martedì 20 agosto 2013

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L’archimandrita Marco (Davitti) si è addormentato nel Signore



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Nella notte che è appena trascorsa si è addormentato nel Signore Padre Mark Davitti, archimandrita e parroco della chiesa ortodossa russa di san Basilio in Bologna. 
Piangono il padre Mark tutti gli ortodossi in Italia, indipendentemente dalla giurisdizioni, al cui instancabile lavoro devono molto. 
Questo blog vuole ricordare la figura dell’archimandrita Marco pubblicando alcuni suoi ricordi della sua attività pastorale in Italia.
Quando la domenica 28 ottobre 1973 si inaugurò la Chiesa Ortodossa di San Basilio venni anche io da Firenze dove lavoravo per la Fondazione Browning.
All’arrivo alla stazione sbagliai il nome del profeta e chiesi della via “San Geremia”, ma una signora capì il mio errore e mi fece prendere un autobus che mi portò al Collegio di Spagna. Da lì scesi a piedi per via Barberia e arrivai alla Chiesa. Il padre Evloghij Hessler stava per iniziare la celebrazione. La Chiesa aveva tutti gli affreschi da restaurare ed era in pessime condizioni. Il pavimento era coperto da vaste macchie di catrame. 
Il padre aveva fatto innalzare un’iconostasi di compensato sul balaustro che si trovava tra le due cupole anteriori e che dava un senso di Chiesa molto piccola; ai lati però altre balaustre e delle tende gialle chiudevano un grande santuario dove un altare di legno, quadrato, canonico ortodosso appariva piccolo in basso d’avanti ad un enorme altare barocco che ben mostrava come la Chiesa fosse latina e romana. Non mi piacque. Mi offersi io di cantare la divina liturgia in slavo, in mancanza di un cantore. Il padre lo permise, ma dopo la santificazione dei doni preferì mettere una cassetta di musica con canti russi molto belli e impressionanti per i numerosi italiani presenti, ma che non corrispondevano alla celebrazione.
Dopo la celebrazione ci fu un pranzo intimo, il padre Evloghij fu molto affabile ed io tornai a casa contento e tuttavia deluso dalle condizioni del tempio. 
Tornai definitivamente dall’America il venerdì 20 settembre 1975. Il giorno dopo il mio babbo organizzò una grigliata di bistecche in campagna, al Varco di Faella, davanti alla casa tenuta da Don Aldo Cuccoli, che era il suo confessore. Credo che la cena per mio padre fosse la festa per il mio ritorno, come quello del figliol prodigo e per don Aldo l’occasione, nemmeno tanto celata, di convincermi di rinsavire, dopo aver perso la testa per anni dietro all’Ortodossia. Da parte mia, mi ricordo di essere stato al settimo cielo per la festa calorosa dei miei famigliari, il chiasso dei miei amici e dei cugini, e la riscoperta dei sapori forti dei cibi toscani, dopo tanti mesi di cibo insipido a New York. Ascoltavo inebriato la cadenza delle voci di chi mi parlava, mentre mi sorbivo un bel bicchiere di vino rosso ben invecchiato. 
Tornai a casa tardi. Dopo un po’ squillò il telefono, era il padre Evloghij da Milano: mi pregava di andare il giorno dopo a Bologna a celebrare, perché lui era impegnato a Milano. Meravigliato della velocità con cui si era diffusa la notizia del mio ritorno, accettai. Così al mattino, presto, presi a Figline un treno per Bologna. La Chiesa era in condizioni peggiori di quando l’avevo vista l’ultima volta, coperta da due anni di polvere e molto trascurata, ma c’era stato un grande cambiamento, ora era piena di studenti greci. Un gruppo di studentesse, figlie spirituali del padre Emilianos di Simonopeha al Monte Athos, cantava con voce squillante e con grande pietà. Così celebrai in greco e prima di partire ebbi la possibilità di fare conoscenza con diversi di loro.
