole è più splendente del cielo.
Quale parola mai, o vergine Madre di Dio, potrà descrivere la tua bellezza, splendente di luce divina? Non è infatti possibile rinchiudere i tuoi pregi nei confini dei ragionamenti e delle parole; sorpassano infatti e mente e parola. Tuttavia è possibile celebrarti con inni, e tu, nel tuo amore per gli uomini, lo accetti; tu infatti sei il luogo di tutte le grazie, la pienezza di ogni perfezione, quadro e icona animata di ogni bene e di ogni virtù, perché tu sola sei stata ritenuta degna di ricevere tutti i carismi dello Spirito; o meglio, solo tu hai accolto miracolosamente nel tuo grembo colui nel quale sono i tesori di tutti i carismi, e, al di là di ogni ragionamento, sei stata la sua tenda partita oggi attraverso la morte verso l'immortalità e trasferita a buon diritto dalla terra al cielo, affinché nelle tende al di sopra del cielo tu sia sua compagna per l'eternità e là da lui ricevi l'eredità e, con la tua insonne intercessione, ottieni per tutti misericordia. Tanto più vicina a Dio è la Vergine di quanti a lui sono prossimi, di tanto maggiori doni è ritenuta degna la Madre di Dio in confronto a tutti e non mi riferisco solo agli uomini, ma anche a tutte le gerarchie celesti. Infatti riguardo all'ordine di queste schiere dell'alto Isaia scrive: E i serafini stavano intorno a lui. E ancora, riguardo a lei, David dice: Stette la regina alla tua destra. Notate la differenza della posizione? Da questa potete vedere anche la differenza della disposizione secondo la dignità: intorno a Dio infatti stanno i serafini, ma vicino a lui sta soltanto la regina dell'universo, la quale riceve ammirazione e lode da Dio stesso, che la proclama simile alle potenze che lo circondano, e dice, come è detto nel Cantico dei cantici: Quanto sei bella, amica mia! Più lucente della luce, più fiorita dei giardini divini, più adorna di tutto il mondo, visibile e invisibile. E non solo amica, ma tu che stai alla destra; dove infatti il Cristo siede nei cieli, cioè alla destra della maestà, là sta anch'essa, ascesa oggi dalla terra al cielo; non solo perché desidera ed è desiderata più di tutto, e per le stesse leggi della sua natura, ma perché è veramente suo trono. Questo trono vedeva anche Isaia in mezzo alla danza dei cherubini, e diceva che era alto e sublime, volendo dimostrare che il trono della Madre di Dio sovrastava i troni delle potenze angeliche. Perciò essa guida gli angeli che lodano Dio e dicono: Benedetta la gloria del Signore dalla sua dimora. E Giacobbe il patriarca, che questo luogo vide in enigma, disse: Terribile è questo luogo! È davvero la casa di Dio e la porta del cielo. E d'altra parte David, unendo a sé il popolo dei salvati e valendosi di essi come di corde o di suoni differenti, armonizzati da stirpi diverse in un'unica fede da questa sempre Vergine, intona la melodia in un inno nel quale tutte le armonie si congiungono, dicendo: Ri¬corderò il tuo nome di generazione in generazione; per questo le genti canteranno le tue lodi nei secoli, e nei secoli dei secoli.
Vedete come tutta la creazione canta le lodi della Madre di Dio, e non nei tempi che sono passati, ma nei secoli e nei secoli dei secoli? E’ dunque possibile da qui capire che essa non cesserà per tutto il tempo di beneficare le creature, non solo quelle che sono come noi, ma anche le gerarchie immateriali e soprannaturali, poiché anche queste, insieme a noi, per mezzo di lei sola possono divenire partecipi di Dio e toccare Dio, quella intoccabile natura. Isaia, col suo sguardo lontano, lo manifestò: non aveva visto infatti il serafino prendere il carbone dall'altare dei profumi senza alcun mezzo, ma con una tenaglia, e con essa toccò anche le labbra del profeta, purificandolo; questa della tenaglia era la stessa grandiosa visione che ebbe Mosè, il roveto ardente che non si consumava. E chi non sa che la madre Vergine è quel roveto e quella tenaglia e che accolse in sé, senza incendiarsi, il fuoco divino, mentre l'angelo si pose a servizio del concepimento e colui che prende su di sé il peccato del mondo per mezzo di lei si unì al genere umano, e, attraverso l'ineffabile unione, ci diede purificazione? Essa sola è il confine tra natura creata e increata e nessuno potrebbe andare a Dio se da lei non fosse illuminato di splendore divino: Dio sta in mezzo ad essa; non vacillerà . E se le ricompense vengono date secondo la misura dell'amore per Dio, e se colui che ama il Figlio è amato da lui e dal Padre suo, e diviene dimora di entrambi, che, secondo la promessa del Signore, misticamente in lui dimoreranno e con lui cammineranno, chi potrebbe amare costui più che la Madre, essa, che non solo generò questo come figlio unigenito, ma da sola lo generò, senza concorso di uomo? E in tal modo raddoppiato in essa è l'amore poiché non vi è un altro che lo condivida. Chi più della Madre sarebbe amato dall'Unigenito, ineffa¬bilmente nato da lei sola negli ultimi tempi, come, prima del tempo, era nato dal solo Padre? E come non sarebbero stati moltiplicati in modo degno anche gli onori a lei dovuti per legge da parte di colui che era disceso dal cielo per dare compimento alla legge?
Come dunque per opera di lei sola Cristo soggiornò fra noi e fu visibile sulla terra e visse in mezzo agli uomini, lui che a tutti era invisibile prima di incarnarsi in essa, così, anche nell'incessante volgere dei tempi, ogni progresso di luce divina, ogni svelamento di misteri divini, ogni visione di doni spirituali a nessuno sarebbero concessi senza di lei. Essa per prima accolse la pienezza che il tutto attraversa, fa sì che da tutti possa essere accolta, distribuendola a ciascuno secondo le sue capacità, in conformità e in misura della sua purezza. E così essa è lo scrigno e l'amministratrice della ricchezza di Dio. E siccome è legge eterna nei cieli che gli inferiori, attraverso i più grandi, divengano partecipi di colui che è e ha sede nel cielo, se la vergine Madre è incomparabilmente più grande di tutti, attraverso di lei avranno parte quanti saranno partecipi di Dio, e quanti conoscono Dio saranno portatori di lei, che è terra dell'Incontenibile; e, dopo Dio, lei celebreranno con inni quanti elevano inni a Dio. Essa è causa anche delle cose che furono prima di lei, guida di coloro che verranno dopo di lei, garante dell'eternità. Essa è oggetto dei canti dei profeti, capo degli apostoli, fortezza dei martiri, cattedra dei maestri. Essa è la gloria di chi vive sulla terra, la gioia dei celesti, l'ornamento di tutta la creazione. Essa è principio, sorgente e radice dei beni ineffabili, culmine e perfezione di ogni santità.
O Vergine divina che ora sei in cielo, come posso enumerare tutte le tue magnificenze? Come posso glorificare te, tesoro di gloria? Anche solo il ricordo di te santifica chi se ne vale; anche solo un cenno a te rivolto rende più luminosa la mente, che subito si innalza ad altezza divina; attraverso di te si fa penetrante l'occhio della mente; per opera tua si fa splendente lo spirito per la venuta dello Spirito divino. Tu sei tesoriera e dispensiera di grazie, e non le trattieni per te, ma colmi di grazia l'universo; il tesoriere di tesori inesauribili, infatti, sorveglia perché siano distribuiti. A che scopo terrebbe rinchiusa una ricchezza che non diminuisce? Distribuisci dunque con dovizia a tutto il tuo popolo, alla tua eredità, la tua misericordia e le tue grazie, o Signora. Sciogli i vincoli dei mali che ci imprigionano!
Tu vedi da quanti e quali mali siamo oppressi, nostri e altrui, esterni e interni. Trasforma tutto in meglio con la tua potenza, conciliando fra loro quelli che vivono all'interno della città e hanno uguale la stirpe, allontanando quelli che, dal di fuori, li assalgono come bestie selvagge. Alle nostre passioni opponi il tuo soccorso e la tua medicina, distribuendo alle anime e ai corpi la tua grazia, ricca e sufficiente per tutte le necessità; e se non progrediamo, facci avanzare tu, e agisci in misura tale che, salvati e rinvigoriti dalla tua grazia, possiamo rendere gloria al Verbo anteriore al tempo, che da te prese carne per noi, insieme con il Padre suo senza principio e lo Spirito datore di vita, ora e sempre e per i secoli senza fine. Amen.

