PRECISAZIONI SULLA PRESENZA ROMANA DI PIETRO E SUL PRIMATO PAPALE a cura dell’archimandrita Angelo Altan
La tesi
tradizionale nella manualistica cattolica afferma che Pietro fu vescovo
di Roma per 25 anni e vi morì martire; impriogionato da Erode Agrippa
nella Pasqua del 44 e liberato prodigiosamente, se ne va altrove, cioè
ad Antiochia, dove si ferma per sette anni: lo affermano Origene,
Eusebio di Cesarea, Teodoretto, Giovanni Crisostomo, Girolamo e Papa
Leone Magno. Ad Antiochia, dopo il Concilio di Gerusalemme, ha un
incontro burrascoso con Paolo. Scrive due epistole per i giudaizzanti
d’Oriente, convertiti nella Pentecoste e muore a Roma in data
imprecisata.
Altra notizia eusebiana, raccolta da San Girolamo, afferma: Simon Petrus secundo Claudii imperatoris anno, Romam pergit ibique XXV annos cathedram tenuit usque ad ultimum Neronis annum,
e vi morì lo stesso giorno ed anno di Paolo: 29 Giugno del 67 d.C. La
notizia ricorre pure nel Chronografo del 354, la cui indipendenza dalla
fonte eusebiana non è però dimostrata e l’originale di Eusebio è
perduto.
Comunque i 25 anni di episcopato romano di Pietro, dovevano ridursi a 23 ma soprattutto, occorre notare che la notizia ha tutto il sapore di una volta encomiastica filocostantiniana, messa in forma dall’aulico vescovo di Cesarea, Eusebio (+339) il quale, per di più si contraddice, perchè altrove mostra pure di condividere la tesi di altri padri della Chiesa, cioè che Pietro, dopo la prodigiosa liberazione dal carcere di Gerusalemme, andò a dimorare ad Antiochia. Ora la presenza di Pietro e la sua morte a Roma è indubitabile; le testimonianze patrisitiche e catacombali sono troppo imponenti, per poter asserire il contrario.
Anche tralasciando Eusebio, che però insiste in ben tre punti diversi della sua storia della Chiesa, abbiamo Dionigi a Corinto, Origene e Clemente ad Alessandria, Giustino ad Efeso, inoltre, in Gallia San Ireneo da Lione, in Africa Tertulliano.
Però quali sono i limiti della presenza romana di Pietro? Quale la data della sua morte? Ebbene, intanto esaminiamo il gruppo degli ultimi 10 anni in questione (57-67) e poi gli anni che vanno dal 40 al 56.
Nel 57-58 Pietro non è a Roma; Paolo da Corinto invia ai romani una monumentale lettera, vi saluta ben 28 persone nominativamente, e globalmente i membri di cinque chiese domestiche, ma di Pietro nessun cenno.
Nel 59-60 Pietro non è a Roma; Paolo vi arriva nella primavera del 61 ed apprende che i giudei del luogo non sono ancora stati evangelizzati (Act. 28;22); ma non sarebbe stato proprio questo il compito di Pietro?! (Gal. 2,7-8); dunque in questi anni Pietro non fu a Roma.
Nel 61-63 Pietro non è a Roma; Paolo in questi anni di cattività romana, scrive quattro epistole, di cui solo quella agli Efesini non porta i saluti di persone residenti a Roma; ma in quella a Filemone, invia i saluti di quattro persone, in quella ai Colossesi i saluti di sei persone, in quella ai Filippesi invia i saluti del proprio gruppo e di quelli di casa Cesare; ma di Pietro nessun cenno e neppure di un suo gruppo: silenzio assoluto.
Nel 64 Pietro non è a Roma; Paolo, reduce dalla Penisola Iberica, e ritornato in Italia, scrive con Barnaba la lettera agli Ebrei; manda a loro i saluti dei fratelli d’Italia; informa che Timoteo è stato liberato dal carcere; ma di Pietro, l’apostolo dei circoncisi, nessun cenno! N.B. l’incendio di Roma è del luglio successivo alla lettera, ma anche stavolta non c’è l’indizio della presenza di Pietro in Roma.
Nel 65-66 Pietro non è a Roma. Paolo vi arriva in catene, arrestato a Troade come malfattore; scrive la seconda a Timoteo nell’autunno del 66, dandogli tante notizie personali e dell’ambiente romano, e conclude “solo Luca non è con me”; ma per Pietro, assoluto silenzio!! Ma è mai possibile che tra i due corifei degli Apostoli, ci fosse una tale ruggine di antitesi (Paolinismo e Petrinismo – come farneticheranno i modernisti!) da far si che Paolo volesse ignorare Pietro con assoluta ostinazione??!!
