venerdì 29 ottobre 2021

Chiesa Ortodossa Torino, Padre Ambrogio

  Sulle origini del Patriarcato di Costantinopoli

di Andrej Vlasov

Unione dei giornalisti ortodossi, 8 ottobre 2021

 

le pretese di Costantinopoli al primato non hanno alcun fondamento. Foto: Unione dei giornalisti ortodossi

In questo saggio, cercheremo di capire se ci siano reali presupposti storici per riconoscere il ruolo esclusivo del Patriarcato di Costantinopoli.

La linea di apertura de "La Cronaca degli anni passati" (o "La Cronaca primaria") del monaco Nestor il Cronista: "dell'origine della terra russa ..." apre una narrazione storica sulla provenienza della Rus'. In analogia con ciò, è interessante scoprire l'origine del Patriarcato di Costantinopoli e le ragioni che lo hanno portato alla sua posizione attuale nel mondo ortodosso. Dopotutto, se leggiamo attentamente il Nuovo Testamento, e in particolare il libro degli Atti degli Apostoli, che descrive la Chiesa nella sua struttura originaria, non vi troveremo alcun motivo serio non solo per l'esistenza del Patriarcato di Costantinopoli, ma anche dei patriarcati in quanto tali, nonché di metropolie, esarcati, autonomie e autocefalie, in una parola, dell'intera struttura amministrativa della Chiesa che vediamo ora. In che modo, sotto l'influenza di quali fattori, la Chiesa ha raggiunto la sua struttura moderna? L'esistenza di esattamente cinque patriarcati è così incrollabile come sostiene il Fanar? E cosa ha permesso a Costantinopoli in passato di occupare una posizione dominante nel mondo ortodosso? Capire tutto questo sarà sia interessante che utile da un punto di vista pratico.

L'organizzazione della Chiesa nei primi 200 anni

La Chiesa di Cristo nacque il giorno di Pentecoste quando lo Spirito Santo discese sugli apostoli. E l'inizio della sua diffusione nel mondo è descritto nell'ultimo capitolo del Vangelo di Marco: "Disse loro: 'Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato'. <...> Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava con loro e confermava la parola con i segni che l'accompagnavano" (Mc 16:15-20).

Gli apostoli di Cristo, sia tra i dodici che tra i settanta, andarono in città e villaggi, predicarono la parola di Dio e fondarono comunità cristiane. Queste comunità, alla loro stessa fondazione, acquisirono una forma organizzativa molto specifica, con una propria gerarchia interna e una divisione delle responsabilità. Gli apostoli di Cristo nominavano vescovi (che erano i cosiddetti presbiteri/anziani) e diaconi nelle comunità da loro fondate. Per esempio, il libro degli Atti ci parla dell'apostolo Paolo e dei suoi compagni: "Dopo aver predicato il vangelo in quella città e fatto un numero considerevole di discepoli, ritornarono a Listra, Icònio e Antiochia, rianimando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede poiché, dicevano, è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio. Costituirono quindi per loro in ogni comunità alcuni anziani e dopo avere pregato e digiunato li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto" (Atti 14:21-23). Anziani qui ovviamente significa vescovi.

Si scopre che i tre gradi di clero che esistono ancora oggi furono ordinati in ogni particolare comunità nei primi secoli del cristianesimo, e i loro poteri erano limitati a quella comunità. Compivano i servizi divini, si prendevano cura della moralità, stanziavano beni materiali, amministravano il giudizio, ma a quanto pare non si dedicavano all'insegnamento, o almeno non era obbligatorio per loro. I vescovi non si dedicavano all'opera missionaria e non predicavano Cristo né in altre città e paesi né, molto probabilmente, nella propria stessa città. Ciò era fatto da altre persone che, nei libri del Nuovo Testamento e in altri monumenti paleocristiani, erano chiamate apostoli, profeti e maestri.

