Storia e spiritualità greca nella terra
idruntina (Di Giuseppe papàs Ferrari)
Spiritualità greca nella terra idruntina
Di
Giuseppe papàs Ferrari
(articolo pubblicato
sull’Osservatore Romano, il 3 Ottobre 1980)
Papàs
Giuseppe Ferrari (XX secolo), sacerdote dell'eparchia greco-cattolica di Lungro
e professore di spiritualità bizantina presso l'Ecumenica di Bari. Nella sua
diocesi si impegnò a ripristinare le tradizioni "ortodosse". (es.
eliminando statue e devozioni latine medievali)
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Otranto, chiesa bizantina di san Pietro, IX-X sec. |
Otranto
si trova, per la sua posizione, al confine tra l’ecumene dell’antica Roma e
quello della nuova Roma. Nell’antichità classica era considerata il porto
naturale e il punto d’incontro. Furono i Romani a sostituirlo, come porto, con
Brindisi. Chissà, forse perché la città era troppo greca. Molte volte le
ragioni vere sono diverse da quelle che appaiono. Durante l’impero bizantino
Otranto riprende il suo ruolo antico. È proprio questo che mi fa pensare che
non solo la sua superficie, ma tutta la sua mentalità, la sua anima, la sua
spiritualità doveva essere rimasta greca e dava ogni garanzia alle autorità di
Bisanzio, sia religiose che civili.
Ecco
perché la sua chiesa viene elevata a Metropoli autonoma, ricevendo come diocesi
suffraganee Acerenza, Tursi, Gravina, Matera, Tricarico ecc. E quando più tardi
Otranto passa (1) al
rito latino, lo stesso papa Leone IX riconosce i suoi diritti metropolitani,
pur dandole diocesi suffraganee diverse ed anche se la concezione di metropoli
e di Arcivescovo è diversa nel diritto canonico latino e nel diritto
ecclesiastico bizantino.
Anche quando per il declino dell’impero
romano d’oriente e per le circostanze storiche della Puglia Otranto è di rito
latino e la sua fedeltà (2) al papato è fuori discussione , la sua cultura greca doveva essere ancora assai viva. Ancora l’11 agosto
del 1370 papa Urbano V sceglieva l’arcivescovo di Otranto, Giacomo d’Itri, per
visitare i monasteri basiliani del regno di Sicilia e lo stesso arcivescovo era
già stato scelto per esaminare i libri liturgici degli italo-greci. Segno che
la S. Sede gli riconosceva una particolare competenza nella conoscenza
del mondo religioso greco.
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Otranto, rovine del monastero italo-greco di Casole, distrutto dai Turchi nel 1480
Se i
centri diocesani volontariamente o perché costretti, erano ormai tutti
latinizzati, la presenza greca in Puglia rimaneva ancora fortissima e non si
estinse che molto più tardi. Prova evidente che la religiosità delle
popolazioni era sempre greca e per molti secoli i due riti convissero insieme,
né si può rifiutare, almeno come ipotesi, che i vescovi presi da quelle
popolazioni potessero essere latini per ragioni di saggezza politica, ma greci
per convinzione spirituale.
Cattedrale di Otranto, affresco.
Il codice brancacciano della Nazionale di Napoli (I-B-6) ci dà un elenco
preciso sullo stato della religiosità greca del Salento al sec. XVI. Vi è un
numero di Castelli, cito le parole testuali del codice: “dove si parla greco
solamente e dove si fanno l’offici greci solamente e cioè: Solito (sic),
Sternatia, Cannule, Sturdà, Niviano, Zullino”. Una seconda categoria è
composta di quei paesi dove si parla italiano ma i due riti convivono. Essi
sono: Altamura, Montesardo, Ruggiano, Padu, Gagliano, Ruffiano, Buggiardo
(sic), Moriciano, Giurdignano, Mondervino, Galatone, Scurrano, Salignano,
Maliano, Magle, Otranto, Abbazia di S. Nicola di Casule. E ancora una terza
categoria dove le popolazioni parlano ancora le due lingue (greca e italiana) e
i due riti convivono: S. Pietro in Galatina, Aradei, Noe, Martano, Castrignano,
Melpignano, Calimera, Corigliano, Cursi, Bagnolo. Il medesimo codice ci offre
anche un piccolo elenco di paesi stanziatisi nel Tarantino e composto non di
italo greci, ma di immigrati greci e albanesi venuti in Italia alla fine del
secolo XV e nei primi decenni del XVI dopo l’occupazione della Balcania da
parte dei Turchi. Essi sono: Carosino, Belvedere, La Rocca, Faggiano, S.