Ed ora saliamo a ritroso, per partire dagli anni 40.
Nel 40 Pietro è a Gerusalemme con Giacomo; riceve la visita di Paolo fuggito da Damasco, dopo tre anni di Arabia (Gal. I , 18-19).
Nel 41 Pietro è a Jope, poi a Cesarea per far battezzare Cornelio, poi a Gerusalemme per rendere conto agli Anziani ed alla comunità; frattanto arrivano notizie da Antiochia che anche là, il Vangelo è accolto dai Gojm.
Missione di Barnaba ad Antiochia. Siamo nel 42: non vi viene mandato Pietro, bensì il cipriota Barnaba. Evidentemente, nonostante l’episodio di Cornelio, la Chiesa di Gerusalemme non reputa che uno dei dodici si applichi all’evangelizzazione dei Gojm. Pietro resta quindi accanto a Giacomo, entro il girone giudaizzante della Chiesa Madre; difatti nel 44, quando Giacomo viene decapitato, anche Pietro viene arrestato; significa che fino ad allora, Pietro era sempre rimasto in Palestina, sotto il doppio controllo dei giudaizzanti e del Sinedrio.
Perciò: nel 42-43 Pietro non è a Roma; la presenza di una comunità cristiana a Roma – qualora sia mai esistita in quegli anni – ha origini ignote, più ancora che quella antiochena, i cui fondatori sono ignoti missionari, dei quali però si conosce almeno la provenienza: Cipro e Cirene (Act. XI, 19). In ogni caso Pietro non ha fondato la comunità romana.
Nel 44 dopo la liberazione dal carcere di Gerusalemme, egli non va a Roma bensì ad Antiochia: lo affermano i più illustri Padri della Chiesa, compreso Papa San Leone e vi resta per sette anni (come lo afferma pure Papa San Gregorio Magno).
Nel 45-49 Pietro non è a Roma, egli è ad Antiochia dove ha il suo recapito ufficiale; anche la liturgia romana ricorda questo, fin dal quarto secolo, il 22 Febbraio. E’ questa la festa originaria tradizionale dal titolo: “Natali Petri de Cathedra”.
Le Chiese Gallicane però, forse per non celebrare questa festa in Quaresima, la anticipavano al 18 Gennaio, ispirandosi alla Liturgia Orientale che celebra il 16 Gennaio “La prodigiosa liberazione di San Pietro dal carcere”. I due usi si svolsero indipendenti e paralleli per più secoli, ma finirono per perdere l’unità primitiva di significato cosicchè, invece che di un’unica Cattedra di San Pietro in Antiochia ne risultarono due di cui una fu arbitrariamente attribuita a Roma, quella del 18 Gennaio. Oggi abolita dopo il Concilio Vaticano II, la festa del 18 Gennaio è stata abolita; è rimasta solo quella del 22 Febbraio, ma senza più un’indicazione antiochena o romana.
Ad Antiochia, Pietro ritornerà anche dopo il Concilio di Gerusalemme. Negli anni della Cattedra Antiochena, Pietro visita i suoi primi convertiti fin dal giorno della Pentecoste, sparsi nelle regioni orientali. Evidentemente, non visita tutte le regioni, al termine del suo giro apostolico, manda la sua prima epistola da Babilonia, indirizzandola ai fedeli del Ponto, Cappadocia, Asia e Bitinia. Questa lista d’indirizzi, se confermata con Act. II 9-11, risulta assai incompleta: tralascia i fedeli di Egitto, Libia, Cirenaica, Roma e Creta.
Ciò porta a concludere che fino alla vigilia del Concilio di Gerusalemme (a.50), Pietro ancora non era stato a Creta o nell’Africa Settentrionale, ma neppure a Roma. Si obietta che Babilonia significa Roma, tanto nella scrittura (Apocalisse), quanto nella Patrisitica, nel linguaggio rabbinico, come pure nella tradizione codiciale.
Ebbene, nella Patristica il primo a dire Babilonia per Roma è Papia di Gerapoli, discepolo dell’apostolo Giovanni che scrisse l’Apocalisse; ma l’Apocalisse, come ci informano Sant’Ireneo e San Vittorino fu scritta alla fine del Regno di Domiziano (+96), cioè quasi mezzo secolo dopo della I Petri; dunque Babilonia della I Ptr. non riguarda Roma. Modus dicendi del linguaggio rabbinico? Sì, però non anteriore al 70 E.V. come appare degli Oracoli Sibillini, composti con la caduta di Gerusalemme e la fine del primo secolo. Circa poi la variante “ROMI”, essa è solo in due codici greci minuscoli, assai tardivi.