L'apostolo Paolo scrive ai Corinzi: "Alcuni Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri..." (1 Cor 12:28). Qui, per apostoli, si intende non i dodici e i settanta (o meglio non solo loro), ma una posizione ecclesiastica ben definita e comprensibile per la gente di quel tempo, che esisteva, come le posizioni dei profeti e dei maestri (didaskaloi) fino alla fine del II secolo. Tutte e tre queste posizioni erano carismatiche quando lo Spirito Santo comandava loro di andare a predicare il vangelo. Il libro degli Atti descrive come ciò è stato fatto in pratica: "C'erano nella comunità di Antiochia profeti e dottori: Barnaba, Simeone soprannominato Niger, Lucio di Cirène, Manaèn, compagno d'infanzia di Erode tetrarca, e Saulo" (At 13:1).

Gli apostoli erano esclusivamente predicatori itineranti, e predicavano solo i fondamenti stessi del cristianesimo, fondando una comunità e andando subito avanti. La Didaché o gli Insegnamenti dei dodici apostoli (fine del I secolo – inizi del II secolo) dice: "Ogni apostolo che viene a voi sia accolto come il Signore. Rimarrà un giorno e, se sarà necessario, un secondo". Questo requisito si applica ai casi in cui l'apostolo è entrato in una comunità cristiana già esistente. Allo stesso tempo, la Didaché richiede che, quando parte, l'apostolo prenda solo il cibo necessario per l'ulteriore viaggio, e avverte che se l'apostolo chiede denaro, è un falso apostolo.

I profeti erano missionari già più solidi, nel senso che predicavano in comunità già stabilite, potevano rimanervi per un tempo più lungo, e talvolta per sempre, insegnavano ai credenti non solo le basi del cristianesimo, ma spiegavano loro anche l'insegnamento in modo più dettagliato e eseguivano i servizi divini. Ricevevano dalla comunità una buona indennità monetaria e materiale, ma allo stesso tempo non svolgevano alcuna funzione amministrativa.

Gli insegnanti o didaskaloi erano quasi come i profeti, ma il loro ministero basato sulla loro decisione di diventare insegnanti era meno carismatico e l'insegnamento stesso veniva tramandato da loro piuttosto sotto forma di conoscenza intellettuale piuttosto che di rivelazione carismatica.

Apostoli, profeti e didaskaloi godevano di maggior rispetto e autorità nella Chiesa rispetto ai vescovi. Ciò è dimostrato dai monumenti paleocristiani. Per esempio, la Didaché, esortando i credenti a rispettare i vescovi, li identifica con profeti e didaskaloi, il che suggerisce che questi ultimi godessero di un'autorità indiscutibile e che i vescovi dovessero essere chiamati al rispetto. “Non mostrare disprezzo per i vescovi, dovrebbero essere onorati da te insieme ai profeti e ai didaskaloi; poiché fanno per voi il ministero dei profeti e didaskaloi". Contiene anche l'indicazione che le funzioni dei profeti, didaskaloi e degli apostoli nel tempo cominciarono a essere trasferite ai vescovi. Questi tre ministeri carismatici scompaiono nella Chiesa sul soglia del III sec.

Il ministero degli apostoli, dei profeti e dei didaskaloi, guidati dallo Spirito Santo, univa l'intera Chiesa. Le comunità da loro fondate in diverse città e paesi adottvano lo stesso insegnamento e ricevevano la stessa direzione di sviluppo. Queste comunità professavano la stessa fede anche se a quel tempo non esistevano ancora né i canoni dei libri del Nuovo Testamento né regole scritte per la vita della Chiesa, né chiare formulazioni dottrinali. Le attività di questi servitori di Dio rendevano anche superflua la forma conciliare di risoluzione dei problemi ecclesiali e dei disaccordi sorti tra le diverse comunità.

L'ascesa delle metropolie e dei patriarcati

Il numero dei vescovi nell'antichità era molto grande; praticamente ogni comunità cristiana aveva il suo vescovo. Il testo del documento dei secoli II-III noto nella scienza come Сanoni ecclesiastici (da non confondere con i Canoni apostolici) suggerisce che una comunità composta da soli 12 fedeli può eleggersi un vescovo e prevede addirittura un meccanismo per eleggere un vescovo in comunità con meno di 12 cristiani.

