L’archimandrita Marco (Davitti) si è addormentato nel Signore
Nella notte che è appena trascorsa si è addormentato nel Signore
Padre Mark Davitti, archimandrita e parroco della chiesa ortodossa russa
di san Basilio in Bologna.
Piangono il padre Mark tutti gli ortodossi in Italia,
indipendentemente dalla giurisdizioni, al cui instancabile lavoro devono
molto.
Questo blog vuole ricordare la figura dell’archimandrita Marco
pubblicando alcuni suoi ricordi della sua attività pastorale in Italia.
Quando la domenica 28 ottobre 1973 si inaugurò la
Chiesa Ortodossa di San Basilio venni anche io da Firenze dove lavoravo
per la Fondazione Browning.
All’arrivo alla stazione sbagliai il nome del profeta e chiesi della
via “San Geremia”, ma una signora capì il mio errore e mi fece prendere
un autobus che mi portò al Collegio di Spagna. Da lì scesi a piedi per
via Barberia e arrivai alla Chiesa. Il padre Evloghij Hessler stava per
iniziare la celebrazione. La Chiesa aveva tutti gli affreschi da
restaurare ed era in pessime condizioni. Il pavimento era coperto da
vaste macchie di catrame.
Il padre aveva fatto innalzare un’iconostasi di compensato sul
balaustro che si trovava tra le due cupole anteriori e che dava un senso
di Chiesa molto piccola; ai lati però altre balaustre e delle tende
gialle chiudevano un grande santuario dove un altare di legno, quadrato,
canonico ortodosso appariva piccolo in basso d’avanti ad un enorme
altare barocco che ben mostrava come la Chiesa fosse latina e romana.
Non mi piacque. Mi offersi io di cantare la divina liturgia in slavo, in
mancanza di un cantore. Il padre lo permise, ma dopo la santificazione
dei doni preferì mettere una cassetta di musica con canti russi molto
belli e impressionanti per i numerosi italiani presenti, ma che non
corrispondevano alla celebrazione.
Dopo la celebrazione ci fu un pranzo intimo, il padre Evloghij fu
molto affabile ed io tornai a casa contento e tuttavia deluso dalle
condizioni del tempio.
Tornai definitivamente dall’America il venerdì 20 settembre 1975. Il
giorno dopo il mio babbo organizzò una grigliata di bistecche in
campagna, al Varco di Faella, davanti alla casa tenuta da Don Aldo
Cuccoli, che era il suo confessore. Credo che la cena per mio padre
fosse la festa per il mio ritorno, come quello del figliol prodigo e per
don Aldo l’occasione, nemmeno tanto celata, di convincermi di
rinsavire, dopo aver perso la testa per anni dietro all’Ortodossia. Da
parte mia, mi ricordo di essere stato al settimo cielo per la festa
calorosa dei miei famigliari, il chiasso dei miei amici e dei cugini, e
la riscoperta dei sapori forti dei cibi toscani, dopo tanti mesi di cibo
insipido a New York. Ascoltavo inebriato la cadenza delle voci di chi
mi parlava, mentre mi sorbivo un bel bicchiere di vino rosso ben
invecchiato.
Tornai a casa tardi. Dopo un po’ squillò il telefono, era il padre
Evloghij da Milano: mi pregava di andare il giorno dopo a Bologna a
celebrare, perché lui era impegnato a Milano. Meravigliato della
velocità con cui si era diffusa la notizia del mio ritorno, accettai.
Così al mattino, presto, presi a Figline un treno per Bologna. La Chiesa
era in condizioni peggiori di quando l’avevo vista l’ultima volta,
coperta da due anni di polvere e molto trascurata, ma c’era stato un
grande cambiamento, ora era piena di studenti greci. Un gruppo di
studentesse, figlie spirituali del padre Emilianos di Simonopeha al
Monte Athos, cantava con voce squillante e con grande pietà. Così
celebrai in greco e prima di partire ebbi la possibilità di fare
conoscenza con diversi di loro.
Quando il sabato successivo Evloghij mi chiamò perché ritornassi a
Bologna, partii volentieri, dopo aver preparato una valigia nella quale
misi un paramento e tutte le suppellettili per la divina liturgia che a
Bologna mancavano, compreso lo air o воздух che era bruciato, e ritornai
a San Basilio. Dopo la celebrazione chiesi se qualcuno poteva restare a
pulire la Chiesa. Rimasero in molti, c’era anche una signora russa e un
turco di Istanbul che soggiornava per qualche tempo a Bologna e tutti
insieme lavarono, spazzarono e pulirono tutto il giorno. Cominciammo
anche a grattare coi coltelli il bitume che incrostava il pavimento.