Si obietta che all’epoca di San Pietro, Babilonia era un cumulo di rovine. Ebbene, a parte il fatto che Babilonia indicava allora una regione vastissima come l’Arabia Paolina che andava da Damasco al Sinai, Babilonia era pure un centro fiorentissimo della diaspora ebraica. Giuseppe Flavio Ben Gurion scrive che al tempo del primo Erode “molte migliaia di membri del popolo ebraico si erano stabiliti in terra babilonese” ed Erode ne scelse uno pure a fungere persino da Gran Sacerdote: Ananele. Quindi Babilonia della prima Petri non significa “Roma” e non c’è nessun motivo per negare che tale epistola sia stata veramente scritta dan San Pietro, presso la Chiesa Giudeo Cristiana di Babilonia.
Nel 50-51 Pietro non è a Roma: è a Gerusalemme per il Concilio Apostolico (Act. XV); è anche ad Antiochia, dove Paolo lo apostrofa con violenza; è insomma, dove c’erano gli ebrei espulsi da Roma, nell’editto di Claudio del 49. (Act. XVIII, 2).
Nel 52-53 Pietro è in Oriente ancora; all’ora dei pasti si presenta alle mense delle varie comunità, assieme alla moglie; lo desumiamo da Paolo, che nella Pasqua del 53 da Efeso (dove si era fermato tre anni) scrive la prima epistola ai Corinzi in cui, tra l’altro, domanda risentito: “Forse non abbiamo la potestà di mangiare e di bere? O non abbiamo la facoltà di portarci attorno, una fedele donna, come gli altri apostoli e fratelli del Signore, e Cefa?” (I Cor. IX, 4,5).
La II di Pietro, verso la chiusa, ha un accento malizioso a Paolo: “Il nostro diletto fratello Paolo, pure vi scrisse secondo la sapienza datagli, parlando così come fa in tutte le sue lettere, nelle quali comunque, ci sono cose difficili a capirsi” (II Ptr. III, 15-16). Ora questa II Ptr. è certamente del 54, perchè nell’autunno del 53 Paolo ha scritto la II ai Corinzi la quale epistola è la quarta che Paolo scrive, dopo le due ai Tessalonicesi nel 52 e la I ai Corinzi nella Pasqua del 53.
Effettivamente, in codeste lettere, ci sono alcuni punti di difficile interpretazione. La I Ptr. ha un presentimento di morte imminente (I, 13-15); quindi Pietro è in carcere, in attesa di giudizio o addirittura di esecuzione. Dove? Se pensiamo che proprio in questo tempo sotto Claudio, l’apostolo Giovanni viene portato a Roma per subire il supplizio della caldaia d’olio bollente e che viene graziato con l’esilio a Patmos, unicamente perchè ne esce vivo e ancora più vegeto, dobbiamo concludere che anche Pietro fu condotto a Roma, regnante Claudio, per subire un micidiale martirio. Proprio nel 54 si rinnova l’editto di Claudio di espulsione dei Giudei da Roma (Act. XVIII, 2): Judeos, impulsore Chresto; assidue tumultuantes, Roma expulit. N.B: I coniugi Giudeo Cristiani, Aquila e Priscilla, sono nuovamente a Roma nel 58 (Rom. XIX, 3).
San Clemente Romano, nel 95-96 così scrive ai Corinzi: “Osserviamo i SS. Apostoli, specialmente Pietro che, per ingiusta invidia, subì pene acerbe, non una volta o due, ma molte volte, e che, compiuto il suo martirio, se ne andò al suo luogo di gloria che gli spettava” (C. IV).
Ora, Claudio muore nell’ottobre del 56; Pietro dunque muore prima, probabilmente già nel 55; lo deduciamo dalla lettera che Paolo da Efeso scrive ai Galati. N.B.: alcuni Giudeo-Cristiani della Galazia inculcavano l’obbligo della circoncisione e della osservanza mosaica a tutti i battezzati; dicevano che anche Giacomo e Pietro, la pensavano così. Paolo smentisce energicamente, affermando che Giacomo e Pietro (che egli aveva incontrato fin dalla prima visita a Gerusalemme [Gal. I, 18-20] e che ora non sono più), si dichiararono d’accordo con la non obbligatorietà della circoncisione. Il passo che ci interessa è in [Gal. II, 6-9]: “Giacomo e Cefa e Giovanni, quelli che sembravano essere qualcosa, lo erano un tempo, non obiettarono nulla a quanto esposi, e porsero a me e Barnaba le destre“. La lettera ai Galati è del 56, ma Giacomo Zebedeo era già morto (fu ucciso nel 44); dunque anche Pietro era già morto nel 56 .
