martedì 30 novembre 2010

Dal sito cattolico: Zenit.org

Messaggio di Benedetto XVI 
al Patriarca ecumenico Bartolomeo I
"Una comune testimonianza al Vangelo di fronte agli uomini del nostro tempo”
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 30 novembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il messaggio inviato da Benedetto XVI al Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I in occasione della festa di Sant’Andrea Apostolo, che cade il 30 novembre. Il documento è stato consegnato a Bartolomeo I dal Cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, che si trova ad Instanbul per l'occasione assieme a una delegazione vaticana.
 

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A Sua Santità Bartolomeo I
Arcivescovo di Costantinopoli
Patriarca Ecumenico
È con grande gioia che in occasione della Festa di Sant’Andrea Apostolo, fratello di San Pietro e Patrono del Patriarcato Ecumenico, Le rivolgo questo scritto, affidato al Venerato Fratello il Cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, per augurare a Vostra Santità, ai membri del Santo Sinodo, al clero, ai monaci e a tutti i fedeli abbondanza di doni celesti e di benedizioni divine.
In questo gioioso giorno di festa, insieme a tutti i fratelli e sorelle cattolici, mi unisco a Lei nel rendimento di grazie a Dio per le meraviglie che egli ha compiuto, nella sua infinita misericordia, attraverso la vita ed il martirio di Sant’Andrea. Gli Apostoli, offrendo generosamente la loro vita in sacrificio per il Signore e per i loro fratelli, hanno dato testimonianza alla Buona Novella da essi proclamata sino ai confini del mondo allora conosciuto. La Festa dell’Apostolo, che cade in questo stesso giorno nei calendari liturgici dell’Oriente e dell’Occidente, rappresenta, per tutti coloro che per la grazia di Dio e il dono del Battesimo hanno accettato il messaggio di salvezza, un forte invito a rinnovare la propria fedeltà all’insegnamento degli Apostoli e a divenire annunciatori instancabili della fede in Cristo, con la parola e la testimonianza della vita.
In questo nostro tempo, tale invito è urgente come non mai e interpella tutti i cristiani. In un mondo segnato da una crescente interdipendenza e solidarietà, siamo chiamati a proclamare con rinnovata convinzione la verità del Vangelo e a presentare il Signore Risorto come la risposta alle più profonde domande e aspirazioni spirituali degli uomini e delle donne di oggi.
Per poter riuscire in questo grande compito, dobbiamo continuare a progredire sul cammino verso la piena comunione, mostrando di avere già unito i nostri sforzi per una comune testimonianza al Vangelo di fronte agli uomini del nostro tempo. Per questa ragione vorrei esprimere la mia sincera gratitudine a Vostra Santità e al Patriarcato Ecumenico per la generosa ospitalità offerta lo scorso ottobre sull’isola di Rodi ai Delegati delle Conferenze Episcopali d’Europa, che si sono riuniti con rappresentati delle Chiese Ortodosse d’Europa per il II Forum cattolico-ortodosso sul tema "Rapporti Chiesa – Stato: prospettive teologiche e storiche".
Santità, seguo con attenzione i Suoi saggi sforzi per il bene dell’Ortodossia e per la promozione dei valori cristiani in molti contesti internazionali. AssicurandoLe, in questa Festa di Sant’Andrea Apostolo, il ricordo nelle mie preghiere, rinnovo l’augurio di pace, salute e di abbondanti benedizioni spirituali su di Lei e su tutti i fedeli.
Con sentimenti di stima e di vicinanza spirituale, scambio con Lei il fraterno abbraccio nel nome del nostro unico Signore Gesù Cristo.
Dal Vaticano, 30 novembre 2010
BENEDICTUS PP XVI

Dal sito cattolico: Zenit.org

Papa consegna agli ortodossi
alcune reliquie di Sant'Andrea
Attraverso il Cardinal Bertone, in viaggio in Kazakistan
di Inma Álvarez


ASTANA, martedì, 30 novembre 2010 (ZENIT.org).- Il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, ha consegnato questa mattina a nome di Papa Benedetto XVI alcune reliquie di Sant'Andrea al Metropolita Alexander, durante una celebrazione liturgica nella Cattedrale ortodossa dell'Assunzione ad Astana, capitale del Kazakistan.
Il porporato, che si trova nel Paese in occasione del Vertice dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), è stato invitato dalle autorità kazake a compiere una visita che si concluderà sabato 4 dicembre.
Si tratta di un gesto di grande importanza ecumenica, perché questo Apostolo, i cui resti riposano ad Amalfi, è molto venerato dalla tradizione bizantina.
Sant'Andrea, fratello di San Pietro, è considerato il primo Vescovo di Bisanzio (Constantinopoli), ed è venerato dagli ortodossi come loro fondatore. La tradizione afferma che evangelizzò la Grecia e la zona del Caucaso, e che morì crocifisso in Acaia.
I suoi resti furono rubati da Costantinopoli dai crociati durante il XIII secolo e trasferiti ad Amalfi. La testa venne portata nel 1462 nella Basilica di San Pietro.
Con un gesto storico, il 5 gennaio 1964 Papa Paolo VI consegnò la testa del Santo al Patriarca Atenagora I. Dal canto suo, il Patriarca di Costantinopoli consegnò a Papa Montini un'icona in cui Sant'Andrea e San Pietro si abbracciano, sotto lo sguardo di Cristo risorto.
Il Cardinal Bertone ha voluto ricordare quello scambio storico, che ha rappresentato una delle pietre miliari del dialogo ecumenico, con il quale ha posto in continuità il gesto compiuto questo martedì ad Astana.
“Oggi, in questo gradito incontro con voi, ho la speciale gioia di adempiere l’alto incarico affidatomi dal Santo Padre Benedetto XVI, di consegnarvi un frammento delle insigni Reliquie dell’apostolo sant’Andrea, che sono venerate in Italia, nella città di Amalfi”, ha affermato il porporato.
Il Segretario di Stato ha consegnato due reliquie al Metropolita Alexander. Verranno custodite ad Astana, una nella Cattedrale ortodossa e l'altra in quella cattolica.
Questo gesto risponde alla richiesta che sia il Metropolita ortodosso che l'Arcivescovo cattolico hanno rivolto al Papa, che, come ha affermato il Cardinal Bertone, “ha deciso di destinare alle rispettive Chiese due frammenti delle preziose Reliquie. Tale scelta riveste profondo significato, in quanto sottolinea la comune venerazione degli Apostoli”.

Pubblicata da Padre Giovanni Festa il giorno martedì 30 novembre 2010

Una breve riflessione sull’ Incontro Nazionale delle Chiese Ortodosse presenti in Italia svoltosi a Roma il 26 di Novembre 2010

Una breve riflessione sull’ Incontro Nazionale delle Chiese Ortodosse presenti in Italia svoltosi a Roma il 26 di Novembre 2010 sul tema "L'Ortodossia in Italia oggi"