Giorgio, S. Crispiere, Monteiasi, S. Martino, Casalnuovo, Fragagnano. Il ms. fa
precedere quest’ultimo elenco da questa nota: “Quarta classe di certi
Castelli e ville Albanesi sotto la diocesi di Taranto i quali fanno l’officio
greco e vivono scorrettamente (sic) a loro modo”.
Otranto, chiesa bizantina di San Pietro, affresco della Lavanda dei Piedi.
Il
celebre Antonio Arcudio, in una lettera indirizzata al Cardinale Sirleto, in
qualità di Protopapa (Arciprete greco) di Soleto, nel 1580, in difesa dei riti
greci e contro le accuse dei latini, ci spiega il termine “scorrettamente” usato
dal manoscritto di Napoli, dicendo che gli italo-greci erano stati sempre
fedeli alla religione cattolica, mentre causa di tutti i mali sono (cito le sue
parole): “…una congerie di vagabondi Albanesi, cattivacci e scismatici” (Riv.
St. Calabrese, a. VI, Ser. II fasc. 1 p.55). In realtà gli ultimi
immigrati nell’Italia Meridionale, Greci e Albanesi, fino al 1700 non
accettarono mai altra giurisdizione religiosa all’infuori di quella del
Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli. Né, d’altronde, vi è mai
stato, prima o dopo di allora, alcun atto ufficiale di un loro passaggio
dall’ortodossia al cattolicesimo latino o greco, come, invece fu fatto per i
vari gruppi greco-cattolici, come Melchiti, Ucraini, Rumeni etc.
Carpignano Salentino, Cripta di Santa Cristina, uno dei tanti gioielli del Salento Ortodosso
Esaminando sempre il manoscritto
napoletano già citato, troviamo, alla fine del 1500, un lungo elenco di preti e
di diaconi greci, in buona parte coniugati. Ecco alcuni nomi. A Corigliano:
Pietro Antonio Lega, Alessandro Indrino, Antonio Lollo, Ferdinando De Mattheis,
Lupo De Angelis, Cristaldo Renna, tutti preti greci; più due chierici.Giurdignano,
di cui è barone Francesco Prototico (sic), di Otranto, ha 150 famiglie di rito
latino; per i Greci vi è un sacerdote celibe (il ms. lo chiama “castus
presbiterus”), vi sono due diaconi e un chierico. A Muro Leccese: un
sacerdote coniugato. A Giuggianello: un sacerdote, Antonio Rizzo,
vedovo. A Palmariggi l’ultimo prete greco fu Francesco Antonio
Federico. A Melpignano, nella visita pastorale del 12 Dicembre
1607, risulta il seguente clero greco: sacerdote Elia De Aloisio, diacono
Giovanni Luca Fenestra e tre chierici tutti coniugati. A Martano quattro
ecclesiastici. A Castrignano dei Greci risultano due sacerdoti
latini e dieci greci coniugati. A Calimera: dodici sacerdoti
tutti greci e coniugati, di cui tre vedovi. A Martignano: dieci
sacerdoti greci coniugati. A Sternatia, nella visita del 27
Settembre 1608, due sacerdoti greci e nove chierici. A Zollino:
quattro sacerdoti coniugati, di cui uno vedovo. A Cursi: cinque
preti greci. In una lettera del clero di S. Pietro in Galatina del 10 Aprile
1570 risultano le firme di cinque sacerdoti greci, quattro diaconi e altri
ecclesiastci inferiori. Alcuni firmano in greco. Nella stessa Otranto,
nonostante la presenza dell’Arcivescovo latino, che da tempo spiegava tutto il
suo zelo per far scomparire ogni traccia di rito greco, come risulta da
numerosi documenti, ancora nel 1684 troviamo in funzione tre chiese greche
regolarmente officiate dal clero greco (Arch. St. Ser. IV, T. VI, p.100)
Otranto, Chiesa bizantina di San Pietro, affresco del Battesimo di Cristo
Per conchiudere possiamo asserire che ancora nel 1700, nonostante che ogni
giorno si assottigliasse sempre più, per un complesso di cause, nelle due
diocesi di Otranto e di Castro, molte popolazioni professavano ancora il rito
greco e le più tenaci a non volersi spegnere sono state, oltre a parte della
stessa città, nell’Archidiocesi di Otranto, le popolazioni di Corigliano,
Giurdignano, Muro Leccese, Giugianello, Palmariggi, Melpignano, Martano,
Castrignano, Calimera, Martignano, Sternatia, Zollino, Cursi. E nella diocesi
Castro (poi soppressa nel 1793) i seguenti casali, oltre a Castro stessa: Diso,
Vignacastrisi, Castiglione, Andrano, Marittima, Cerfignano, Cocumola,
Vitigliano, Ortelle, Spongano, Poggiardo, Vaste, Nociglia, oltre a un numero di
villaggi oggi distrutti come S. Giovanni Calavita, Casalicchio, Capriglia, S.