Gregorio Palamas
Dormizione di Maria

Relazioni interortodosse

Il metropolita Hilarion incontra il Patriarca di Alessandria


Il 23 agosto 2010 nella sala delle delegazioni ufficiali dell’aeroporto di Mosca Domodedovo si è svolto l’incontro del metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, con Sua Beatitudine Teodoro, Patriarca di Alessandria e di tutta l’Africa.
Il Primate della Chiesa Ortodossa di Alessandria ha fatto scalo all’aeroporto di Domodedovo in viaggio per Pjatigorsk (al Sud della Russia), dove si recava per cure e vacanze.
Nel corso dell’incontro, il presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca ha illustrato all’ospite i risultati delle recenti visite del Patriarca Kirill a diverse diocesi della Chiesa Ortodossa Russa. Sua Beatitudine il Patriarca Teodoro ha fatto trasmettere al Patriarca Kirill una raccolta di documenti riguardanti i lavori di restauro della chiesa ortodossa dedicata a san Giorgio del Cairo.
All’incontro erano presenti il metropolita Athanasios di Kirina, rappresentante del Patriarca di Alessandria e tutta l’Africa presso il Patriarcato di Mosca, rappresentanti del governo e dell’amministrazione locale del Sud della Russia, e i collaboratori del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca ieromonaco Stefan Igumnov e ierodiacono Ioann Kopejkin.
Dopo l’incontro il Patriarca è ripartito alla volta di Pjatigorsk.

venerdì 27 agosto 2010

Vocazione...........CHIAMATA !!!!


Caro fratello anonimo:


Infatti se tutto il sapere di un presbitero si identificasse nella sola ecclesiologia, vuol dire che della Chiesa, resterebbero solo un mucchio di rovine.


Gli apostoli grazie allo Spirito Santo divennero sapienti, non ebbero bisogno di rinchiudersi nelle sinagoghe per studiare le scritture. Lo Spirito di Dio comunicava loro quello che dovevano dire.


