Dichiarazione del Santo Sinodo della Chiesa
ortodossa russa in relazione all'invasione del Patriarcato di
Costantinopoli sul territorio canonico della Chiesa russa
Patriarchia.ru, 15 ottobre 2015
Dichiarazione adottata alla sessione del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa a Minsk il 15 ottobre 2018.
Con il più profondo dolore, il Santo
Sinodo della Chiesa ortodossa russa ha ricevuto il messaggio del
Patriarcato di Costantinopoli pubblicato l'11 ottobre 2018 sulle
decisioni adottate dal Santo Sinodo del Patriarcato di Costantinopoli:
sulla conferma dell'intenzione di "concedere un'autocefalia alla Chiesa
ucraina"; sull'apertura a Kiev della "stavropegia" del Patriarca di
Costantinopoli; sulla "restaurazione al rango episcopale o sacerdotale"
dei leader dello scisma ucraino e dei loro seguaci e il "ritorno dei
loro credenti alla comunione ecclesiale"; sulla "cancellazione della
validità" della gramota conciliare del Patriarcato di Costantinopoli nel
1686, riguardante il trasferimento della metropolia di Kiev al
Patriarcato di Mosca.
Queste decisioni illegali sono state
prese unilateralmente dal Sinodo della Chiesa di Costantinopoli,
ignorando gli appelli della Chiesa ortodossa ucraina e dell'intera
Chiesa ortodossa russa, così come delle Chiese ortodosse locali
fraterne, dei loro Primati e dei loro vescovi a una discussione
pan-ortodossa sulla questione.
Entrare in comunione con coloro che sono
andati in scisma, e ancor più con chi è stato sottoposto ad anatema
dalla Chiesa, equivale a entrare in scisma ed è severamente condannato
dai canoni della Santa Chiesa: "Se... uno dei vescovi, presbiteri o
diaconi o uno qualunque del clero sarà trovato ad avere comunione con
persone scomunicate, sia egli stesso scomunicato, come fonte di
confusione nell'ordine ecclesiale" (Canone 2 del Concilio di Antiochia,
Canoni apostolici 10, 11).
La decisione del Patriarcato di
Costantinopoli della "restaurazione" dello status canonico e la
ricezione in comunione dell'ex metropolita Filaret Denisenko,
scomunicato dalla Chiesa, ignora una serie di decisioni consecutive dei
Concili episcopali della Chiesa ortodossa russa, la cui legittimità è al
di fuori di ogni dubbio.
Per decisione del Concilio episcopale
della Chiesa ortodossa ucraina a Kharkov del 27 maggio 1992, il
metropolita Filaret (Denisenko), è stato deposto dalla cattedra di Kiev e
bandito dal servizio clericale per non aver adempiuto ai giuramenti
fatti da lui di fronte alla croce e al Vangelo nel precedente Concilio
episcopale della Chiesa ortodossa russa.
Il Concilio dei vescovi della Chiesa
ortodossa russa, con decreto dell'11 giugno 1992, ha confermato la
decisione del Concilio di Kharkov e ha deposto Filaret Denisenko dal suo
rango, privandolo di ogni grado di sacerdozio ministeriale per le
seguenti imputazioni: "Atteggiamento crudele e arrogante, dittatoriale e
ricattatorio verso il clero subordinato, (Tit 1:7- 8; Canone apostolico
27); introduzione di tentazione tra i credenti con il suo comportamento
e vita personale (Mt 18:7; Canone 3 del primo Concilio ecumenico,
Canone 5 del sesto Concilio ecumenico); spergiuro (Canone apostolico
25); calunnia pubblica e blasfemia contro un Concilio episcopale (Canone
6 del secondo Concilio ecumenico); celebrazione di riti religiosi,
incluse le ordinazioni, in stato di sospensione (Canone apostolico 28);
perpetrazione di uno scisma nella Chiesa (Canone 13 del Concilio
Primo-Secondo)". Tutte le ordinazioni compiute da Filaret in stato di
sospensione fin dal 27 maggio 1992, così come le punizioni da lui
comminate, sono state dichiarate invalide.
Nonostante ripetute richieste di
pentimento, dopo la deposizione dal suo grado gerarchico, Filaret
Denisenko ha continuato la sua attività scismatica, anche entro i
confini delle altre Chiese locali.
Per decisione del Concilio episcopale della Chiesa ortodossa russa nel 1997, è stato sottoposto ad anatema.