Io c’ero e c’ero e ci sono stato con speranza e moderato ottimismo (conosco molto bene le dinamiche di casa mia ) consapevole che la capacità di annuncio cristiano dei cristiani ortodossi in Italia - nonostante noi stessi e in forza solo del Nostro Signore- sta tutta nella misura concreta, reale, credibile di unità e nella pastorale e nella dinamica liturgica e ecclesiale che sapremo dare.. proporre. . far vedere.
Questa unità pastorale che è esito direi ovvio dell’unità teologica , sacramentale, di professione di fede tra chiese sorelle che si riconoscono da sempre nell’evento dell’Una ed Indivisa e nella forza niceno- costantinopolitana, necessita di due direttrici pastorali .L’incontro ha fatto vedere – seppur come iniziale possibilità – queste due direttrici ..La concretezza storica di ciascuna chiesa ortodossa come radicata da tempo nel territorio italiano ( e tutte le relazioni hanno toccato questo tema a partire dalla prima affidata all’Arcivescovo Innocenzo di Korsun pastore delle chiese ortodosse del Patriarcato di Mosca in Italia con il suo lungo excursus della storia dlela presenza di questa chiesa in Italia).
 Accanto a questa prima direttrice (direi identitaria…) emerge – certo fa anche problema , ma emerge – il ministero di servizio , la diakonia del Patriarcato Ecumenico in Italia attraverso la nostra Arcidiocesi e l’opera pastorale del Metropolita Gennadios.
Ecco -anche per un solo istante senza fare ermeneutica alcuna dei canoni sinodali e concilari- questo ministero di spinta all’unità ..questo servizio di diakonia crocifissa che da sempre il patriarca Bartolomeo I vive e tramanda è iscritto proprio come immediatezza ..una sorta di controcanto ..Al rischio che c’è.....che esiste..della chiusura localistica quasi filetistica di ciascuna chiesa…( i russi per i russi..i rumeni per i rumeni etc..) il ministero costantinopolitano in italia ricorda la ricchezza del plurale, la forza della multiculturalità ortodossa, ricorda in primis a se stesso e alle chiese sorelle che l’Ecumenico Patriarcato certamente usa la lingua greca nobile nel suo essere liturgia ed orante ma non è per niente la Chiesa di Grecia ..Si candida ad essere il centro del servizio e di diakonia  di questo plurale e per questo plurale.
Certamente momenti ecclesiali ( e non tanto e non soltanto ecclesiastici) di raccordo pastorale devono essere trovati, forse anche – nella libertà dello Spirito che soffiando dove vuole protegge la Chiesa - inventati.. intuiti abbozzati disegnati dentro un territorio.. lungo il quotidiano ..nei momenti forti dell’anno liturgico nel reciproco aiuto tra chiese sorelle a livello di servizi lungo un medesimo territorio ma –come con lucida chiarezza ha anche espresso il nostro vicario generale l’Archimandrita Evangelos - accettare che ad oggi ..anche a domani e forse a dopodomani la prospettiva forte di " un popolo solo…un solo territorio. .un vescovo" è ancora lontana ma non è più un tabù ..E’ la prospettiva che la presente  generazione di cristiani ortodossi in Italia consegna alla prossima e la consegna non come una vuota espressione ma all’interno dell’esperienza panortodossa dei Consigli Episcopali panortodossi di territorio, d' Italia e Malta nel nostro caso.
Ecco l’esperienza dei Consigli e del nostro Consiglio è appena iniziata e va quindi costruita anche perché da qui e fino alla convocazione del sinodo panortodosso tale esperienza sarà il luogo pubblico, pastorale, ecclesiale e quindi teologico ed ecclesiologico dove i cristiani ortodossi attraverso i loro vescovi impareranno l’unità pastorale e dove – ed è qui ancora una volta grande il servizio , il ministero e la responsabilità del valore costantinopolitano ( in fondo in Dio tre volte santo Costantinopoli non è soltanto categoria dello spirito ma è ecclesialmente oggi un valore aggiunto.. un servizio totale) insieme esprimeranno il kerigma apostolico ai cristiani ortodossi di ogni gens, e a quanti –senza proselitismo ma in libertà di cuore- vorranno ascoltare il segno dell’una ed Indivisa.. Ecco i Consigli episcopali – per quanto struttura storia e quindi provvisopria- sono chiamati ad essere per il tempo della loro esistenza luogo teologico ,luogo di carità, luogo visibile di unità.
 E –ma questa è mia opinione- potrebbe anche essere provvidenziale e necessario che all’interno poi di singoli frammenti di territorio.. di specifiche zone l'’esperienza del Consiglio episcopale divenga evento di micro-consigli di decanato e/o di vicariato ..l’unità pastorale concreta e resa visibile .Qui sta il ruolo profetico di presidenza da parte dell’Ecumenico Patriarcato attraverso la nostra Arcidiocesi lungo il territorio.
 Il nostro Patore il Metropolita Gennadios ha vissuto qui in Italia l’intero suo quarantennio di episcopato..Ecco a mio avviso Egli è appena agli inizi..Ne ha già visto di tanti e di tante ma se lo Spirito soffia e soffia forte per l’edificazione all’unità io credo e spero che il Pastore Gennadios nell’esercizio della sua presidenza ne possa ancora vederne altrettante ..Siamo appena agli inizi..Il vento di primavera ,quello sottile..quello fresco e lieto all’unità sta veleggiando per tutti noi e non accetta ostacoli localistici e nazionalistici…

lunedì 29 novembre 2010

Dal Patriarcato di Mosca

Conferenza stampa al Dipartimento


Il 25 novembre 2010 nei locali del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca si è svolta una conferenza stampa del metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento e membro permanente del Sacro Sinodo della Chiesa Ortodossa Russa.
Durante l’incontro con i rappresentanti dei giornali russi e stranieri, di portali Internet, stazioni radio e reti televisive, il metropolita Hilarion ha commentato gli avvenimenti dell’ultimo anno riguardanti le relazioni interortodosse, intercristiane, e ha riferito sulle visite ufficiali del Patriarca  e sui viaggi del Presidente del Dipartimento delle relazioni esterne.
Nel 2010 con il concorso del Dipartimento sono state organizzate e effettuate tre visite del Patriarca di Mosca e tutte le Russie Kirill in Ucraina. L’ultima, svoltasi il 22 e 23 novembre, ha coinciso con i festeggiamenti dei 75 anni del metropolita di Kiev e tutta l’Ucraina Vladimir. Il metropolita Hilarion ha fatto rilevare che queste visite “hanno lo scopo di consolidare le forze sane della società ucraina e l’unità della Chiesa Ortodossa d’Ucraina, aprendo una strada per il superamento delle tristi conseguenze dello scisma”, Il presidente del Dipartimento si è riferito alle parole di Sua Santità Kirill circa  l’unità dei tre popoli slavi, russo, bielorusso e ucraino: “unità che è spirituale, non politica, e che non è limitata dalle frontiere esistenti tra i tre Paesi”.
Il metropolita ha anche parlato della visita del Capo della Chiesa Russa  al patriarcato di Alessandria e del rapporto del patriarca Kirill col patriarca di Alessandria Teodoro.
Il presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca ha raccontato ai rappresentanti della stampa dei suoi viaggi di lavoro in Serbia, Giappone, Georgia, del pellegrinaggio effettuato al monte Athos e dei due viaggi missionari in Ucraina.
Ha presentato ai giornalisti il libro “L’Ortodossia in Cina”, pubblicato in russo e cinese a cura del Dipartimento e dell’Istituto dell’estremo Oriente dell’Accademia russa delle scienze, in occasione del 325 anniversario della presenza ortodossa in Cina.
Alla fine della conferenza stampa, il metropolita Hilarion ha risposto a numerose domande dei giornalisti concernenti i rapporti del patriarcato di Mosca con le altre Chiese Ortodosse, le Chiese e comunità ecclesiali non ortodosse, i prossimi viaggi del patriarca Kirill e la vita della Chiesa ortodossa all’estero, in particolare in Cina.

venerdì 26 novembre 2010

Riflessione sull'avvento di P. Seraphim

L’avvento, detto anche quaresima del Natale poiché dura 40 giorni dal 15 novembre al 24 dicembre (28 novembre – 6 gennaio nel calendario gregoriano), è un periodo molto importante dell’anno liturgico poiché ci prepara alla celebrazione del Natale del Signore. L’avvento fu istituito nella Chiesa su immagine della grande quaresima che ci prepara alla Santa Pasqua e fa parte dei 4 tempi forti dell’anno, quelli in cui la Chiesa chiede ai cristiani di pregare più intensamente e digiunare.
Il digiuno durante l’avvento è più leggero rispetto ad altri: si possono mangiare cibi di origine vegetale tutti i giorni, come anche il vino, l’olio e i molluschi, si può mangiare anche il pesce il sabato, la Domenica, il martedì è il giovedì. Sono pertanto esclusi: la carne, le uova, il latte e i suoi derivati. Alcuni si spaventano per questo, altri invece lo sottovalutano. Carissimi ricordate che la chiesa si regge sulla confessione dell’apostolo Pietro: “Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente!” quella è la pietra sulla quale la nostra Chiesa e la nostra Fede sono saldamente piantate, non sono fondate su un uomo, ma su Cristo stesso vero Dio e vero uomo che si è incarnato per noi, ha dato tutto se stesso per noi, ed è risorto per noi. Non sottovalutiamo pertanto il digiuno del Natale perché il digiuno e la preghiera ci uniscono a Cristo, solo con la preghiera e il digiuno possiamo avere la forza di porci sulla pietra della confessione dell’apostolo e di gridare la nostra personale confessione al Signore Gesù: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!” e avere così in noi la gioia che ebbero i Magi, la gioia che ebbero i pastori, la vera gioia del Natale.
Pertanto cerchiamo di vivere questi giorni in maniera più cristiana, consultiamoci con il padre spirituale sul livello di digiuno che possiamo fare, cerchiamo di essere più costanti e regolari nella preghiera quotidiana e comunitaria e cerchiamo per quel che possiamo di mantenerci distaccati dalle follie consumistiche di questo periodo.
Buon avvento a tutti.

