mercoledì 31 ottobre 2018

Domani,  giovedì primo di novembre,presso la nostra Chiesa Parrocchiale Ortodossa, Patriarcato di Mosca, a Castrovillari ci riuniremo tutti in Chiesa per la celebrazione della Festa del nostro Santo Patrono “San Giovanni di Kronstadt”.
Ospiti graditissimi, saranno le nostre  sorelle ed i nostri fratelli nella Fede delle Parrocchie di Catanzaro, Soverato e di Cosenza, guidati dal carissimo confratello e concelebrante Padre Eugenio.
Essendo anche un giorno festivo, spero che anche i nostri fedeli del circondario siano insieme ai  nostri ospiti, per festeggiare tutti insieme il nostro Santo patrono.
La Liturgia inizierà verso le ore 9,30, ma il mio consiglio è quello di anticipare la venuta, anche per una eventuale confessione.
Un Grazie di cuore, al nostro P. Eugenio, per aver organizzato questo pellegrinaggio, presso la nostra Chiesa. Ed un Grazie anche a tutti i Fedeli  che,  domani invece di riposarsi un poco di più, hanno aderito all’iniziativa del pellegrinaggio.
Il Signore sia sempre con tutti voi, vi benedica e vi protegga !!!!






"Annamo bene, annamo proprio bene", non bastava un Vicario, ora ne abbiamo due che fanno le veci di Cristo quando questi va in vacanza per il sospirato riposo, dopo aver lottato per un anno intero con i suoi, così detti, successori. (Dal sito della Parrocchia Ortodossa di p. Ambrogio di Torino)

Papa Ildebrando (Gregorio VII)
 e Bartolomeo di Istanbul

dal blog del sito Orthodox England
29 ottobre 2018

  

Il Dictatus papae è una raccolta di 27 proposizioni eretiche di poteri che il papa di Roma si è arrogati, incluse nel registro di papa Gregorio VII nell'anno 1075:

(traduzione di Wikipedia)

Il Papa stabilisce:

I Che la Chiesa Romana è stata fondata unicamente da Dio. 

II Che il Pontefice Romano sia l'unico ad essere di diritto chiamato universale. 

III Che Egli solo può deporre o reinsediare i vescovi. 

IV Che in qualunque concilio il suo legato, anche se minore in grado, ha autorità superiore a quella dei vescovi, e può emanare sentenza di deposizione contro di loro. 

V Che il Papa può deporre gli assenti. 

VI Che, fra le altre cose, non si possa abitare sotto lo stesso tetto con coloro che egli ha scomunicato. 

VII Che a Lui solo è lecito, secondo i bisogni del momento, fare nuove leggi, riunire nuove congregazioni, fondare abbazie o canoniche; e, dall'altra parte, dividere le diocesi ricche e unire quelle povere. 

VIII Che Egli solo può usare le insegne imperiali. 

IX Che solo al Papa tutti i principi debbano baciare i piedi. 

X Che solo il Suo nome sia pronunciato nelle chiese. 

XI Che il Suo nome sia il solo in tutto il mondo. 

XII Che a Lui è permesso di deporre gli imperatori. 

XIII Che a Lui è permesso di trasferire i vescovi secondo necessità. 

XIV Che Egli ha il potere di ordinare un sacerdote di qualsiasi chiesa, in qualsiasi territorio. 

XV Che colui che Egli ha ordinato può guidare un'altra chiesa, ma non può muovergli guerra; inoltre non può ricevere un grado superiore da alcun altro vescovo. 

XVI Che nessun sinodo sia definito "generale" senza il Suo ordine. 

XVII Che un testo possa essere dichiarato canonico solamente sotto la Sua autorità. 

XVIII Che una Sua sentenza non possa essere riformata da alcuno; al contrario, Egli può riformare qualsiasi sentenza emanata da altri. 

XIX Che Egli non possa essere giudicato da alcuno. 

XX Che nessuno possa condannare chi si è appellato alla Santa Sede. 

XXI Che tutte le maiores cause, di qualsiasi chiesa, debbano essere portate davanti a Lui. 

XXII Che la Chiesa Romana non ha mai errato; né, secondo la testimonianza delle Scritture, mai errerà per l'eternità. 

XXIII Che il Pontefice Romano eletto canonicamente, è senza dubbio, per i meriti di San Pietro, santificato, secondo quanto detto da sant'Ennodio, vescovo di Pavia, e confermato da molti santi padri a lui favorevoli, come si legge nei decreti di San Simmaco papa. 

XXIV Che, dietro Suo comando e col suo consenso, i vassalli abbiano titolo per presentare accuse. 

XXV Che Egli possa deporre o reinsediare vescovi senza convocare un sinodo. 

XXVI Che colui il quale non è in comunione con la Chiesa Romana non sia da considerare cattolico. 

XXVII Che Egli possa sciogliere dalla fedeltà i sudditi dei principi iniqui.
Qui, quasi 950 anni dopo, c'è il discorso che il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, laureato all'Università Gregoriana a Roma, iniziata nel 1551 dal fondatore dei gesuiti, e un ben noto amante e concelebrante del papato, ha fatto alla Sinassi dei vescovi del patriarcato di Costantinopoli, svoltasi a Istanbul l'1-4 settembre 2018. Il suo discorso non è stato contestato da alcun vescovo della Chiesa di Costantinopoli e ha avuto persino un'approvazione generale:

1. "Il Patriarcato ecumenico è, per l'Ortodossia, un lievito "che fa fermentare tutta la pasta" (cfr Gal 5:9) della Chiesa e della storia".

2. "Come primo trono dell'Ortodossia, il Patriarcato ecumenico esercita un ministero profetico, estendendo il mistero della Chiesa cattolica in Cristo Gesù in tutto il mondo in ogni epoca".

3. "In principio era il Verbo... in lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini". (Gv 1:1,4) Il principio della Chiesa ortodossa è il Patriarcato ecumenico; "in esso è la vita, e la vita è la luce delle Chiese". Il compianto metropolita Kyrillos di Gortyna e Arcadia, un amato gerarca della Chiesa Madre e amico personale, ha ragione nel sottolineare che "l'Ortodossia non può esistere senza il Patriarcato ecumenico".

