giovedì 19 luglio 2012

       DOMENICA 22 Luglio 2012 


  VII   di  Matteo 
 Tono VI
San Pancrazio Vescovo di Taormina
 

Tropari: Tono VI
Ангельския силы на гробе Твоем и стрегущии омертвеша, и стояше Мария во гробе, ищущи Пречистаго Тела Твоего. Пленил еси ад, не искусився от него; сретил еси Деву, даруяй живот. Воскресый из мертвых, Господи, слава Тебе.
Яко стрела огнезрачная, от Верховнаго послан был еси Тавроменийскому престолу уязвляти безбожных злочестие, верных же сердца просвещати, яже боговещанными твоими словесы в вере утвердив и течение совершив, пострадал еси до крове, священномучениче Панкратие, моли за вся, поющия память твою.

Слава Отцу, и Сыну, и Святому Духу.

Православныя веры поборниче, земли Российския печальниче, пастырем правило и образе верным, покаяния и жизни во Христе проповедниче, Божественных Таин благоговейный служителю и дерзновенный о людех молитвенниче, отче праведный Иоанне, целителю и предивный чудотворче, граду Кронштадту похвало и Церкве нашея украшение, моли Всеблагаго Бога умирити мир и спасти души наша.


И ныне и присно и во веки веков. Аминь.

Благословенную нарекий Твою Матерь, пришел еси на страсть вольным хотением, возсияв на Кресте, взыскати хотя Адама, глаголя Ангелом: срадуйтеся Мне, яко обретеся погибшая драхма. Вся мудре устроивый, Боже наш, слава Тебе. КондакЖивоначальною дланию умершия от мрачных удолий Жизнодавец воскресив всех Христос Бог, воскресение подаде человеческому роду: есть бо всех Спаситель, воскресение и живот, и Бог всех.
 
 
Celebrazione delle Ufficiature:
 
Sabato 21 Luglio 2012, Ore 17.00
VESPRO
 
Domenica 22 Luglio  2012: Ore 10.00
DIVINA LITURGIA

  Chiesa Ortodossa 
 Patriarcato di Mosca
Parrocchia di
San Giovanni di Kronstadt
Palazzo Gallo - P.zza Vittorio Em. II 
(di fronte la pizzeria da Armando -
seguendo Corso Garibaldi a destra)
Castrovillari (cs)

 
Carissimi Fedeli Ortodossi di 
Castrovillari e del circondario, 
carissimi Arbëreshë  dei paesi viciniori,
(San Basile - Frascineto - Ejanina - Civita)
 come sempre vi aspetto numerosissimi,
 per celebrare con Voi le Ufficiature 
della Vostra Chiesa e della Vostra
 Santa Tradizione Ortodossa.
Per qualsiasi informazione chiamate
 il Parroco al: 3280140556

mercoledì 18 luglio 2012

Un pensiero 'moderno' senza velinature preso da Facebook e scritto dal carissimo Prof. Franco Marchianò ka Spixana (Spezzano Albanese) su nuove ricerche sulla condizione effettiva dei nostri avi venuti in italia..............

NUOVI ORIENTAMENTI STORIOGRAFICI ALBANESI
 
 In un breve saggio, presentato nel 2001, il giovane ricercatore Sokol Dedja affronta l'annoso dibattito delle migrazioni albanesi verso l'Europa, l'Italia in particolare, nel tardo medioevo (XIV-XV sec.). L'autore esclude una diaspora dovuta a motivi religiosi, mito che ha alimentato fino a qualche tempo fa la storiografia e la letteratura arbereshe, ma punta il dito verso motivi economici, dovuti alla natura ostile dell'Albania dell'epoca e dal rigido feudalesimo dei signori locali che non avevano una visione moderna della gestione della propria economia. Intere masse di contadini si spostano a livello di nomadismo, attorno al 1315, verso la Grecia e verso le coste albanesi, spinte dal miraggio dell'Italia felix (Ducellier, 1986, Doumerc, 2009). Il primo che indirizzò le ricerche verso le motivazioni fu Braudel (1982), forse preceduto dall'Anselmi (data?). Terribile è il dato che viene fornito dal Bresc (1972), il quale parla addirittura di albanesi venduti forse come schiavi in Sicilia alla fine del '300!! Tali affermazioni si desumono dalla consultazione di rogiti notarili. Ma il Doumerc addirittura accusa il principe Karl Thopia di vendere i suoi sudditi come schiavi a mercanti che operano nell'area mediterranea!!! Secondo Doumerc molti albanesi, che non potevano pagare il viaggio, firmavano contratti inumani pur di scappare dalla loro terra e dai loro feroci feudatari.