Quindi grazie al battesimo e alla cresima che il Signore Dio ci rende sapienti. L'ecclesia non si studia, si vive giorno dopo giorno, ma l'ecclesia senza fedeli è un involucro vuoto. E per riempire questo involucro, specialmente noi preti ortodossi, dobbiamo sudare sette camice. Si ricordi l'anonimo che le scritture parlano di "presbiteri", cioè anziani, ed io sono stato ordinato alla veneranda età dei passati 50 anni. Tanti vostri preti che hanno studiato nei seminari, sappiamo tutti le insidie che ci sono in quei luoghi....non vado oltre, si hanno studiato, ma della vita ordinaria non conoscono nulla, al primo intralcio scappano come conigli. Il proverbio dice: Se alla grammatica non si aggiunge la pratica, tutto va a rotoli". Ebbene, anonimo, io non ho grossa grammatica, ma Gloria a Dio, ho tanta ma tanta pratica, che mi permette di superare ardentemente tutte le prove che la vita normale, perchè vissuta in prima persona,  mi presenta di volta in volta.  La vocazione, che cosa è, solo una parola stile cattolica per indicare che hai perso gli anni migliori della tua vita rinchiuso dentro quattro mura. Questa che tu chiami con orgoglio vocazione, io con altrettanto orgoglio la chiamo "CHIAMATA". Il Signore un giorno X della mia vita, mi ha chiamato, non ha preteso grandi studi, mi ha chiamato indicandomi la strada giusta, una strada stretta, una strada piena di sterpaglie, una strada piena di rovi, una strada in cui ci sono da superare burroni immensi, una strada che alla fine mi porterà alla salvezza. Ed in questo cammino, il Signore ha preteso da me che la percorressi non da solo, ma con la famiglia che io ho scelto e con la famiglia che Lui mi ha affidato. Di queste due famiglie, guai se io perdessi qualche pezzo. E per non perdere nessuno, che il sottoscritto lotta con tutte le sue forze, per sconfiggere il Male, che si annida anche in coloro che scrivono corbellerie, pensando che gli altri siano dei perfetti imbecilli.


“ O Signore, chiamandomi al Tuo ministero, mi hai affidato un gregge, questo gregge vuoi che venga preservato, protetto, custodito e che le forze del male, non prevalgano su di esso. Una sola cosa io Ti chiedo: dammi la forza di poter adempiere a ciò per cui mi hai chiamato e dammi la forza di combattere questa battaglia perché al termine io possa lodarti tutti i momenti della mia vita. Amìn”
 P. Giovanni capparelli

giovedì 26 agosto 2010

Troppo, troppo...forte

Questa risposta è tutto un programma. è tutta sacrosanta verità,
è l'anima, è lo spirito, è il cuore, è l'amore per la Vera e
Unica e Santa Fede, è lo Spirito del Signore che parla attraverso
questa persona anonima. Bravo e grazie

Vorrei chiedere alla utente: perchè il padre Giovanni dovrebbe lasciare il territorio dove si trova? forse l'incapacità a confrontarvi con un prete ortodosso vi crea qualche problema di identità? Forse non siamo più in un paese libero?

La utente ha definito il padre Giovanni un "ribelle"; era (ed è ancora) così che il cattolicesimo romano definiva gli Ortodossi: "uniati ribelli"; forse la utente dovrebbe interrogarsi sul significato delle parole che adopera, perché di fatto la sconfessano. Si ribella chi viene soggiogato e messo in catene, si ribella chi viene privato della libertà, dei suoi diritti, della propria identità. Si ribella chi, essendo stato subdolamente ingannato è stato raggiunto ed illuminato dalla Verità, e sentendo questa verità ardergli nel cuore non può tacerla.

Si, l'Ortodossia è ribelle, ribelle alle spire del principe di questo mondo ed ai suoi accoliti.

Coraggio padre Giovanni, lo sai come lo sapevano i nostri Padri: l'Ortodossia è martirio per la Verità!

giovedì, 26 agosto, 2010

mercoledì 25 agosto 2010

Fino a quanto e fino a quando,o Signore, dovrò spiegare da quale parte sta la Verità ????


Quindi lei, caro Giovanni, è un sacerdote del Patriarcato di Mosca in Calabria con una chiesa russa ad Acquaformosa...ma che c'entra con noi Arbereshe? tuttalpiù dovremmo passare con la Chiesa Ortodossa Greca, se questa fosse credibile in Italia, ma visto quello che è successo con ex sacerdoti uniati (Arduino e Demetrio) ci viene solo da piangere. Ma i russi con noi non c'entrano proprio nioente e neanche lei credo che ci azzecca tanto. Ha studiato il russo? è una lingua molto difficile? io sono stato 3 anni a Mosca e la conosco perfettamente, lei non mi pare tanto avezzo a questo, A studiato liturgia slava e paleoslava? da quello che ho sentito dai suoi fedeli non mi sembra. Noi arbereshe siamo e rimarremo fedeli cristiani di rito greco-bizantino, così come hanno fatto Papàs Zepa Ferrari, Papàs Vincenzo Matrangolo, Papàs Giovanni Capparelli, ecc.. lei si crede più sapiente o più illuminato di questi nostri padri? quindi la smetta di offendere la loro memoria e di cercare di pilotare gli arbershe in direzioni totalmente sbagliate o fuori luogo. Grazie tante!!!
martedì, 24 agosto, 2010


Risposta:

Non solo ad Acquaformosa, ma anche a Castrovillari e ovunque c'è bisogno di un prete ORTODOSSO, a prescindere la mia appartenenza giuridica. L’ortodossia non è russa, non è  greca, o romena o costantinopolitana, è ORTODOSSA PUNTO E BASTA. Ed ovunque c’è bisogno di una presenza ortodossa e di un prete ortodosso lì ci sono io. Io ai fratelli Arbëreshë, non offro la giurisdizione di appartenenza, sarebbe follia, ma essendo anche io Arbëreshë,  ( e senza vantarmi più di tanto: ma che Arbëresh) spiego a te ed a tutti gli altri fratelli la Verità storica dei nostri patimenti causati dal papismo e dalla latinizzazione forzata. Non avendo argomentazioni sostenibili, continuate a perseguitarmi circa la mia appartenenza al Patriarcato di Mosca:
Ebbene cosa centra Roma, il Vaticano, il Papa, il Filioque, il vicario, l’infallibilità ecc. ecc. con la nostra popolazione che fino al 1564 era governata da Vescovi ortodossi i quali ordinavano i preti dei nostri paesi??????
Vedi caro fratello anonimo, mentre io sono del tuo stesso sangue, mentre io parlo la tua stessa lingua, mentre io celebro insieme a te il nostro eroe Skanderbeg, mentre io ho come te, d’altronde, le stesse radici storico-culturali-religiose, mentre insieme a te canto: Mojë e bukura Morè, mentre insieme a te canto Kristos Anesti  (io lo faccio in italiano, affinché tutti possano comprendere ciò che si canta), mentre io, Gloria a Dio, sono ritornato a respirare la Fede dei Nostri Padri che ci hanno traghettato in Italia, TU cosa fai, ti inchini ancora a coloro che dal punto di vista non soltanto materiale ed economico, ma principalmente religioso, ci hanno fatto patire le pene dell’inferno. I nostri Padri gridavano: “Derk e LITI mos i këllit më shpi ……..”. E non penso che lo gridavano perché stando tutto il giorno a panza in su, non sapendo come passare il tempo si accanivano contro i poveri LITIRI. Solo coloro, che ora si stanno rivoltando nella tomba, ci potrebbero enunciare le malefatte subite, i patimenti ricevuti, le sofferenze ed i dolori incassati, solo loro vedendovi in questo stato confusionale e subalterno, saprebbero come comportarsi nei vostri confronti.
Ricordati caro anonimo, che i nostri Santi Preti, proibivano ai fratelli Arbëreshë di recarsi nelle chiese latine, pena la scomunica; e nello stesso tempo proibivano ai preti latini di avvicinarsi nelle nostre chiese. Se lo facevano io credo che un motivo ci doveva pur essere, e non che fossero tutti pazzi.
Negli anni ’60, non conosco la tua età, i nostri paeselli furono letteralmente invasi dai monaci passionisti, inviati dal vaticano, per spiegarci la teologia, come se noi fossimo tutti eretici, ed in quel periodo ci hanno inondato di santini latini, di cui noi non sapevamo neanche la loro esistenza. Ed i nostri preti, poveracci, ancora una volta hanno dovuto subire le angherie papaline. I latini hanno cercato e cercano di farci comprendere che la Verità è tutta dalle parti di Roma, dall’altra parte solo menzogne, e per inciso, mi dispiace immensamente quando vedo che i nostri Patriarchi cercano in tutti i modi di accattivarsi le simpatie di chi non vuole più farsi chiamare Patriarca d’Oriente.
Solo se qualcuno da lassù potesse fare ritorno, forse allora, FORSE, da parte degli Arbëreshë ci sarebbe una presa di coscienza e non si griderebbe che noi abbiamo il Rito greco-bizantino, ma il rito greco-bizantino, certamente è il Rito delle popolazioni ORTODOSSE, a prescindere dalla loro appartenenza giuridico patriarcale. Quando uno annuncia la sua apparteneza a questo rito, annuncia la sua appartenenza all’ortodossia e non al papismo. Tornando a quello che tu sostieni circa i Padri menzionati, in una riunione ad Acquaformosa, davanti a tutti i presenti, vescovo, preti e laici, Padre Matrangolo, mio cugino e paesano, gridò: “Non siamo né carne né pesce……”.
E poi, mai mi sognerei di credermi più sapiente e più illuminato delle persone su menzionate. Io purtroppo ho soltanto un misero Diploma Magistrale da esibire, non ho lauree da poter buttare su un tavolo per pavoneggiarmi; ma una di una cosa mi posso vantare e pavoneggiare, insieme ai confratelli nell’ortodossia Alduino e Demetrio, e lo gridiamo forte forte perché tutti ascoltino: aver abbandonato l’eresia ed essere ritornati alla Vera e Santa Fede dei nostri Avi.
Tutto questo tu non lo puoi fare e non so se lo potrai capire, grida quanto vuoi, ma resterai sempre uno di quelli che si sono uniti, e noi in albanese a queste persone diciamo: U kuqartin, si sono accoppiati, un termine dispregiativo che si da agli animali…..U KUQARTIN !!!!!!!!!


lunedì 23 agosto 2010

(Parafrasando una vecchia poesia......) IL MORBO INFURIA.....IL PAN CI MANCA.....SUI PAESI ARBRESH SVENTOLA.....BANDIERA BIANCA.

Senza catastrofismi, senza lagnanze, senza gridare alla scandalo, senza piagnistei, senza ricorrere alla lettura della storia Arbreshe e senza minimizzare il pensiero del mio carissimo fratello 'Il Contessioto', desidero postare il mio commento al link..................Mondo sottosopra!!!!!!! e la risposta al mio intervento.

1) Commento:
Cari Fratelli Italo-Albanesi: ricordiamo che noi non abbiamo mai abiurato alla Santa Fede dei nostri Padri, non abbiamo mai firmato un documento di abiura, quindi siamo Ortodossi dalla testa ai piedi. Dopo 4 secoli di latinizzazione e questo è iniziato nel 1564 quando papa Pio IV con il documento Romanus Pontifex sottopose le popolazioni greco-albanesi ai vescovi latini, "con la volontà di sopprimere o, almeno, di favorire l'estinzione per esaurimento del rito greco in Italia". Stiamo ritornando a quei livelli, il popolo insieme al suo clero che fa? Nulla, piange e basta. Quindi Caro Fratello, che tu continui a scrivere tutte queste belle cose, non risolverai nulla, perchè? Per il semplice fatto che la latinizzazione ha distrutto la memoria storico-religiosa-ecclesiale della BESA. La FEDE, che i nostri Avi per mantenerla viva hanno abbandonato il loro paese per venire in italia. E qui cosa hanno trovato, invece del turbante turco la tiara papale, peggiore per la nostra fede. Soluzioni? Bene io personalmente l'ho trovata nel 2001, SONO RITORNATO ALLA FEDE DEI MIEI AVI. Ora penso che sia arrivato il momento di abbandonare le lacrime e riprendere il vessillo dell'aquila bicipite con sfondo giallo. Sta a voi reagire, perchè nonostante i tuoi scritti siano nobili, non producono nessun effetto.
 Fraternamente in Cristo P. Giovanni Capparelli