4. "...il Patriarcato ecumenico... gode della giurisdizione canonica e di tutti i privilegi apostolici nella sua responsabilità di salvaguardare l'unità e la comunione delle Chiese locali, ma anche per il cammino complessivo dell'Ortodossia nel mondo e nella storia contemporanea. In questo spirito, come presidente del corpo dell'Ortodossia, il Patriarca ecumenico ha convocato il Santo e Grande Concilio a Creta nel giugno 2016, il più grande evento ecclesiale degli ultimi anni".

5. "Il Patriarcato ecumenico ha la responsabilità di disporre le cose in ordine ecclesiastico e canonico perché esso solo ha il privilegio canonico e la preghiera e la benedizione della Chiesa e dei Concili ecumenici per assolvere a questo compito supremo ed eccezionale come madre nutrice e generatrice di Chiese. Se il Patriarcato ecumenico nega la propria responsabilità e si toglie dalla scena inter-ortodossa, allora le Chiese locali procederanno "come pecore senza pastore" (Mt 9:36), spendendo le loro energie in iniziative ecclesiastiche che confondono l'umiltà della fede e l'arroganza del potere".

6. "...Immaginiamo che tutti i gerarchi che servono nella giurisdizione del Trono ecumenico sappiano molto bene che il 4° Concilio ecumenico, tra le altre decisioni, ha onorato l'eccezionale privilegio del "diritto di appello" (ekkliton) del Trono di Costantinopoli con i decreti dei suoi Canoni 9 e 17. Numerosi esempi dell'esercizio di questo diritto di appello da parte dei gerarchi e del clero di altre giurisdizioni sono stati registrati attraverso i secoli nel cammino storico della Chiesa Madre. Degna di menzione qui è la determinazione del canonista Miodrag Petrovic, secondo cui "solo l'arcivescovo di Costantinopoli ha il privilegio di giudicare e si aggiudicarsi i conflitti di vescovi, clero e metropoliti di altri patriarchi". (Nomocanone sui 14 titoli e i commentatori bizantini, 206)".

7. "Il rev.mo vescovo Kyrillos di Abydos, professore presso l'Università nazionale e capodistriana di Atene, un devoto studioso della parola scritta e parlata, affronterà il privilegio unico della Chiesa di Costantinopoli di ricevere l'appello dei gerarchi e del clero in cerca di rifugio da tutte le Chiese ortodosse locali nella sua presentazione, dal titolo "Il privilegio di Ekkliton (Diritto di appello): Prospettive storiche, canoniche e teologiche". Attendiamo con piacere la sua analisi di questo argomento ... "

sabato 27 ottobre 2018

Posto questa intervista al carissimo confratello e concelebrante di Torino Ieromonaco padre Ambrogio che spiega pacatamente la situazione di scisma venutasi a creare tra Mosca ed il Fanar.