Concludendo: anche la storiografia arbereshe va riscritta, altroche Moj e bukura More e paesi di montagna che ricordavano l'Albania, la visione romantica degli Arberesh deve andare nella spazzatura. La realtà che ci mostrano le ricerche è ben altra!!! Nomadi erranti in terra straniera per incapacità dei propri signori, rivolte in Albania contro i Turchi accolti prima con sollievo e poi rivelatisi feroci come i signori di prima, contadini messi ai confini veneti per difendere la propria quota di terra e quindi la Serenissima, soldati mercenari costretti ad efferatezze pur di arrotondare lo stipendio, questa è la realtà che emerge da documenti inediti. Alcuni Arbereshe che per secoli si sono ammantati di nobiltà possono mettersi l'anima in pace, la realtà, la dura realtà era quella descritta dal Marafioti (1595): poveri nomadi piangenti  una terra abbandonata, poveracci che abitavano in luridi tuguri assieme alle bestie. Marafioti diceva: "... non si trova homo nobile ma fan tutti vita uguale ...!!! 
Rrini mire!!!
(E' tempo che i nostri validi ricercatori facciano passi indietro e riprendano ad essere dei veri 'topi di biblioteca, alla ricerca delle nostre radici e non quelle fantastiche che si narravano nelle notti d'inverno accanto al fuoco che scoppiettava. Sicuramente la stragrande maggioranza delle notizie che riguardano la nostra diaspora non sono state scritte, anche perchè, secondo me, il mito dell'accoglienza benevola da parte di Papi, Vescovi, Feudatari e stata scritta da persone che in queste "Stanze" ci hanno mangiato ed anche bene a discapito della Verità che al popolo italo-albanese, impegnato a sopravvivere, non avrebbe, interessato, vista anche l'analfabetismo e l'ignoranza cultural-scolastica imperante. Certamente nascosti da qualche parte ci sono, e ne sono sicuro, tutte le notizie che ci riguardano. I preti ed i Vescovi latini segnavano tutto e tutto mandavano a Roma al Vaticano per chiedere come comportarsi nei confronti di questa gente che non voleva sentir ragioni di accettare la confessione papista ed eretica, anzi si comportava come se fosse nella sua terra di origine rispettando tutto ciò che era prescritto dai canoni della confessione "Ortodossa" (Basta andare a leggere la storia della Diocesi di cassano Jonio di P. Francesco Russo). Non per nulla i preti italo-albenesi si guardavano bene durante la Divina Liturgia di nominare il papa di Roma, ma nominavano il Patriarca di Costantinopoli. I documenti ci sono, saranno ben nascosti, ma è tempo dopo oltre 5 secoli, che chiunque sappia, abbia il coraggio di parlare e di mostrare i documenti reali e non quelli a cui nessuno più crede. Siamo stufi di essere presi per i fondelli: "Avrei voluto vedere i Principi Sanseverino avessero dare a questi poveracci, per coltivarli, le fertili terre della pianura di Sibari!!!!! Mica scemi, hanno dato, allontanandoli e facendo finta di accoglierli amorevolmente, le terre inospitali da dissodare delle montagne. 'Andate a zappare e state calmi, sudate e fatevi un...mazzo tanto......', così probabilmente avranno ragionati questi signori. E noi.????...Giù pianti e canti che ricordavano la BELLA TERRA DI ORIGINE...... Sicuramente pianti perchè si dovevano alzare all'alba e ritornare anche dopo il tramonto del sole, quindi si partiva con il buio e si ritornava con il buio; e la sera probabilmente non avevano neanche di che sfamare i loro piccoli. Canti...anche, almeno dimostravano nella loro miseria di sapersi adattare facendo finta di essere “felici”.Andiamo a vedere cosa chiedevano ai nostri Avi i Signorotti, che fossero Abati o Feudatari. nelle Capitolazioni stipualte con le famiglie albanesi!!!!! Chi avrà la fortuna di leggerle si accorgerà che queste erano realmente dei cappi attorno al collo dei nostri avi. Con ciò il nostro popolo CAPITOLAVA e si sottometteva realmente alla mercè degli Abati e Signorotti. Basta leggere queste pagine per dire a chiare note: " Padri nostri se in voi non ci fosse stata veramente la Fede Ortodossa, sareste scomparsi definitivamente dalla faccia della terra e nessuno a distanza di secoli si sarebbe accorto di Voi e della Vostra presenza".
Ci sarà qualcuno che un domani ci mostrerà la realtà nuda e cruda della nostra effettiva condizione culturale-economica e perché no anche RELIGIOSA ????? Per ora considerato che i nostri cultori sembrano essere troppo intenti a magnificare il “condizionamento” forzato della Chiesa Cattolica nei nostri confronti, dovranno passare molti anni, prima che finalmente qualcuno dica: “Ora basta, mi sono rotto…. È tempo che si sappia la VERITA’, basta con le menzogne, basta con i lecca lecca, basta con le bugie e con le falsità, che il popolo Arbresh sappia…..” Io attendo fiducioso che qualcosa si muova e prego il Signore che ciò avvenga presto……..molto presto.  Così sia – Amìn – P. Giovanni Capparelli)

Dal sito che cura con indicibile intelligenza la questione religiosa degli italo-albanesi...http://makj.jimdo.com/ copiamo ed incolliamo.....

Ci si permetta un brevissima introduzione all’intervista sotto riportata. 1. La definizione di cristiani deve essere usata con molta prudenza, per il semplice motivo che “si parla molto di Cristo ma si fa poco per (seguire) Cristo”; 2. Se “non si è uniati, né ortodossi”, allora che m…..a si è? Non sarebbe forse meglio, in verità e chiarezza, chiamarsi “papisti travestiti da ortodossi”. Il papàs uniata-arbëreshë - di beta memoria - Vincenzo Matrangolo, scriveva a prefazione di un libro che “farsi vassalli, valvassori e valvassini del mondo estraneo, significherebbe un suicidio, anche se involontario, di una vita interiore dai valori universali”. E senza una vera conoscenza e coscienza del passato “non saremo né arbëreshë né italiani, né ecclesialità bizantina né latina, né albanesi di Scanderbegh, né albanesi di oggi. Tutto cadrebbe nell’ibrido senza forma e senza io”. (1) Come in realtà gli arbëreshë sono. In parole povere: “né carne né pesce”. A certi cristiani è bene ricordare quanto scrive l’Apostolo Giovanni nell’Apocalisse (3,15-16): “Conosco le tue opere, che non sei né gelido né ardente. Magari tu fossi gelido o ardente! Così, poiché sei tiepido e né ardente né gelido, sto per vomitarti dalla mia bocca.” E a coloro, come l’intervistato, che amano solitamente “duabus sellis sedere”, recitiamo il florilegio bizantino che “tacere la verità è come seppellire l’oro” anche se il “vulgus vult decipi”, tu non ingannare. Perché “Veritatem laborare nimis saepe… exstingui numquam” (La verità troppo spesso soffre, ma non muore mai). Le parti in risalto (grassetto) e le note a commento dell’articolo sono nostre.
 
NOI CRISTIANI, NE’ UNIATI NE’ ORTODOSSI (2)
 
di Annachiara Valle
l'ex-vescovo uniata Ercole Lupinacci con l'attuale papa Benedetto XVI° (foto tratta dal sito: cattoliciromani.com)
 
Lei parla di unità, ma vi sentite più ortodossi o cattolici?

