LA CHIESA GRECA NEL MERIDIONE
DOPO IL CONCILIO DI TRENTO
(1)
di Spyridon Colucci
Una
delle preoccupazioni principali di alcuni vescovi della provincia
era l’assimilazione o la latinizzazione della comunità a rito greco, che
nella loro opinione era legata all’eliminazione
dell’eterodossia. Anche se i vescovi tendevano a sminuire
l’ortodossia orientale nelle loro diocesi riferendosi a essa con il
termine di “rito greco”, esisteva in realtà una struttura
ecclesiastica organizzata, un retaggio del periodo bizantino, ancora
in sporadico contatto con Costantinopoli. [65]
Un clero greco era presente in trentasette diocesi del regno, otto
delle quali si trovavano in Terra d’Otranto: Alessano, Altamura (che
faceva
parte della provincia sino al 1663), Brindisi, Lecce, Nardò,
Otranto, Taranto e Ugento. La caduta di Otranto nel 1480 e la
distruzione dei centri monastici da parte dei turchi non cancellarono la
civiltà greca nella regione. La visita pastorale all’arcidiocesi di
Otranto del 1607 da parte dell’arcivescovo de Morra faceva riferimento
alla presenza di clero greco in tredici comunità,
inclusi trentadue chierici a Soleto e dodici a Calimera, per un
totale di novantanove ecclesiastici. [66]
Al loro numero elevato, percepito come un’ulteriore ostacolo ai
tentativi dei vescovi di controllare e riformare, si univa la loro
relativa
povertà, la mancanza d’istruzione e il generale stato di abbandono.
L’arcivescovo de Corderos di Otranto, scrivendo al cardinale Santoro nel
1580, espresse l’opinione che tutto il clero greco
fosse in un continuo stato di peccato, perché non aveva i libri
adatti e non sapeva recitare l’ufficio. Concluse dicendo che “gli abusi e
le insolenze dei Greci di questa provincia e non meno la
loro grande ignoranza sono tanti e tali e così continuati, che solo
qualche spirito angelico lo potria soffrire”.[67] L’arcivescovo
Brancaccio di Taranto fu ancora più duro nei riguardi delle
comunità albanesi nella sua diocesi, e cercò di imporre il rito
latino col pretesto di correggere alcuni abusi ecclesiastici”.[68] In
occasione delle sue visite pastorali alle comunità albanesi
nel 1577-8, proibì l’usanza del rito greco di somministrare la
comunione ai neonati, vietò che i mariti si risposassero se loro mogli
venivano sorprese in flagrante adultero e affermò che nessun
prete poteva essere ordinato da un vescovo di rito greco senza la
previa approvazione dell’arcivescovo o del suo vicario. Inoltre,
insistette che fosse adottata la versione latina della cresima e
proibì al clero latino e quello greco di celebrare le messe l’uno
nelle chiese dell’altro. ”[69]
Nonostante la tolleranza ufficiale del rito greco e la nomina da parte
di papa Clemente VII nel 1595 di un vescovo ordinante per i greci
dell’Italia (anche se direttamente soggetto all’autorità papale) in
Terra d’Otranto si mirava ad abolire le usanze greche sopravissute in
aree a predominanza italiana e a sopprimere gradualmente
il rito greco in località miste, sostituendolo con quello latino.
Per questa ragione, il clero greco di S. Pietro in Galatina (arcidiocesi
di Otranto) dovette presentare una petizione
all’arcivescovo de Capua nel 1570 per ottenere il permesso di
nominare un nuovo cantore, in seguito alla morte del precedente. A
Lecce, che aveva la sua parrocchia greca, un prete greco venne
accusato di aver battezzato un bimbo di genitori “latini” secondo il
rito greco, ma fu perdonato perché aveva agito in una situazione di
emergenza. ”[70] Spesso le vicine popolazioni di rito
latino contrastavano duramente la presenza del rito greco – aizzate
da chi ? –, trasformando la disputa in un conflitto confessionale. A
Soleto nel 1583 la comunità latina scrisse una petizione
contro l’arcipresbitero e il clero greco perché si convertissero
immediatamente al rito latino. Il paese di Calimera ebbe la fortuna di
poter mantenere il suo rito greco più a lungo di molti
altri, fino al 1663, quando, cioè, il suo protopapa fu assassinato e
l’archivio parrocchiale distrutto completamente da un incendio. [71]
Note presenti nel testo
[65]
V. PERI, Chiesa latina e chiesa greca
nell’Italia postridentina (1564-1596), in “Italia sacra”, no. 20,
Padova 1973, La Chiesa greca in Italia dal’VIII al XVI secolo, I, pp.
281-2;
[66] TSIRPAULIS, Memorie, cit., pp.
853-7;
[67] Cit. in PERI, Chiesa greca, cit., p.
314;
[68]
V. FARELLA, I decreti sinodali
dell’arcivescovo Lelio Brancaccio relativi ai greco-albanesi del
tarantino, in M. PAONE (a cura di), Studi di storia pugliese in onore di
Giuseppe Chiarelli, II, Galatina 1973, p. 665;
[69] Archivio Diocesano di Taranto, Sante
Visite, “Visitatio casalium Tarantinae diocesis archiepiscopi Brancacii de anno 1577”, f.475, cit. in ibid., p.673.
[70] Era notte e il bimbo stava morendo,
correndo il pericolo di finire nel limbo. ACAL, Giud. crim., “Contra Rvdo Gabriele De Orazio”, 1688, no. 758.
[71]
TSIRPAULIS, Memorie, cit., pp. 856, 862.
Nel paese di Galatone (diocesi di Nardò) l’eliminazione delle ultime
tracce della gerarchia di rito greco all’interno del capitolo fu
segnata, materialmente e simbolicamente, dalla edificazione
della chiesa del Crocifisso, negli anni 1622-5. M. CAZZATO,
Architettura e religiosità popolare: osservazioni e documenti in margine
alla ricostruzione della chiesa del Crocifisso di Galatone, in
“Sallentum”, VIII (1985), pp.33-5
(1) Tratto dalla pagina facebook di “Spyridon Colucci” [Estratto da
David
Gentilcore, (2003), LA CHIESA DI RITO GRECO, in Il vescovo e la
strega, Il sistema del sacro in Terra d’Otranto all’alba dell’età
moderna, traduzione dall’opera originale in inglese From Bishop
to Witch, The system of the Sacred in Early Modern Terra d’Otranto
(1992) a cura di Fabiana Gagliani, Nardò, BESA Editrice, pp. 66-67.]
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