Intervista di Tudor Petcu 
all’igumeno Ambrogio sulla crisi ucraina

  
                                                            Nella foto: Tudor Petcu

Ho spesso sentito dire che il Patriarcato di Mosca e quello di Costantinopoli rappresentano due mondi divergenti dell’Ortodossia e per questo vorrei domandarle se è così e come dovremmo percepire le relazioni storiche tra di loro.
Ci sono diversi studi sulle tendenze divergenti dei due patriarcati, che ne analizzano piuttosto le alleanze (allineamenti a programmi statali), le relazioni ecumeniche e/o le tendenze politiche (conservatrici o riformiste), e mentre tutte queste linee di analisi possono portare a risultati interessanti, credo che all’inizio sia opportuno considerare i loro dati storici e sociologici di base. Da una parte ci troviamo di fronte alla più grande Chiesa locale del mondo, che sta riprendendosi lentamente dopo avere subito persecuzioni che forse non hanno uguali nella storia cristiana (neppure in quelle dei primi secoli), e che ha senza dubbio una certa potenza, ma che è paga di quello che ha; dall’altra parte troviamo il resto ridotto al lumicino della Chiesa di un impero ormai estinto da quasi mezzo millennio, che ancora cerca disperatamente di mantenerne le prerogative, facendo leva sui sensi di appartenenza all’antico impero per quelli che vi si identificano (i greci, ancorché critici delle politiche del Patriarcato ecumenico, non avranno mai la forza di opporvisi radicalmente, e questo al Fanar lo sanno benissimo). Mosca, invece, non solo non mostra molta sudditanza verso l’antico impero, ma ha pure la sfacciataggine di identificarsi in un nuovo impero (la Terza Roma), che benché maltrattato e indebolito, ha lasciato dei resti ancora piuttosto potenti. Al cuore della crisi ucraina contemporanea non ci sono perciò aspetti divergenti dei due patriarcati (entrambi sono abbastanza cosmopoliti da convivere con aspetti divergenti al loro stesso interno), ma piuttosto quale delle due Chiese vuole avere ed esercitare una supremazia (e quindi, il problema teologico dell’esercizio di un primato all’interno della Chiesa ortodossa).
Cosa rappresenta la Chiesa ucraina nel mondo delle Chiese ortodosse e perché è così importante la sua appartenenza al Patriarcato di Mosca?
Mi permetta di evitare tutta la retorica della “città madre della civiltà ortodossa russa” e di sorvolare appena sullo stesso concetto sovranazionale di Rus’ (il nome ufficiale Русская Православная Церковь o “Chiesa ortodossa russa” significa letteralmente “Chiesa ortodossa della Rus’ ”, e non “Chiesa ortodossa della Russia”). Vorrei invece usare come metafora una barzelletta che la dice lunga sui legami tra i due popoli:
Un ucraino supplica Dio:
- Signore, perché hai dato tutto a quei maledetti russi, e a noi niente? Hanno petrolio e gas, una storia eroica, e poeti di fama mondiale, scrittori, compositori, scienziati...
- Dio: Ho dato tutte queste cose anche a voi...
- Ucraino: E dove, quando?
- Dio: Quando eravate russi...
La cosa tragica è che ogni separazione forzata dell’Ucraina dal resto della Rus’ (anche quando tenta di appropriarsi dei nomi dei santi Vladimir e Olga, del loro sigillo del tridente e di un’inesistente storia di Ortodossia autocefala) la priva della quasi totalità della sua identità, riducendola a una landa di frontiera (“U-kraina”: “Sul confine”) con poche tradizioni popolari e ancor meno particolarità ecclesiali. Il vuoto va riempito letteralmente con qualsiasi influenza esterna: polacca, lituana, svedese, austro-ungarica, nazista, inglese, americana... il passo è breve per giungere a deliri di controsenso, come accusare i russi di “influenza mongola” e poi presentare come ragione principale contro il passaggio della Crimea alla Russia... i diritti dei tatari di Crimea! La “lingua ucraina” di oggi (che già non è più la “lingua ucraina” promossa in funzione antirussa da austro-ungarici e tedeschi agli inizi del XX secolo) è un’incredibile guazzabuglio di prestiti dal polacco, dal tedesco, e se necessario perfino dall’inglese (!), assolutamente incomprensibile al di fuori di una piccola regione, e che se adottata in alternativa al russo, invece di dare all’Ucraina un’identità forte, la marginalizzerà come una nazione sempre più irrilevante. Naturalmente, anche in campo religioso, un’Ortodossia ucraina autocefala finirà per dipendere da contesti presi a prestito da altri ambienti religiosi. E mentre una nuova lingua, anche marginale e incomprensibile, può essere adottata da chiunque la voglia adottare (al solo prezzo di emarginarsi e di non farsi capire), una nuova religione che si nutre di elementi estranei finirà prima o poi per assumerne anche elementi dogmatici, e non sarà più espressione della stessa fede ortodossa.
Come spiega l’atteggiamento del Patriarcato di Costantinopoli che ha riconosciuto l’autocefalia della Chiesa Ucraina?
Mi considero capace di una certa ampiezza di vedute, ma neanche io riesco a trovare un modo di riconciliare con la logica e con il buon senso l’attuale corso del Patriarcato di Costantinopoli, con i suoi strani comportamenti di incoerenza (“diamo l’autocefalia agli ucraini – che non la vogliono – perché ci torna comodo, anche se così danneggiamo i nostri fratelli russi” e “non diamo l’autocefalia ai macedoni – che la vogliono – perché non ci torna comodo, e per non danneggiare i nostri fratelli serbi”) e i suoi ancor più strani comportamenti di coerenza (“sì all’autocefalia dell’Ucraina, perché gli autocefalisti ci portano soldi”, e “no all’autocefalia dell’America, perché i greco-americani ci portano soldi”). Tutto molto comprensibile dal punto di vista dei giochi umani di potere (o di mera sopravvivenza), ma allo stesso modo tutto molto (se mi si concede un neologismo) “pateticumenico”.
Si può parlare di un nuovo scisma nel mondo ortodosso date le divergenze tra il Patriarcato di Costantinopoli e quello di Mosca riguardo la situazione della Chiesa Ucraina?
Più che un nuovo scisma, se mi è permesso un gioco di parole sul titolo del romanzo di Gabriel García Márquez, definirei le vicende di questi giorni “Cronaca di uno scisma annunciato”.
Cerco di spiegarmi con un poco di divagazioni personali. La mia tonsura al monachesimo e la mia ordinazione al diaconato hanno avuto luogo nel febbraio del 1996, pochi giorni dopo che il Patriarcato di Mosca, in seguito a una crisi ecclesiale in Estonia, aveva annunciato una rottura con il Patriarcato di Costantinopoli che era esattamente la fotocopia (in scala più piccola) di quella che vediamo oggi. Le dramatis personae sono cambiate (solo il patriarca Bartolomeo è rimasto lo stesso), ma lo schema è un parallelo pressoché perfetto: un governo di una repubblica ex-sovietica desideroso di nascondere i propri insuccessi sotto la foglia di fico della russofobia, una Chiesa locale dipendente da Mosca, ma perfettamente integrata nella nazione (tanto da avere a capo un cittadino “etnico” locale), un gruppetto di rabbiosi immigrati che vivevano da decenni in Occidente crogiolandosi nelle memorie dei “bei tempi passati” del nazismo, e un patriarcato di Costantinopoli pronto a infilare il piede in ogni spiraglio di porta lasciato aperto, per amore o per forza, da Mosca. La situazione di scisma dell’Estonia perdurò per pochi mesi, e si concluse con un improbabile quanto anti-ortodosso “condominio di proprietà” (impossibile trovare un’altra soluzione, quando da una parte c’erano quasi tutte le proprietà delle chiese e dall’altra quasi tutti i fedeli), dove Costantinopoli fu tanto rispettosa della vantata “indipendenza estone” da mandare come proprio plenipotenziario nel paese un greco di Francia nato nello Zaire, con l’unica dote di… sapere il russo!
I negoziati sulla crisi estone lasciarono capire in termini non equivoci che, se si fosse ripetuto un caso simile (e tra le righe si leggeva dappertutto “UCRAINA”), i risultati sarebbero stati simili, e anche più duri. Pertanto, chi oggi si sconvolge o si dispera dimostra solo di non conoscere la storia (neppure quella recente) della Chiesa ortodossa.
Per continuare con i ricordi personali, poco dopo la crisi estone, incontrai a Bologna il compianto archimandrita Marco (Davitti), che mi disse senza mezzi termini, com’era abituato a fare: “Ricorda che il prossimo scisma sarà tra Costantinopoli e Mosca... e quel giorno, io voglio essere con Mosca”. La cosa interessante è che quando me lo diceva era un prete della ROCOR (che ancora non era rientrata in comunione con Mosca), e la sua ordinazione al sacerdozio aveva avuto luogo proprio sotto... gli ucraini di Costantinopoli! Ho considerato fin da allora questi commenti come le valutazioni di una persona MOLTO informata sui fatti, e... i fatti gli hanno dato ragione.
Come dovrebbero procedere le Chiese ortodosse autocefale per custodire l’unità di cui l’Ortodossia avrebbe bisogno in questo contesto di rottura tra i due Patriarcati di cui stiamo parlando?
Le pretese primaziali del Trono Ecumenico in un senso che potrebbe essere definito “papismo ortodosso” sono ben chiare, e il loro sviluppo prevedibile. La reazione delle altre Chiese ortodosse potrebbe essere semplice come quella di una colomba, o astuta come quella di un serpente. La pazienza dimostrata finora di fronte a tutte le mosse arroganti è certamente segno di un’attitudine del primo tipo, anche quando questa pazienza ha fatto sopportare innumerevoli sofferenze interne. L’attitudine del secondo tipo potrebbe essere quella di lasciar procedere il Patriarcato Ecumenico sempre di più sulla strada delle sue pretese, e contenerne i danni fino al momento in cui il primo trono si “auto-liquiderà” (per usare la recente espressione del metropolita Ilarion di Volokolamsk) come istituzione di garanzia del mondo ortodosso, e tutte le Chiese autocefale non si fideranno più di tale trono, più di quanto si fidino di quello della Prima Roma. La situazione attuale sembra già piuttosto vicina a un simile sviluppo.
Per illustrare la situazione in parole più chiare, ecco quel che il mio amico Andrei Raevsky, in arte “Saker” (un analista geopolitico di prim’ordine), scrive analizzando gli sviluppi della crisi ucraina di questi giorni:
“a un livello più cinico, vorrei far notare che il Patriarca di Costantinopoli ha aperto un vero vaso di Pandora che ora ogni movimento separatista in un paese ortodosso sarà in grado di usare per chiedere la propria “autocefalia”, che minaccerà l’unità della maggior parte delle Chiese ortodosse. Se tutto ciò che serve per diventare “autocefali” è innescare una sorta di insurrezione nazionalista, allora immaginate quante “Chiese” richiederanno la stessa autocefalia degli ucro-nazisti di oggi! Il fatto che l’etno-filetismo sia un’eresia condannata chiaramente non fermerà nessuno di loro. Dopo tutto, se è abbastanza buono per il Patriarca “Ecumenico”, è sicuramente abbastanza buono per tutti i nazionalisti pseudo-ortodossi!”