Giovanni Malcantone, Torre Padule, Casa Massima, Torricella, Murtole,
Belvedere, Principiano, Trunco, Torre Macchia, Cellino ecc.
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Castello di Acaya (Lecce), affresco della Koimisis della Madre di Dio.
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Generalmente i sistemi per sopprimere il
rito greco furono sempre e ovunque i medesimi: erigere una o più parrocchie
latine dove esse non esistevano, accanto a quelle greche e poi favorire il
passaggio, vessando le popolazioni greche e molto di più il loro clero;
premiando invece quello latino. Citiamo
il caso di Soleto, che, a quanto sembra, fu per secoli sede di un vescovo
greco. A ricordo di questo vi era rimasta una collegiata nella chiesa madre con
rendite cospicue. All’ultimo arciprete greco fu proposta la soppressione della
collegiata e l’assegnazione di tutte le sue rendite a lui unico parroco, a
condizione che passasse al rito latino. E il patto funzionò, con la fine, così,
del rito greco a Soleto. Esaminando i documenti che si riferiscono a queste vicende,
spesso si notano contraddizioni tra l’uno e l’altro. Sono carte che
bisogna saper leggere, perché, spesso, la verità è tra le righe. Così
nelle relazioni che vescovi e baroni mandano a Roma e a Napoli si tende sempre
a diminuire il numero del clero e delle popolazioni greche, come pure a
sottolineare disordini molte volte inesistenti, quasi sempre interpretando male
il loro operato e i loro riti. Del resto non si devono escludere molti casi di
morte naturale, perché il rito greco era giunto nel 1700 con il fiato grosso:
privato dei vescovi, il clero senza una vera formazione, posti i greci sotto la
giurisdizione degli ordinari latini locali che, almeno nel ‘6-700, non
comprendevano questi riti, costretti a modificare alcuni riti per manifestare in
quel modo il loro cattolicesimo.
Castro, resti con affreschi della cattedrale bizantina.
Mi sono
indugiato su questo argomento per dire che la Terra d’Otranto, quando
si parla di greci e di rito greco, non bisogna riferirsi soltanto ad alcuni
monasteri cosiddetti basiliani. Il discorso sul monachesimo greco in Puglia è
un altro. Qui, e più propriamente nelle due diocesi di Otranto e Castro, intere
popolazioni erano ancora greche e professavano la religiosità bizantina fino al
1700.
Giuseppe
Papàs Ferrari.
(1) l'autore usa irenicamente il termine "passa". Tuttavia, la
Chiesa di Roma usò una politica che portò o alla completa scomparsa della
Chiesa Greca (in Italia ma soprattutto nel Meridione) o al fenomeno
dell'uniatismo, non accettato dalle popolazioni greche e albanesi come lo
stesso autore scrive.
(2) La fedeltà dei vescovi di Otranto a Roma si può intendere o
nell'ecclesiologia della Chiesa del primo millennio cioè del rispetto e del
riconoscimento del primato d'onore della sede di Roma Antica (primus inter
pares) o quando la sede di Otranto passò sotto la giurisdizione di Roma.
L'argomento è tuttavia molto vasto e lo amplieremo in un altro articolo.