sabato 31 maggio 2014

Pubblicato da : Macchia Albanese su FB

LA REALTA’ OLTRE LE MASCHERE (DI PIAZZA) [1]
di Arvanitis Nazoraios
Se “in verità” si vuole descrivere la realtà senza maschere, in cui è ripiombata Makij - soprattutto dagli anni del “dissanguamento” dal 1966 – possiamo affermare senza alcun dubbio che non è poi così lontana dal vivere (vegetando) della “tirannide alfieriana”. I segni esteriori di questa piccola tirrannide, sono così impressi(onanti), che anche un semplice sguardo (vedi il volto urbano del villaggio), ti rende “estraneo”.
Solo i nomi delle vie ricordano al visitatore, la grandezza del suo passato: la Magna Grecia, la perduta fede romana-ortodossa degli arbëreshë di Scanderbegh (la Chiesa di S. Maria di Costantinopoli), la memoria letteraria. Sono queste le “voci che attraversano le epoche, le isole dei secoli e i naufragi. L’eredità è nel saper vivere queste voci. Voci che giungono da lontano e che indicano nuovi percorsi. Sono percorsi che ci chiamano e ci fanno andare oltre. Ci appartengono e dentro la memoria ridisegnano il nostro futuro.”
I suoi pochi abitanti senza più identità, si dimenano in discorsi “altrui”. Invasati dal/i mondo/i riversato/i dalla televisione, imbottiti dalle ghiande e dalle carrube dei maiali latini, bombardati dalla pubblicità franco-barbariche, hanno perso il loro passato, senza vivere il loro presente e rimandato il loro futuro. Senza mitizzare una “antica età dell’oro” la discrepanza con il presente-contemporaneo ci sembra abnorme.
E’ pietoso, vedere Makij, tradita da tanta indifferenza e “arricchita” da tanta vanità da perdere così la sua virtuosa umiltà.
Fa piangere, vedere questo paese, dissipare tanto patrimonio di cultura, di civiltà e di umanità. Se la mancanza di lavoro o la fame hanno deportato il paese nei tempi passati, ante e dopo guerra (comprensibilissimo), oggi in tempi di benessere diffuso, il paese viene “svuotato” per la profonda miseria intellettuale e culturale. Una ignoranza tale, che non risparmia nessuno, di qualsiasi ceto sociale appartenga: sia il ricco che il povero, sia l’intellettuale (pieno di sé), che l’elementare (vuoto di sé). Se prima, lo stomaco vuoto aveva stimolato l’ingegno, oggi lo stomaco pieno ha riempito e gonfiato di arroganza e di orgoglio più meschino, la mente, il cuore e lo spirito, infangando il volto spirituale del Villaggio. Molti dei pochi rimasti, “Rrinë me dy këmb si gjeli” (= stanno ritti come un gallo) e “Puru pjesht na ka koll” (=anche l’ultimo nella graduatoria sociale ha voce in capitolo). Oggi, anche la miseria, ha perso la sua “ virtù “. Se prima il paese moriva di fame, oggi muore di ignoranza.
E’ commovente e fa commiserare, vedere il villaggio morire e osservare la cecità e la sordità di coloro che sanno (o credono di sapere?) perdere “lussuosamente” la ricchezza incalcolabile di questa storia e poterne farne a meno: “Piccole perle che, sebbene opache, devono essere di monito agli italo-albanesi del natio umile villaggio di Makij.” [2]
E’ abissale la distanza, come fra cielo e terra, che separa la Makij luminosa dalla Macchia di oggi. Solo il visitatore “storico”, può fare un confronto e rendersi conto dello squallore, della miseria culturale e intellettuale, in cui il villaggio è ridotto. Come “Derku kur ngoset derdhen koriten” (=il maiale quando s’ingozza rovescia il truogolo), così passa la vita “luculliana” a Macchia. Un ammasso di macerie intellettuali e culturali, reso sempre più vuoto, dal tempo che scorre implacabile e dalla polvere accumulata nelle macerie. Ma cosa ancor più paradossale è “l’attaccamento” amaro a fortificate abitudini che “Nësë e nxier ka balta derku posovisen”.
E’ deplorevole e squallido ricordare che, neanche a distanza di una generazione, tutto sia andato perso, come neanche il più misero ricordo, si sia conservato nella memoria della poca gente sopravvissuta. Basti solo pensare, che la casa del De Rada è spoglia di ogni ricordo “materiale” (la biblioteca del poeta è stata rapita, venduta, saccheggiata), nessuna istituzione pubblica (comunale, provinciale e chi più ne ha più ne metta), in questi cento anni passati dalla morte del poeta, ha mai mosso un dito per ricordarsi di colui che ha ri-dato la lingua a un popolo intero.
E’ mortificante, non vedere più la Makij “delle persone nobili e meno nobili”, che ha arricchito buona parte, delle mille pagine, dell’Autobiografia del Michele Marchianò. Non esiste più Makij per i macclioti.
NOTE
1. Dal “Capitolo XIII” del libro “Storia di Makij di Arvanitis Nazoraios;
2. Renato Iskander Marchianò, Michele Marchianò, pag. 29 (1956).
P.S. Didascalia delle foto inserite - 1. Uno scorcio del paese; 2. Il caminetto in casa del poeta De Rada; 3. Interno della stanza da letto del poeta De Rada; 4. Il letto del poeta De Rada; 5. La casa del Michele Marchianò.
foto di Macchia Albanese.

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