venerdì 26 ottobre 2018

http://www.ortodossiatorino.net ( E siamo solo all'inizio)

Un prete americano ha lasciato la Chiesa di Costantinopoli per la ROCOR  in segno di protesta contro le azioni del patriarca Bartolomeo in Ucraina
 
interfax-religion.ru
23 ottobre 2018

 


 
  
Il rettore della Chiesa della Dormizione a Bluefield (USA, West Virginia), il sacerdote Mark Tyson, la lasciato il Patriarcato di Costantinopoli e si è unito alla ROCOR come segno di solidarietà con la Chiesa ortodossa canonica dell'Ucraina.
"Pochi giorni fa, il patriarca, che ho onorato con devozione e preghiera per oltre due decenni, ha compiuto un passo senza precedenti nel ripristinare lo status canonico di una banda ribelle di chierici deposti e screditati in Ucraina", scrive padre Mark al suo vescovo ordinario in una lettera, di cui è giunta copia lunedì a Interfax.
Il sacerdote nota che "le azioni immorali e non canoniche del patriarca Bartolomeo in Ucraina hanno già contribuito alla violenza contro la Chiesa canonica", e questa violenza aumenterà.
"Sotto i nostri occhi si sta svolgendo una guerra civile ecclesiastica... e il nostro patriarca le ha dato la sua approvazione ufficiale. La nuova e indipendente "chiesa" che ha creato è composta da idolatri. Questi non adorano la Santa Trinità, ma il falso Dio chiamato "Ucraina libera", – dice la lettera.
Per questo motivo, il sacerdote M. Tyson ha deciso di lasciare la parrocchia della Chiesa di Costantinopoli.
"Ho servito lì l'ultima liturgia e da ora non onorerò più il patriarca Bartolomeo. la mia coscienza semplicemente non me lo permette. (...) Ho deciso semplicemente, ma fermamente, di "fare un passo indietro" e di unirmi in comunione con la Chiesa ucraina sofferente, che è stata marginalizzata dalle azioni incomprensibili del patriarca Bartolomeo. Ho perso tutto il mio reddito. Perderò molti amici cari e meravigliosi. (...) Tuttavia, sono pronto a fare dolorosi sacrifici per non commemorare questo patriarca, che ha inferto una ferita di tal genere sul corpo della Chiesa", scrive padre Mark.
In conclusione, chiede "a ogni costo di evitare il contatto con gli idolatri appena resi 'canonici'," ritenendo che tale comunione sia "un inganno artificiale, che a suo tempo sarà ridicolizzato e anatematizzato".
Secondo le informazioni dell'ufficio della diocesi americana orientale della ROCOR, il sacerdote Mark Tyson è già stato ricevuto e nominato nel clero di una delle chiese della Virginia.
L'11 ottobre, il Sinodo di Istanbul ha invalidato il suo decreto del 1686 sul trasferimento della metropolia di Kiev a Mosca, ha annunciato la creazione del suo podvor'e a Kiev e ha riabilitato i leader delle autoproclamate chiese ortodosse in Ucraina. In risposta, il Sinodo del Patriarcato di Mosca ha annunciato una rottura completa delle relazioni con la Chiesa di Costantinopoli.




venerdì 19 ottobre 2018

(http://www.ortodossiatorino.net) Continuiamo a spiegare, tramite interventi di personalità religiose ortodosse, la disperata situazione della Chiesa Ortodossa in Ukraina, umiliata e vilipesa dalle morse della politica anti ortodossa e russofoba.

Metropolita Jonah (Paffhausen): 
"Pentitevi, e fermate questa pazzia"
Fort Russ / Monomakhos, 14 ottobre 2018

 
   