Non si obbietti che Paolo accenna pure all’ancora vivo Giovanni; intanto, è da osservare che l’accenno è per transenna soltanto; e poi, è indubitato che Giovanni veniva allora considerato un “fuori serie” rispetto alla morte. Infatti se era ancora vivo, dopo la spietata flagellazione ed il bagno nell’olio bollente, lo era unicamente per intervento soprannaturale; i carnefici stessi ne furono così meravigliati, da graziare il condannato a morte, relegandolo a Patmos. Anzi, tutto ciò, conferma la voce corrente tra gli apostoli: “Giovanni non sarebbe morto, fino al ritorno di Gesù”, voce che sarà ridimensionata solo mezzo secolo dopo, dallo stesso Giovanni, quando ad Efeso, scriverà il Vangelo. Conclusione: i 25 anni di episcopato romano di San Pietro sono inammissibili biblicamente, anche 25 mesi sarebbero troppi: non combinano con la cronologia degli Acta e delle epistole paoline: restano al massimo 25 settimane di permanenza romana; quelle di attesa del processo e della condanna, tenendo conto anche del martirio della moglie di Pietro.
Il 25 Settembre del 54-55: questa la presenza di San Pietro in Roma; in questi termini, in questo scorcio di tempo soltanto. Il fatto pure che i viaggi marittimi dalla Palestina all’Italia duravano, in certe stagioni, anche sei mesi, non può consentire altra conclusione, per i brevi intervalli lasciati dalla cronologia neotestamentaria ad un ipotetico “Vescovo di Roma”.
Pietro è presente a Roma solo perchè arrestato in Oriente, vi viene condotto in catene per subire processo e condanna a morte. Così allora per Giovanni Zebedeo; così, una dozzina d’anni dopo, sarà per Paolo da Troade (II Tim. IV, 13): è presenza di morituro. Quindi il martirio romano dei due corifei, può essere avvenuto lo stesso giorno (29 Giugno), ma in anni e luoghi diversi: Pietro morto martire prima del 56, sul colle Vaticano; Paolo nel 67, fuori le mura. Antiochia può contare la presenza attiva dei due corifei cosicchè tuttora il Patriarca di Antiochia, si fregia del titolo primaziale di “Padre dei Padri e Pastore dei Pastori”; i due apostoli non vi hanno versato il sangue; ma in Roma, sì! Per questo Roma è la prima sedes. Pietro e Paolo sono i dioscuri della Cattedra Romana (San Giovanni in Laterano). I graffitti catacombali sono sintomatici al riguardo: le invocazioni a Pietro e a Paolo, pressocché si equivalgono numericamente, e anche i disegni li mostrano a pari merito: Cristo dà le chiavi, talora a Pietro, talora a Paolo. Oppure il rotolo della Legge, talora a Pietro, talora a Paolo, ugualmente. Nel Medioevo, il Papa era detto “Vicarius Petri” quando era in Urbe; “Vicarius Pauli” quando era fuori sede.
I Papi tuttora, nei documenti solenni o quando prendono decisioni importanti, usano la formula: Auctoritate Sanctorum Apostolorum Petri et Paoli. Inoltre fino all’epoca di Bonifacio VIII, i Papi siglavano la firma con la triplice “P”: Petro Paoloque Princibus (ablativo assoluto di tutto rispetto che mette ben in evidenza, le Radici del Principato Ecclesiale Romano). Ora egli sigla in doppia “P” per togliere ansa alla malignità della papessa Giovanna: Papissa Peperit Papellum.
Comunque sia, da tutto ciò si vede che, parlando dell’autorità papale, non basta dire: Tu es Petrus, ma bisogna aggiungere subito: Tu es Paulus. Del resto è eloquente il fatto che, non ci fu Papa a Roma, prima della morte di Paolo: infatti bisogna dire che San Lino comincia il suo pontificato nel 67, dopo il martirio di Paolo.
Dunque i due corifei sono i Dioscuri della Cattedra Romana; e l’espressione di tale cattedra è la Basilica di San Giovanni in Laterano. Anche quando i Papi saranno ad Avignone, durante circa 70 anni, per continuare ad essere Papi, (quindi Vescovi di Roma) saranno necessitati a prendere quanto prima, possesso del Laterano, almeno attraverso un procuratore, altrimenti non avrebbero potuto legittimamente esercitare il primato papale. Perchè la potenzialità papale non proviene da Cristo, bensì dalla Cattedra Romana, dal momento che la Chiesa di Roma è fondata sul sangue dei due corifei apostolici: Pietro e Paolo.