C'erano molti vescovi, i loro poteri non andavano oltre la comunità, ed erano tutti uguali. Tuttavia, man mano che le attività degli apostoli, dei profeti e dei didaskaloi si esaurirono gradualmente, sorse la necessità di una forma di governo ecclesiale come i concili. Allo stesso tempo, la funzione missionaria fu trasferita ai vescovi delle comunità cristiane. Si manifestava principalmente nel fatto che i vescovi delle città iniziavano a stabilire comunità cristiane nei villaggi vicini, a capo delle quali ponevano presbiteri (già nella nostra moderna concezione di questa posizione) o diaconi.

Spesso tali comunità, soprattutto nei villaggi più grandi, erano guidate anch'esse da vescovi subordinati al vescovo della città. Tali vescovi erano chiamati corepiscopi. E se all'inizio della nascita di questa istituzione, i corepiscopi erano uguali o quasi uguali ai vescovi, nel tempo i loro poteri furono ristretti e ridistribuiti a favore del vescovo della città da cui dipendevano.

Man mano che nelle campagne si moltiplicano le comunità cristiane, aumenta anche il numero dei corepiscopi. Per esempio, san Gregorio il Teologo nei suoi scritti indica che c'erano 50 corepiscopi nel distretto episcopale di san Basilio il Grande. Essi naturalmente costituivano un concilio sotto il vescovo per trattare questioni importanti. La riduzione dei poteri dei corepiscopi alla fine li equiparò ai presbiteri/anziani; e alla fine del IV secolo questa istituzione scomparve del tutto.

Inoltre, i distretti episcopali situati nelle vicinanze iniziarono a gravitare l'uno verso l'altro nel tempo, formando quindi un distretto metropolitano guidato dal "primo vescovo" o metropolita. Il termine stesso "metropolita" si riscontra per la prima volta nei canoni del primo Concilio ecumenico (325), ma questa stessa istituzione è apparsa in un periodo che va dalla fine del II secolo all'inizio del III secolo.

Il canone 34 dei santi Apostoli recita: "I vescovi di ogni nazione devono riconoscere colui che è il primo tra loro e considerarlo come loro capo e non fare nulla di conseguenza senza il suo consenso; ma ciascuno può fare solo quelle cose che riguardano la propria parrocchia e le campagne che le appartengono. Ma neppure colui (che è il primo) faccia nulla senza il consenso di tutti; poiché così ci sarà l'unanimità, e Dio sarà glorificato per mezzo del Signore nello Spirito Santo". Qui vediamo che con l'uguaglianza di tutti i vescovi nel rito e nell'insegnamento, appare già una certa subordinazione nell'attuazione della funzione amministrativa.

Naturalmente le città grandi e importanti dell'Impero Romano, Roma, Alessandria, Antiochia, ecc, divennero i centri dei distretti metropolitani. Di norma, le comunità cristiane in queste città erano state fondate da qualcuno dei dodici apostoli, e questo fatto conferiva loro un'autorità ancora maggiore. Man mano che il cristianesimo in queste città si rafforzava e il numero dei credenti si moltiplicava, si diffondeva nelle città vicine e meno significative, dove le comunità cristiane consideravano la comunità della città principale della loro provincia come la loro "Chiesa madre". Oggi questo termine, grazie alle pretese di supremazia del patriarca Bartolomeo, è stato screditato, ma esiste ancora.

I vescovi di tali città minori consideravano i vescovi delle metropolie come i loro fratelli maggiori e più autorevoli. Dagli inizi del III secolo, appare una forma conciliare di governo della Chiesa, da allora sono stati regolarmente convocati Concili locali, che sono costituiti principalmente dai vescovi di un distretto metropolitano. Questo, per ovvie ragioni, eleva ulteriormente il vescovo della metropolia. Questi ha più occasioni per avvisare tutti i vescovi della convocazione di un concilio, in una città più grande e comoda c'è più possibilità di ricevere e accogliere ospiti. Lì, di regola, ci sono chiese o altri locali che possono ospitare un gran numero di partecipanti. Infine, è più conveniente per il vescovo di una grande città informare la gente sulle decisioni di un concilio e metterle in atto.