2) Risposta del fratello: Il Contessioto:


Ma noi siamo cattolici di rito bizantino

Il blog scrive, scrive … ma non otterrà alcun risultato, ci scrive, dedicandoci molta attenzione e premura, padre Giovanni Capparelli.
Il problema è di chiarire cosa si intende per risultati.
Scrivendo ci proponiamo di perseguire una linea tesa alla riflessione, all'attenzione su certi fatti e all'approfondimento, per meglio comprendere tutto ciò ci sta attorno, attorno all’ambiente in cui viviamo.
Perché no ? proviamo a porre limiti alle ingiustizie più eclatanti.
Fra i nostri obiettivi non c’è, e riteniamo non debba mai esserci, quello di mettere in dubbio la secolare fede cattolica degli antenati, quella da sempre professata in questi ultimi cinquecento anni dalle comunità arbërëshe.
Stiamo seguendo con impegno e vorremo dire con dedizione quanto accade a Contessa Entellina ai danni dei fedeli “cattolici” di rito greco e quanto viene fatto dalle Gerarchie ai danni della sua guida spirituale, Papas Nicola Cuccia. Il tutto accade all’interno della Chiesa Cattolica, dove oggi, domani e sempre ci saranno i padre Mario Bellanca di turno che per carenza culturale si affideranno ora all’avvocato, domani al filosofo e dopodomani ancora allo stregone, per rivendicare spazi di presunto potere nei “comitati” delle feste, motivi di orgoglio da spandere fra i cortigiani che li invitano a pranzo e a cena. Niente di nuovo sotto il sole, viene da dire. Tutto ciò non ha nulla a che spartire con la Fede, con il Mistero che ci è stato insegnato.
Detto quanto sopra, non significa che tutto ciò che accade nel recinto del cattolicesimo ci lascia indifferenti. Proprio perché non abbiamo dubbi sulla Fede ci permettiamo di scrivere sulla sporcizia che ci sta attorno (a cominciare dalla nostra coscienza, ovviamente), sulle ingiustizie che vengono perseguite dall’ottusità delle Gerarchie, sull’ignoranza manipolata ai fini della vanità da voltastomaco.
La Fede unisce noi cattolici (compresi noi di rito bizantino), le “vergogne che ci stanno attorno ci inducono invece a gridare ed a “scrivere” nella convinzione che attirando l’attenzione di chi di dovere qualcosa possa correggersi. Questo è il nostro antidoto al male (o, per meglio dire, a ciò che erroneamente dovessimo giudicare “male”), altri usano altri farmaci come la preghiera, il digiuno ed il sacrificio. Ad ognuno il proprio talento !
Certo non siamo degli illusi e sappiamo bene che la “casta” gerarchica della Chiesa Romana vive in un mondo dove conta il potere, l’otto per mille, l’immobiliare Propaganda Fidei e così via. Ma tutto ciò non ha nulla a che spartire con la Fede che ci sostiene.
Con la convinzione di avere distinto e spiegato le ragioni di Fede dalle ragioni che ci inducono a scrivere e a contestare le decisioni della “Gerarchia”, precisiamo che passare da una confessione all’altra equivale a cambiare partito, casacca. Come dire ieri ero craxiano, oggi sono berlusconiano, domani sarò bossiano e dopodomani vendoliano. E’ come seguire la direzione del vento, come immergersi nel mondo del ridicolo; tutto il contrario della perpetuità della Fede.
Caro Padre Carapelli,
noi le portiamo stima, ma non è nostra intenzione iscriverci ad un nuovo partito. Siamo delusi da tutti i ‘partiti’ in quest’epoca di individualismo esasperato.
Scriviamo delle sporcizie che ci capitano lungo il cammino della Chiesa in cui ci troviamo e senza alcuna riverenza –che sarebbe immeritata- diciamo e denunciamo gli errori e gli abusi dei Mons. Tamburrino di turno. Gente che -priva di sensibilità- giudica allo stesso modo chi intende conservare il rito cattolico-bizantino secolare e pertanto non ha esitazione a pregare dietro un portone che gli viene chiuso in faccia e chi, infischiandosi del Vangelo, della fraternità, della comunione con i confratelli, non ha esitazione a buttare fuori dalla Chiesa chi vuole cantare la Paraklisis.
Non abbiamo pertanto esitazione a gridare l’ingiustizia commessa dall’Eparca, un certo Monsignore latino, essendo da lunghissimo tempo dormiente l’Eparca titolare.
Riteniamo noi che se Mons. Tamburrino ha un attimo, un solo attimo, di riflessione potrà rimediare all’ingiustizia, se invece è assillato dall’idea che da Arcivescovo deve conseguire la berretta di Cardinale e poi da Cardinale deve occupare la sedia di Prefetto di una Congregazione (magari di quella per le Chiese Orientali per imbrigliare i Papas -come Nicola Cuccia- che sono pure sposati) e così via, è chiaro che non gli frega nulla di mettere sullo stesso piano il giusto e l’ingiusto. Questi sono parametri che riguardano i credenti non i Gerarchi. Per la Gerarchia, lo sappiamo bene, benissimo, queste distinzioni, giusto-ingiusto, sono sottigliezze che non meritano attenzione.
Avrai capito bene, caro Padre Capparelli
che le cose su cui siamo impegnati non riguardano la saldezza della Fede. Per noi i padre Mario Bellanca, passeranno come passeranno i Monsignori Tamburrino, mentre la liturgia di San Giovanni Crisostomo, con tutto ciò che prefigura, resterà la stessa anche per i secoli a venire, al contrario della messa latina che cambia ad ogni stormire di papa.