«Dipende dal significato che si dà alla parola ortodossi. (3) Dobbiamo ricordare che siamo due diocesi di rito bizantino, Lungro e Piana degli Albanesi, e poi c'è un monastero esarchico a Grottaferrata, vicino Roma, dove sono i monaci basiliani. L’abbazia fu fondata da san Nilo molto prima della divisione delle Chiese tra Oriente e Occidente, ed era una realtà precedente alla venuta degli italo-albanesi in Italia. Quanto alle due diocesi, erette – questa di Lungro – nel 1919 e l’altra – in Sicilia – nel 1937, sono molto recenti rispetto alla nascita delle comunità. Queste, infatti, risalgono all’ultimo tentativo di riunire le Chiese cristiane, almeno quelle dell’Oriente con quelle dell’Occidente, con il concilio detto di Firenze, del 1439. Subito dopo quell’evento vi fu la prima migrazione in massa dei greco-albanesi, che venivano in Italia. Tali popolazioni che emigravano venivano accettate come facenti parte di un unico corpo. (4) È difficile dire oggi se eravamo ortodossi o meno. (5) Se parliamo di Ortodossia con il significato semantico di vera fede allora dovremmo dire che i cattolici sono ortodossi e gli ortodossi sono cattolici. Se invece prendiamo il significato corrente, cioè di una comunità che ha un suo capo spirituale nazionale o un patriarca o un arcivescovo maggiore, ma che non dipende dall’unico capo che è il Papa, allora non siamo ortodossi. Con loro abbiamo in comune gli stessi libri, le stesse tradizioni, gli stessi sacramenti, lo stesso rito. (6) Solo il rapporto con il Papa è diverso». (7)

Non siete ortodossi, ma neppure "uniati", come vengono definiti i greco-cattolici rumeni o ucraini, per esempio.

«Certamente no. Quando i nostri avi vennero qui, nessuno ha chiesto loro un’abiura o un’adesione formale alla Chiesa di Roma. (8) La nostra è l’unica Chiesa nata mentre c’era un’unione. I primi albanesi sono stati accettati come membri di quella stessa Chiesa che si era riunita da appena un decennio. Purtroppo quell’unione non ha avuto effetto, questa è stata la tragedia. Subito dopo essere stata siglata, è stata rifiutata dagli stessi sottoscrittori. E dunque la nostra è stata l’unica Chiesa di rito bizantino rimasta nella Chiesa di Roma». (9)

La vostra presenza può essere un aiuto nei rapporti con gli ortodossi?

«Penso proprio di sì. Il vero nodo è quello del primato petrino. Il problema del cosiddetto "filioque", infatti, non è un vero problema: (10) noi, nella nostra liturgia, non lo abbiamo, eppure siamo pienamente in comunione con Roma. Quanto al ruolo del Papa, ci sono stati dei passi in avanti con il recente documento di Ravenna, perché si è cominciato a parlare di un primus inter pares. D’altra parte lo stesso Giovanni Paolo II nella Ut unum sint diceva che bisognava studiare insieme il modo di esercizio del ministero petrino. La nostra presenza può essere d’aiuto perché testimonia concretamente la possibilità della comunione. Siamo un ponte, (11) una presenza che arricchisce la Chiesa con un tesoro che è proprio dell’Oriente e che va mantenuto».

NOTE

(1) Parroco della comunità arbëreshë di Acquaformosa (Cs) nella “Prefazione” del libro di Giovanni Giuseppe Capparelli, Acquaformosa – pag. X - Edizioni Orizzonti meridionali – 2001;
(2) Parte dell’articolo di Annachiara Valle, Una città, una diocesi – Lungro - Intervista a Ercole Lupinacci tratto dalla rivista cattolica Jesus n. 4 aprile 2008;
(3) Per chi fa finta di non sapere e/o per chi non lo sa, la parola ortodossia vuol dire "retta dottrina” o "giusta fede". La “Chiesa Ortodossa non è una Chiesa orientale, un’espressione orientale della fede cristiana, essa è la Chiesa di Cristo. La sua tradizione fu la tradizione comune di tutti i cristiani durante i primi secoli, ed entrando in comunione con essa noi non facciamo che ritornare a questa sorgente.” (Placide Deseille). Nelle Vite dei santi, il termine “cristiano” è quasi sempre sinonimo di “ortodosso”.
(4) La risposta non ci sembra chiara. A quale “corpo” il gerarca-uniata si riferiva? Alla Chiesa ortodossa come “corpo di Cristo” o alla Chiesa dei Papi come corpo del papato? Sicuramente visto la provenienza “orientale” degli arbëreshë non poteva che far parte del “corpo (mistico) della Chiesa Ortodossa;
(5) Anche in questo caso ci soccorre – ancora una volta – un’altro (suo) sacerdote - l’eminente storico e teologo della Eparchia di Lungro, il compianto papàs Giuseppe Ferrari (Professore presso l'Università di Bari della Cattedra di Albanese nella Facoltà di Lingue e Letterature Straniere), che proprio alla domanda: “se gli emigrati arbëreshë erano cattolici o ortodossi, o cattolici di rito greco?” Rispose: La risposta non è difficile, se solo si pensa ai luoghi d’origine, da cui provenivano: Albania e Grecia (visto la quarta emigrazione proveniente dal Peloponneso, o come allora comunemente veniva chiamata, dalla Morea). Entrambe queste nazioni vivevano religiosamente nell’ambito del patriarcato di Costantinopoli, anche dopo che la città imperiale era caduta nelle mani dei turchi (…) La risposta, quindi da dare al quesito è, che salvo una piccola minoranza cattolica di rito latino, il resto, la stragrande maggioranza era ortodossa. In “Gli italo-albanesi tra Costantinopoli e Roma” di p. Giuseppe   Ferrari, in “Quaderni di O Odigos” – Anno VI – 90 – Bari – pag. 28/29;
(6) Tipico parlare uniata, cioè ingannevole. E allora facciamo un po’ di chiarezza con le semplici parole dell’attuale Patriarca Ortodosso Ecumenico di Costantinopoli, Sua Santità Bartolomeo I: “Gli Uniati… conservano semplicemente l’aspetto liturgico formale e non lo spirito dell’Ortodossia, dal momento che hanno accettato di sottomettersi spiritualmente alla Chiesa di Roma. Forse il grande pubblico non percepisce la differenza tra lo spirito ortodosso e quello cattolico, ma questa differenza esiste. La Chiesa di Roma ha usato metodi e mezzi squisitamente terreni, per il proprio dominio, tanto nel passato, come testimonia la storia, quanto nel presente, come è dimostrato dalla questione uniate. Questa, in ultima analisi, consiste nel fatto che si accolgono fedeli… a patto però che riconoscono il Papa come capo della loro Chiesa. In altre parole, la stessa Chiesa cattolica mette in secondo piano lo spirito dei fedeli e da più importanza al loro inglobamento al proprio gregge. Questo metodo di pensare è sicuramente più secolarizzato, perché usa criteri secolarizzati (il solo inglobamento dei fedeli) e non spirituali (di quale Fede è portatore chi è stato inglobato?). […] Concedersi alle richieste del mondo significa declassare le richieste di Dio, ma tutti sappiamo che le prescrizioni divine non sono utilitaristiche, ma vanno a favore dell’uomo proprio come le prescrizioni di un pedagogo o di un medico non hanno come scopo il loro tornaconto ma il bene di coloro che vanno ammaestrati e curati. Chi si adegua alle richieste dei malati, non conosce sufficientemente i loro interessi ed è certo, in ultima analisi, che li soddisferà provvisoriamente ma alla fine nuocerà loro. Questo sicuramente l’ha capito gran parte del popolo di Dio e per questo chiede con insistenza il ritorno alle radici.” In “Gli ostacoli al dialogo e le speranze”, Intervista di Nicoletta Tiliacos al Patriarca Bartolomeo I, nel giornale “Il Foglio” del 8 maggio 2003;
(7) E Vi par poco, Eccellenza? “I Concili Ecumenici della Chiesa indivisa non riconoscevano un centro infallibile, ma un Sistema Sinodale dei vescovi che spesso condannava Papi e Patriarchi perché eretici! Il primo sinodo degli Apostoli non mostrò nessun Papa o Patriarca infallibile ma la vera Pietra era il Cristo e la confessione vera di Cristo!” (mn. Kosmas aghiorita);
(8) “De iure” no, ma “de facto” si;
(9) Le parole-vanto (del papa Paolo VI°) che gli uniati-arbëreshë amano usare “una gemma orientale incastonata nella tiara papale”;
(10) Eh, no! Invece lo è, Sua Eccellenza. Al di là se gli uniati recitano il credo con o senza il filioque, rimane proprio quel “pienamente in comunione con Roma” che rovina il tutto. E poi, come si fa a scherzare con la professione di fede, cioè il Credo? Ma, ci siete o ci fate? Ci “credete” o no? La sola “recita” del Credo se non è “sorretto” dalla Fede (besa) che salva è una presa per il c…;
(11) Ah, si! Verso l’Inferno o verso il Paradiso?