p. Seraphim

giovedì 25 novembre 2010

Dal sito amico: Eleousa.net

Russia - Kyrill incontra Yanukovich

Kiev, 23 novembre 2010 - Sua Santità il Patriarca di Moskva e di tutta la Russia, Kyrill, rimanendo a Kiev in occasione delle celebrazioni in onore del 75 ° anniversario di Sua Beatitudine il metropolita Volodymyr ha incontrato il Presidente dell'Ucraina VF Yanukovich. La riunione ha avuto luogo presso l'Amministrazione Presidenziale sulla strada Bankova, al termine della Divina Liturgia nel Monastero nel Monastero delle Grotte.
Yanukovich ha ringraziato Sua Santità per aver preso parte alle celebrazioni, sottolineando che la visita del Patriarca dà un significato particolare a questo evento importante nella vita dell’Ucraina.
In risposta, Sua Santità ha osservato che i cambiamenti attualmente in corso in Ucraina hanno già portato significativi benefici al popolo di questo paese, e ha ringraziato il Presidente per la sua costante attenzione alle esigenze dello Stato e della Chiesa ortodossa ucraina.
Al termine della riunione, le parti si sono scambiati doni.

(Fonte: Ufficio stampa del Patriarca di Moskva e di tutta la Russia; www.patriarchia.ru)