Queste decisioni sono state riconosciute
da tutte le Chiese ortodosse locali, inclusa la Chiesa di
Costantinopoli. In particolare, il 26 agosto 1992, Sua Santità il
Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, in risposta alla lettera di Sua
Santità il Patriarca Alessio II di Mosca e di Tutta la Rus' Alessio II,
ha scritto a proposito della deposizione del metropolita Filaret di
Kiev: "La nostra Santa e Grande Chiesa di Cristo, riconoscendo la piena
ed esclusiva competenza della Chiesa ortodossa russa in questo campo,
accetta sinodalmente la decisione sopra menzionata".
La lettera di Sua Santità il Patriarca
Bartolomeo a Sua Santità il Patriarca Alessio II del 7 aprile 1997
sull'anatema a Filaret Denisenko afferma: "Avendo ricevuto la notifica
della suddetta decisione, abbiamo informato l'episcopato del nostro
Trono Ecumenico chiedendogli di non avere alcuna comunione con le
persone summenzionate.
Ora, dopo più di due decenni, il Patriarcato di Costantinopoli, per ragioni politiche, ha cambiato la sua posizione.
Nella sua decisione di giustificare i
leader dello scisma e di "legittimare" la loro gerarchia, il Santo
Sinodo della Chiesa di Costantinopoli fa riferimento a inesistenti
"privilegi canonici" del Patriarca di Costantinopoli di accettare
appelli di vescovi e chierici di tutte le Chiese autocefale". Queste
affermazioni, nella forma proposta ora dal Patriarca di Costantinopoli,
non hanno mai avuto sostegno da parte della pienezza della Chiesa
ortodossa: non hanno fondamento nei santi canoni e contraddicono
direttamente, in particolare, il Canone 15 del Concilio di Antiochia:
"Se un vescovo... è sottoposto a giudizio da parte di tutti i vescovi
della provincia, e tutti pronunciano di comune accordo una contro di lui
– che questi non sia nuovamente sottoposto a giudizio da parte di altri
vescovi, ma che si faccia salvo il verdetto concorde dei vescovi della
provincia". Queste pretese sono anche confutate dalla pratica delle
decisioni dei santi Concili ecumenici e locali e dalle autorevoli
interpretazioni dei canonisti dei tempi bizantini e moderni.
Così, scrive Ioannis Zonaras: "[il
Patriarca di] Costantinopoli è riconosciuto come un giudice non in tutte
le metropolie, ma solo in quelle a lui subordinate. Perché né i
metropoliti della Siria, né i palestinesi, i fenici o gli egiziani sono
portati contro la loro volontà alla sua corte, ma i siriani sono
soggetti al giudizio del Patriarca di Antiochia, i palestinesi a quello
del Patriarca di Gerusalemme, e gli egiziani sono giudicati dal
Patriarca di Alessandria da cui sono ordinati e a cui sono subordinati".
Il Canone 116 (118) del Concilio di
Cartagine parla dell'impossibilità di ricevere in comunione una persona
condannata in un'altra Chiesa locale: "Chi, scomunicato dalla comunione
ecclesiale... si reca surrettiziamente nei paesi d'oltremare per essere
accettato in comunione, sarà espulso dal clero". Lo stesso si dice nel
messaggio canonico del Concilio a Papa Celestino: "Che coloro che sono
stati esclusi dalla comunione nella loro diocesi non sembrino essere
restaurati alla comunione in modo indebito da Vostra Santità... Ogni
questione che può sorgere a proposito dovrebbe essere risolta nel
proprio territorio".
San Nicodemo l'Agiorita nel suo
"Pedalion", che è una fonte autorevole del diritto canonico della Chiesa
di Costantinopoli, interpreta il Canone 9 del quarto Concilio
ecumenico, respingendo la falsa opinione sul diritto di Costantinopoli
di considerare gli appelli da altre Chiese: "Il Primate di
Costantinopoli non ha il diritto di agire in diocesi e province di altri
patriarchi, e questa regola non gli ha dato il diritto di ricevere
appelli su ogni questione in tutto l'ecumene della Chiesa..." ed elenca
una serie di argomenti a favore di questa interpretazione,; riferendosi
alla pratica delle decisioni dei Concili ecumenici, san Nicodemo
conclude: "Al momento ...il Primate di Costantinopoli è il primo,
l'unico e l'ultimo giudice sui metropoliti a lui subordinati – ma non su
quelli che sono soggetti aad altri Patriarchi. Perché, come abbiamo
detto, il giudice ultimo e universale di tutti i Patriarchi è il
Concilio ecumenico e nessun altro". Da quanto precede risulta che il
Sinodo della Chiesa di Costantinopoli non ha alcun diritto canonico di
cancellare le decisioni giudiziarie emesse dal Concilio episcopale della
Chiesa ortodossa russa.