domenica 15 luglio 2012

Ho ricevuto dalla mia Carissima Amica Anna Maria Ragno, una interessantissima riflessione sulla situazione Culturale-religiosa delle popolazioni Italo-albanesi intitolata "Il marranismo arbérèshe". Lo pubblico ben volentieri sul mio blog affinchè tutti coloro che "vogliono intendere"....indendano. .


Il marranismo arbérèshe.

Rito o religione?
La minoranza arbérèshe più che una minoranza linguistica,  può essere forse considerata  una minoranza religiosa, che si è stabilita nel Meridione d’Italia, in seguito alla diaspora albanese, causata dall'invasione turca. Al pari della minoranza ebraica, la minoranza arbereshe ha conosciuto la violenza delle conversioni forzate al rito latino e la ferita del marranismo (marrani erano gli Ebrei costretti ad abiurare l’Ebraismo e a convertirsi al Cattolicesimo), ma si riconosce ancora nel suo rito bizantino, come dimostra il caso di Falconara Albanese, ritornata al rito greco nel 1974, dopo circa tre secoli.
Comunemente gli Italo-albanesi vengono considerati una minoranza linguistica di rito greco bizantino, che ha costruito la propria identità etnica attraverso tre strumenti: l’arberìsht, cioè la lingua; l’endogamia etnica e di villaggio, cioè la pratica di sposare i discendenti di Skanderbeg; e il rito greco bizantino, intendendo per rito non una religione vera e propria, ma una prassi celebrativa diversa solo nella forma, ma non nella sostanza dalla religione maggioritaria. In realtà i papades bizantini prendono moglie, danno la comunione con il pane lievitato ( non con l’ostia), e celebrano i sacramenti tutti insieme al momento del battesimo: le differenze con il rito latino non sono solo formali.
Va detto subito che questa è una tesi nuova: nella letteratura sulle minoranze non si parla mai di marranismo riferito agli Arbérèshe, anche se non sono mancati gli episodi di conversione e di latinizzazione forzata, come dimostrano i fatti avvenuti nel 1668 a Spezzano Albanese, dove il principe Spinelli di Tarsia impose il rito latino con l’assassinio dell’arciprete Don Nicola Basta (rinvio per questo al bellissimo articolo “Ulteriori contributi al cambio del rito greco in Spezzano Albanese" di Francesco Marchianò). Non si parla di marranismo perché quella arbereshe non viene considerata una religione, ma un rito, diverso più nella forma che nella sostanza dalla religione dei Latini.
Questa defallance storica è stata possibile grazie al fatto che la Chiesa Cattolica Arbëreshë non ha mai voluto determinare una rottura con Roma. Ha preferito, anzi, assumere e mantenere sempre un atteggiamento di subordinazione rispetto alla Chiesa e al Papato. Questo ha permesso l’ enclavizzazione della minoranza religiosa arbëreshë e la sua stessa sopravvivenza.
 D’altro canto il processo di enclavizzazione della religiosità arbérèshe è stato lungo e difficile, né si può dire pienamente concluso con l’istituzione dell’Eparchia di Lungro (1919) e dell’Eparchia di Piana degli Albanesi (1937). Quello che è certo è che il tracollo rituale di numerose comunità italo-albanesi è stato determinato dalla Bolla “Etsi pastoralis” del 26 maggio 1742 di Benedetto XIV, che fissava la superiorità del rito latino sul rito greco, ribadendo ed ampliando le restrizioni già imposte con la “Perbrevis Instructio” di Papa Clemente VIII (1595),  la quale stabiliva che l’ordinazione dei sacerdoti albanesi e greci dovesse avvenire per mano di un vescovo di rito greco, però cattolico: in pratica le comunità italo-albanesi potevano mantenere parte della loro tradizione, ma non una propria gerarchia. Così facendo l’Istituzione Clementina, riconobbe di fatto la Chiesa cattolica Italo-albanese come sui iurus, in piena comunione con la Chiesa di Roma e il Papa. Questa  regolamentazione,  pur fortemente restrittiva, riconobbe di fatto alla comunità religiosa arbérèshe lo status giurico-religioso di chiesa particolare e ne permise la sopravvivenza: gli Arbérèshe riconoscevano l’intromissione della Chiesa cattolica nell’ordinazione dei propri sacerdoti, senza mettere in crisi il sistema gerarchico e verticistico dei Latini; ma dall’altro canto salvavano la dottrina del pane lievitato, l’iconostasi,  il rituale dell’incoronazione degli sposi, la liturgia della parola in arberìsht, senza farsi imporre l’ostia e  il celibato dei preti. Questioni che non sono di forma, ma di sostanza, e che configurano quella arbérèshe come una religione, non come un semplice rito, diverso da quello latino solo sul piano formale.