Un’operazione, questa, che andrà avanti per quasi due anni. Le ragazze
staccarono le tende per portarsele a casa a lavare. Alla fine della
giornata eravamo stanchi ma entusiasti. Quel lavoro insieme ci aveva
trasformato in vecchi amici e prima di lasciarci celebrammo il vespro.
Quella sera Evloghi mi telefonò e mi disse che se lo volevo potevo
continuare a celebrare ancora, fino al 14 ottobre; quando sarebbe venuto
a Milano il metropolita Nicodim; se ero interessato, potevo chiedere a
lui di affidarmi quella Chiesa.
Andai a Milano a ricevere il metropolita. Furono tre o quattro giorni
intensi di funzioni e incontri ecumenici ad alto livello, col sindaco e
col Cardinale, alla tomba di Sant’Ambrogio e in tante Chiese. Andrea
Kopeckyj, il figlio del compianto prete di Bari, e il sottoscritto, ci
alternavamo nella faticosa attività di tradurre tutto quello che diceva,
o veniva detto, al metropolita, che, in quella occasione, mi prese
molto in simpatia.
Così a Pavia il prelato chiese al Vescovo cattolico, presso il quale
eravamo ospiti, una macchina da scrivere e mentre lui si riposava un
poco dopo pranzo, io scrissi la mia domanda per essere incardinato
nell’Eparchia dell’Europa Occidentale del Patriarcato di Mosca. Alla
partenza il metropolita Nicodim prese i miei attestati ecclesiastici e
mi disse di celebrare a Bologna e di commemorarlo, in attesa di ricevere
da lui le necessarie patenti. Tornato a casa coll’aiuto di mio babbo,
presi la mia poca roba ed i miei molti libri e mi installai in una
soffitta di via Sant’Isaia al numero 35, e cominciai il mio servizio a
San Basilio. Gli studenti venivano abbastanza numerosi, celebravano
intensamente tutte le feste del nuovo calendario. Uno studente, Spignos
Papaspyrale, dipinse le icone per l’iconostasi e Eleni, una studentessa,
un paio di belle tele. Ogni cosa nuova era gradita ai ragazzi, che ad
ogni vacanza portavano dalla Grecia vino, olio, candele, lampade, un
flusso che dura fino ad oggi. Il mercoledì della Grande Settimana venne
alla Chiesa a cantare Petros Matenocov, all’inizio diffidente nei miei
confronti, che, invece, è rimasto fino all’ultimo il cantore fedele e
competente della Chiesa. A lui si unì, venendo da Firenze l’anno dopo,
l’altro cantore Christos Davaris.
I primi tempi a Bologna furono molto duri. Mia mamma mi dava
diecimila lire ogni settimana (5 euro di adesso). Io li usavo per andare
a prendere i pasti alla mensa degli studenti. Così era un’occasione per
stare insieme con gli studenti nelle interminabili code. Mi resi conto
che molti cercavano traduttori dall’inglese per le tesi, fu così che mi
trovai un lavoro. Traducevo e adattavo tesi a un prezzo che era un
quinto dei prezzi ufficiali di allora e così potevo pagare l’affitto e
non ricorrere più all’aiuto di mio padre.