Ancora una volta, gli Stati Uniti e le sue politiche stanno creando il caos, che porta all'omicidio di persone innocenti e sconvolge un'antica istituzione. Solo che questa volta è una diretta interferenza negli affari non solo di uno stato nazionale, l'Ucraina, ma di un'istituzione religiosa, la Chiesa ortodossa. E l'effetto non è solo a livello locale, ma a livello mondiale.
La concessione dell'autocefalia al corpo scismatico ucraino, il cosiddetto Patriarcato di Kiev, non è principalmente un problema ecclesiastico, ma politico. Ecclesiasticamente, la politica statunitense sta interferendo a vari livelli. Ovviamente non interferisce in difesa dei diritti umani, della libertà di religione, delle istituzioni religiose che governano la propria vita senza commistioni del governo, o del fondamentale principio americano della separazione tra chiesa e stato. Agisce piuttosto contro a questi principi fondamentali americani e cerca di imporre ai fedeli dell'Ucraina una chiesa di stato unificata, sostenendo un governo impopolare installato, sostenuto e mantenuto dagli Stati Uniti, e cerca essenzialmente di nominare per quel corpo il clero e la gerarchia, in particolare il patriarca. Sicuramente sosterrà il governo ucraino nei suoi sforzi per nazionalizzare le 12.000 chiese appartenenti alla legittima Chiesa canonica ucraina e ai suoi fedeli, confiscando gli edifici e le proprietà, compresi gli antichi monasteri e i monumenti nazionali.
Il popolo ucraino, composto da fedeli cristiani ortodossi, combatterà contro la confisca delle proprie chiese, proprio come ha combattuto la confisca sovietica delle proprie chiese da parte dei comunisti negli anni '20. E ora come allora, i fedeli daranno la vita per la protezione dei loro luoghi santi dalla contaminazione da parte di falsi fratelli. Proprio come hanno combattuto eroicamente i nazisti nella seconda guerra mondiale, e poi di nuovo i comunisti dopo che i nazisti sono stati espulsi, respingeranno il falso patriarca Denisenko e combatteranno contro un governo che sanno che non si cura per nulla di loro, dei loro interessi, della loro libertà e della loro libertà religiosa, proprio come hanno respinto i rinnovazionisti della Chiesa vivente negli anni '20.
Moriranno migliaia di persone, protestando contro la politica americana tradotta in azioni violente da parte del governo ucraino. Questo è un peccato grave, per la leadership ucraina e per i suoi padroni americani.
Inoltre, non contenti di manipolare i mafiosi ecclesiastici e politici dell'Ucraina, uno stato fallimentare che coglie il potere e manca di legittimità dal suo popolo, il Dipartimento di Stato e altre agenzie si sono iniettati nel Patriarcato di Costantinopoli. Hanno manipolato l'anziano Patriarca ecumenico, direttamente o tramite i loro delegati, attraverso la sua più grande debolezza: la posizione precaria del Patriarcato in Turchia, da punto di vista politico e finanziario. Hanno provato a espandere la sua giurisdizione, assicurandone la stabilità finanziaria con tangenti di milioni di dollari. Stanno usando e abusando di un vecchio che sta cercando con tutte le sue forze di preservare un'antica istituzione. Hanno compromesso lui, e l'istituzione del Patriarcato ecumenico, e stanno quindi sconvolgendo non solo l'Ucraina e la sua precaria pace, ma promuovendo uno scisma che farà a pezzi il mondo ortodosso, una comunità più ampia degli Stati Uniti. Questa è una mossa amara e cinica, e profondamente malvagia.
La loro giustificazione è che vogliono limitare l'influenza della Russia. I neoconservatori e gli altri che controllano così tanto la politica americana sono posseduti da una russofobia paranoica, rimasta dai tempi della prima guerra fredda, e da un nuovo odio per i valori cristiani abbracciati dalla rinascita della Russia. Nonostante le aperture della Russia per una maggiore cooperazione e distensione, e l'apparente volontà del Presidente Trump di fare amicizia con la Russia, rimaniamo in ostaggio dei timori dei burocrati del Dipartimento di Stato e del Pentagono. Dovremmo non menzionare che la Russia ha un PIL inferiore a quello del Texas, e un bilancio militare di meno di un decimo di quello degli Stati Uniti. Quindi gli Stati Uniti cercano di colpire i russi nel punto che a loro interessa di più: la loro fede, la loro Chiesa, il loro cristianesimo.
La Chiesa ortodossa ucraina canonica, sotto il metropolita Onufrij, è una chiesa autonoma al massimo grado, collegata alla Chiesa ortodossa russa. È la diocesi madre della Chiesa russa, e c'è un legame millenario tra la metropolia di Kiev e il resto della Chiesa russa. Per anni, la metropolia di Kiev è stata autonoma, il che significa che il loro principale legame con Mosca è che commemorano il Patriarca di Mosca (pregano per lui) ai servizi. Altrimenti, governano da soli la propria vita. Il patriarca russo ha molta meno autorità sulla Chiesa in Ucraina di quanto non abbia il papa sui cattolici romani in America. (Esiste uno stretto parallelismo con i vecchi e profondi atteggiamenti anti-cattolici americani e le paure nei confronti del Patriarcato di Mosca). Tuttavia esistono stretti legami personali e un numero enorme di ucraini è presente nelle parrocchie e nelle diocesi di tutta la Russia. I legami sono organici e la Chiesa ucraina canonica non ha alcun desiderio di autocefalia e non l'ha richiesta.
E così il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e le altre agenzie sostengono un ciarlatano privo di grazia e legittimamente spretato che si veste da patriarca e che sta manipolando lui stesso il patetico Poroshenko, per sua ambizione personale. Hanno ricattato l'anziano Patriarca ecumenico, usando come pretesto la scomparsa di fondi dall'Arcidiocesi americana, e poi lo hanno corrotto. Per giustificarsi, questi ha affermato un'interpretazione della propria giurisdizione che è respinta dal resto delle Chiese ortodosse.
Le altre tredici Chiese ortodosse, con una o due eccezioni che sono rimaste in silenzio, condannano questa mossa del Patriarcato ecumenico. Non accettano l'affermazione di una giurisdizione virtualmente universale da parte del Patriarca di Costantinopoli, né l'autorità di agire unilateralmente, specialmente su questioni che richiedono il consenso di tutte le Chiese, come la concessione dell'autocefalia. Mentre i patriarchi non possono controllare ciò che accade politicamente in Ucraina, è più probabile che si incontreranno e tenteranno di rimuovere il Patriarca Bartolomeo per aver agito in modo contrario ai canoni universali. La più grande speranza è che il Patriarcato ecumenico si penta e che fermi questa follia. Potrebbe essere già troppo tardi.
Nel frattempo, se si passa attraverso l'autocefalia, delle babushki (nonne) moriranno in Ucraina cercando di difendere le loro amate chiese dai nuovi ucro-nazisti.
Il Patriarcato di Costantinopoli si sarà relegato nello scisma dal resto del mondo ortodosso; potrebbe anche unirsi al Vaticano. In ogni caso perderà ogni pretesa sul primato, salvo la memoria storica, e quindi ogni influenza.
Presto in Ucraina, Poroshenko perderà le elezioni e Denisenko, che ha oltre 90 anni, morirà. Allora lo scisma cadrà a pezzi, indipendentemente dal suo stato. L'Ucraina continuerà a crollare, chiesa autocefala o no, nel caos politico, sociale, economico ed ecclesiastico. Nessuno, né gli Stati Uniti né la Russia, è disposto o in grado di intervenire a salvarla. Alla fine si troverà in cenere. Quindi entrerà a far compagnia all'Iraq, alla Libia, alla Siria e ad altri luoghi distrutti dall'intervento americano.
L'Ortodossia, tuttavia, sopravvivrà – preferibilmente con il Patriarcato ecumenico intatto, ma anche senza di esso. Le altre chiese si sono già radunate attorno al Patriarca di Mosca come difensore e custode dell'ordine canonico; e intorno al Metropolita Onufrij di Kiev, vittima di profonda ingiustizia, che rivela la sofferenza di Cristo nel mezzo della persecuzione. Quindi, grazie alla politica degli Stati Uniti, Mosca emerge con forza come leader morale del mondo ortodosso. Giustizia poetica.
Ma tu, Dipartimento di Stato, avrai il sangue di nonnine e di anziani ucraini sulle tue mani e sul tuo capo. E dovrai rispondere delle tue decisioni e delle tue azioni davanti a Dio. Te ne importa qualcosa?
Il metropolita Jonah è un vescovo americano della Chiesa ortodossa russa al di fuori della Russia, ex primate della Chiesa ortodossa in America.