E’ questa duplice base che rende Roma superiore alle altre Chiesa Apostoliche. E’ la sedes che dà preminenza al Sedens (Papa) e non viceversa! Solo in virtù della Sede, il Papa è il primo dei Vescovi nel Collegio Episcopale, è il primo dei Padri nel Concilio Ecumenico; è il Primo dei Patriarchi della Pentarchia. E tutti questi Primati non perchè il Papa sia successore di Pietro, nè Vicario di Cristo, anzi il Concilio Vaticano Secondo, contro ogni manualistica della controriforma, sorprendentemente afferma che i vescovi, in quanto successori degli apostoli, non sono vicari del Papa bensì i Vicari di Nostro Signore Gesù Cristo (Lumen Gentium c. 27, paragrafo 532).
Comunque i 25 anni di episcopato romano di Pietro, dovevano ridursi a 23 ma soprattutto, occorre notare che la notizia ha tutto il sapore di una volta encomiastica filocostantiniana, messa in forma dall’aulico vescovo di Cesarea, Eusebio (+339) il quale, per di più si contraddice, perchè altrove mostra pure di condividere la tesi di altri padri della Chiesa, cioè che Pietro, dopo la prodigiosa liberazione dal carcere di Gerusalemme, andò a dimorare ad Antiochia. Ora la presenza di Pietro e la sua morte a Roma è indubitabile; le testimonianze patrisitiche e catacombali sono troppo imponenti, per poter asserire il contrario.
Anche tralasciando Eusebio, che però insiste in ben tre punti diversi della sua storia della Chiesa, abbiamo Dionigi a Corinto, Origene e Clemente ad Alessandria, Giustino ad Efeso, inoltre, in Gallia San Ireneo da Lione, in Africa Tertulliano.
Però quali sono i limiti della presenza romana di Pietro? Quale la data della sua morte? Ebbene, intanto esaminiamo il gruppo degli ultimi 10 anni in questione (57-67) e poi gli anni che vanno dal 40 al 56.
Nel 57-58 Pietro non è a Roma; Paolo da Corinto invia ai romani una monumentale lettera, vi saluta ben 28 persone nominativamente, e globalmente i membri di cinque chiese domestiche, ma di Pietro nessun cenno.
Nel 59-60 Pietro non è a Roma; Paolo vi arriva nella primavera del 61 ed apprende che i giudei del luogo non sono ancora stati evangelizzati (Act. 28;22); ma non sarebbe stato proprio questo il compito di Pietro?! (Gal. 2,7-8); dunque in questi anni Pietro non fu a Roma.
Nel 61-63 Pietro non è a Roma; Paolo in questi anni di cattività romana, scrive quattro epistole, di cui solo quella agli Efesini non porta i saluti di persone residenti a Roma; ma in quella a Filemone, invia i saluti di quattro persone, in quella ai Colossesi i saluti di sei persone, in quella ai Filippesi invia i saluti del proprio gruppo e di quelli di casa Cesare; ma di Pietro nessun cenno e neppure di un suo gruppo: silenzio assoluto.
Nel 64 Pietro non è a Roma; Paolo, reduce dalla Penisola Iberica, e ritornato in Italia, scrive con Barnaba la lettera agli Ebrei; manda a loro i saluti dei fratelli d’Italia; informa che Timoteo è stato liberato dal carcere; ma di Pietro, l’apostolo dei circoncisi, nessun cenno! N.B. l’incendio di Roma è del luglio successivo alla lettera, ma anche stavolta non c’è l’indizio della presenza di Pietro in Roma.
Nel 65-66 Pietro non è a Roma. Paolo vi arriva in catene, arrestato a Troade come malfattore; scrive la seconda a Timoteo nell’autunno del 66, dandogli tante notizie personali e dell’ambiente romano, e conclude “solo Luca non è con me”; ma per Pietro, assoluto silenzio!! Ma è mai possibile che tra i due corifei degli Apostoli, ci fosse una tale ruggine di antitesi (Paolinismo e Petrinismo – come farneticheranno i modernisti!) da far si che Paolo volesse ignorare Pietro con assoluta ostinazione??!!
Ed ora saliamo a ritroso, per partire dagli anni 40.
Nel 40 Pietro è a Gerusalemme con Giacomo; riceve la visita di Paolo fuggito da Damasco, dopo tre anni di Arabia (Gal. I , 18-19).
Nel 41 Pietro è a Jope, poi a Cesarea per far battezzare Cornelio, poi a Gerusalemme per rendere conto agli Anziani ed alla comunità; frattanto arrivano notizie da Antiochia che anche là, il Vangelo è accolto dai Gojm.