Una religione di nicchia.
Il rito greco bizantino non è sopravvissuto semplicemente ai continui e reiterati tentativi di latinizzazione e conversione forzata, ma anche a Riforma e Controriforma (sec. XVI), Concilio di Trento (1545-1563) e Questione romana, Patti Lateranensi e Leggi Razziali, quasi mimetizzandosi all’interno del Meridione d’Italia, e rimanendo sempre una religione di nicchia, formalmente subalterna alla religione maggioritaria, da cui però è riuscita a non farsi omologare totalmente nonostante la forte diversità sul piano dottrinale delle due Chiese, professandosi sempre Cattolici ma di rito ortodosso, e dicendo: Come religione siamo Cristiani, come fede siamo Ortodossi. Né la Chiesa Italo-albanese può essere considerata uniate, perché non ha mai rinnegato la propria origine per passare alla Chiesa Romana. Ma forse è più giusto dire che “de iure” gli Arbëreshë non sono uniati, ma “de facto” lo sono, rimandando il lettore agli Appunti di P. Clementi “Psicopatologia dell’Uniatismo”: La Chiesa cattolica ha preferito impiegare e perfezionare – per il suo compélle intráre – il Metodo Uniata, una tecnica per “disinfettare” il rito bizantino dalla fede ortodossa, per produrre una schiera di zombi (corpi privi dell’anima ortodossa). Cattolici vestiti da ortodossi (http://www.italiaortodossa.it/index.php?Dialogo_e_Confronto%26nbsp%3B:Psicopatologia_dell%92Uniatismo).
Gli Arbérèshe, sono arrivati in Italia, in un momento caratterizzato da un vuoto di potere per le lotte fra Aragonesi ed Angioini, dalla profonda crisi della Chiesa per la Riforma protestante e la Controriforma e dalla repressione del rito greco degli Italo-greci della Calabria e del Salento, dalla espulsione degli Ebrei dal Regno di Napoli (decreto di  Pedro di Toledo, 1542), dalla persecuzione dei Valdesi di Calabria (1561). Arrivati come soldati, in seguito sono diventati  mercenari, esuli, ospiti e contadini, ma sono sempre rimasti ortodossi, cioè custodi del messaggio originario di Gesù Cristo trasmesso dagli Apostoli, senza aggiunte, amputazioni e mutazioni. Come ortodossi hanno punti di vista divergenti riguardo  al primato e all’infallibilità del Papa, alla dottrina del Purgatorio e del Filioque (cioè la processione dello Spirito Santo dal Figlio), ai nuovi dogmi mariani e alla questione del divorzio.
In realtà le differenze sul piano dottrinali sono più che significative: la Chiesa Italo-albanese pratica il battesimo per immersione e la cresima viene conferita nella stessa cerimonia del battesimo; offre l'Eucarestia ai fedeli con pane lievitato e vino e non con l’ostia; non contempla il celibato ecclesiastico per i sacerdoti.
Senza entrare troppo in questioni dottrinali, bisogna menzionare che il titolo di Papa nasce nel 610, quando l'imperatore Foca prese il potere facendo assassinare il suo predecessore. Per tale atto criminale, il vescovo Ciriaco di Costantinopoli lo scomunicò, ma Foca, per ritorsione, proclamò "papa" (ossia capo di tutti i vescovi) il vescovo di Roma Gregorio I,  che rifiutò un simile titolo per fedeltà alla tradizione episcopale della Chiesa. Tuttavia, il vescovo di Roma successivo, cioè Bonifacio III, accettò di avvalersi del titolo di "Papa".  Nel 1870, l’anno della Presa di Roma e della fine  del Potere temporale (nato con la Donazione di Sutri nel 750), Papa Pio IX stabilirà anche il dogma dell’infallibilità del Papa.
Il Purgatorio, nasce nel 593 per merito di Gregorio Magno e diventerà dogma solo nel 1439, con il Concilio di Firenze. L’idea che il potere della chiesa arrivi anche nell’aldilà favorirà la vendita delle indulgenze, che partirà già dal 1190 e porterà, in seguito, alla denuncia di Lutero e alla Riforma protestante.
Anche la celebrazione dell’Eucarestia, che nelle comunità arbérèshe di Rito greco bizantino avviene con il pane e il vino, invece che con l’ostia dei Latini, sembra solo una questione di forma, ma così non è. Il pane lievitato del Rito greco bizantino simbolizza la piena umanità di Cristo. I Latini, invece, credono nella Transustazione e nel  corpo carnale di Cristo materializzato nell’ostia, cioè nel pane non lievitato (o azimo). E’ Innocenzo III a proclamare nel 1215 il dogma della Transustazione, e da quel momento l’Eucarestia, che in seguito diventerà ostia, cesserà di essere simbolo della Comunione e diventerà “vero corpo e sangue” di Gesù. A Monte Sant’Angelo, il paese della Grotta di San Michele, che è stato feudo di Skanderbeg, l’ostia è un dolce tipico, che viene preparato con le mandorle e il miele…
Il Concilio di Trento, che durò con varie interruzioni dal 1545-1563,  ribadisce nella sua XIII sessione la presenza reale di Cristo nell'eucarestia e la dottrina della transustanziazione, affermando le pratiche di culto e di adorazione ad esso collegate, come l'adorazione dell’eucaristica e la festa del Corpus Domini. Nelle sessioni successive riaffermò poi l'importanza dei sacramenti della penitenza (o confessione) e dell'unzione degli infermi, rifiutati da Lutero ma considerati dalla Chiesa cattolica istituiti direttamente da Cristo.
Il celibato dei preti è stato introdotto invece da Gregorio VII nel 1079 ed imposto con i primi due Concili Lateranensi (1123 e 1139). Nel Nuovo Testamento ( prima Epistola a Timoteo, cap.3) si dice l’esatto contrario, “perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?" .
Anche fatti apparentemente estetici, come le lunghe barbe dei papades, in realtà costituiscono un istintivo richiamo all’immagine di Cristo e degli Apostoli. Per quanto riguarda i luoghi di culto, invece, le differenze fra le due Chiese sono date dalla mancanza di statue e di strumenti musicali (le Costituzioni Apostoliche del IV sec. vietano espressamente l’uso di strumenti musicali nella chiesa), considerati una disobbedienza allo spirito dei Padri. Le bellissime icone delle chiese bizantine manifestano la presenza invisibile di Cristo e riflettono l’insegnamento ortodosso della grazia increata (la statua riflette la teoria latina della grazia creata). Nella confessione, il papàs e il penitente sono entrambi di fronte all’icona del Salvatore, mentre i Latini si comunicano nel confessionale a grata. Il papàs è testimone di fronte al Salvatore della confessione di un altro peccatore, mentre il prete è colui che assolve secondo il giuridismo dei Latini.
Le differenze fra Rito greco bizantino e la religione dei Latini, non sono quindi solo apparenti e formali, ma la Chiesa cattolica Italo-albanese non ha mai esasperato la diversità dottrinale: l’ha piuttosto taciuta. Quello che però ha mantenuto sul piano dottrinale, lo ha concesso sul piano gerarchico,  anche se l’Eparchia di Lungro ha aspettato quasi  due anni per avere un successore.