mercoledì 17 ottobre 2018

http://www.ortodossiatorino.net

Dichiarazione del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa in relazione all'invasione del Patriarcato di Costantinopoli sul territorio canonico della Chiesa russa
 Patriarchia.ru, 15 ottobre 2015
 
Dichiarazione adottata alla sessione del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa a Minsk il 15 ottobre 2018.

Con il più profondo dolore, il Santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa ha ricevuto il messaggio del Patriarcato di Costantinopoli pubblicato l'11 ottobre 2018 sulle decisioni adottate dal Santo Sinodo del Patriarcato di Costantinopoli: sulla conferma dell'intenzione di "concedere un'autocefalia alla Chiesa ucraina"; sull'apertura a Kiev della "stavropegia" del Patriarca di Costantinopoli; sulla "restaurazione al rango episcopale o sacerdotale" dei leader dello scisma ucraino e dei loro seguaci e il "ritorno dei loro credenti alla comunione ecclesiale"; sulla "cancellazione della validità" della gramota conciliare del Patriarcato di Costantinopoli nel 1686, riguardante il trasferimento della metropolia di Kiev al Patriarcato di Mosca.
Queste decisioni illegali sono state prese unilateralmente dal Sinodo della Chiesa di Costantinopoli, ignorando gli appelli della Chiesa ortodossa ucraina e dell'intera Chiesa ortodossa russa, così come delle Chiese ortodosse locali fraterne, dei loro Primati e dei loro vescovi a una discussione pan-ortodossa sulla questione.
Entrare in comunione con coloro che sono andati in scisma, e ancor più con chi è stato sottoposto ad anatema dalla Chiesa, equivale a entrare in scisma ed è severamente condannato dai canoni della Santa Chiesa: "Se... uno dei vescovi, presbiteri o diaconi o uno qualunque del clero sarà trovato ad avere comunione con persone scomunicate, sia egli stesso scomunicato, come fonte di confusione nell'ordine ecclesiale" (Canone 2 del Concilio di Antiochia, Canoni apostolici 10, 11).
La decisione del Patriarcato di Costantinopoli della "restaurazione" dello status canonico e la ricezione in comunione dell'ex metropolita Filaret Denisenko, scomunicato dalla Chiesa, ignora una serie di decisioni consecutive dei Concili episcopali della Chiesa ortodossa russa, la cui legittimità è al di fuori di ogni dubbio.
Per decisione del Concilio episcopale della Chiesa ortodossa ucraina a Kharkov del 27 maggio 1992, il metropolita Filaret (Denisenko), è stato deposto dalla cattedra di Kiev e bandito dal servizio clericale per non aver adempiuto ai giuramenti fatti da lui di fronte alla croce e al Vangelo nel precedente Concilio episcopale della Chiesa ortodossa russa.
Il Concilio dei vescovi della Chiesa ortodossa russa, con decreto dell'11 giugno 1992, ha confermato la decisione del Concilio di Kharkov e ha deposto Filaret Denisenko dal suo rango, privandolo di ogni grado di sacerdozio ministeriale per le seguenti imputazioni: "Atteggiamento crudele e arrogante, dittatoriale e ricattatorio verso il clero subordinato, (Tit 1:7- 8; Canone apostolico 27); introduzione di tentazione tra i credenti con il suo comportamento e vita personale (Mt 18:7; Canone 3 del primo Concilio ecumenico, Canone 5 del sesto Concilio ecumenico); spergiuro (Canone apostolico 25); calunnia pubblica e blasfemia contro un Concilio episcopale (Canone 6 del secondo Concilio ecumenico); celebrazione di riti religiosi, incluse le ordinazioni, in stato di sospensione (Canone apostolico 28); perpetrazione di uno scisma nella Chiesa (Canone 13 del Concilio Primo-Secondo)". Tutte le ordinazioni compiute da Filaret in stato di sospensione fin dal 27 maggio 1992, così come le punizioni da lui comminate, sono state dichiarate invalide.
Nonostante ripetute richieste di pentimento, dopo la deposizione dal suo grado gerarchico, Filaret Denisenko ha continuato la sua attività scismatica, anche entro i confini delle altre Chiese locali.
Per decisione del Concilio episcopale della Chiesa ortodossa russa nel 1997, è stato sottoposto ad anatema.
Queste decisioni sono state riconosciute da tutte le Chiese ortodosse locali, inclusa la Chiesa di Costantinopoli. In particolare, il 26 agosto 1992, Sua Santità il Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, in risposta alla lettera di Sua Santità il Patriarca Alessio II di Mosca e di Tutta la Rus' Alessio II, ha scritto a proposito della deposizione del metropolita Filaret di Kiev: "La nostra Santa e Grande Chiesa di Cristo, riconoscendo la piena ed esclusiva competenza della Chiesa ortodossa russa in questo campo, accetta sinodalmente la decisione sopra menzionata".
La lettera di Sua Santità il Patriarca Bartolomeo a Sua Santità il Patriarca Alessio II del 7 aprile 1997 sull'anatema a Filaret Denisenko afferma: "Avendo ricevuto la notifica della suddetta decisione, abbiamo informato l'episcopato del nostro Trono Ecumenico chiedendogli di non avere alcuna comunione con le persone summenzionate.
Ora, dopo più di due decenni, il Patriarcato di Costantinopoli, per ragioni politiche, ha cambiato la sua posizione.
Nella sua decisione di giustificare i leader dello scisma e di "legittimare" la loro gerarchia, il Santo Sinodo della Chiesa di Costantinopoli fa riferimento a inesistenti "privilegi canonici" del Patriarca di Costantinopoli di accettare appelli di vescovi e chierici di tutte le Chiese autocefale". Queste affermazioni, nella forma proposta ora dal Patriarca di Costantinopoli, non hanno mai avuto sostegno da parte della pienezza della Chiesa ortodossa: non hanno fondamento nei santi canoni e contraddicono direttamente, in particolare, il Canone 15 del Concilio di Antiochia: "Se un vescovo... è sottoposto a giudizio da parte di tutti i vescovi della provincia, e tutti pronunciano di comune accordo una contro di lui – che questi non sia nuovamente sottoposto a giudizio da parte di altri vescovi, ma che si faccia salvo il verdetto concorde dei vescovi della provincia". Queste pretese sono anche confutate dalla pratica delle decisioni dei santi Concili ecumenici e locali e dalle autorevoli interpretazioni dei canonisti dei tempi bizantini e moderni.