Nei successivi sei anni la Chiesa visse intensamente, si celebrava in
greco e si adottarono usanze greche, molte delle quali sopravvivono
ancor oggi. Alla fine del 1981, per il continuo rialzo dei prezzi
scrissi una lettera all’Arcivescovo Antonio di Ginevra per dirgli che
ormai non riuscivo più a sopravvivere. Dopo due mesi circa, un giorno
verso le dodici il mio Vladyka mi telefonò. Il padre Leonard Nicolsky,
molto malato, al mattino aveva lasciato la Chiesa di Bari e se ne era
ritornato in Canada. Bisognava partire subito per salvare la Chiesa da
eventuali prese di possesso illegali. Dietro di me sarebbe venuto il
diacono Piotr Figurek con le necessarie patenti di nomina, se avessi
accettato. Chiesi due ore per riflettere e consigliarmi con mia madre
(mio padre era morto nel 1979), il Vescovo trovò saggia la mia
decisione. Dopo due ore telefonò di nuovo, ed io gli dissi che accettavo
ed il pomeriggio partii per Bari. Arrivai la mattina alle cinque e mi
installai nell’appartamento del prete. Cominciai un lungo lavoro di
restauro e di ripristino. Un giorno voglio scrivere le mie memorie di
Bari. Iniziai una dura pendolarità. Celebravo una domenica a Bologna e
l’altra a Bari. Dopo un anno, per diminuire i viaggi molto faticosi (ho
sempre viaggiato di notte e senza cuccette per limitare le spese)
cominciai a vivere a Bologna un venerdì e rimanere fino alla notte dopo
la domenica successiva. Così coprivo due domeniche a Bologna, poi
ritornavo a Bari per due settimane, coprendo una domenica, ma celebrando
molte funzioni infrasettimanali per sostenere quella comunità. C’erano a
Bari quattro o cinque donne russe ed ucraine, più “la bulgara”. Si
aggiunsero però diversi serbi e gli studenti greci venivano numerosi,
anche se in città si levò una grande propaganda contro la mia presenza.
Tornando a Bologna, nel 1983, di febbraio, Vladyko Antony ordinò
Ambrogio Bozzo prete per Bologna e Genova. L’ordinazione fu celebrata a
Roma, proprio nel giorno che il presidente Bettino Craxi dichiarò la
città non più Città Santa. Dallo scisma fra cattolici e ortodossi non
c’era stata più nessuna ordinazione ortodossa in Roma. Padre Ambrogio
serviva due domeniche a Genova e la terza mi sostituiva a Bologna. Così a
San Basilio la Divina Liturgia c’era di nuovo dopo un anno di
intervallo. Così è stato da allora fino ad oggi. Dopo qualche anno venne
ad abitare a Castenaso un prete greco, padre Costantinos, che aveva la
figlia farmacista sposata con un italiano. Col suo aiuto riuscimmo ad
aumentare le liturgie domenicali a Genova e Bari.
Nel 1987 ci fu il nono centenario del Furto di San Nicola, ormai
diventato una Traslazione delle Reliquie di San Nicola. Il 22 maggio,
alla presenza di circa 400 russi, venuti da tutta la diaspora, e un coro
da New York, fui benedetto Archimandrita, senza mitra.
Durante quegli anni era stata tanta l’attività a Bari, sia per
l’assistenza ai pellegrini, sia per la ristrutturazione degli edifici,
che la Chiesa di San Basilio rimase come l’avevo ristrutturata, se si
eccettuano le icone nuove all’iconostasi, qualche icona nella navata e
alcuni paramenti.
Alla morte della mia padrona di casa, la signora Laura Nanni, che era
caduta per le scale e fu da me soccorsa, la figlia Luisa mi diede lo
sfratto dalla soffitta. Così cedetti a mio fratello una parte della casa
avuta da mio padre nel 1987 e mi comprai il piccolo appartamento dove
tutt’ora abito. Veniva usato anche da Padre Ambrogio quando veniva a
Bologna.
Gli anni successivi passarono in fretta, senza nessuna vacanza, senza
nessun viaggio, esclusa la pendolarità da Bologna a Bari. Solo nel 1991
tornai in America per una settimana.
Gli studenti greci qui a Bologna diminuivano ogni anno, però erano
sorti diversi laboratori di pellicceria, dove vi lavoravano diverse
famiglie greche, che frequentavano la Chiesa regolarmente ed anche con
generosità.
Nel 1995, durante l’estate, presi una forte bronchite e dopo caddi
seriamente ammalato. Passai il mese di agosto dai miei a Reggello. Avevo
lasciato a Bari un amico russo, che viveva in Germania, molto fidato a
San Basilio. Con tutti i greci a casa la Chiesa era, come al solito,
chiusa in quel mese. In settembre, ormai abbastanza ristabilito,
ricevetti, il quindici del mese, dal nuovo vescovo di Genova Ambrosij,
la mitra.
La storia non sarebbe finita qui, perché tanti pensieri, ricordi ed
immagini affollano la mia mente, forse un giorno anch’essi finiranno
sulla carta. Sono episodi lieti e talvolta anche tristi della mia vita
di sacerdote, ma tutti vissuti nella convinzione che il loro fine fosse
il bene di chi a me si era affidato. Sarò riuscito nel mio intento?
Padre Mark (Davitti), Archimandrita
Fonte: sito della Chiesa ortodossa di san Basilio in Bologna
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