IlContessioto

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Se a qualcuno fosse venuto in mente che qualcosa si stesse muovendo verso una direzione più sensibile alla storia italo-albanese, si mettesse l'anima in pace e continuasse a fare quello che ha fatto fino ad ora. La mia tesi è stata e sarà che il popolo Arbresh, oramai, avendo avuto per 4 secoli il lavaggio del cervello, non è in grado di poter fare una scelta diversa da quella che è stata costretta a subire.
Anzi perchè lasciare il certo per l'incerto?
Ma, sappiamo che pur nel piccolo qualcosa si sta muovendo, quel castello di sabbia, costruito durante la latinizzazione sulle rive del mare, piano piano si sta sgretolando, infatti Roma per tenere a bada il riottoso (Una volta) popolo greco-albanese, cosa fa, invia Amministratori apostolici, affinchè spieghino, se ce ne fosse bisogno, che : "Qua comando io e questa è casa mia"....quindi se la minestra non vi piace, tappatevi il naso e buttatela giù nonostante sia immangiabile.
Così è iniziata nel 1564 la nostra sfortuna realtà religiosa, si a molti paesi arbresh è rimasto il rito, altri hanno subito l'onta di perdere anche quello, altri ancora hanno persino perso lingua e rito. Ma il rito a che serve se si perde la BESA.
"Triqindë Trima, çajtin detin pir të mbajin: BESIN, LIRIN E FLAMURIN".
E certamente Besa non era e non è qualla franco-latina o romana. La Besa è quella Ortodossa, che noi abbiamo continuato a professare in Italia fino a quando è stato permesso ai vescovi ortodossi che avevano giurisdizione, da Pescara ad Agrigento,
sulle popolazioni greco-albanesi.
Storia....ma storia seria!!!!

P. Giovanni Capparelli

venerdì 20 agosto 2010

Fatta la polenta....si mangia così com'è venuta. A nulla serve piangere.........

Trasferire un parroco. Il diritto canonico è garantista

Trasferire un sacerdote, un parroco, dal suo ufficio non è poi così semplice come potrebbe apparire. Papas Nicola sappiamo che ha accettato il trasferimento a Palazzo Adriano ed il sedici agosto scorso si è, in forma quasi ufficiale, presentato davanti alla sua nuova comunità.
Non sappiamo cosa intenda fare Padre Mario Bellanca in relazione al suo trasferimento presso la Curia.
Esistono comunque norme precise e puntuali di diritto canonico che in minuziosi dettagli fissano la procedura da seguire per il trasferimento, e per l’opposizione al trasferimento.
Il decreto di trasferimento deve contenere una indicazione sommaria dei motivi della decisione assunta (c. 51) dal Vescovo (da noi, dai due Vescovi) in modo che l’interessato possa avere cognizione sulla sua ‘ragionevolezza’.
Il parroco infatti alo stesso modo del Vescovo gode della stabilità nel suo ufficio; stabilità che non significa né perpetuità né irremovibilità. In buona sostanza il parroco può essere rimosso solo per cause e procedure previste dal diritto.
1) Il trasferimento normalmente, in via ordinaria, è ammesso per un parroco nominato “ad tempus”.
Ove sussista , come abbiamo riferito per il caso di Papas Nicola Cuccia, l’accordo dell’interessato il trasferimento può avvenire per qualsiasi ragione risulti negli atti, contrariamente deve sussistere una “causa grave”.
Normalmente se il trasferimento è imposto dal Vescovo (c. 1748) reca sempre come motivazione “il bene delle anime”, o la necessità o l’utilità della “chiesa locale”. La proposta, fin dall’origine, deve tendere a convincere il parroco e pertanto il Vescovo è tenuto a presentare la “grave ragione” che giustifichi la richiesta di trasferimento (c. 190, par. 2).
Il parroco ha diritto di replica.
2) Se il Vescovo intende insistere deve compiere una “consultazione”. Essendo stato istituito un fascicolo con la documentazione a supporto della decisione del Vescovo e della procedura promossa in esso confluirà anche il verbale dell’incontro. Al termine della consultazione, obbligatoria come abbiamo ricordato, il Vescovo deve ripetere l’invito al trasferimento.
3) Ultimata la procedura il Vescovo può imporre il trasferimento con un decreto.
4) Il canone 1734 ammette un ricorso immediato al Vescovo perché ritiri il decreto o lo modifichi. Generalmente avendo già il Vescovo sentito l’interessato, come riportato al punto 2), è improbabile che accolga il ricorso.
5) Esiste comunque per il parroco la possibilità di impugnare il decreto presso la Congregazione per il Clero “propter quodlibet iustum motivum” avvalendosi dell’assistenza di un avvocato o procuratore. Il ricorrente ha tempi brevi, brevissimi, per ricorrere (10 giorni davanti al Vescovo, 15 giorni davanti alla Congregazione).
Il Vescovo nei confronti della Congregazione deve solo mostrare di avere osservato correttamente la procedura e che questa fosse sostenuta da una valida giustificazione.
Non esiste in pratica un dibattito fra le due parti: Vescovo-Parroco.
La Congregazione ha l’obbligo di esitare la questione entro tre mesi.
6) Il Parroco ha ancora la possibilità di proporre ulteriore ricorso contro la decisione assunta dalla Congregazione entro il termine di trenta giorni al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, ma per soli motivi di legittimità.