Missione di Barnaba ad Antiochia. Siamo nel 42: non vi viene mandato Pietro, bensì il cipriota Barnaba. Evidentemente, nonostante l’episodio di Cornelio, la Chiesa di Gerusalemme non reputa che uno dei dodici si applichi all’evangelizzazione dei Gojm. Pietro resta quindi accanto a Giacomo, entro il girone giudaizzante della Chiesa Madre; difatti nel 44, quando Giacomo viene decapitato, anche Pietro viene arrestato; significa che fino ad allora, Pietro era sempre rimasto in Palestina, sotto il doppio controllo dei giudaizzanti e del Sinedrio.
Perciò: nel 42-43 Pietro non è a Roma; la presenza di una comunità cristiana a Roma – qualora sia mai esistita in quegli anni – ha origini ignote, più ancora che quella antiochena, i cui fondatori sono ignoti missionari, dei quali però si conosce almeno la provenienza: Cipro e Cirene (Act. XI, 19). In ogni caso Pietro non ha fondato la comunità romana.
Nel 44 dopo la liberazione dal carcere di Gerusalemme, egli non va a Roma bensì ad Antiochia: lo affermano i più illustri Padri della Chiesa, compreso Papa San Leone e vi resta per sette anni (come lo afferma pure Papa San Gregorio Magno).
Nel 45-49 Pietro non è a Roma, egli è ad Antiochia dove ha il suo recapito ufficiale; anche la liturgia romana ricorda questo, fin dal quarto secolo, il 22 Febbraio. E’ questa la festa originaria tradizionale dal titolo: “Natali Petri de Cathedra”.
Le Chiese Gallicane però, forse per non celebrare questa festa in Quaresima, la anticipavano al 18 Gennaio, ispirandosi alla Liturgia Orientale che celebra il 16 Gennaio “La prodigiosa liberazione di San Pietro dal carcere”. I due usi si svolsero indipendenti e paralleli per più secoli, ma finirono per perdere l’unità primitiva di significato cosicchè, invece che di un’unica Cattedra di San Pietro in Antiochia ne risultarono due di cui una fu arbitrariamente attribuita a Roma, quella del 18 Gennaio. Oggi abolita dopo il Concilio Vaticano II, la festa del 18 Gennaio è stata abolita; è rimasta solo quella del 22 Febbraio, ma senza più un’indicazione antiochena o romana.
Ad Antiochia, Pietro ritornerà anche dopo il Concilio di Gerusalemme. Negli anni della Cattedra Antiochena, Pietro visita i suoi primi convertiti fin dal giorno della Pentecoste, sparsi nelle regioni orientali. Evidentemente, non visita tutte le regioni, al termine del suo giro apostolico, manda la sua prima epistola da Babilonia, indirizzandola ai fedeli del Ponto, Cappadocia, Asia e Bitinia. Questa lista d’indirizzi, se confermata con Act. II 9-11, risulta assai incompleta: tralascia i fedeli di Egitto, Libia, Cirenaica, Roma e Creta.
Ciò porta a concludere che fino alla vigilia del Concilio di Gerusalemme (a.50), Pietro ancora non era stato a Creta o nell’Africa Settentrionale, ma neppure a Roma. Si obietta che Babilonia significa Roma, tanto nella scrittura (Apocalisse), quanto nella Patrisitica, nel linguaggio rabbinico, come pure nella tradizione codiciale.
Ebbene, nella Patristica il primo a dire Babilonia per Roma è Papia di Gerapoli, discepolo dell’apostolo Giovanni che scrisse l’Apocalisse; ma l’Apocalisse, come ci informano Sant’Ireneo e San Vittorino fu scritta alla fine del Regno di Domiziano (+96), cioè quasi mezzo secolo dopo della I Petri; dunque Babilonia della I Ptr. non riguarda Roma. Modus dicendi del linguaggio rabbinico? Sì, però non anteriore al 70 E.V. come appare degli Oracoli Sibillini, composti con la caduta di Gerusalemme e la fine del primo secolo. Circa poi la variante “ROMI”, essa è solo in due codici greci minuscoli, assai tardivi.
Si obietta che all’epoca di San Pietro, Babilonia era un cumulo di rovine. Ebbene, a parte il fatto che Babilonia indicava allora una regione vastissima come l’Arabia Paolina che andava da Damasco al Sinai, Babilonia era pure un centro fiorentissimo della diaspora ebraica. Giuseppe Flavio Ben Gurion scrive che al tempo del primo Erode “molte migliaia di membri del popolo ebraico si erano stabiliti in terra babilonese” ed Erode ne scelse uno pure a fungere persino da Gran Sacerdote: Ananele. Quindi Babilonia della prima Petri non significa “Roma” e non c’è nessun motivo per negare che tale epistola sia stata veramente scritta dan San Pietro, presso la Chiesa Giudeo Cristiana di Babilonia.