Il marranismo arbérèshe.
Quindi più che di rito si dovrebbe parlare di religione, ma cosa c’entra il  marranismo? I Marrani (o Conversos) sono gli Ebrei convertiti forzatamente al Cristianesimo e che hanno abiurato l’Ebraismo per motivi di sopravvivenza, pur mantenendo vivo nel cuore il loro spirito di Ebrei. Nel XV secolo i figli di Davide vengono espulsi prima dalla Spagna (dove appunto vengono definiti Marrani, dal castigliano porco) e poi dal Portogallo. E’ in questo periodo che nasce la figura dell’Ebreo errante, disprezzato tanto dai Cristiani quanto dai suoi stessi fratelli. Dopo la conquista del Regno di Napoli da parte degli Aragonesi (1504), gli Ebrei sono costretti a scegliere fra l’esilio e marranismo, cioè  la conversione al Cristianesimo. In realtà molti mantennero la propria fede di nascosto.
Quanti Arbérèshe sono stati latinizzati forzatamente e ora vorrebbero tornare alla religione dei padri e dell’eroe Skanderbeg, il difensore della Cristianità? Sappiamo che il Rito greco bizantino oggi viene mantenuto solo nelle Eparchie di Lungro e di Piana degli Albanesi, laddove più forte è stata la resistenza all’omologazione, ma quanti Arbérèshe del Molise, delle Puglie e della Basilicata vorrebbero il ritorno alla religione degli avi? O vorrebbero la propria chiesetta bizantina come la sub-colonia di Chieri? Quanti vorrebbero seguire il caso di Acquaformosa, dove è nata, o forse sarebbe meglio dire rinata, sotto il Patriarcato di Mosca, la Chiesa Ortodossa Arbëreshe? Officia Zoti Giovanni Capparelli, uno dei tre preti ortodossi (Arbëreshë) d’Italia, insieme a P. Athanasio , che officia a Schiavonea di Corigliano e Cosenza, e a Padre  Arsenio Aghiarsenita (Monaco), che officia nelle Chiese parrocchiali Greco- Ortodosse di Brindisi e di Lecce.
Il Rito greco bizantino consente una adesione spirituale vicina al Cristianesimo delle origini e al proprio passato mitico: quello dell’arrivo in Italia in seguito alla Diaspora dall’Albania, conquistata dai Turchi. Come tale gli Arbérèshe non si riconoscono nei riti, nei dogmi e nell’organizzazione gerarchica e verticistica della Chiesa dei Latini. Professano, invece, una religione di nicchia, che conserva la propria impostazione dottrinale, perché sono riusciti a  mimetizzarsi all’interno della Chiesa dei Latini,  subordinandosi volutamente e supinamente ad essa. Quello che è importante è riattualizzare continuamente il proprio passato mitico, attraverso la celebrazione del rito greco, con la messa cantata nella lingua che conoscono solo gli Arbérèshe, quella dei padri e del papàs.
Ma il marranismo, può dare frutti inaspettati, come dimostra i casi già citato di Falconara Albanese e di Acquaformosa, e come dimostra il caso quasi sconosciuto dei marrani di Riesi (Caltanissetta), che hanno mantenuto il culto dell’Ebraismo di nascosto, per secoli, sposandosi fra di loro. Dice Grazia Gualano, rappresentante della piccola comunità ebraica di Sannicandro: “Se con l’Olocausto fossero morti tutti gli Ebrei, noi comunque saremmo sopravvissuti”. E sicuramente  anche i marrani di Riesi e gli Arbëreshë.

Link:




venerdì 13 luglio 2012

DOXA TO THEO' !!!!
GLORIA A DIO !!!
Questa sera grande gioia per la visita alla nostra Parrocchia da parte di Padre Arsenio del Monastero di San Arsenio (Grecia), Padre Giorgio (Cipro), Sig.ra Stavroula (Atene), Padre Atanasio (Patrasso) e l'amico Spiridione (Lecce).  Vi presento le foto di questa visita:










giovedì 12 luglio 2012

Mobilitazione in difesa del
 Tribunale di Castrovillari:

La Chiesa Ortodossa del Patriarcato di Mosca...
C'ERA !!!!!!!


venerdì 6 luglio 2012





                                           DOMENICA 08 Luglio 2012 


  V   di  Matteo 

 Tono IV
Santa Fevronia  -   Прмц. Февронии
 
Разрешается рыба.





Tropari: Tono IV

Светлую воскресения проповедь от Ангела уведевша Господни ученицы и прадеднее осуждение отвергша, апостолом хвалящася глаголаху: испровержеся смерть, воскресе Христос Бог, даруяй мирови велию милость.
Агница Твоя, Иисусе, Феврония зовет велиим гласом: Тебе, Женише мой, люблю, и, Тебе ищущи, страдальчествую, и сраспинаюся, и спогребаюся крещению Твоему, и стражду Тебе ради, яко да царствую в Тебе, и умираю за Тя, да и живу с Тобою; но яко жертву непорочную приими мя, с любовию пожершуюся Тебе. Тоя молитвами, яко Милостив, спаси души наша.

Слава Отцу, и Сыну, и Святому Духу.

Православныя веры поборниче, земли Российския печальниче, пастырем правило и образе верным, покаяния и жизни во Христе проповедниче, Божественных Таин благоговейный служителю и дерзновенный о людех молитвенниче, отче праведный Иоанне, целителю и предивный чудотворче, граду Кронштадту похвало и Церкве нашея украшение, моли Всеблагаго Бога умирити мир и спасти души наша.

И ныне и присно и во веки веков. Аминь.

