martedì 17 novembre 2020

Questa è stata fino al Concilio di Trento la Chiesa dei miei Avi. I nostri preti venivano ordinati dai Vescovi ortodossi dell’Arcidiocesi di Hokrida, inviati appositamente, in quanto Costantinopoli era già sotto il giogo turco e questi Vescovi avevano giurisdizione da Pescara fino ad Agrigento. Noi popolo di migranti italo-albanesi professavamo la Santa Ortodossia ed i nostri preti durante la Liturgia nominavano il Patriarca di Costantinopoli. Dopo la Riforma di Lutero e la Controriforma di Roma iniziano i guai religiosi per il nostro popolo. Roma inizia una intensa guerra nei nostri confronti, per farci abbandonare l’ortodossia e quindi la nostra Fede e le nostre tradizioni liturgiche orientali. Ai Vescosi Ortodossi viene imposto di non recarsi nelle nostre comunità, pena l’arresto immediato se trovati a ordinare preti ortodossi. Abbandonati dai Vescovi, i nostri aspiranti preti, per non abbandonare le comunità nelle mani dei Latini, di nascosto vanno in Grecia o in Albania per farsi ordinare e per poter continuare la tradizione ortodossa.

Questi preti, al ritorno dalla loro ordinazione canonica presbiterale, non venivano riconosciuti da Roma e venivano apostrofati come “Eretici e Scismatici”, perché ordinati da vescovi greci. A quei tempi l’ecumenismo odierno non esisteva e Roma e Costantinopoli, dopo lo Scisma dei Latini del 1054, si erano separate. Roma aveva rotto la Pentarchia e si era allontanata dalla Vera Chiesa, separandosi dai fratelli orientali ed iniziando un percorso tutto personale.

I nostri Avi, quindi, si trovarono in una situazione di indigenza religiosa: nessuno poteva dar loro un aiuto concreto per frenare la potenza di Roma e,  nel contempo, risollevare il morale alle nostre popolazioni.

Preti e popolo si ribellarono allo strapotere romano, ma, senza un aiuto concreto, alla fine dovettero “cedere le armi” e salvare il salvabile, cioè il Rito.

Nel corso dei secoli ci trasformammo da “Cristiani Ortodossi” a “Comunità greco- cattoliche”, cioè un popolo martirizzato, allontanato con la forza dalla Fede dei loro Avi e sotto le grinfie della chiesa di Roma, la quale, per farci perdere anche quel poco di orientale che era rimasto, mette in atto, nei confronti delle popolazioni italo-albanesi un lento e deleterio lavaggio del cervello, inviando  preti latini passionisti, i quali, salendo sui pulpiti delle nostre povere chiese  le fanno diventare “più latine dei latini”, diffondendo  copiosamente figurine di santi della chiesa romana che con la nostra Fede non avevano nulla in comune.

Ecco che inizia, inesorabilmente, la nostra decadenza religiosa.  Preti e popolo nulla possono contro questro strapotere, qualcosa si salva, ma sempre sotto il vigile sguardo di Roma. 

Ci dicono che noi siamo “la gemma incastonata nella tiara papale”, siamo gli ortodossi uniti a Roma, siamo coloro che diamo l’esempio di come si può stare sotto il papato pur essendo orientali.

Insomma ci riempiono la mente di scempiaggini e noi, contenti di ciò restiamo sotto le grinfie papiste.

Non ci accorgiamo, o forse non ci conviene prenderne atto che: “Gli ortodossi non si curano di noi perché essendo sotto l’omoforio papale ci chiamano in forma dispregiativa “UNIATI”, i Latini nonostante secoli di lealtà al papa non si fidano di noi perché hanno paura che potremmo un giorno tornare all’antica Fede”, ci troviamo tra l’incudine ed il martello e come sosteneva l’indimenticabile Papas Vincenzo Matrangolo,  Parroco della Parrocchia di Acquaformosa:  ”Non siamo né carne, né pesce”.

I secoli sono inesorabilmente passati, l’ecumenismo strappalacrime avviato dal papa Paolo VI e dal Patriarca di Costantinopoli Atenagora, non ci permette più di avere quel posto in prima fila durante le riunioni di preghiera per l’unità dei cristiani in quanto essendo nato  tra Roma ed il Fanar, un amore senza vergogna, quella gemma incastonata nella tiara ha perso tutta la sua lucidità e le diocesi che racchiudono il popolo italo-albanese non sono altro che diocesi della Conferenza Episcopale Italiana.

Dopo tanti secoli di stenti,  sarebbe il auspicabile, si decidesse di ripensare al periodo, anche se è stato di breve durata, in cui le comunità italo-albanesi professavano liberamente la Santa Ortodossia.

Credo che sarebbe l’ora di ritornare a ciò che eravamo prima del funesto Concilio di Trento e gridare con fierezza ai quattro venti: “SIAMO ORTODOSSI”.

Io l’ho fatto, altri italo-albanesi lo hanno fatto.

Ritornare a professare la Santa e Vera fede dei nostri Avi sarebbe un gesto significativo.

“VOLERE E’ POTERE” !!!

 

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