Nel 50-51 Pietro non è a Roma: è a Gerusalemme per il Concilio Apostolico (Act. XV); è anche ad Antiochia, dove Paolo lo apostrofa con violenza; è insomma, dove c’erano gli ebrei espulsi da Roma, nell’editto di Claudio del 49. (Act. XVIII, 2).
Nel 52-53 Pietro è in Oriente ancora; all’ora dei pasti si presenta alle mense delle varie comunità, assieme alla moglie; lo desumiamo da Paolo, che nella Pasqua del 53 da Efeso (dove si era fermato tre anni) scrive la prima epistola ai Corinzi in cui, tra l’altro, domanda risentito: “Forse non abbiamo la potestà di mangiare e di bere? O non abbiamo la facoltà di portarci attorno, una fedele donna, come gli altri apostoli e fratelli del Signore, e Cefa?” (I Cor. IX, 4,5).
La II di Pietro, verso la chiusa, ha un accento malizioso a Paolo: “Il nostro diletto fratello Paolo, pure vi scrisse secondo la sapienza datagli, parlando così come fa in tutte le sue lettere, nelle quali comunque, ci sono cose difficili a capirsi” (II Ptr. III, 15-16). Ora questa II Ptr. è certamente del 54, perchè nell’autunno del 53 Paolo ha scritto la II ai Corinzi la quale epistola è la quarta che Paolo scrive, dopo le due ai Tessalonicesi nel 52 e la I ai Corinzi nella Pasqua del 53.
Effettivamente, in codeste lettere, ci sono alcuni punti di difficile interpretazione. La I Ptr. ha un presentimento di morte imminente (I, 13-15); quindi Pietro è in carcere, in attesa di giudizio o addirittura di esecuzione. Dove? Se pensiamo che proprio in questo tempo sotto Claudio, l’apostolo Giovanni viene portato a Roma per subire il supplizio della caldaia d’olio bollente e che viene graziato con l’esilio a Patmos, unicamente perchè ne esce vivo e ancora più vegeto, dobbiamo concludere che anche Pietro fu condotto a Roma, regnante Claudio, per subire un micidiale martirio. Proprio nel 54 si rinnova l’editto di Claudio di espulsione dei Giudei da Roma (Act. XVIII, 2): Judeos, impulsore Chresto; assidue tumultuantes, Roma expulit. N.B: I coniugi Giudeo Cristiani, Aquila e Priscilla, sono nuovamente a Roma nel 58 (Rom. XIX, 3).
San Clemente Romano, nel 95-96 così scrive ai Corinzi: “Osserviamo i SS. Apostoli, specialmente Pietro che, per ingiusta invidia, subì pene acerbe, non una volta o due, ma molte volte, e che, compiuto il suo martirio, se ne andò al suo luogo di gloria che gli spettava” (C. IV).
Ora, Claudio muore nell’ottobre del 56; Pietro dunque muore prima, probabilmente già nel 55; lo deduciamo dalla lettera che Paolo da Efeso scrive ai Galati. N.B.: alcuni Giudeo-Cristiani della Galazia inculcavano l’obbligo della circoncisione e della osservanza mosaica a tutti i battezzati; dicevano che anche Giacomo e Pietro, la pensavano così. Paolo smentisce energicamente, affermando che Giacomo e Pietro (che egli aveva incontrato fin dalla prima visita a Gerusalemme [Gal. I, 18-20] e che ora non sono più), si dichiararono d’accordo con la non obbligatorietà della circoncisione. Il passo che ci interessa è in [Gal. II, 6-9]: “Giacomo e Cefa e Giovanni, quelli che sembravano essere qualcosa, lo erano un tempo, non obiettarono nulla a quanto esposi, e porsero a me e Barnaba le destre“. La lettera ai Galati è del 56, ma Giacomo Zebedeo era già morto (fu ucciso nel 44); dunque anche Pietro era già morto nel 56 .
Non si obbietti che Paolo accenna pure all’ancora vivo Giovanni; intanto, è da osservare che l’accenno è per transenna soltanto; e poi, è indubitato che Giovanni veniva allora considerato un “fuori serie” rispetto alla morte. Infatti se era ancora vivo, dopo la spietata flagellazione ed il bagno nell’olio bollente, lo era unicamente per intervento soprannaturale; i carnefici stessi ne furono così meravigliati, da graziare il condannato a morte, relegandolo a Patmos. Anzi, tutto ciò, conferma la voce corrente tra gli apostoli: “Giovanni non sarebbe morto, fino al ritorno di Gesù”, voce che sarà ridimensionata solo mezzo secolo dopo, dallo stesso Giovanni, quando ad Efeso, scriverà il Vangelo. Conclusione: i 25 anni di episcopato romano di San Pietro sono inammissibili biblicamente, anche 25 mesi sarebbero troppi: non combinano con la cronologia degli Acta e delle epistole paoline: restano al massimo 25 settimane di permanenza romana; quelle di attesa del processo e della condanna, tenendo conto anche del martirio della moglie di Pietro.