mercoledì 24 novembre 2010

Pubblicata da Kisha Orthodhokse E Shqiperise

PARAJA


 Paraja përbën një temë shumë të rëndësishme në dinamikën njerëzore. Zakonisht të krijon iluzionin se vetëm ajo mbulon dhe shëron anën materiale, pra hyjnizohet. Ajo është si një shkëmb i rrezikshëm nënujor. Paraja në vetvete nuk është as e mirë dhe as e keqe. Një proverb anglez e karakterizon zjarrin si shërbëtor të mirë, por edhe si zotëri të keq. Me të vërtetë, ndezja e zjarrit ka qenë një zbulim i jashtëzakonshëm, një hap i madh civilizues, edhe pse ne e harrojmë këtë gjë në epokën tonë të elektronikës. Zjarri është kthyer në një mjet të mirë në shërbim të njeriut. Por kur del jashtë kontrollit dhe kthehet në fatkeqësi, atëherë është katastrofik. E njëjta gjë ndodh edhe me paranë. Për nga natyra ajo është asnjanëse. Varet nga ne nëse e kthejmë në diçka të mirë apo të keqe. Të gjithë, pak a shumë, jemi të lidhur pazgjidhshmërisht me paranë. Siraku i urtë, në Dhiatën e Vjetër, na thotë se "pasuria është e mirë tek ai njeri, në të cilin nuk ka mëkat" (Urtësia e Sirakut 13:24). Pra është faktori dhe rregullatori njerëzor, nëse është mëkatar ose jo, që e përcakton atë. Një veti tjetër e parasë është edhe paqëndrueshmëria e saj. Një murg, që të kujtonte gjithmonë kotësinë e pasurisë, kishte vendosur një tabelë në qelën e tij, ndoshta e vetmja pronë që zotëronte, me fjalët e mëposhtme:"Sot është e imja, nesër e një tjetri, në një të ardhme nuk do ta ketë askush". Shën Joan Gojarti na thotë se pasuria e parave është një skllav mosmirënjohës dhe që arratiset gjithmonë. Një tjetër mësues ekumenik, shën Grigor Theologu, na thotë se "duhet të kesh më shumë besim në flladet e erës që nuk qëndrojnë në një vend dhe në vazhdën e anijeve që vozit, në ëndrrat mashtruese të natës, në ato që skicohen në rërë prej fëmijëve kur luajnë, se sa të besosh në prosperitetin e njerëzve". Soloni i Athinës (shek 7-6 para Krishtit), një nga shtatë të urtët e antikitetit, udhëtoi në shumë vende. Një herë mbërriti në Lidi. Mbreti i vendit, Krisi, krenar për pasurinë që kishte, nisi t'i ekspozojë thesaret e tij. Ai priste që miku të shprehte njëkohësisht habi dhe admirim. Por nuk ndodhi diçka e tillë dhe mbreti u çudit në këtë rast, përse vallë Soloni nuk e quajti njeriun më të lumtur të botës. Vizitori iu përgjigj me një fjalë që mbeti proverbiale: "Mos e lumëro dikë përpara mbarimit të jetës së tij".
Dhe historia tregoi se ai pati të drejtë, pasi mbreti Kris u mund nga Kiri i Babilonisë. Pasuria ka qenë e paqëndrueshmejo vetëm në epokat e hershme, por edhe në atë moderne. Le të shikojmë disa nga sistemet më të njohura ku ajo projektohet, si p.sh. bursat. Vlerat aty lëvizin në pak sekonda aq shumë, saqë shpeshherë, qoftë për shkak të rrethanave të paqëndrueshme, qoftë për hir të mashtrimeve e lojërave, kapitalet e dikujt mund të shkrihen rrufeshëm. Nuk kanë kaluar shumë vjet që nga koha kur djersa e ndershme e shumë njerëzve të thjeshtë avulloi e shpërndarë në firmat piramidale, ngjarje që solli pasoja të tmerrshme në jetët njerëzore. Por kur paraja kthehet në dobi të njeriut? Kur është fituar me mjete të ndershme dhe të ligjshme, veçanërisht kur vihet në shërbim të njerëzimit dhe të së mirës. Ata që kanë pasuri, nuk mund të jenë zotër të tyre gjatë gjithë kohës, ndaj duhet t'i administrojnë për dobi të shoqërisë. Në këtë rast është me vend këshilla e Sirakut: "Humbe paranë për hir të vëllait dhe të mikut, le të mos ndryshket e groposur në humbje. Vër thesarin tënd sipas porosive të të Lartit dhe kjo do të të sjellë më tepër të mira se sa ari. Mbyll lëmoshën në arkën tënde dhe ajo do të të shpëtojë nga çdo e keqe". Profeti Isaia nga ana e tij e shpreh këtë gjë me një mënyrë tepër të gjallë: "Copëtoje bukën tënde me të uriturin, ofroju strehë të pastrehëve të varfër... nëse shikon të zhveshur, vishe... Atëherë drita jote do të shkëlqejë si mëngjesi...Atëherë do të thërrasësh dhe Perëndia do të të dëgjojë; do të jesh ende duke folur, kur Ai do të të thotë: "Po, erdha, jam këtu"... E Perëndia ka për të qenë me ty gjithmonë" (Isaia 58:7-11)Këtë vlerë e theksoi Kisha e hershme në një mënyrë të natyrshme, me krijimin e arkës së përbashkët. Të krishterët e parë vepronin të gjithë njësoj (Veprat 2:44-45), duke pasur si synim barazinë si në gjërat materiale, ashtu edhe në ato shpirtërore. Gojarti thekson se në këtë komunitet nuk ekzistonin fjalët e ftohta "e imja" dhe "e jotja", prandaj dhe në agapitë, darkat e përbashkëta, mbizotëronte ngazëllimi.
Të gjitha këto nuk bëheshin me detyrim, si një lloj kolkozi komunist, por në bazë të vullnetit dhe pranimit të lirë. Kjo barazi e bekuar dhe vëllazërie anëtarëve të të krishterëve të vjetër, vazhdon ende të ruhet në manastire. Askush nuk ka diçka të tijën. Nga igumeni deri te vëllai më i vogël, gjithçka është e përbashkët, si shpirtëroret dhe materialet, ushqimi, rrobat, streha etj. Nëse në kohën tonë, kjo është diçka e paarritshme në nivele kaq të larta të dashurisë, të paktën nuk duhet të biem poshtë nga zbatimi i kushtit më minimal të Ligjit, e në këtë rast vlen ai i Moisiut, që porosiste: 1/10 e të ardhurave duhej të ofrohej për Zotin ose për të afërmin. Ky rregull ka vlerë për gjithsecilin, në masën e të ardhurave që ka, pavarësisht nëse janë të mëdha ose të vogla. Tani le të kalojmë në anën tjetër të problemit: Kur pasuria, e cila vjen nga paraja, është e keqe. "Pasuria e mbledhur me të padrejtë, do të shpërbëhet", na thuhet në librin e Jovit (20:15). Ngjashmërisht, edhe në librin e Isaias, pasuritë e njerëzve të padrejtë shfaqen si diçka e paqëndrueshme. Apostull Pavli i bie kambanës së alarmit kur thotë: "Mos u mashtroni... as lakmitarët... as rrëmbyesit nuk do të trashëgojnë mbretërinë e Perëndisë" (1Kor. 6:9-10). Ky lloj fenomeni i pasurimit në mënyrë të padrejtë, është mjaft i theksuar dhe problematik në ditët tona. P.sh. në epokën tonë janë të shumta spekulimet me ushqimet dhe pijet jocilësore, një fakt që përbën rrezik publik. Ky është një problem që shqetëson sot shumë vende evropiane. Një tjetër plagë, që sjell ky lloj pasurimi, është bindja e madhe në vetvete dhe vetëpëlqimi, i shoqëruar me arrogancë. Paraja i bën mendjemëdhenj, sa nuk kanë mend dhe u mashtron logjikën. Pas kryelartësisë së brendshme, vjen si pasojë e natyrshme, të dukurit dhe mburrja. Njerëzit e tjerë të afërm shikohen me arrogancë dhe mospranim, nuk konsiderohen si ikona të Perëndisë dhe vëllezër të afërm. Në kësi rastesh zakonisht njeriu i përbuz të tjerët, i fyen dhe, në këtë mënyrë, fyen Vetë Birin e Perëndisë e të njeriut, që shpalli se "të vobektët" dhe të dobëtit sipas kritereve të botës janë vëllezërit e Tij (Matth. 25:40-45). Një e keqe tjetër, që sjell pasuria e fituar me padrejtësi, është përkujdesja dhe tensioni i madh që ajo mbart, fakt që cenon deri në shëndetin trupor. Sjell shumë përkujdesje, ankthe, dyshime të liga, pasiguri. Një fjalë e urtë popullore thotë se "puna e shumtë e ha të zotin". Shën Joan Sinaiti thotë se "sikundër valët nuk mungojnë nga deti, po kështu edhe tek ai që do paranë, nuk mungon zemërimi dhe hidhërimi". Apostull Pavli e shpjegon fare qartë këtë fenomen: "Ata që duan të pasurohen bien në tundim e kurthe dhe dëshira të shumta të pamenda e të dëmshme, të cilat i zhysin këta njerëz në humbje dhe shkatërrim" (1 Tim. 6:9). E nuk e tepron aspak. Mjaft të pasur kur u varfëruan dhe u rrënuan, mbërritën deri në gjendje psikotike, të çmendurisë ose dhe të vetëvrasjes. Por përveç faktit se pasuria e mundon atë që e ka, ky i fundit stërmundohet edhe nga cenimi i pasurisë. Ka shumë njerëz që kanë si qëllim të tyre vjedhjen e pasurive të të tjerëve, qoftë në bashkëpunimme të tjerë, siç janë lajkatarët servilë, që konsumojnë paratë e të tjerëve, qoftë keqbërësit "që e kanë këtë profesion të tyre", siç janë hajdutët profesionistë. Eklesiasti në librin e tij thotë se "të shumtë janë ata që iu dhanë rënies për shkak të arit". Fenomeni i humbjes së jetëve njerëzore për shkak të pasurisë është më se i njohur në të gjithë historinë. Nuk janë të paktë njerëzitqë u vranë nga kusarët, kurse "i varfri nuk ka pse të ndihet i kërcënuar" (Fjalët e Urta 13:8). Shën Joan Gojarti na thotë, në fjalën e tij për Llazarin, se "kur pasuria shtohet, atëherë ajo i ngre kurthe atyre që e zotërojnë". Prandaj edhe në fjalët e tij për Eutropin, ai e karakterizon pasurinë si "njerivrasëse".
Pra, paratë na shfaqen si diçka e domosdoshme kur përdoren saktë, por kur shtohen, kthehen në diçka të rrezikshme. Një fjalë e urtë meksikane thotë: "Lyeju me mjaltë dhe do të të hanë grerat". Në këtë përfundim del edhe heroi i trishtë i Dostojevskit, Raskolnikovi: "Të lumur janë sa nuk kanë ndonjë gjë për ta mbajtur me kyç". Në romanin Krim e Ndëshkim, shkrimtari i madh kritikon me penën e tij të fuqishme lakminë e parave,pasurimin me mjete të paligjshme, zemërngurtësinë, shpresën te vetja, kryelartësinë, shpërdorimin, jetën e shfrenuar dhe shkatërrimin e shëndetit, të nervave, të trupit, të vetë shpirtit. Tëgjitha këto fenomene gërshetohen me njëri- tjetrin dhe kthehen në një rrjetë të hekurt, që e mban njeriun të shtrënguar, nga ku është tepër e vështirë të shpëtojë dikush. Po çfarë ozicionimi të drejtë duhet të kemi ndaj pasurisë dhe parasë? Në radhë të parë, njeriu nuk duhet të synojë të pasurohet me të padrejtë, siç na thonë edhe psalmet: "Më mirë është e paktae të drejtit, sesa pasuria e shumtë e mëkatarëve" (Psalm. 36:16). Një mentalitet që tregon besim të paktë, zakonisht shikon nevoja, të cilat i konsideron bindëse dhe të pakundërshtueshme,prandaj edhe njeriu duhet t'i kënaqë të gjitha ato. Shumë më e theksuar është kjo kur bëhet fjalë për nevoja që kanë lidhje me nevoja instinktesh të ulëta. Dostojevski ishte tepër i ashpër në kritikën që i bënte konceptit mondan të epokës së tij. Ky koncept i shtynte njerëzit e asaj kohe të kënaqnin të gjitha dëshirat e tyre pa pasur kufizim e, me përmbushjen e tyre, të jepeshin pas kërkimit edhe të dëshirave të tjera. Nëse një fenomen i tillë ishte problematik për epokën kur jetoi Dostojevski, çfarë mund të themi për epokën tonë, atë të konsumizmit. Shpeshherë dëgjohen ankesa të ndryshme, "nuk ia dal dot mbanë", edhe kur punojnë shumë veta në shtëpi, edhe atëherë kur të ardhurat janë të kënaqshme në disa familje me pakanëtarë- një tjetër problem ky që ka ardhur duke ndryshuar në dhjetëvjeçarët e fundit. Konsumizmi në ditët tona është kthyer në një vorbull të madhe, që thith brenda vetes madje dhenjerëzit e matur e gjakftohtë, nëse kjo kategori shoqërore nuk tregohet e kujdesshme. Kur njeriu futet brenda një mekanizmi të tillë, atëherë duhet të shkojë deri në fund të tij. Edhe gjënë që është e tepërt në jetën tënde, e shikon diçka të domosdoshme e që duhet ta zotërosh me çdo kusht. Në këtë rast mbizotëron kjo logjikë e njohur: "përderisa të gjithë janë të tillë, duhet të jem edhe unë". Duhet të ndash me njerëzit e tjerë të njëjtën mënyrë jetese dhe llojshmëri ushqimesh, pijesh, ëmbëlsirash mbi tryezë, e shoqëruar kjo nga larmia e rrobave nëpër dollapë,disa makina, dhe.... kjo gjë nuk ka fund. Le t'i mbyllim këto mendime me pjesë nga vepra e shën Vasilit të Madh, që ka lidhje me pasurinë: "Ke shumë ara, kaq tokë të mbjellë, kullota, male, pyje, livadhe. Çfarë do të bëhet më vonë me të gjitha këto? A nuk të presin tri pëllëmbë dhe? Nuk të mjafton pesha e ca pllakave që do të ruajnë trupin fatkeq? Për kë po mundohesh? Për hir të kujt po bën gjëra të paligjshme? ... Nuk do të vish kurrë në vete nga kjo dehje? Nuk do ta shërosh mendjen tënde? Nuk do të sjellësh para syve gjyqin e Krishtit? Ngado që të hedhësh vështrimin, do të shikosh pamjen e keqe të të këqijave që shkakton. Këtej janë lotët e jetimit, andej psherëtima e vejushës, diku tjetër ndodhen të varfrit që godite...  Tëgjithë do të ngrenë krye kundër teje, do të të rrethojë rrethi i lig i veprave të tua të këqija. Sepse mëkatet i ndjekin shpirtrat, njësoj si hija trupin, duke i treguar haptazi veprat". Dhe shën Joan Gojarti na thotë: "Nuk mund të jetë i pasur ai që nuk e pasuron shpirtin". Pra, nëse "pasuria vjen, nuk duhet t'i japim zemrën". Sipas Psalmistit dhe sikur bollshëm të rrjedhë përpara nesh, le të mos e lëmë zemrën që të robërohet. Të lumtur janë ata që nuk janë të ngulitur pas gjërave të këtij dheu, edhe nëse jetojnë e janë kalimtarë përmbi dhe, por që e kanë vështrimin e pastër dhe bëjnë thesare në qiej. "Mendoni ato që janë lart, jo ato përmbi dhé" (Kol. 3:2).