Va anche aggiunto che nelle grandi città c'era una vita economica più attiva, che portava a opportunità finanziarie più significative per le comunità di tali città. L'istruzione e la scienza fiorirono, dando alle comunità chierici e parrocchiani più istruiti.

La fondazione di una comunità cristiana da parte di uno dei dodici apostoli non faceva successivamente di tale comunità una metropolia. Per esempio, gli apostoli fondarono comunità in città come Troade, Listra e altre, che però non ebbero mai alcun vantaggio. Gerusalemme, che in alcuni scritti è chiamata "sede di Gesù Cristo stesso", fu subordinata al vescovo di Cesarea di Palestina nei secoli II-III. Il più importante fattore decisivo nell'elevazione di una città al rango di metropolia era il suo significato politico e amministrativo, e non l'antichità della sede, l'origine apostolica o altre ragioni puramente religiose.

I processi di accentramento che furono caratteristici della Chiesa nei secoli II-III e portarono alla nascita delle metropolie sfociarono poi nella nascita dei patriarcati. Nel III secolo, in ogni principale città provinciale dell'Impero Romano, in ogni metropolia civile, si formò una sede metropolitana della chiesa, e poiché c'erano molte di queste metropolie civili, il numero di metropoliti era corrispondente.

Gradualmente, cominciano a crescere di rango i metropoliti delle città più grandi e importanti, che alla fine acquisirono lo status di patriarchi. Pertanto, l'emergere dei patriarcati è una logica continuazione dello sviluppo del sistema delle metropolie e dei distretti metropolitani. Il rapporto dei patriarchi con i metropoliti, le loro funzioni e poteri sono gli stessi dei metropoliti stessi nei confronti dei vescovi ad essi subordinati, come il diritto di giudizio e di appello, la vigilanza sull'elezione dei vescovi e sulla loro consacrazione, la convocazione e la direzione dei concili.

La nascita del Patriarcato di Costantinopoli

Dei cinque patriarcati sorti nel primo millennio della storia cristiana, solo tre si sono formati nel modo naturale sopra descritto: i patriarcati di Roma, Alessandria e Antiochia. Quanto agli altre due, Gerusalemme e Costantinopoli, la loro formazione è stata alquanto diversa. Per quanto riguarda il Patriarcato di Gerusalemme, possiamo solo dire che dopo la distruzione di Gerusalemme e la formazione al suo posto della città di Aelia Capitolina con una popolazione prevalentemente pagana, la comunità cristiana di questa città perse il suo antico significato e alla fine fu subordinata al metropolita di Cesarea di Palestina, e quest'ultimo, a sua volta, al patriarca di Antiochia. La sua elevazione al rango di patriarcato avviene dopo il regno dell'imperatore Costantino il Grande, in cui fu aperto il Santo Sepolcro, fu ritrovato il prezioso legno della Croce, e furono costruite chiese cristiane. Per quanto riguarda il Patriarcato di Costantinopoli, la sua ascesa va di pari passo con l'istituzione di Costantinopoli come nuova capitale dell'impero.

La prima menzione dei diritti dei patriarchi, che non erano ancora così chiamati, è contenuta nel Canone 6 del I Concilio Ecumenico (325), si legge: "Prevalgano le antiche usanze in Egitto, Libia e Pentapoli: che il vescovo di Alessandria abbia giurisdizione su tutte queste, poiché la stessa cosa è consuetudine anche per il vescovo di Roma. Allo stesso modo, ad Antiochia e nelle altre province, le Chiese mantengano i loro privilegi".