Quando il sabato successivo Evloghij mi chiamò perché ritornassi a Bologna, partii volentieri, dopo aver preparato una valigia nella quale misi un paramento e tutte le suppellettili per la divina liturgia che a Bologna mancavano, compreso lo air o воздух che era bruciato, e ritornai a San Basilio. Dopo la celebrazione chiesi se qualcuno poteva restare a pulire la Chiesa. Rimasero in molti, c’era anche una signora russa e un turco di Istanbul che soggiornava per qualche tempo a Bologna e tutti insieme lavarono, spazzarono e pulirono tutto il giorno. Cominciammo anche a grattare coi coltelli il bitume che incrostava il pavimento. Un’operazione, questa, che andrà avanti per quasi due anni. Le ragazze staccarono le tende per portarsele a casa a lavare. Alla fine della giornata eravamo stanchi ma entusiasti. Quel lavoro insieme ci aveva trasformato in vecchi amici e prima di lasciarci celebrammo il vespro.
Quella sera Evloghi mi telefonò e mi disse che se lo volevo potevo continuare a celebrare ancora, fino al 14 ottobre; quando sarebbe venuto a Milano il metropolita Nicodim; se ero interessato, potevo chiedere a lui di affidarmi quella Chiesa.
Andai a Milano a ricevere il metropolita. Furono tre o quattro giorni intensi di funzioni e incontri ecumenici ad alto livello, col sindaco e col Cardinale, alla tomba di Sant’Ambrogio e in tante Chiese. Andrea Kopeckyj, il figlio del compianto prete di Bari, e il sottoscritto, ci alternavamo nella faticosa attività di tradurre tutto quello che diceva, o veniva detto, al metropolita, che, in quella occasione, mi prese molto in simpatia.
Così a Pavia il prelato chiese al Vescovo cattolico, presso il quale eravamo ospiti, una macchina da scrivere e mentre lui si riposava un poco dopo pranzo, io scrissi la mia domanda per essere incardinato nell’Eparchia dell’Europa Occidentale del Patriarcato di Mosca. Alla partenza il metropolita Nicodim prese i miei attestati ecclesiastici e mi disse di celebrare a Bologna e di commemorarlo, in attesa di ricevere da lui le necessarie patenti. Tornato a casa coll’aiuto di mio babbo, presi la mia poca roba ed i miei molti libri e mi installai in una soffitta di via Sant’Isaia al numero 35, e cominciai il mio servizio a San Basilio. Gli studenti venivano abbastanza numerosi, celebravano intensamente tutte le feste del nuovo calendario. Uno studente, Spignos Papaspyrale, dipinse le icone per l’iconostasi e Eleni, una studentessa, un paio di belle tele. Ogni cosa nuova era gradita ai ragazzi, che ad ogni vacanza portavano dalla Grecia vino, olio, candele, lampade, un flusso che dura fino ad oggi. Il mercoledì della Grande Settimana venne alla Chiesa a cantare Petros Matenocov, all’inizio diffidente nei miei confronti, che, invece, è rimasto fino all’ultimo il cantore fedele e competente della Chiesa. A lui si unì, venendo da Firenze l’anno dopo, l’altro cantore Christos Davaris.
I primi tempi a Bologna furono molto duri. Mia mamma mi dava diecimila lire ogni settimana (5 euro di adesso). Io li usavo per andare a prendere i pasti alla mensa degli studenti. Così era un’occasione per stare insieme con gli studenti nelle interminabili code. Mi resi conto che molti cercavano traduttori dall’inglese per le tesi, fu così che mi trovai un lavoro. Traducevo e adattavo tesi a un prezzo che era un quinto dei prezzi ufficiali di allora e così potevo pagare l’affitto e non ricorrere più all’aiuto di mio padre.