Arkimandrit Justin Anthimiadhis

martedì 23 novembre 2010

Pubblicata da Ieromonaco Isidoro (Facebook)

«Solo Dio e la bellezza della liturgia ortodossa hanno riempito il vuoto della mia vita»

Claire Gibault
Claire Gibault è nata nel 1945 a Le Mans, in Francia. Ha imparato il pianoforte e poi il violino prima di formarsi come direttrice d’orchestra. Ha conosciuto una prestigiosa carriera internazionale: Lione, Italia, Europa poi gli Stati Uniti. Alla fine degli anni Ottanta, ha abbracciato l’ortodossia e adottato due bambini. Dal 2004 al 2009 è stata deputata del Parlamento europeo facendo parte della commissione cultura ed educazione e quella dei diritti delle donne. Qui un estratto dell’intervista che ha reso alla rivista francese “Prier” sul suo percorso spirituale.
Lei si data interamente alla musica, da subito.
Claire Gibault: La mia passione per la musica risale all’infanzia. Mio padre è stato il mio primo professore di solfeggio al conservatorio di Le Mans. Sotto la sua guida, complice ma rigorosa, direi severa, sono cresciuta nell’apprendimento delle note e di uno strumento, il pianoforte a cinque anni, poi il violino due anni dopo [...] La musica era per me un secondo linguaggio, in quanto ero di temperamento silenzioso. Mi permetteva di comunicare con mio padre e soprattutto di esprimere le mie emozioni e di farmi molti amici [...] Altrimenti esternavo poco i miei sentimenti.
Poi è diventata direttrice d’orchestra. Un’altra maniera di esternare?
Claire Gibault: Diciamo che questo mestiere mi ha permesso di esprimere il mio temperamento di leader [...] All’inizio puntavo a una carriera di violinista concertista ma [...] la mia professoressa, donna eccezionale, mise fine a questo sogno scoprendo in me alcuni problemi psicomotori che mi avrebbero impedito di divenire virtuosa [...] Ho deciso allora per la carriera di direttrice d’orchestra. Nel 1958… una scelta rara per una ragazzina di appena 13 anni.
Lei ha avuto una carriera prestigiosa in Europa, poi negli Usa. Sembrerebbe una vita appagata.
Claire Gibault: E’ all’Opera di Lione che ho veramente imparato il mestiere, grazie al mio incontro con Claudio Abado. Ci sono rimasta 25 anni e poi da lì sono partita per l’Italia dove ho diretto alla Scala di Milano, all’Opera di Firenze, a Bologna, poi in Gran Bretagna, a Londra ecc. [...] Sono riuscita a far trionfare la mia voglia di perfezionismo cosa che mi spingeva finanche a mostrarmi crudele: se qualcuno suonava male nell’orchestra, lo rimpiazzavo a costo di farlo soffrire [...] In apparenza, quindi, ero appagata e la mia vita artistica appassionante, ma qualcosa restava incompleto in me.
Che cosa le mancava?
Claire Gibault: All’alba dei quarant’anni, sentivo dentro di me un grande vuoto. Non avevo figli, il mio compagno non ne voleva, e la mia vita di donna mi sembrava sminutia. Inoltre, la mia lotta per la gloria, il potere e il denaro erano fonte di frustrazioni, amarezza, disperazione, a causa dell’egocentrismo, del narcisismo, della megalomania che, in questo tipo di mestiere, mina le relazioni. E’ allora che ho scoperto l’ortodossia… dopo una lunga ricerca nella psicanalisi e poi nella chiesa cattolica. Una domenica, andando in una parrocchia ortodossa a Parigi, ho sentito una dolcezza e una gioia incredibili, luminose. In questa liturgia, tutto mi parlava: la lingua, la forza dei canti che colmavano la musicista che era in me così che mi sentivo parte integrante del tutto. E durante la comunione, ho sentito la presenza di Dio, amorevole e guaritrice. Questa liturgia cantata mi comunicava il gusto del Mistero.
Cosa ha scoperto nell’ortodossia?
Claire Gibault: Per gli ortodossi la preghiera non è qualcosa d’astratto, di mentale. Così, durante gli uffici, il corpo è messo in moto da frequenti prosternazioni chiamate “metanìe” in relazione con la respirazione, il soffio. L’incenso sollecita l’odorato; la musica e i canti ad alta voce, una grande apertura… La preghiera del cuore o preghiera di Gesù, poi, mi fa passare dall’intelletto al cuore, cioè verso un’interiorità che favorisce l’ascolto dello Spirito Santo. Questa preghiera permette di respingere i pensieri nefasti, pieni di orgoglio, di asprezza o di amarezza che lasciamo entrare in noi. Forte di queste scoperte, ho abbracciato l’ortodossia nel 1984, a 39 anni. Sulla scia di questo evento, ho adottato due bambini di Togo, José nel 1988 ed Elisa nel 1991.
Il suo percorso ha generato in lei una trasformazione. Infatti, lei ha interrotto la sua carriera per diventare deputata europea.
Claire Gibault: Questa dimensione corporea della spiritualità mi ha portata all’incarnazione. Ciò ha cambiato la mia maniera di dirigere l’orchestra. Fino a quel momento, infatti, dirigevo con la parte alta del corpo, in maniera piuttosto cerebrale come fossi divisa in due. Ho cercato sempre di più l’intregralità del mio essere. La mia direzione ne è risultata più sensuale, più docile, più rotonda. Mi sono sentita riunificata, pacificata nel mio rapporto con la musica. Anche i rapporti con i musicisti sono cambiati. Ho imparato ad ascoltare meglio il loro punto di vista e ad armonizzare le loro proposte. Con una vera dolcezza, ben più efficace dei modelli di autorità su cui mi ero appoggiata [...]
Cosa è essenziale per lei oggi?
Claire Gibault: La preghiera, perché, secondo san Serafino di Sarov, “scopo della vita è acquisire lo Spirito Santo”. Pregare senza posa per non scoraggiarmi davanti alle mie imperfezioni, le mie passioni e i mie problemi irrisolti. Lavorare sull’ego. In dodici anni, il mio padre spirituale, padre Syméon (scomparso nel 2009), mi ha sempre ripetuto che bisogna tenersi sulla cresta della disperazione. Lo sento ancora dirmi: “Pazienza. Pazienza. Pazienza, amore e umiltà”. Collego le sue parole al consiglio di San Silvano: “Mantieni il tuo spirito agli inferi e non disperare”.
C’è qualche consiglio che vuole dare ai lettori?
Ripetere la preghiera di Gesù “Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi misericordia di me, peccatore”, con lo spirito, il cuore, le labbra e, se possibile, ad alta voce: incarnarla con una grande dolcezza, con un ritmo regolare, ovunque ci si trovi, non importa in che occasione, per porre tutte le proprie azioni, tutta la propria vita sotto lo sguardo di Dio. Questa preghiera ci aiuta a guarire dalla schiavitù delle nostre passioni, a liberarci dei pensieri negativi, a cercare l’umiltà e ad andare al di là della nostra preghiera individualista per raggiungere una comunione più ampia. Permette di unificare il corpo, il cuore e lo spirito. Così, se la preghiera ci unisce a Dio, dovrebbe anche ravvicinarci agli uomini.
Quali altre prieghiere ama?
Re sovraceleste, Paraclito, Spirito di verità, Tu che sei in ogni luogo e tutto ricolmi, scrigno di bene e datore di Vita, vieni e sii con noi e purificaci da ogni macchia e salva o Tu che sei buono le nostre anime. Amo questa preghiera per la sua bellezza: sottolinea che nessuna preghiera è possibile senza la potenza dello Spirito Santo. Poi, amo la preghiera di Sant’Efrem che si ripete quotidianamente durante il periodo di Quaresima. Essa ci aiuta ad esaminare i punti negativi della nostra esistenza poiché ci dona le chiavi di una possibile metanìa (trasformazione). Le metanìe, prosternazioni, che vengono compiute durante questa preghiera ci ricordano che il nostro corpo deve essere riportato alla sua vera funzione, ovvero quella di tempio dello Spirito.

