Sul volo di ritorno da Costantinopoli a Roma, interpellato da un giornalista russo ortodosso, papa Francesco ha fatto una battuta non immediatamente comprensibile dai non esperti:
“Dirò una cosa che forse qualcuno non può capire, ma… Le Chiese
cattoliche orientali hanno diritto di esistere, è vero. Ma l’uniatismo è
una parola di un’altra epoca. Oggi non si può parlare così. Si deve
trovare un’altra strada”.
Per capire il senso di questa battuta viene in soccorso la seguente nota.
L’autore insegna storia della Chiesa ortodossa nell’università
statale di Bologna e nella facoltà teologica dell’Emilia Romagna. È
diacono e presiede la commissione per l’ecumenismo dell’arcidiocesi di
Bologna.
*
“PAROLA DI UN’ALTRA EPOCA”
di Enrico Morini
“Uniatismo” è una brutta parola, anche se è un termine ormai
consacrato dall’uso ed è difficile farne a meno. L’alternativa corretta
sarebbe infatti una parafrasi: “insieme dei cristiani orientali uniti a
Roma”. L’espressione è stata coniata in ambito ortodosso, con un senso
pesantemente dispregiativo, per designare il frutto di un’unione spuria,
ingannevole, sleale e provocatoria.
Si tratta di un fenomeno iniziato, nella dinamica dei rapporti tra le
Chiese, in età moderna, quando la Chiesa cattolica si rese conto che,
dopo il fallimento dell’unione con la Chiesa ortodossa sottoscritto a
Firenze nel 1439, qualsiasi altro tentativo di giungere ad una unione
completa tra le due Chiese – anche per le mutate condizioni culturali e
politiche dell’Ortodossia, sotto il dominio turco – non aveva più la
benché minima possibilità di successo.
Si passò pertanto dall’obiettivo tradizionale, e più ambizioso,
dell’unione globale con l’Ortodossia nel suo complesso, alla nuova
strategia delle unioni parziali, strette con singoli episcopati di una
regione, che accettavano sinodalmente i termini dell’unione sancita a
Firenze, i quali comportavano l’accettazione del dogma cattolico con la
garanzia di mantenere il proprio rito e, più in generale, le proprie
tradizioni religiose (quale, ad esempio, il calendario giuliano).
Il fenomeno iniziò nel 1596 con l’unione, sancita a Brest,
dell’episcopato dell’Ucraina orientale – allora sotto la corona unita
polacco-lituana –, che guardava a Roma per superare una profonda crisi
culturale e morale.
Continuò con l’unione sancita a Uzhorod nel 1646 da parte del clero
ortodosso della Rutenia subcarpatica, allora nel regno d’Ungheria.
E si concluse con l’unione dei Romeni ortodossi di Transilvania, che
seguirono il vescovo di Alba Iulia, nel 1700, nell’adesione alla Chiesa
di Roma.
Poiché alla fine del XVIII secolo, sotto Caterina II, la Chiesa
ucraina unita venne abolita per legge, ma la Santa Sede la riorganizzò
nell’Ucraina occidentale, cioè in Galizia, attorno alla sede episcopale
Leopoli (Lviv), tutti questi cattolici di rito orientale vennero a
trovarsi all’interno dell’impero austro-ungarico, che si assunse il
compito di proteggerli e di promuoverne lo sviluppo e dove essi
assunsero la denominazione di greco-cattolici.
Nel frattempo anche nell’antico patriarcato di Antiochia – allora
sotto i turchi – si era prodotto un movimento di riavvicinamento a Roma e
quando, nel 1724, uno degli esponenti di questo movimento arrivò al
patriarcato si produsse una scissione in questa Chiesa, che sussiste
tuttora nel Vicino Oriente, tra greco-cattolici ed ortodossi, entrambi
di lingua araba.