Come si vede, non si parla del Patriarcato di Costantinopoli ma di alcune "altre province", i cui vescovi avevano diritti di patriarchi. Ciò che queste province è spiegato nel canone 2 del II Concilio Ecumenico (381), che ripete e dettaglia il canone 6 del II Concilio: "I vescovi non devono andare oltre le loro diocesi verso chiese che si trovano al di fuori dei loro confini, né creare confusione tra le chiese; ma il vescovo di Alessandria, secondo i canoni, amministri da solo le questioni dell'Egitto; e che i vescovi dell'Oriente gestiscano solo l'Oriente, conservando i privilegi della Chiesa di Antiochia, che sono menzionati nei canoni di Nicea; e che i vescovi della diocesi dell'Asia amministrino solo le questioni dell'Asia; e i vescovi del Ponto solo le questioni del Ponto; e i vescovi della Tracia solo le questioni della Tracia".

Cioè, secondo questo canone, alla fine del IV secolo non c'erano cinque, ma sei patriarcati: Roma, Alessandria, Antiochia, Efeso (Asia), Cesarea di Cappadocia (Ponto) ed Eraclio (Tracia).

A quel tempo, Costantinopoli era già la capitale dell'impero e il II Concilio ecumenico, che si tenne anche a Costantinopoli, decise di concedere al vescovo di questa città alcuni diritti onorifici. Ciò è affermato nel Canone 3 di questo concilio: "Il vescovo di Costantinopoli, tuttavia, avrà la prerogativa d'onore dopo il vescovo di Roma, perché Costantinopoli è la Nuova Roma".

Qui non si dice assolutamente nulla dei diritti del vescovo di Costantinopoli, perché questi non differivano in alcun modo dai diritti dei vescovi ordinari subordinati ai metropoliti. Se il Canone 2 parla di quali province sono subordinate ai vescovi (o patriarchi) di Alessandria, Antiochia, Efeso, ecc, allora il Canone 3 parla solo della prerogativa d'onore del vescovo di Costantinopoli come vescovo della città, non della provincia. La sua giurisdizione si estendeva solo a Costantinopoli, e amministrativamente (formalmente) era subordinata al vescovo di Eraclio. È molto buffo notare che la situazione è all'incirca la stessa che i fanarioti hanno cercato di organizzare all'inizio nella "Chiesa ortodossa dell'Ucraina" per placare Filaret Denisenko: il patriarca onorario era subordinato al metropolita.

Ma nel tempo, questo "patriarcato onorario" di Costantinopoli diventa un patriarcato di fatto, che gli viene infine assegnato legalmente dal IV Concilio ecumenico (451), il cui Canone 28 recita così: "anche noi emaniamo e decretiamo le stesse cose riguardanti i privilegi della santissima Chiesa di Costantinopoli, che è la nuova Roma. I padri giustamente concessero privilegi al trono della vecchia Roma, perché essa era la città imperiale. E i 150 piissimi vescovi, mossi dalla stessa considerazione, diedero pari privilegi al santissimo trono della Nuova Roma, giudicando giustamente che quella città che è onorata dalla sovranità e dal Senato, e gode di uguali privilegi della vecchia Roma imperiale, dovrebbe anche in materia ecclesiastica essere come lei magnificata, ed essere in rango accanto a lei; affinché nelle diocesi del Ponto, dell'Asia e della Tracia, i metropoliti e anche i vescovi delle diocesi di cui sopra che sono tra i barbari, debbano essere ordinati dal suddetto santissimo trono della santissima Chiesa di Costantinopoli; ogni metropolita delle suddette diocesi, insieme ai vescovi della sua provincia, ordina i suoi vescovi provinciali, come è stato dichiarato dai canoni divini; ma come è stato detto, i metropoliti delle suddette diocesi dovrebbero essere ordinati dall'arcivescovo di Costantinopoli, dopo che le elezioni appropriate sono state tenute secondo consuetudine e sono state a lui segnalate".