Così, scrive Ioannis Zonaras: "[il Patriarca di] Costantinopoli è riconosciuto come un giudice non in tutte le metropolie, ma solo in quelle a lui subordinate. Perché né i metropoliti della Siria, né i palestinesi, i fenici o gli egiziani sono portati contro la loro volontà alla sua corte, ma i siriani sono soggetti al giudizio del Patriarca di Antiochia, i palestinesi a quello del Patriarca di Gerusalemme, e gli egiziani sono giudicati dal Patriarca di Alessandria da cui sono ordinati e a cui sono subordinati".
Il Canone 116 (118) del Concilio di Cartagine parla dell'impossibilità di ricevere in comunione una persona condannata in un'altra Chiesa locale: "Chi, scomunicato dalla comunione ecclesiale... si reca surrettiziamente nei paesi d'oltremare per essere accettato in comunione, sarà espulso dal clero". Lo stesso si dice nel messaggio canonico del Concilio a Papa Celestino: "Che coloro che sono stati esclusi dalla comunione nella loro diocesi non sembrino essere restaurati alla comunione in modo indebito da Vostra Santità... Ogni questione che può sorgere a proposito dovrebbe essere risolta nel proprio territorio".
San Nicodemo l'Agiorita nel suo "Pedalion", che è una fonte autorevole del diritto canonico della Chiesa di Costantinopoli, interpreta il Canone 9 del quarto Concilio ecumenico, respingendo la falsa opinione sul diritto di Costantinopoli di considerare gli appelli da altre Chiese: "Il Primate di Costantinopoli non ha il diritto di agire in diocesi e province di altri patriarchi, e questa regola non gli ha dato il diritto di ricevere appelli su ogni questione in tutto l'ecumene della Chiesa..." ed elenca una serie di argomenti a favore di questa interpretazione,; riferendosi alla pratica delle decisioni dei Concili ecumenici, san Nicodemo conclude: "Al momento ...il Primate di Costantinopoli è il primo, l'unico e l'ultimo giudice sui metropoliti a lui subordinati – ma non su quelli che sono soggetti aad altri Patriarchi. Perché, come abbiamo detto, il giudice ultimo e universale di tutti i Patriarchi è il Concilio ecumenico e nessun altro". Da quanto precede risulta che il Sinodo della Chiesa di Costantinopoli non ha alcun diritto canonico di cancellare le decisioni giudiziarie emesse dal Concilio episcopale della Chiesa ortodossa russa.
Assegnare a se stessi l'autorità di annullare le decisioni giudiziarie di altre Chiese ortodosse locali è solo una delle manifestazioni della nuova falsa dottrina, ora proclamata dalla Chiesa di Costantinopoli, che attribuisce al Patriarca di Costantinopoli il diritto del "primo senza pari" (primus sine paribus) con giurisdizione universale. "Tale visione dei suoi diritti e poteri da parte del Patriarcato di Costantinopoli entra in una contraddizione insormontabile con la secolare tradizione canonica su cui si fonda l'esistenza della Chiesa ortodossa russa e di altre Chiese locali", ha messo sull'avviso il Concilio dei vescovi della Chiesa ortodossa russa del 2008 nella sua risoluzione "Sull'Unità della Chiesa". Nella stessa definizione, il Concilio ha invitato la Chiesa di Costantinopoli "a esercitare cautela, in attesa della considerazione ortodossa generale delle innovazioni elencate, e ad astenersi da passi che potrebbero far esplodere l'unità ortodossa. Ciò si applica in particolare ai tentativi di revisione dei limiti canonici delle Chiese ortodosse locali".
L'Atto del 1686, che conferma la metropolia di Kiev come parte del Patriarcato di Mosca ed è firmato da Sua Santità il Patriarca di Costantinopoli, Dionisio IV, e dal Santo Sinodo della Chiesa di Costantinopoli, non è soggetto a revisione. La decisione di "revocarlo" è canonicamente insignificante. Altrimenti, sarebbe possibile annullare qualsiasi documento che definisca il territorio canonico e lo status di una Chiesa locale, indipendentemente dalla sua antichità, autorità e riconoscimento generale da parte della chiesa.
Nell'Atto sinodale del 1686 e negli altri documenti che lo accompagnano, nulla si dice sulla natura temporanea del trasferimento della metropolia di Kiev al Patriarcato di Mosca, o che questo atto possa essere annullato. Il tentativo dei gerarchi del Patriarcato di Costantinopoli di riconsiderare questa risoluzione per ragioni politiche ed egoiste più di trecento anni dopo che è stata emanata contraddice lo spirito dei santi canoni della Chiesa ortodossa, che non consentono la revisione dei confini ecclesiastici stabiliti e non contestati da molto tempo. Così, il Canone 129 (133) del Concilio di Cartagine afferma: "Se qualcuno... ha portato un luogo all'unità cattolica e lo ha mantenuto nella sua giurisdizione per tre anni, e nessuno glielo ha contestato, allora non gli sia più tolto, così come se in quei tre anni c'è stato un vescovo che avrebbe dovuto contestarlo ma ha taciuto". E il Canone 17 del quarto Concilio ecumenico stabilisce un termine di prescrizione di trent'anni per la possibile considerazione conciliare delle controversie riguardanti la proprietà, persino di singole parrocchie: "Le parrocchie di ogni diocesi ... devono sempre rimanere sotto l'autorità dei vescovi che le dirigono – specialmente se nel corso di trent'anni sono state indisputabilmente sotto la loro giurisdizione e amministrazione".