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giovedì 19 agosto 2010

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Prima liturgia dopo molti decenni al monastero Panagia Sumela

Il 15 agosto 2010 un gruppo di alcune centinaia di fedeli della Chiesa Ortodossa Russa proveniente dalla Russia e altri Paesi ha visitato l’antico monastero Panagia Sumela, nei pressi della città di Trebisonda, nel territorio dell’odierna Turchia.

Il viaggio rientrava nel quadro del progetto di ripresa della tradizione dei pellegrinaggi di fedeli russi ai luoghi santi dell’Asia Minore, stabilito dal Patriarca di Mosca Kirill e dal Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo durante la visita del capo della Chiesa Russa al Patriarcato di Costantinopoli nel luglio 2009. Il progetto aveva avuto l’approvazione del primo ministro turco R. Erdogan. Al pellegrinaggio, già il quarto realizzato a Trebisonda dalla definizione del progetto, hanno partecipato complessivamente alcune migliaia di fedeli della Grecia, Russia, Ucraina, Bielorussia, Kazachstan e di diversi altri paesi.
Il gruppo dei pellegrini russi, guidato dal vescovo Tichon di Podolsk, presidente della segreteria amministrativa del Patriarcato, ha partecipato alla liturgia celebrata da Sua Santità il Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli. Oltre al vescovo Tichon, col Patriarca hanno concelebrato il metropolita Paulos di Drama, della Chiesa Ortodossa di Grecia, l’archimandrita Bisarion del Patriarcato di Costantinopoli e il sacerdote russo Igor Jakimtchuk, responsabile della segreteria per i rapporti interortodossi del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca. Era presente al rito anche un gruppo di parlamentari, politici e diplomatici russi, e rappresentanti del governo turco.
La celebrazione si è svolta nel cortile interno del monastero, che conteneva circa 500 fedeli; gli altri hanno potuto seguire il rito grazie a grandi schermi al plasma che erano stati installati fuori dal monastero.
Rivolgendosi ai fedeli a conclusione della funzione, il Patriarca Bartolomeo ha sottolineato la partecipazione all’evento del Patriarca di Mosca Kirill, grazie alla presenza del vescovo Tichon, e ha formulato l’augurio che le celebrazioni nel monastero possano riprendere e che il Patriarca Kirill vi possa partecipare anche fisicamente. Il vescovo Tichon ha parlato del senso del pellegrinaggio cristiano, che si rifà alla vita del Signore che fin dall’infanzia si recava ogni anno con la Madre e san Giuseppe al tempio di Gerusalemme. Il vescovo ha anche ringraziato le autorità statali turche che hanno permesso la ripresa dei pellegrinaggi, soddisfacendo le richieste di molti ortodossi del mondo intero.
Il monastero Panagia Sumela, situato a 1300 metri di altitudine, è un monumento architettonico di grande importanza e un centro spirituale della cristianità. Fondatore è considerato s. Barnaba, che vi visse a cavallo del IV e V sec. Dalla fine del IV sec il monastero conservava l’icona della Madonna “Panagia Sumela”, che la tradizione attribuisce all’apostolo Luca. Il monastero è celebre per i suoi straordinari affreschi raffiguranti la vita del Salvatore e della Madre di Dio, scene dell’Antico Testamento. Ha conosciuto periodi di grande fioritura nei secoli XIII-XV e XVIII-XIX. Nel XX secolo, dopo la fine della prima guerra mondiale e dell’impero ottomano, la presa del potere da parte di Ataturk e la deportazione dei greci del Ponto, il monastero è stato abbandonato. I pellegrinaggi sono ripresi nel 2007, la liturgia non vi era celebrata dal 1922.

mercoledì 18 agosto 2010

Inaugurazione della Mostra Documentaria a San basile (CS): "Storia e curiosità della vita amministrativa del Comune di San Basile - Museo delle ikone

Dal sito cattolico: Zenit.org

Che cosa è una chiesa sui iuris?