tradotto da “Prier”, n.325, oct. 2010, pp. 4-7


Pubblicata da Ieromonaco Isidoro (Facebook)

San Silvano e le altre chiese cristiane

Siamo giunti a conoscenza di una conversazione avvenuta tra lo Staretz ed un archimandrita che svolgeva un’attività missionaria tra i non ortodossi. Questi stimava molto lo Staretz e, durante i suoi soggiorni alla Santa Montagna, si recò diverse volte a conversare con lui. Lo Staretz li domandò come predicasse. L’archimandrita, ancora giovane ed inesperto, esclamò gesticolando  e muovendo tutto il suo corpo: « Io dico loro: “ la vostra fede è fornicazione. In voi ogni cosa è deformata, tutto è falso, e non sarete salvati se non vi pentirete ” ». Lo Staretz lo stette ad ascoltare, quindi gli chiese: « Dimmi un po’, Padre archimandrita: credono in Gesù Cristo, credono nel vero Dio? «Sì, in  questo credono ». « E venerano la Madre di Dio? » « Sì la venerano; ma la loro dottrina è falsa ». « Venerano i santi? » « Sì, li venerano, ma quali santi ci possono essere tra di loro dato che si sono separati della Chiesa? » « Celebrano gli uffici nella loro chiesa, leggono la parola divina? » « Sì, celebrano degli uffici nelle loro chiese, mas e voi vedeste cosa sono questi uffici in confronto ai nostri… che freddezza, che assenza di vita! » « Ebbene, padre archimandrita, la loro anima sa che fanno bene a credere in Gesù Cristo, venerare la Madre di Dio e i santi, e recitare le loro preghiere, se voi quindi dite loro che la loro fede è fornicazione non vi ascolteranno…  Provate invece a dire a questa gente che essi fanno bene a credere in Dio; fanno bene a venerare la Madre di Dio e i santi; fanno bene ad andare in chiesa per gli uffici divini, pregare in casa, leggere la parola divina e tutte le altre cose; ma che su questo e quest’altro punto sono nell’errore, che solo correggendo questi errori tutto andrà meglio. Il Signore allora si rallegrerà di loro e così saremo tutti salvati dalla misericordia di Dio. Dio è Amore; per questo ogni predicazione deve, anch’essa, procedere dall’amore e solo allora sarà salutare per chi predica e per chi ascolta. Ma se voi condannate, l’anima del popolo non vi ascolterà e non si giungerà a nulla di buono ».

San Silvano athonita
da Archimandrita Sofronio
Silvano  el Monte Athos

Il Pollino


Questo è il Monte Pollino di fronte al paese di San Basile (CS). 
Questa mattina l'abbiamo trovato coperto di neve e pieno di 
neri nuvoloni che non promettono niente di bello.
Comunque questa è già la terza volta in questo mese che la neve fa 
capolino sul monte che divide la Calabria dall Basilicata.
La giornata è uggiosa, con la pioggia che cade ad intermittenza, 
mentre nella notte la pioggia è caduta abbondante.

lunedì 22 novembre 2010


La commemorazione dei defunti

di san Giovanni di Kronstadt

Panikhída per i defunti e benedizione dei kolivi

 La santa Chiesa Ortodossa, come madre attenta, innalza preghiere ogni giorno, in ogni ufficio divino, per tutti i suoi figli partiti nel paese dell’eternità. Ecco come: all’ufficio di mezzanotte sono letti i tropari e le preghiere per i defunti, e si fa memoria di loro nell’ektenia finale. Lo stesso alle compiete. Ai mattutini e ai vespri, durante l’ektenia chiamata “ardente”: “Abbi pietà di noi, o Dio…”. Nel corso della divina Liturgia sono commemorati tre volte: alla protesi, all’ektenia dopo l’Evangelo e dopo la santificazione dei doni, al momento dell’inno: “È veramente degno…”.

Così la santa Chiesa prega senza interruzione, e generalmente, per tutti i nostri antenati, padri, fratelli e sorelle, che ci hanno preceduti. Ma il nostro santo obbligo, è di preoccuparci noi stessi della salvezza dell’anima dei nostri defunti che non possono fare nulla di utile per sé stessi, nella vita dell’oltretomba, per i peccati che hanno commesso sulla terra. Sperano in noi e attendono il nostro aiuto, in noi che siamo i loro prossimi, i loro genitori, o che li abbiamo conosciuti.
 Ecco quale aiuto possiamo fornire loro: la nostra preghiera offerta con fede ed amore, nei templi di Dio e nelle case private; le opere buone che compiamo in loro memoria; ma la principale e più efficace per ottenere la misericordia divina per i defunti, è la liturgia per i morti, o l’offerta del sacrificio incruento per la loro salvezza. Là, il Signore stesso è segretamente immolato sull’altare, e con ciò, porta la misericordia divina a perdonare al defunto i suoi peccati, per il quale intercede il più Grande degli Intercessori, ed è portato il sacrificio più Santo e più Potente. San Cirillo di Gerusalemme dice: “Preghiamo per tutti i defunti per i quali è offerto sull’altare il Sacrificio santo e terribile, nella fede che queste anime ne ricevono un profitto immenso”. Le particole prelevate dalle prosfore in ricordo delle anime dei defunti, nel corso della Divina Protesi, sono immerse nel Sangue Vivificante di Cristo, mentre il sacerdote pronuncia: “Lava, Signore, con il tuo Sangue prezioso e le preghiere dei tuoi santi, i peccati di quelli di cui è stata fatta qui memoria”. Ecco il significato immenso che ha per i defunti, al momento della Divina Liturgia, l’offerta delle prosfore e dei dittici che portano i loro nomi.
 La santa Chiesa compie a nostra richiesta, un ufficio particolare in memoria di ciascuno dei nostri padri o parenti defunti, nei giorni della loro commemorazione; ma soprattutto nelle date importanti dopo il loro riposo, che sono il terzo, il nono, il quarantesimo giorno, ed il giorno anniversario. La commemorazione in questi giorni viene dalla tradizione apostolica, istituita per le seguenti ragioni:

Al terzo giorno, perché il defunto è stato battezzato nel nome del Padre, del Figlio e del Santo Spirito, Dio Uno nella Trinità; in seguito perché ha conservato le tre virtù teologali, che sono la base della nostra salvezza, cioè, la fede, la speranza e l’amore; in terzo luogo perché nel suo essere interiore c’erano tre forze, la ragionevolezza, la sensibilità e la volontà, con le quali, tutti pecchiamo e, poiché gli atti dell’uomo si esprimono in tre modi: azione, parola e pensiero, commemorando il terzo giorno, preghiamo la Santa Trinità di perdonare al defunto tutti i peccati che ha commesso con queste tre forze in azione.

Al nono giorno, perché l’anima del defunto sia resa degna dell’unione nel cuore dei Santi con le preghiere e l’intercessione dei nove ordini angelici.

Al quarantesimo giorno, in riferimento alla tradizione degli Apostoli, che hanno dato forza di legge nella Chiesa di Cristo all’uso ancestrale degli Ebrei di piangere i morti per quaranta giorni, la santa Chiesa dai tempi più antichi ha costituito come regola di fare memoria dei defunti durante quaranta giorni ed in particolare il quarantesimo.

Così come Cristo ha sconfitto Satana, restando quaranta giorni in digiuno e preghiera, esattamente allo stesso modo la santa Chiesa, offrendo durante quaranta giorni le preghiere, i doni e i sacrifici incruenti in onore del defunto, domanda per lui al Signore la grazia di vincere il nemico, il principe delle tenebre e ricevere in eredità il Regno Celeste.

La commemorazione dei defunti ad un anno dal giorno della loro morte, ed ogni anno successivo, si compie per rinnovare il nostro amore per loro con preghiere ed opere buone. Il giorno della loro fine è in un certo qual modo la loro seconda nascita, per la nuova vita eterna. La santa Chiesa ha istituito in più giorni particolari, che si chiamano “ancestrali”, per una commemorazione solenne ed universale di tutti coloro che sono morti nella vera fede. Tali sono:
 
- Il sabato di Carnevale, cioè il sabato che precede la “Settimana dei latticini” (questo giorno sono commemorati principalmente coloro che sono defunti di morte non naturale, ad eccezione di quelli che si sono suicidati).