Nei successivi sei anni la Chiesa visse intensamente, si celebrava in greco e si adottarono usanze greche, molte delle quali sopravvivono ancor oggi. Alla fine del 1981, per il continuo rialzo dei prezzi scrissi una lettera all’Arcivescovo Antonio di Ginevra per dirgli che ormai non riuscivo più a sopravvivere. Dopo due mesi circa, un giorno verso le dodici il mio Vladyka mi telefonò. Il padre Leonard Nicolsky, molto malato, al mattino aveva lasciato la Chiesa di Bari e se ne era ritornato in Canada. Bisognava partire subito per salvare la Chiesa da eventuali prese di possesso illegali. Dietro di me sarebbe venuto il diacono Piotr Figurek con le necessarie patenti di nomina, se avessi accettato. Chiesi due ore per riflettere e consigliarmi con mia madre (mio padre era morto nel 1979), il Vescovo trovò saggia la mia decisione. Dopo due ore telefonò di nuovo, ed io gli dissi che accettavo ed il pomeriggio partii per Bari. Arrivai la mattina alle cinque e mi installai nell’appartamento del prete. Cominciai un lungo lavoro di restauro e di ripristino. Un giorno voglio scrivere le mie memorie di Bari. Iniziai una dura pendolarità. Celebravo una domenica a Bologna e l’altra a Bari. Dopo un anno, per diminuire i viaggi molto faticosi (ho sempre viaggiato di notte e senza cuccette per limitare le spese) cominciai a vivere a Bologna un venerdì e rimanere fino alla notte dopo la domenica successiva. Così coprivo due domeniche a Bologna, poi ritornavo a Bari per due settimane, coprendo una domenica, ma celebrando molte funzioni infrasettimanali per sostenere quella comunità. C’erano a Bari quattro o cinque donne russe ed ucraine, più “la bulgara”. Si aggiunsero però diversi serbi e gli studenti greci venivano numerosi, anche se in città si levò una grande propaganda contro la mia presenza. Tornando a Bologna, nel 1983, di febbraio, Vladyko Antony ordinò Ambrogio Bozzo prete per Bologna e Genova. L’ordinazione fu celebrata a Roma, proprio nel giorno che il presidente Bettino Craxi dichiarò la città non più Città Santa. Dallo scisma fra cattolici e ortodossi non c’era stata più nessuna ordinazione ortodossa in Roma. Padre Ambrogio serviva due domeniche a Genova e la terza mi sostituiva a Bologna. Così a San Basilio la Divina Liturgia c’era di nuovo dopo un anno di intervallo. Così è stato da allora fino ad oggi. Dopo qualche anno venne ad abitare a Castenaso un prete greco, padre Costantinos, che aveva la figlia farmacista sposata con un italiano. Col suo aiuto riuscimmo ad aumentare le liturgie domenicali a Genova e Bari.
Nel 1987 ci fu il nono centenario del Furto di San Nicola, ormai diventato una Traslazione delle Reliquie di San Nicola. Il 22 maggio, alla presenza di circa 400 russi, venuti da tutta la diaspora, e un coro da New York, fui benedetto Archimandrita, senza mitra. 
Durante quegli anni era stata tanta l’attività a Bari, sia per l’assistenza ai pellegrini, sia per la ristrutturazione degli edifici, che la Chiesa di San Basilio rimase come l’avevo ristrutturata, se si eccettuano le icone nuove all’iconostasi, qualche icona nella navata e alcuni paramenti.
Alla morte della mia padrona di casa, la signora Laura Nanni, che era caduta per le scale e fu da me soccorsa, la figlia Luisa mi diede lo sfratto dalla soffitta. Così cedetti a mio fratello una parte della casa avuta da mio padre nel 1987 e mi comprai il piccolo appartamento dove tutt’ora abito. Veniva usato anche da Padre Ambrogio quando veniva a Bologna.
Gli anni successivi passarono in fretta, senza nessuna vacanza, senza nessun viaggio, esclusa la pendolarità da Bologna a Bari. Solo nel 1991 tornai in America per una settimana.
Gli studenti greci qui a Bologna diminuivano ogni anno, però erano sorti diversi laboratori di pellicceria, dove vi lavoravano diverse famiglie greche, che frequentavano la Chiesa regolarmente ed anche con generosità.
Nel 1995, durante l’estate, presi una forte bronchite e dopo caddi seriamente ammalato. Passai il mese di agosto dai miei a Reggello. Avevo lasciato a Bari un amico russo, che viveva in Germania, molto fidato a San Basilio. Con tutti i greci a casa la Chiesa era, come al solito, chiusa in quel mese. In settembre, ormai abbastanza ristabilito, ricevetti, il quindici del mese, dal nuovo vescovo di Genova Ambrosij, la mitra.
La storia non sarebbe finita qui, perché tanti pensieri, ricordi ed immagini affollano la mia mente, forse un giorno anch’essi finiranno sulla carta. Sono episodi lieti e talvolta anche tristi della mia vita di sacerdote, ma tutti vissuti nella convinzione che il loro fine fosse il bene di chi a me si era affidato. Sarò riuscito nel mio intento? 
 Padre Mark (Davitti), Archimandrita
Fonte: sito della Chiesa ortodossa di san Basilio in Bologna

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