di padre Hani Bakhoum Kiroulos

ROMA, mercoledì, 18 agosto 2010 (ZENIT.org).- La Chiesa è comunione: “Magna illa communio quam efficit Ecclesia” diceva il Papa Paolo VI[1]. Infatti la comunione è essenziale alla natura della Chiesa. La medesima comunione della Chiesa ha due aspetti: la comunione dei Santi che unisce la Chiesa pellegrina sulla terra con la Chiesa celeste e le dona il suo carattere escatologico, mentre il secondo aspetto è la comunione ecclesiastica.
La comunione ecclesiastica unisce tutti i battezzati nella Chiesa Cattolica o in essa accolti, che sono congiunti con Cristo dai vincoli della professione della medesima fede, dei sacramenti, del regime ecclesiastico e della comunione. Tale comunione ecclesiastica costituisce la piena comunione cattolica.
I fedeli cattolici, di una chiesa particolare, quindi anche di una chiesa orientale sui iuris, sono nella piena comunione ecclesiastica con la Chiesa Cattolica, quando i loro vescovi conservano la comunione gerarchica con il Vescovo di Roma e il Collegio dei Vescovi.
La “Ecclesia Universa” è costituita dalla comunione delle varie Chiese d’Oriente e d’Occidente e in modo particolare da quelle matrici della fede fondate dagli Apostoli e dai loro successori.
Tale comunione tra le Chiese Orientali sui iuris e la Sede Apostolica di Roma viene espressa e manifestata, in maniera concreta, nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. Infatti, uno dei ruoli fondamentali del Codice, secondo il Papa Giovanni Paolo II[2], è indicare la Chiesa come comunione e, come conseguenza, determina le relazioni che devono esistere tra le chiese orientali sui iuris e la Chiesa Universale.
Prima di analizzare la manifestazione concreta di tale comunione gerarchica, è necessario presentare il senso del termine chiesa sui iuris.
Nel Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium la nozione di “chiesa sui iuris” è una nozione tecnica. Essa è una novità nella storia del diritto canonico orientale e occidentale[3]. La nozione è data per indicare la chiesa orientale che è in comunione con Roma.
La Pontificia Commissio Codex Iuris Canonici Orientalis Recognoscendo non ha voluto adottare il termine “chiesa particolare” per indicare la chiesa orientale in quanto questo termine indicava nel Codex Iuris Canonici solo la diocesi e nient'altro. La medesima commissione ha preferito la proposta di “chiesa sui iuris”. Interessante il fatto che questa proposta ha avuto la maggioranza con un solo voto; ha ricevuto infatti sei voti favorevoli contro i cinque che volevano mantenere il termine del Concilio Vaticano II “chiesa particolare” e con due astensioni[4].
La definizione della nozione di “chiesa sui iuris” si trova al can. 27[5].
Si chiama, in questo Codice, Chiesa sui iuris, un raggruppamento di fedeli cristiani congiunto dalla gerarchia, a norma del diritto, che la Suprema Autorità della Chiesa riconosce espressamente o tacitamente come sui iuris.
Da questo canone si rivelano due particolarità:
La prima cosa da notare è che la definizione della chiesa sui iuris è una definizione tecnica; cioè non è avulsa dal codice, ma è relativa ad esso. Il codice non definisce la chiesa sui iuris in sé, ma dice cosa intende quando menziona la nozione “chiesa sui iuris”. Facendo così il codice sostituisce la nozione “chiesa particolare sui ritus” usata nel Concilio Vaticano II.
La seconda è che la suddetta definizione evidenzia i quattro criteri essenziali per definire una chiesa come chiesa sui iuris:
- Un raggruppamento di fedeli cristiani “coetus christifidelium”: il suddetto termine indica “l’unità interna e l’omogeneità culturale, sociale, e spirituale”[6] di una comunità di fedeli. Indica in fondo una assemblea del popolo di Dio[7] unita nella cultura, nella vita sociale e nella vita spirituale.
- Questo coetus christifidelium è unito ed è governato dalla propria gerarchia. Questa gerarchia “unisce questo raggruppamento in una determinata comunità ecclesiale compatta e gerarchicamente organizzata come una chiesa. Questo gruppo di fedeli ha una gerarchia come elemento organico di coesione”[8]. Il ruolo fondamentale, dunque, di detta gerarchia è governare il raggruppamento dei fedeli e garantire la sua unità secondo il diritto[9].
- Detto coetus christifidelium con la propria gerarchia è costituito secondo il diritto. Un tale criterio garantisce la legittimità della chiesa sui iuris.
- Il riconoscimento della Suprema Autorità della Chiesa in modo espresso o tacito è il quarto criterio per definire un raggruppamento dei fedeli, uniti dalla propria gerarchia secondo il diritto, come chiesa sui iuris. Detto atto di riconoscimento da parte della Suprema Autorità costituisce la comunione gerarchica tra una tale chiesa e la Chiesa Universale. Da notare che “la comunione gerarchica con il Romano Pontefice, intesa come unità e realtà organica, è, di conseguenza, un elemento costitutivo dello status canonico di Ecclesia sui iuris[10].
I primi tre criteri sono criteri interni e spiegano la natura della chiesa sui iuris dal suo interno. Mentre, il quarto - il riconoscimento - è un criterio esterno e formale che garantisce la comunione della chiesa sui iuris con tutta la Chiesa di Cristo[11].
Con questo riconoscimento si attribuisce alla chiesa sui iuris una autonomia relativa. Infatti la Suprema Autorità non si limita, semplicemente, a riconoscere una chiesa sui iuris, ma definisce, soprattutto, la sua autonomia e dipendenza e inoltre, il suo rapporto con la Sede Apostolica tramite i canoni del Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium.
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1. Cfr. AAS, 69 (1977), 147- 153, n. 148.
2 . Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Costituzione Apostolica, Sacrae Disiplinae Leges, (25. I. 1983), in AAS, 75 (1983), pars. II, 12.
3. Cfr. Idem. 205.
4. Cfr. E. EID, Rite, Église de Droit Propre e Juridiction, 11 e cfr. Nuntia, 19 (1984), 5.
5. Il can. 27 è un canone nuovo, non ha un corrispondente né nei codici del 1917 e del 1983, né nella codificazione orientale precedente. Essi con il can. 28 sono stati un oggetto di grande lavoro; vedi Nuntia, 3 (1976), 45- 47; 22 (1986), 22- 24 e 28 (1989), 18- 20.
6. E. SLEMAN, De Ritus à Ecclesia sui iuris, in L’année canonique, 41 (1999), 268. Il testo originale dell’articolo è in francese ed è stato tradotto dallo scrittore della attuale tesi.
7. Cfr. D. SALACHAS, Autonomie des Églises Orientales, in L’année canonique, 38 (1996), 75- 90.
8. D. SALACHAS, Le Chiese “sui iuris” e i Riti, in Commento al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, a cura di P. V. PINTO, Libreria Editrice Vaticana, 2001, 38.
9. Cfr. E. SLEMAN, De Ritus à Ecclesia sui iuris, 268.
10. D. SALACHAS, Le Chiese “sui iuris” e I Riti, 38
11. Cfr. Idem.