Еже от века утаенное, и Ангелом несведомое таинство, Тобою, Богородице, сущим на земли явися Бог, в неслитном соединении воплощаем, и Крест волею нас ради восприим, Имже воскресив первозданного, спасе от смерти душы наша.КондакСпас и Избавитель мой из гроба, яко Бог, воскреси от уз земнородныя, и врата адова сокруши, и яко Владыка воскресе тридневен.



 
Celebrazione delle Ufficiature:
 
Sabato 07 Luglio 2012, Ore 17.00
VESPRO
 
Domenica 08 Luglio  2012: Ore 10.00
DIVINA LITURGIA

  Chiesa Ortodossa 
 Patriarcato di Mosca
Parrocchia di
San Giovanni di Kronstadt
Palazzo Gallo - P.zza Vittorio Em. II 
(di fronte la pizzeria da Armando -
seguendo Corso Garibaldi a destra)
Castrovillari (cs)

 
Carissimi Fedeli Ortodossi di 
Castrovillari e del circondario, 
carissimi Arbëreshë  dei paesi viciniori,
(San Basile - Frascineto - Ejanina - Civita)
 come sempre vi aspetto numerosissimi,
 per celebrare con Voi le Ufficiature 
della Vostra Chiesa e della Vostra
 Santa Tradizione Ortodossa.
Per qualsiasi informazione chiamate
 il Parroco al: 3280140556

martedì 3 luglio 2012

Ricevo dal mio amico di Spezzano Albanese Prof. Francesco Marchianò e pubblico.

Prof. Francesco Marchianò
La bandiera di Skanderbeg
(di Kristo Frashëri, trad. di Francesco Marchianò
pubblicata in “Katundi Ynë”. A. XXXIV- n° 110 - 2003/1)

Come tutti i signori del Medioevo, anche Giorgio Castriota Skanderbeg aveva lo stemma di famiglia che, dipinto sulle bandiere o inciso sugli scudi, simbolizzava il proprio potere. Secondo Marino Barlezio, Skanderbeg teneva in battaglia la bandiera dei Castriota: una bandiera rossa ricamata con un’aquila bicipite nera. Dice poi che gli Albanesi quando vedevano “le bandiere dell’aquila” accorrevano senza chiedere per combattere contro il nemico ottomano sotto la guida di Skanderbeg. Un artista italiano del XVI sec. ci ha dato per mezzo di un’incisione la rappresentazione figurativa dello stemma araldico dei Castriota: uno scudo bianco screziato con un’aquila bicipite, mentre nella parte superiore una stella a sei punte. A parte questo, sulle due teste dell’aquila erano posate due corone reali. Ignoriamo dove si sia riferito l’artista italiano nella rappresentazione di questo stemma. Almeno le due corone reali suscitano una sorta di dubbio. Le corone, così come sono qui raffigurate, rappresentano un elevato potere imperiale o un duplice potere regale, come accadeva per esempio presso i Bizantini il cui sovrano si chiamava Imperatore d’Oriente ed Occidente. Skanderbeg fino a quando visse non si definì mai re e tanto meno duplice monarca. Re venne definito solo tardi da alcuni scrittori stranieri monarchici ai quali sembrava strano che una personalità tanto grande non fosse incoronata sovrano. Dunque sembra evidente che le due corone reali siano state aggiunte dall’artista anonimo sotto l’influenza della letteratura del XVI sec. Lo stemma dei Castriota la troviamo incisa in altre incisioni dedicate a Skanderbeg. Ci sono sicuramente differenze tra loro ma in tutti i casi il motivo centrale resta l’aquila bicipite.
La vera forma sembra che la rappresenti un libro religioso preparato e decorato da un artista napoletano nell’epoca in cui era vivo l’Eroe. Il libro è dedicato e regalato a Skanderbeg come è annotato in esso. E’ un libro di preghiere, il cui valore consiste non nel contenuto, ma nelle miniature che ricoprono e abbelliscono le sue pagine. Ci sono molte possibilità che sia stato donato a Skanderbeg durante gli anni 1461-1462, quando il nostro Eroe andò a Napoli per aiutare il proprio alleato, il Re Ferdinando, nella repressione dei feudatari dell’Italia meridionale. Il dono di un napoletano nelle mani di Skanderbeg in questi anni è molto significativo. Come opera di valore artistico essa assumeva il significato di sentimento di riconoscenza dei napoletani verso Skanderbeg. C’è la probabilità che il dono sia stato consegnato a Skanderbeg durante la visita che fece a Napoli agli inizi del 1467. Comunque sia il libro sembra essere uscito dalle mani dell’artista napoletano prima del 1468. Oggi esso si trova nella collezione di manoscritti e stampe antiche che porta il nome dell’editore inglese C. G. St. John Hornby presso la casa editrice “Shelley House” a Chelsea (Londra).
In Albania non si è mai parlato di questo documento. Ma a quanto si sa, di esso non si è parlato neanche nella storiografia sul nostro eroe nazionale che è molto ricca. Nessuno ne ha fatto qualche descrizione dettagliata.Non sappiamo, quindi, quante pagine abbia e da quante miniature sia illustrato. Abbiamo in mano solo una pagina fotocopiata. Il testo, che è in latino e di nessuna importanza, è circondato da una cornice ornamentale e arricchito di cinque miniature con soggetto religioso e non. Tra questi, il medaglione che si trova in fondo alla pagina, ha un interesse di prima mano. Il suo contenuto è direttamente collegato a Skanderbeg.
Il medaglione è formato da una corona che si chiude nella parte superiore con foglie d’alloro stilizzate che rappresentano, secondo la nostra opinione, la gloria di Skanderbeg. Rafforzano questa supposizione i sei putti che sorreggono la corona con le proprie mani. Dentro la corona è dipinto uno scudo che viene tenuta altresì in mano da due putti. Lo scudo simboleggia di nuovo Skanderbeg, il difensore della libertà e può essere, per il pittore napoletano, il difensore dell’Italia dall’invasione ottomana. Lo scudo, da parte sua, è divisa in due parti. Nella parte sinistra è dipinto lo stemma di Skanderbeg, mentre a destra non si distingue chiaramente se ci sia una pantera, un leone o altro. Si ha a che fare quindi con un elemento molto prezioso per valore storico perché si è davanti alla più antica rappresentazione dello stemma di Skanderbeg, fino al periodo in cui era in vita l’eroe.
Lo stemma di questa miniatura contiene inoltre l’aquila nera a due teste assieme alla stella bianca con sei punte, l’Aquila, anche qui stilizzata assomiglia molto alla copia dell’incisione del XVI sec., ma non è esattamente quella. L’aquila qui è interamente nera. Ma quello che è importante è il fatto che nella miniatura del XV sec. le corone regali mancano completamente. Da ciò si evince che l’autore dell’incisione del XVI sec. ha avuto sicuramente davanti a se il vero stemma di Skanderbeg, ma ha dato sfogo alla propria mano, sia nella stilizzazione dell’aquila, sia nell’abbellimento delle sue teste con corone regali. Da quanto detto si può concludere che lo stemma della miniatura del XV sec. si può ritenere come il documento che rappresenta in modo molto vicino il vero stemma di Skanderbeg. Non si esclude che la consultazione del documento che si trova nella collezione Hornby possa darci anche altre miniature con soggetti della vita e attività di Giorgio Castriota.