Infine successivamente la Santa Sede ha istituito degli esarcati
apostolici in Russia (1917), in Bulgaria (1926) e in Grecia (1932) per i
fedeli cattolici di rito “bizantino”, frutto dell’attività missionaria
cattolica tra gli ortodossi.
Per gli ortodossi il fenomeno rappresenta una ferita sempre aperta.
Non si tratta infatti semplicemente di rispettare la libertà religiosa:
la loro avversione nasce da una incomprensione legata alla loro stessa
ecclesiologia.
Gli ortodossi non concepiscono infatti il rito separato dal dogma: il
modo in cui si prega è il riflesso di ciò che si crede. Da questo punto
di vista gli “uniati” sono un ibrido mostruoso: hanno il rito
ortodosso, ma professano la fede cattolica e, non essendo pertanto né
ortodossi né cattolici, sono percepiti esclusivamente come uno strumento
di propaganda, per svuotare di fedeli le Chiese ortodosse. In altri
termini, sono come il “cavallo di Troia” per espugnare l’Ortodossia.
Quando queste Chiese ritornarono alla luce dopo il periodo del
comunismo – che la aveva liquidate promuovendo il ritorno dei loro
fedeli all’Ortodossia – gli ortodossi posero un aut-aut alla Chiesa
cattolica: il dialogo teologico poteva proseguire soltanto dopo avere
risolto il problema dell’”uniatismo”.
Ne uscì, nel 1993, il documento
di Balamand, nel Libano, della commissione paritetica per il dialogo
teologico, che però non è stato recepito né dalla Chiesa cattolica, per
la quale era troppo severo nel giudizio storico sull’“uniatismo”, né
dalla maggioranza delle Chiese ortodosse, che lo ritengono troppo
permissivo nel difendere la sopravvivenza di queste Chiese. Anche una
successiva sessione plenaria della commissione a Baltimora nel 2000,
sempre su questo tema, si è conclusa con un nulla di fatto.
Le parole del Santo Padre, nel suo volo di ritorno da Costantinopoli,
riprendono esattamente i termini del testo di Balamand, che del resto
egli aveva già citato nell’intervista a “La Civiltà Cattolica” del 2013.
Il documento afferma che queste Chiese devono continuare ad esistere,
in quanto ormai hanno conseguito una particolare fisionomia, una
propria identità ecclesiale e culturale, all’interno del Cattolicesimo,
che anche arricchiscono infondendo in esso la linfa vitale della
spiritualità e della teologia orientale (basti pensare al ruolo del
patriarca greco-cattolico di Antiochia, Massimo IV Saigh, al Concilio
Vaticano II; il patriarca Atenagora gli disse: “Voi ci rappresentate!”) e
hanno testimoniato con il sangue la loro fedeltà alla Chiesa di Roma.
Nel contempo il documento riconosce che il metodo di costruire
l’unità tra le due Chiese attraverso le unioni parziali è oggi superato,
in quanto ferisce la carità ed è assolutamente incompatibile con
l’ecclesiologia delle Chiese sorelle.
*
UNA POSTILLA – Tra gli “uniati” gli ucraini sono il gruppo più
numeroso, con più di cinque milioni di fedeli. E sono anche quello più
in conflitto
con la Chiesa ortodossa. Sono infatti i greco-cattolici ucraini il
principale ostacolo all’incontro tra il papa e il patriarca di Mosca,
con l’ulteriore aggravante – richiamata da Francesco nella conferenza
stampa del 30 novembre – della guerra civile in corso nel paese.
Il prossimo 10 dicembre i greco-cattolici ucraini celebreranno a Kyiv
il venticinquesimo anniversario del loro ritorno alla libertà, dopo il
crollo dell’impero sovietico che li aveva forzatamente annessi
all’ortodossia. E per l’occasione papa Francesco invierà come suo rappresentante
il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna e quindi della
storica capitale di quell’impero asburgico che li protesse
dall’imperialismo russo politico e religioso.
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