Come si vede, il Canone 28, in contrasto con il Canone 3 del II Concilio ecumenico, a cui si riferisce, non parla di prerogativa d'onore ma di specifici diritti patriarcali. Allo stesso tempo, il IV Concilio ecumenico elenca esattamente quali province sono soggette all'autorità del vescovo di Costantinopoli, non permettendogli di estendere la sua autorità oltre i loro confini. E queste province, come è facile intuire, sono proprio tre patriarcati passati alla storia: Efeso, Cesarea di Cappadocia ed Eraclio. Cioè, questi patriarcati, a causa dello status di capitale di Costantinopoli e della vicinanza territoriale ad essa, furono aboliti e subordinati al Patriarcato di Costantinopoli. Per inciso, i legati del papa protestarono contro questo canone, e il papa stesso non lo riconobbe per secoli.

Tuttavia tale subordinazione avvenne naturalmente nel IV-V secolo e il IV Concilio ecumenico la documentò solo legalmente. Per vari motivi, nella capitale dell'impero venivano spesso vescovi di altre città, e tutti erano ospiti del vescovo di Costantinopoli. Spesso, approfittando della loro presenza, si formava con loro un concilio presieduto dallo stesso vescovo di Costantinopoli per risolvere varie questioni ecclesiali. Come vescovo della capitale, questi poteva intercedere per altri vescovi davanti all'imperatore e risolvere anche altre questioni. Tutto ciò contribuì al fatto che era il vescovo di Costantinopoli a godere degli effettivi diritti patriarcali piuttosto che i vescovi delle tre province sopra citate.

Per esempio, lo storico della chiesa Teodoreto scrive dell'arcivescovo di Costantinopoli Giovanni Crisostomo (347-407): "Giovanni aveva cura non solo della sua città, ma anche dell'intera Tracia, persino dell'Asia intera, e governava l'intera provincia del Ponto". Successivamente, quando san Giovanni Crisostomo fu rimosso dalla sede, questa ingerenza non canonica a quel tempo negli affari di altre Chiese gli sarebbe stata imputata insieme ad altre accuse.

Conclusioni

Le conclusioni di questo breve saggio storico possono essere le seguenti:

In primo luogo, l'intero sistema amministrativo della Chiesa con patriarcati, distretti metropolitani, e successivamente esarcati, autonomie, ecc. non ha alcun significato sacro né origine apostolica. È sorto a causa delle specifiche condizioni politiche e di altro tipo prevalenti in quel momento. A un certo punto, la Chiesa, con il suo spirito conciliare, ha ritenuto che proprio tali forme di struttura amministrativa sarebbero state le più efficaci.

In secondo luogo, nel tempo e con il mutare delle condizioni storiche, queste forme si sono sviluppate e sono mutate. I successivi Concili ecumenici già regolavano alcuni rapporti tra le Chiese locali in modo diverso rispetto ai Concili precedenti. Ne consegue che la Chiesa in quanto organismo vivente ha il diritto di modificare queste forme di governo in relazione alle nuove condizioni storiche perché esse, lo ripetiamo, non costituiscono il soggetto della fede cristiana. In realtà, questo è ciò che osserviamo. Per esempio, qualche centinaio di anni fa non esistevano Chiese autonome.

In terzo luogo, l'affermazione che la Chiesa può esistere solo ed esclusivamente sotto forma di cinque patriarcati (abbastanza popolare nel Medioevo) non ha basi storiche o ancor più dogmatiche. Come già accennato, il secondo Concilio ecumenico cita sei patriarcati, tra i quali non esiste quello di Costantinopoli.

In quarto luogo, la Chiesa di Costantinopoli deve la sua elevazione e i suoi diritti patriarcali unicamente al fatto che Costantinopoli era la capitale dell'Impero. Il canone 28 del quarto Concilio ecumenico ne parla molto chiaramente: "perché era la città imperiale <...> la città che è onorata dal potere imperiale e dal senato". Ne consegue che se le condizioni su cui si basava questo canone sono scomparse, allora esso stesso, quanto meno, perde il suo significato.

Cioè, possiamo tranquillamente affermare che gli attuali tentativi dei vescovi di Costantinopoli di sostanziare i loro diritti esclusivi con riferimenti ai Concili ecumenici non sono giustificati né storicamente né canonicamente.

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