Assegnare a se stessi l'autorità di
annullare le decisioni giudiziarie di altre Chiese ortodosse locali è
solo una delle manifestazioni della nuova falsa dottrina, ora proclamata
dalla Chiesa di Costantinopoli, che attribuisce al Patriarca di
Costantinopoli il diritto del "primo senza pari" (primus sine paribus)
con giurisdizione universale. "Tale visione dei suoi diritti e poteri
da parte del Patriarcato di Costantinopoli entra in una contraddizione
insormontabile con la secolare tradizione canonica su cui si fonda
l'esistenza della Chiesa ortodossa russa e di altre Chiese locali", ha
messo sull'avviso il Concilio dei vescovi della Chiesa ortodossa russa
del 2008 nella sua risoluzione "Sull'Unità della Chiesa". Nella stessa
definizione, il Concilio ha invitato la Chiesa di Costantinopoli "a
esercitare cautela, in attesa della considerazione ortodossa generale
delle innovazioni elencate, e ad astenersi da passi che potrebbero far
esplodere l'unità ortodossa. Ciò si applica in particolare ai tentativi
di revisione dei limiti canonici delle Chiese ortodosse locali".
L'Atto del 1686, che conferma la
metropolia di Kiev come parte del Patriarcato di Mosca ed è firmato da
Sua Santità il Patriarca di Costantinopoli, Dionisio IV, e dal Santo
Sinodo della Chiesa di Costantinopoli, non è soggetto a revisione. La
decisione di "revocarlo" è canonicamente insignificante. Altrimenti,
sarebbe possibile annullare qualsiasi documento che definisca il
territorio canonico e lo status di una Chiesa locale, indipendentemente
dalla sua antichità, autorità e riconoscimento generale da parte della
chiesa.
Nell'Atto sinodale del 1686 e negli altri
documenti che lo accompagnano, nulla si dice sulla natura temporanea
del trasferimento della metropolia di Kiev al Patriarcato di Mosca, o
che questo atto possa essere annullato. Il tentativo dei gerarchi del
Patriarcato di Costantinopoli di riconsiderare questa risoluzione per
ragioni politiche ed egoiste più di trecento anni dopo che è stata
emanata contraddice lo spirito dei santi canoni della Chiesa ortodossa,
che non consentono la revisione dei confini ecclesiastici stabiliti e
non contestati da molto tempo. Così, il Canone 129 (133) del Concilio di
Cartagine afferma: "Se qualcuno... ha portato un luogo all'unità
cattolica e lo ha mantenuto nella sua giurisdizione per tre anni, e
nessuno glielo ha contestato, allora non gli sia più tolto, così come se
in quei tre anni c'è stato un vescovo che avrebbe dovuto contestarlo ma
ha taciuto". E il Canone 17 del quarto Concilio ecumenico stabilisce un
termine di prescrizione di trent'anni per la possibile considerazione
conciliare delle controversie riguardanti la proprietà, persino di
singole parrocchie: "Le parrocchie di ogni diocesi ... devono sempre
rimanere sotto l'autorità dei vescovi che le dirigono – specialmente se
nel corso di trent'anni sono state indisputabilmente sotto la loro
giurisdizione e amministrazione".
E come è possibile annullare una
decisione che è stata in vigore per tre secoli? Ciò significherebbe un
tentativo di leggere l'intera storia successiva dello sviluppo della
vita ecclesiale "come se non fosse mai esistita". Il Patriarcato di
Costantinopoli non sembra notare che la Metropolia di Kiev del 1686, di
cui ora annuncia il ritorno come se fosse una sua parte, aveva dei
confini che differivano significativamente dai confini moderni della
Chiesa ortodossa ucraina e coprivano solo una piccola parte di
quest'ultima. La metropolia di Kiev dei nostri giorni comprende la città
di Kiev e diverse aree adiacenti. La maggior parte delle diocesi della
Chiesa ortodossa ucraina, specialmente nell'est e nel sud del paese, è
stata fondata e sviluppata come parte della Chiesa russa autocefala,
essendo il frutto delle sue secolari attività missionarie e pastorali.
L'atto odierno del Patriarcato di Costantinopoli è un tentativo di
rubare qualcosa che non gli è mai appartenuto.
L'atto del 1686 ha posto un limite al
periodo di duecento anni di divisione forzata nella secolare storia
della Chiesa russa, che, nonostante le mutate circostanze politiche, si
riconosceva invariabilmente come un'unica entità. Dopo la riunificazione
della Chiesa russa nel 1686, per più di tre secoli, nessuno ha dubitato
che gli ortodossi dell'Ucraina siano il gregge della Chiesa russa, e
non del Patriarcato di Costantinopoli. E oggi, nonostante la pressione
di forze esterne anti-ecclesiali, questo gregge di molti milioni di
fedeli apprezza l'unità della Chiesa di tutta la Rus' e le rimane
fedele.