- Tre sabati della Grande Quaresima: il secondo, il terzo ed il quarto.

- Il lunedì o il martedì della “settimana di Tommaso” (che segue la “Settimana luminosa” di Pasqua) chiamati Radonitsa.

- Il sabato che precede la Pentecoste, cioè, la vigilia della festa della santa Trinità.

- Il sabato che precede il 26 ottobre, o “sabato di Dimitri”, istituito dal Grande Principe Dimitri Ioannovitch Donskoï, per la memoria eterna dei soldati uccisi sul campo di battaglia di Koulikovo (l’8 settembre 1380).

- Il 29 agosto, giorno della decollazione di san Giovanni il Precursore.
 
“Sforziamoci, dice san Giovanni Crisostomo, di aiutare i defunti per quanto possibile: invece di lacrime, invece di singhiozzi, invece di tombe sontuose: le nostre preghiere per loro, le opere buone e i doni, affinché così, sia loro che noi, riceviamo le bontà promesse”.

Ciascuno di noi aspira a ché dopo la nostra partenza da questa vita i nostri parenti non ci dimentichino e preghino per noi. Affinché questo si compia, dobbiamo noi stessi amare i nostri parenti defunti. Con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio (Luca 6, 38), dice la parola di Dio. È per questo che Dio, ed anche gli uomini, si ricorderà, al momento della sua morte, di colui che avrà commemorato i defunti.

Prega il Signore per il riposo dei tuoi antenati, padri e fratelli defunti, ogni giorno, mattina e sera, e che la memoria della morte viva in te, e che la speranza di un’altra vita dopo la morte non si estingua in te, e che il tuo spirito si umili ogni giorno al pensiero della rapidità con la quale passa la tua vita.

L’uomo morto è un essere vivo: Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui (Luca 20, 38). L’anima vola invisibilmente presso il corpo, ed i luoghi dove amava trovarsi. Se è morta nei peccati, non può disfarsi dei loro legami ed ha un grande bisogno delle preghiere dei vivi e soprattutto della Chiesa, la santissima sposa di Cristo.

Preghiamo, così, sinceramente per i morti, questo beneficio immenso è per loro più grande della beneficenza per i vivi.

Fratelli! Qual è lo scopo della nostra vita sulla terra? È, dopo la nostra prova nelle afflizioni e le disgrazie terrestri, e dopo un perfezionamento progressivo nelle virtù con l’aiuto dei doni beati ricevuti nei misteri, di riposare in Dio alla nostra morte: il riposo del nostro spirito. Ecco perché cantiamo per i morti: “Da riposo, Signore, all’anima del Tuo servo”. Desideriamo il riposo per il defunto, termine di ogni desiderio, e preghiamo Dio per questo. Non è irragionevole allora, affliggersi enormemente a proposito dei morti? Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo (Matteo 11, 28), dice il Signore. Ecco i nostri defunti, che si sono addormentati in una fine cristiana, giungono a questa chiamata del Signore, e si riposano. Perché allora affliggersi?

Cosa è dunque la nostra vita? Una candela che brucia. Basta soltanto a Colui che l’ha donata, di soffiarvi sopra, ed essa si spegne. Che cos’è la nostra vita? Il cammino del viaggiatore: arrivato ad un certo limite le porte si aprono davanti a lui, lascia il suo abito di pellegrino (il suo corpo) ed il suo bastone, ed entra nella sua casa. Che cos’è la nostra vita? Una guerra lunga, cruenta, per la conquista della vera patria e della vera libertà. La guerra è terminata: che siate vincitori, o sconfitti, siete chiamati dal luogo della battaglia, verso quello della ricompensa, e ricevete dal Tesoriere, o la ricompensa e la gloria eterna, o la punizione e la vergogna eterne.

La preghiera è il legame d’oro del cristiano, viaggiatore e straniero sulla terra, con il mondo spirituale di cui fa parte, e soprattutto con Dio; l’anima è venuta da Dio, ed è verso Dio che ritorna sempre attraverso la preghiera. La preghiera porta un grande vantaggio a colui che prega: allevia l’anima ed il corpo, dà il riposo non soltanto all’anima di colui che prega (Io vi darò riposo – Matteo 11, 28), ma anche a quelle dei nostri antenati, padri, fratelli e sorelle, già arrivati.

Vedete allora l’importanza della preghiera!

Significato del “Kolivo”, del turibolo e delle candele

Il “kolivo” o “koutia” consiste in grano cotto con miele. Il grano significa qui che i morti risusciteranno fuori delle loro tombe nel giorno della Risurrezione generale. Come il chicco di grano seminato in terra marcisce inizialmente e sembra morire, quindi rinasce e porta dei frutti. Il Salvatore stesso ha detto ai Suoi discepoli: In verità, in verità vi dico che se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto (Giovanni 12, 24).

Il miele che addolcisce il grano designa le delizie di cui sarà colmato il defunto per l’eternità.

Il turibolo materializza il profumo delle preghiere elevate per il morto, come dice il salmista: Si elevi la mia preghiera come incenso davanti a te (Salmo 140, 2).

Le candele sono l’immagine di questo mistero: colui che ha vissuto secondo la legge di Dio, nella Luce della fede Ortodossa, è trasferito dalla vita oscura di quaggiù, verso la Luce Celeste.

Tratto da: san Giovanni di Kronstadt, La mia Vita in Cristo

Traduzione a cura di © Tradizione Cristiana


domenica 21 novembre 2010

Dal Patriarcato di Mosca

Il Patriarca Kirill: «il cristianesimo non è teoria, né mitologia, né ideologia, né rituale, ma prima di tutto vita»

Dal 15 al 18 novembre è in corso a Mosca, presso il Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato, la VI conferenza teologica internazionale della Chiesa Ortodossa Russa, intitolata: «La vita in Cristo: etica cristiana, tradizione ascetica e sfide dell’epoca moderna».
Scopo della conferenza è di focalizzare le vie della testimonianza cristiana nel mondo secolarizzato di oggi. Ha aperto i lavori Sua santità il Patriarca di Mosca e tutte le Russie Kirill. Nel suo discorso di saluto ai partecipati, egli ha detto che la dottrina cristiana deve riflettersi nella vita quotidiana di ogni credente. «Un grande problema della nostra vita ecclesiale di oggi sta nell’incapacità della teologia e, di qui, della predicazione, di attualizzare il messaggio cristiano», ha affermato il Patriarca. Compito dei teologi è di aiutare tutti i fedeli a capire la Parola di Dio nel contesto del giorno di oggi: «ciò significa un’autentica testimonianza di Cristo, Salvatore del mondo, a livello intellettuale».
Il Primate della Chiesa Russa ritiene che la Chiesa debba entrare «nel contesto della vita quotidiana di ogni uomo, aiutandolo ad accogliere dall’interno i comandamenti eterni divini, a partire dalle sue esigenze e necessità reali, a stabilire le propria scala di valori». Il Patriarca ha affermato che il cristianesimo non è teoria, né mitologia, né ideologia, né rituale, ma prima di tutto vita»; «la Chiesa nel suo insieme, e ognuno dei suoi membri, sono chiamati a testimoniare del senso e della pienezza della vita in Cristo».
Il Patriarca nel suo intervento ha ancora detto che «è estremamente importante attualizzare il messaggio ascetico della Chiesa per l’uomo contemporaneo, aiutare la gente a capire che fuori dalle norme etiche non esiste alcuna vita umana, e che la sopravvivenza della civiltà umana dipende direttamente da quell’ordine di vita che Dio ha proposto all’uomo attraverso la sua Parola».
Dopo l’intervento di apertura del Patriarca, il metropolita Filaret di Minsk e Slustsk, presidente della Commissione biblico-teologica Sinodale, ha illustrato il programma della conferenza.
Alla conferenza partecipano rappresentanti praticamente di tutte le Chiese Ortodosse, teologi e intellettuali russi e stranieri, eterodossi. L’ultimo giorno, il 18 novembre, sotto la presidenza del metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del patriarcato di Mosca, si svolgerà una tavola rotonda sulle questioni attuali della testimonianza ortodossa al mondo di oggi.