Il 25 Settembre del 54-55: questa la presenza di San Pietro in Roma; in questi termini, in questo scorcio di tempo soltanto. Il fatto pure che i viaggi marittimi dalla Palestina all’Italia duravano, in certe stagioni, anche sei mesi, non può consentire altra conclusione, per i brevi intervalli lasciati dalla cronologia neotestamentaria ad un ipotetico “Vescovo di Roma”.
Pietro è presente a Roma solo perchè arrestato in Oriente, vi viene condotto in catene per subire processo e condanna a morte. Così allora per Giovanni Zebedeo; così, una dozzina d’anni dopo, sarà per Paolo da Troade (II Tim. IV, 13): è presenza di morituro. Quindi il martirio romano dei due corifei, può essere avvenuto lo stesso giorno (29 Giugno), ma in anni e luoghi diversi: Pietro morto martire prima del 56, sul colle Vaticano; Paolo nel 67, fuori le mura. Antiochia può contare la presenza attiva dei due corifei cosicchè tuttora il Patriarca di Antiochia, si fregia del titolo primaziale di “Padre dei Padri e Pastore dei Pastori”; i due apostoli non vi hanno versato il sangue; ma in Roma, sì! Per questo Roma è la prima sedes. Pietro e Paolo sono i dioscuri della Cattedra Romana (San Giovanni in Laterano). I graffitti catacombali sono sintomatici al riguardo: le invocazioni a Pietro e a Paolo, pressocché si equivalgono numericamente, e anche i disegni li mostrano a pari merito: Cristo dà le chiavi, talora a Pietro, talora a Paolo. Oppure il rotolo della Legge, talora a Pietro, talora a Paolo, ugualmente. Nel Medioevo, il Papa era detto “Vicarius Petri” quando era in Urbe; “Vicarius Pauli” quando era fuori sede.
I Papi tuttora, nei documenti solenni o quando prendono decisioni importanti, usano la formula: Auctoritate Sanctorum Apostolorum Petri et Paoli. Inoltre fino all’epoca di Bonifacio VIII, i Papi siglavano la firma con la triplice “P”: Petro Paoloque Princibus (ablativo assoluto di tutto rispetto che mette ben in evidenza, le Radici del Principato Ecclesiale Romano). Ora egli sigla in doppia “P” per togliere ansa alla malignità della papessa Giovanna: Papissa Peperit Papellum.
Comunque sia, da tutto ciò si vede che, parlando dell’autorità papale, non basta dire: Tu es Petrus, ma bisogna aggiungere subito: Tu es Paulus. Del resto è eloquente il fatto che, non ci fu Papa a Roma, prima della morte di Paolo: infatti bisogna dire che San Lino comincia il suo pontificato nel 67, dopo il martirio di Paolo.
Dunque i due corifei sono i Dioscuri della Cattedra Romana; e l’espressione di tale cattedra è la Basilica di San Giovanni in Laterano. Anche quando i Papi saranno ad Avignone, durante circa 70 anni, per continuare ad essere Papi, (quindi Vescovi di Roma) saranno necessitati a prendere quanto prima, possesso del Laterano, almeno attraverso un procuratore, altrimenti non avrebbero potuto legittimamente esercitare il primato papale. Perchè la potenzialità papale non proviene da Cristo, bensì dalla Cattedra Romana, dal momento che la Chiesa di Roma è fondata sul sangue dei due corifei apostolici: Pietro e Paolo.
E’ questa duplice base che rende Roma superiore alle altre Chiesa Apostoliche. E’ la sedes che dà preminenza al Sedens (Papa) e non viceversa! Solo in virtù della Sede, il Papa è il primo dei Vescovi nel Collegio Episcopale, è il primo dei Padri nel Concilio Ecumenico; è il Primo dei Patriarchi della Pentarchia. E tutti questi Primati non perchè il Papa sia successore di Pietro, nè Vicario di Cristo, anzi il Concilio Vaticano Secondo, contro ogni manualistica della controriforma, sorprendentemente afferma che i vescovi, in quanto successori degli apostoli, non sono vicari del Papa bensì i Vicari di Nostro Signore Gesù Cristo (Lumen Gentium c. 27, paragrafo 532).
Fonte: http://www.statopotenza.eu/5034/san-pietro-e-stato-davvero-vescovo-di-roma#.UKABH7dG28U.facebook
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