Il tentativo del Patriarcato di
Costantinopoli di decidere il destino della Chiesa ortodossa ucraina
senza il suo consenso è un'invasione anti-canonica dei territori delle
altre Chiese. Un Canone ecclesiastico dice: "La stessa regola sia
osservata ovunque in altre diocesi e province, in modo che nessuno dei
vescovi benedetti da Dio estenda il proprio potere sulla diocesi di
qualcun altro, ma se qualcuno ha preso e soggiogato [una provincia] con
la forza, la restituisca... affinché i Canoni dei Padri non siano
violati, e l'arroganza del potere terreno non si insinui sotto la forma
dei sacri offici, e noi non perdiamo, gradualmente e impercettibilmente,
la libertà che nostro Signore Gesù Cristo, il liberatore di tutti gli
uomini, ci ha concesso con il suo sangue" (Canone 8 del terzo Concilio
ecumenico). Rientra nella condanna di questo canone anche la decisione
del Patriarcato di Costantinopoli di stabilire, d'accordo con le
autorità secolari, la sua "stavropegia" a Kiev senza la conoscenza e il
consenso della suprema autorità canonica della Chiesa ortodossa ucraina.
Giustificandosi ipocritamente con il
desiderio di ripristinare l'unità dell'Ortodossia ucraina, il
Patriarcato di Costantinopoli con le sue decisioni spericolate e
politicamente motivate introduce una divisione ancora più grande e
aggrava la sofferenza della Chiesa ortodossa canonica dell'Ucraina.
L'accettazione nella comunione di
un'altra Chiesa locale di scismatici e di una persona colpita da anatema
con tutti i "vescovi"e i "chierici" da questi ordinati, è un assalto
alle eredità canoniche altrui, un tentativo di farli rinunciare alle
proprie decisioni e impegni storici – tutto questo porta il Patriarcato
di Costantinopoli al di fuori dei confini canonici e, con nostro grande
dolore, ci rende impossibile continuare nella comunione eucaristica con i
suoi vescovi, clero e laici. D'ora in poi, e fino a quando il
Patriarcato di Costantinopoli rifiuterà di intraprendere le sue
decisioni anti-canoniche, per tutti i chierici della Chiesa ortodossa
russa è impossibile la concelebrazione con il clero della Chiesa di
Costantinopoli, e per i laici la partecipazione ai sacramenti celebrati
nelle sue chiese.
Il trasferimento di vescovi o di clero
dalla Chiesa canonica agli scismatici o l'entrata in comunione
eucaristica con questi ultimi è un crimine canonico e comporta sanzioni
appropriate.
Con rammarico ricordiamo la predizione di
nostro Signore Gesù Cristo riguardo ai tempi dell'inganno e della
particolare sofferenza dei cristiani: E a causa dell'aumento dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà (Matteo
24:12). In condizioni di un così profondo indebolimento dei fondamenti
delle relazioni inter-ortodosse e totale di disprezzo delle norme
millenarie del diritto canonico della Chiesa, il Santo Sinodo della
Chiesa ortodossa russa considera suo dovere difendere i principi
fondamentali dell'Ortodossia, per difendere la Santa Tradizione della
Chiesa, sostituita da nuovi e strani insegnamenti sul potere universale
del primo dei suoi Primati.
Facciamo appello ai Primati e ai Santi
Sinodi delle Chiese ortodosse locali per una valutazione corretta dei
suddetti atti anti-canonici del Patriarcato di Costantinopoli e per una
ricerca congiunta delle vie d'uscita dalla più grave crisi che sta
lacerando il corpo della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.
Esprimiamo il nostro pieno sostegno a Sua
Beatitudine Onufrij, Metropolita di Kiev e e di Tutta l'Ucraina e alla
pienezza della Chiesa Ortodossa Ucraina in questo momento per lei
particolarmente difficile. Preghiamo per il rafforzamento dei suoi figli
fedeli nel difendere coraggiosamente la verità e l'unità della Chiesa
canonica in Ucraina.
Chiediamo agli arcipastori, al clero, ai
monaci e ai laici di tutta la Chiesa ortodossa russa di rafforzare le
preghiere per i loro fratelli della stessa fede in Ucraina. Possa la
protezione della Santissima Regina del Cielo, dei venerabili padri delle
Grotte di Kiev, di san Giobbe di Pochaev, dei nuovi martiri, dei
confessori e di tutti i santi della Chiesa russa essere su di noi.
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