E come è possibile annullare una decisione che è stata in vigore per tre secoli? Ciò significherebbe un tentativo di leggere l'intera storia successiva dello sviluppo della vita ecclesiale "come se non fosse mai esistita". Il Patriarcato di Costantinopoli non sembra notare che la Metropolia di Kiev del 1686, di cui ora annuncia il ritorno come se fosse una sua parte, aveva dei confini che differivano significativamente dai confini moderni della Chiesa ortodossa ucraina e coprivano solo una piccola parte di quest'ultima. La metropolia di Kiev dei nostri giorni comprende la città di Kiev e diverse aree adiacenti. La maggior parte delle diocesi della Chiesa ortodossa ucraina, specialmente nell'est e nel sud del paese, è stata fondata e sviluppata come parte della Chiesa russa autocefala, essendo il frutto delle sue secolari attività missionarie e pastorali. L'atto odierno del Patriarcato di Costantinopoli è un tentativo di rubare qualcosa che non gli è mai appartenuto.
L'atto del 1686 ha posto un limite al periodo di duecento anni di divisione forzata nella secolare storia della Chiesa russa, che, nonostante le mutate circostanze politiche, si riconosceva invariabilmente come un'unica entità. Dopo la riunificazione della Chiesa russa nel 1686, per più di tre secoli, nessuno ha dubitato che gli ortodossi dell'Ucraina siano il gregge della Chiesa russa, e non del Patriarcato di Costantinopoli. E oggi, nonostante la pressione di forze esterne anti-ecclesiali, questo gregge di molti milioni di fedeli apprezza l'unità della Chiesa di tutta la Rus' e le rimane fedele.
Il tentativo del Patriarcato di Costantinopoli di decidere il destino della Chiesa ortodossa ucraina senza il suo consenso è un'invasione anti-canonica dei territori delle altre Chiese. Un Canone ecclesiastico dice: "La stessa regola sia osservata ovunque in altre diocesi e province, in modo che nessuno dei vescovi benedetti da Dio estenda il proprio potere sulla diocesi di qualcun altro, ma se qualcuno ha preso e soggiogato [una provincia] con la forza, la restituisca... affinché i Canoni dei Padri non siano violati, e l'arroganza del potere terreno non si insinui sotto la forma dei sacri offici, e noi non perdiamo, gradualmente e impercettibilmente, la libertà che nostro Signore Gesù Cristo, il liberatore di tutti gli uomini, ci ha concesso con il suo sangue" (Canone 8 del terzo Concilio ecumenico). Rientra nella condanna di questo canone anche la decisione del Patriarcato di Costantinopoli di stabilire, d'accordo con le autorità secolari, la sua "stavropegia" a Kiev senza la conoscenza e il consenso della suprema autorità canonica della Chiesa ortodossa ucraina.
Giustificandosi ipocritamente con il desiderio di ripristinare l'unità dell'Ortodossia ucraina, il Patriarcato di Costantinopoli con le sue decisioni spericolate e politicamente motivate introduce una divisione ancora più grande e aggrava la sofferenza della Chiesa ortodossa canonica dell'Ucraina.
L'accettazione nella comunione di un'altra Chiesa locale di scismatici e di una persona colpita da anatema con tutti i "vescovi"e i "chierici" da questi ordinati, è un assalto alle eredità canoniche altrui, un tentativo di farli rinunciare alle proprie decisioni e impegni storici – tutto questo porta il Patriarcato di Costantinopoli al di fuori dei confini canonici e, con nostro grande dolore, ci rende impossibile continuare nella comunione eucaristica con i suoi vescovi, clero e laici. D'ora in poi, e fino a quando il Patriarcato di Costantinopoli rifiuterà di intraprendere le sue decisioni anti-canoniche, per tutti i chierici della Chiesa ortodossa russa è impossibile la concelebrazione con il clero della Chiesa di Costantinopoli, e per i laici la partecipazione ai sacramenti celebrati nelle sue chiese.
Il trasferimento di vescovi o di clero dalla Chiesa canonica agli scismatici o l'entrata in comunione eucaristica con questi ultimi è un crimine canonico e comporta sanzioni appropriate.
Con rammarico ricordiamo la predizione di nostro Signore Gesù Cristo riguardo ai tempi dell'inganno e della particolare sofferenza dei cristiani: E a causa dell'aumento dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà (Matteo 24:12). In condizioni di un così profondo indebolimento dei fondamenti delle relazioni inter-ortodosse e totale di disprezzo delle norme millenarie del diritto canonico della Chiesa, il Santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa considera suo dovere difendere i principi fondamentali dell'Ortodossia, per difendere la Santa Tradizione della Chiesa, sostituita da nuovi e strani insegnamenti sul potere universale del primo dei suoi Primati.
Facciamo appello ai Primati e ai Santi Sinodi delle Chiese ortodosse locali per una valutazione corretta dei suddetti atti anti-canonici del Patriarcato di Costantinopoli e per una ricerca congiunta delle vie d'uscita dalla più grave crisi che sta lacerando il corpo della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.
Esprimiamo il nostro pieno sostegno a Sua Beatitudine Onufrij, Metropolita di Kiev e e di Tutta l'Ucraina e alla pienezza della Chiesa Ortodossa Ucraina in questo momento per lei particolarmente difficile. Preghiamo per il rafforzamento dei suoi figli fedeli nel difendere coraggiosamente la verità e l'unità della Chiesa canonica in Ucraina.
Chiediamo agli arcipastori, al clero, ai monaci e ai laici di tutta la Chiesa ortodossa russa di rafforzare le preghiere per i loro fratelli della stessa fede in Ucraina. Possa la protezione della Santissima Regina del Cielo, dei venerabili padri delle Grotte di Kiev, di san Giobbe di Pochaev, dei nuovi martiri, dei confessori e di tutti i santi della Chiesa russa essere su di noi.