* * * * * *

L’aquila ha simbolizzato, fin dai tempi più antichi nella fantasia dei diversi popoli, la maestosità, la forza, la rapidità e l’astuzia. Dalla letteratura popolare nel tempo è entrata anche nella letteratura artistica. Contemporaneamente è usata fin dal principio dai maestri artigiani anche come motivo decorativo nei diversi domini dell’arte. I grandi condottieri militari usualmente sono paragonati all’aquila per le loro rapide vittorie. L’aquila con le ali spiegate è entrata poi anche negli emblemi dei reparti militari dell’ Impero Romano. Anche l’aquila bicipite ha seguito lo stesso percorso. Naturalmente in forma stilizzata viene rappresentata per la prima volta nell’arte popolare dell’Oriente soprattutto nell’arte dei tappeti. L’aquila a due teste risponde ad un’altra figura popolare – all’uomo con due cuori, all’eroe degli eroi. Durante il Medioevo dell’aquila bicipite si sono appropriati come stemma del proprio potere i Selgiuchidi. Poi l’hanno usata i Bizantini presso i quali rappresentava, secondo alcuni, il dominio sull’Oriente e l’Occidente, secondo altri, il duplice potere, temporale e clericale, uniti nelle mani dell’Imperatore. Più tardi l’aquila monocipite o bicipite venne usata negli stemmi di diversi imperatori, re, principi e signori d’Europa.
Vari studiosi hanno espresso l’opinione che l’aquila bicipite dei Castriota sia un’influenza dello stemma bizantino. Ma non sembra esatto. L’aquila non è stata l’emblema solo dei Castriota ma anche di altri signori feudali albanesi del Medioevo. Nello stemma dei Muzaka l’aquila si presentava altresì nella forma bicipite con la stella, mentre nello stemma dei Dukagjini l’aquila era monocefala bianca. Dalle conoscenze in nostro possesso è evidente che esse non si assomigliavano. La diffusione di questo emblema nelle forme e colori vari si può spiegare meglio con l’influenza della tradizione popolare più che lo stemma bizantino.
Secondo le parole che lo stesso Skanderbeg scriveva al principe italiano J.A. de Ursinis, gli Albanesi erano consapevoli di essere i discendenti degli antichi Epiroti e pronipoti del famoso Pirro. L’antico scrittore greco, Plutarco, narra che dopo la clamorosa vittoria che Pirro ottenne sui Macedoni, gli Epiroti lo salutarono con il sopranome di “aquila”. Pirro rispose: “ E’ merito vostro se sono un’aquila, e come non esserlo quando voi con le vostre armi mi avete innalzato come se avessi rapide ali?”. Secondo le parole di Pirro l’aquila con le ali spiegate simboleggia lo stretto legame del condottiero con la massa. L’aquila è sempre vissuta nelle montagne d’Albania: sempre ha volato sulle terre albanesi. In un simile posto, la figura letteraria, i motivi artistici ed i simboli storici essa ispira si trasmettono in modo ininterrotto da una generazione all’altra.
Il fatto che i Balsha avessero nel loro stemma il lupo, al quale è collegata la leggenda della città illirica di Ulqin (Dulcigno in Montenegro, N.d.T.), testimonia come nel Medioevo fossero vivi gli antichi racconti popolari. Naturalmente nel corso dei secoli le piccolezze svaniscono ma il soggetto centrale rimane. Quando giunge il momento l’artista lo raffigura in forme diverse. Questo sembra il motivo per cui nel XV sec. l’aquila viene rappresentata in forme diverse negli stemmi dei Castriota, Muzaka e Dukagjini. Così accadde più tardi anche con l’aquila di Skadnerbeg. La bandiera dell’Eroe non giunse nella forma originale nel XIX sec. Pervennero solo la tradizione popolare e letteraria. Senza un preciso modello davanti, i patrioti della Rilindja (la Rinascita politica e culturale dell’Albania dal XIX sec. al 1912, anno dell’Indipendenza, N.d. T.) l’hanno rappresentata in forme diverse fino a quando non ha preso la forma che ha attualmente la nostra bandiera nazionale.
Dopo l’insediamento del dominio ottomano, gli stemmi dei vari signori albanesi caddero quasi completamente nell’oblio della memoria popolare. Solo la bandiera con lo stemma di Skanderbeg ha fatto fronte ai secoli. Era la bandiera ricopertasi della gloria delle battaglie leggendarie del XV sec., la bandiera che simboleggiava la libertà e l’indipendenza della patria. Per questo motivo l’aquila di Skanderbeg è diventata la bandiera dei patrioti della Rilindja, la bandiera dell’unione degli Albanesi in lotta per la liberazione nazionale dal giogo straniero.
I patrioti della Rilindja erano orgogliosi della bandiera di Skanderbeg non solo perché era rossa del sangue dei loro avi durante l’epopea del XV sec., ma anche perché era una bandiera pura, onorata, non macchiata di offese verso altri paesi. Essi la consideravano una bandiera popolare perché non aveva tolto a nessuno la libertà. Essa è, come dice F.S. Noli, “una grande bandiera per il popolo minuto”. Come tale essa ha ispirato i patrioti della Rilindja nella sacra guerra per la liberazione della Patria contro gli occupatori ottomani.

(Relazione scelta e tradotta da Francesco Marchianò, tratta da :
Kristo Frashëri: Flamuri i Skënderbeut in “Studime për epokën e Skënderbeut”, Akademia e Shkencave e RPS të Shqipërisë, Inst. i Historisë, Shtypshkronja “8 Nëntori”, Tirana, 1989).