Dal sito amico: Eleousa.net

La Madre di Dio "Pelagonitissa"
 editoriale di Fernanda Santobuono

L’Icona della Madre di Dio “Pelagonitissa” è uno dei tipi più sorprendenti dell’iconografia perché si allontana di molto dalla concezione solenne delle Madonne bizantine. Il Bambino Gesù non troneggia sulle braccia della Madre, come nell’Icona della Odighitria, ma con un originale movimento si rivolge verso di Lei e, tenendo la testa rovesciata, sfiora con una mano la guancia della Madre. Il Figlio di Dio è raffigurato come un ragazzino che gioca e si agita. Per questo, gli iconografi russi chiamavano questo tema, largamente diffuso nel Medioevo, il “gioco del Bambino” e gli storici contemporanei vedono in esso una variante dell’Eleuosa, la “Vergine della Tenerezza”. Infatti questo tipo riflette, come nessun altro, le caratteristiche di una spiritualità affettiva ed emozionale.
Le prime opere risalgono alla fine del XII secolo. Le più antiche rappresentazioni si trovano in una miniatura siriana nel Salterio del Museo Britannico dell’anno 1203, in una miniatura di un vangelo serbo del secolo XIII, a Prizren in Kosovo, e in un affresco della chiesa di S. Giorgio a Staro Nagoricino (Macedonia) del 1318, che riporta l’iscrizione “Moldavskaja” e, ovviamente, sul Monte Athos. Un’altra copia di origine macedone, del XV secolo, si trova nella collezione del Monastero di Santa Caterina sul Monte Sinai.
Nel monastero di Decani, in Kosovo, il sarcofago del re fondatore Stefano Dečanski (1285-1331), nella cattedrale del Cristo Pantocrator, si trova accanto all’Icona della Madre di Dio “Pelagonitissa” (XIV secolo). La cattedrale è la più grande chiesa medievale dei Balcani, celebre per i suoi affreschi, più di mille, sul Nuovo Testamento.
Quando si contemplano immagini antiche di questo tipo, si è sorpresi nel notare che l’espressione dei due volti è grave, perfino angosciata. E il movimento del corpo del Bambino non è quello di un bimbo turbolento, bensì di un bambino che si agita perché ha paura. Può darsi che questo fatto sia dovuto allo stile del tempo che presentava soggetti gravi, ma può darsi anche che questa Icona abbia avuto all’inizio un altro significato. In quell’epoca la Passione aveva un grande ruolo nella devozione del popolo. Anche l’Icona della “Vergine di Vladimir”, della stessa epoca, reca nel retro i simboli della Passione.
La Pelagonia era la regione della Macedonia, la cui capitale era Monastir, oggi Bitola e questo sta a significare che l’originale dell’Icona era venerato in questa regione e l’iscrizione “Moldavskaja” la sua grande diffusione nei paesi dei Balcani.
Questa regione fu teatro della Battaglia di Pelagonia nel 1259, la cui vittoria da parte dell’Impero di Nicea sul Principato d’Achea determinò la riconquista di Costantinopoli nel 1261.
Nel VI secolo dC il territorio dei Balcani, che apparteneva all'Impero bizantino, fu meta della migrazione dei Serbi, un popolo allora pagano proveniente dal Nord Europa. Il loro insediamento stabile risale al periodo del regno dell'Imperatore Giustiniano (527-565 dC). La loro cristianizzazione, invece, fu molto più tarda sebbene i loro vicini Croati e Bulgari avevano abbracciato il Cristianesimo già secoli prima. Missionari cristiani giunsero presso le tribù serbe da Salonicco e Costantinopoli, ma anche dalle città costiere dell'Adriatico, dove esistevano comunità cristiane pre-slave che erano state oggetto di invasioni e devastazioni da parte di tribù nomadi nel IV e V secolo. Le fonti attestano battesimi di massa tra i Serbi già nel VII secolo, durante il regno dell'Imperatore Eraclio (610-641), ma la conversione definitiva iniziò quando Re dei Serbi era Mutimir mentre Basilio il Macedone era Imperatore di Bisanzio (812-886). Un fortissimo impulso alla cristianizzazione dei Serbi fu dato dai fratelli Cirillo e Metodio chiamati dal principe Ratislav ad evangelizzare la Pannonia e la Moravia.
Col passare del tempo, si consolidò una struttura ecclesiastica puramente slava che faceva capo alla chiesa autonoma bulgara. L'allora Imperatore di Bulgaria Samuele (976-1014), creò un Patriarcato con sede ad Ocrida (nell'attuale Macedonia); esso fu ridotto ad Arcivescovado dopo la conquista della Bulgaria da parte dell'Imperatore di Bisanzio Basilio II. In quello stesso periodo, sulle coste dell'attuale Montenegro, era fiorente il Principato di Doclea. Il suo sovrano, Jovan Vladimir (+1016), genero di Samuele di Bulgaria, aveva la fama di uomo pio e devoto, costruì chiese e tenne in gran conto l'educazione religiosa dei suoi sudditi, affidata al clero slavo. La Doclea, però, non era una nazione politicamente stabile, trovandosi vicina ai due grandi imperi dell'area, quello bizantino e quello bulgaro. Nel 1067, il Papa creò l'Arcidiocesi di Antivari (l'attuale Bar). Nel 1077 il Principe Mihailo, per scrollarsi di dosso il potere bizantino, chiese ed ottenne da Roma la corona di Re. Fu così che, proprio dalla terra del pio Jovan Vladimir così legato alla spiritualità orientale, iniziò un processo di latinizzazione del cristianesimo, che arrivò a lambire altre aree della zona, comprese le terre abitate dai Serbi. È importante sottolineare che ciò avvenne dopo il 1054, anno in cui si consumò lo scisma d'oriente, la divisione tra la Chiesa cattolica e quella Ortodossa.
Nel 1183, il principe di Raška, Stefan Nemanja (1169-1196) conquistò la Doclea e l'annesse ai suoi territori. Distrusse la città di Antivari, sede dell'Arcivescovado latino, e pose la chiesa sotto l'influenza spirituale di Bisanzio. Intese riunire la maggior parte delle popolazioni serbe in un unico stato e pertanto intraprese numerose guerre di espansione. In politica estera, si alleò con l'Impero bizantino, e sul versante religioso sposò le posizioni ortodosse. Cristiano fervente, fece costruire numerosi edifici religiosi, tra cui i monasteri della Madre di Dio e quello di San Nicola a Toplica, la chiesa di San Giorgio a Novi Pazar, il monastero di San Panteleimon a Niš e il celebre monastero di Studenica, definito la madre di tutte le chiese serbe, in cui riposa il suo corpo.
Nella tormentata vicenda dei Balcani e della Serbia, che affligge ancora questa ‘terra di passaggio’, punto d’incontro e di frizione tra civiltà, i complessi monumentali hanno costituito spesso l’unico ‘segno’ di sopravvivenza ‘materiale’ per interi gruppi nazionali e culturali. Legati all’orgoglio delle origini, essi sono diventati nei secoli simbolo della ‘resistenza’ della propria identità anche nei periodi di allontanamento, di silenzio e di paura. La distruzione e ricostruzione di singoli edifici o di interi nuclei conferma come il bisogno di radicamento nella propria storia collettiva abbia incentivato la conservazione del patrimonio culturale.
Gli organismi internazionali – anche volendolo - non possono garantire da soli la sopravvivenza dei monumenti giudicati “patrimonio dell’umanità”, se questi non saranno “vissuti” da chi, attraverso drammatiche vicende, ha consentito che giungessero fino ad oggi.
La “chiusura” ideale verso interi Paesi, causata da separazioni e conflitti, ha sempre creato forti danni all’unità della conoscenza. Solo nel 19° secolo il nuovo interesse nei riguardi dei popoli che si liberavano dalle antiche dominazioni e il desiderio degli intellettuali balcanici di riallacciarsi alle proprie radici, nel periodo in cui si formava il nuovo Regno di Serbia, portarono alla ripresa e alla protezione di quanto sopravvissuto: sulle mura delle chiese monasteriali costruite tra la fine del XII e la metà del XV secolo restavano, pur danneggiati, complessi pittorici di altissimo rilievo, più numerosi che in altri centri dell’antico Impero bizantino. Tra questi, l’Icona della Madre di Dio Pelagonitissa assume un ruolo fondamentale nella posizione che la Chiesa ortodossa serba riveste oggi nel mondo dell’Ortodossia. Sotto la sua giurisdizione ricadono i fedeli che vivono in Serbia, Montenegro, Bosnia Erzegovina, Macedonia e Croazia.