sabato 30 ottobre 2010

Dal sito: natidallospirito :La lettura della Scrittura come forma di eucaristia

La lettura della Scrittura come forma di eucaristia (Pavel Evdokimov)

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Come il “grande ingresso” della liturgia dei fedeli precede la comunione eucaristica, così il “piccolo ingresso” precede ciò che per i catecumeni sostituisce l’eucaristia: la consumazione eucaristica della Parola:
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangua ha la vita eterna
ma anche
Chi ascolta la mia Parola [...] ha la vita eterna (Gv 6,54; 5,24)
Già Clemente Alessandrino dichiara che bisogna nutrirsi della semente di vita contenuta nella Bibbia come si fa dell’eucaristia [1]. Origene fissa esattamente il senso ella manducazione della Scrittura [2], e la tradizione lo segue: si consuma “eucaristicamente” la “Parola misteriosamente spezzata” [3]. San Girolamo dice ugualemente:
Mangiamo la sua carne e beviamo il suo sangue nella divina eucaristia, ma anche nella lettura delle Scritture.[4]
San Gregorio di Nazianzo assimila la lettura della Scrittura alla consumazione dell’Agnello pasquale.
Questa maniera eucaristica di consumare la Parola presuppone l’epiclesi di ogni lettura [5]. La parola è viva per lo Spirito che in essa riposa, come si è posato sul Figlio, nel momento dell’Epifania. Bisogna perciò leggerla nella dimensione del Paraclito; Dio ha voluto che Cristo formasse il corpo nel quale le sue parole vengono a risuonare come parole di vita; Dio ha voluto che la tradizione della Chiesa formi il luogo nel quale Cristo parla e commenta le sue stesse parole. Al suo interno, dunque, cioè nella Chiesa, bisogna leggere e ascoltare. Solo la Chiesa conserva la Parola, poiché possiede lo Spirito che l’ha dettata, insegna Origene [6].
Così, ponendo la lettura nel cuore della liturgia dei catecumeni, l’insieme liturgico vuol suggerire, in analogia con la liturgia dei fedeli, che ogni lettura conduce alla presenza reale, all’incontro con il Verbo, alla sua comunione, consumazione eucaristica, sostanziale della Parola.
“Siamo attenti! Sapienza!”
La pericope presa dalle Lettere porta il nome di Apòstolos. Il detto ebraico diceva “Lo schaliah, l’apostolos di un uomo, è come un altro lui stesso”. Questo nome di apostolo significa dunque che, durante la lettura liturgica, è veramente l’apostolo a pronunciare questa lettura. L’incensazione dell’assemblea simboleggia la purificazione: purificata dall’apostolo, l’assemblea si prepara al mistero del Vangelo.
Fa’ che risplenda nei nostri cuori, o Signore amante degli uomini, la luce incorruttibile della tua divina conoscenza; aprici gli occhi della mente affinché possiamo intendere i tuoi precetti evangelici.
Questa preghiera prima della lettura esprime l’epiclesi scritturistica; chiedendo la luce pura, incorruttibile, essa chiede lo Spirito Santo, il dono della sua illuminazione, e si rifà a Luca e Giovanni:
Aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture [...] Manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso [...], lo Spirito che vi guiderà alla verità tutta intera (Lc 23,45-49; Gv 16,13)
E’ il metabolismo eucaristico delle Scritture nella parola di Dio, l’eucaristia scritturistica dei catecumeni.

Pavel Evdokimov

tratto da: P.E., L’uomo icona di Cristo, Ancora, pp. 115-117
[1] Stromati 1,1
[2] PG 131, 130-134
[3] PG 13, 1734. Cf. Giovanni Crisostomo, Sermone sulla Genesi, 6,2; Gregorio di Nazianzo, Discorsi, 45, 16
[4] Sull’Ecclesiaste, 3,13
[5] La preghiera rivolta al Padre perché invii lo Spirito Santo
[6] Su San Matteo, 14
Chiesa ortodossa

Patriarcato di Mosca
Parrocchia Ortodossa
San Giovanni di Kronstadt
Palazzo Gallo
CASTROVILLARI


Care Fedeli, cari fedeli:

       Domani, domenica 31 ottobre 2010, con inizio alle ore 10.00, presso la Chiesa Parrocchiale

San Giovanni di Kronstadt, a Castrovillari (CS) presso Palazzo Gallo, In fondo C.s. Garibaldi,

CELEBREREMO
 
la Divina Liturgia. Vi prego di essere puntuali come sempre e molto numerosi, comunicatelo anche a coloro che ancora non sanno della nostra Chiesa e le sua ubicazione.
Inoltre desidero sempre ricordarvi che a Castrovillari e nei suoi dintorni, l'unica vera Chiesa Ortodossa è sola mente la nostra, quella del Patriarcato di Mosca. Non fatevi abindolare da sirene linguistiche. Altre chiese nel territorio  strutturate come la Chiesa Ortodossa, non sono ortodosse, ma semplicemente  "cattoliche di rito orientale". P. Giovanni




VI Domenica di Luca - Riflessione di p. Seraphim

Nel nome del Padre e del Figlio e del Santo Spirito. Amìn.

La Rivelazione Divina ha avuto in Cristo il suo suggello definitivo, essa è andata nel corso della storia ad aumentare e chiarificarsi sempre più e in Cristo ha avuto il suo compendio. Gli antichi ebrei infatti non avevano ben chiaro cosa succedesse dopo la morte, in alcuni libri del vecchio testamento si intuisce che essi credessero che l’uomo moriva definitivamente e niente in lui rimanesse di vitale (la concezione che per esempio avevano i sadducei al tempo di Gesù e che è espressa in alcuni salmi), oppure che l’anima vagasse in eterno in luoghi bui e tenebrosi nel famoso sheol o ade in greco, inferi in latino, il mondo dei morti: era la concezione dei popoli vicini principalmente dei sumeri e dei babilonesi. Fu l’incontro con la religione egizia, con gli zoroastriani persiani e con la filosofia ellenista che aprì agli ebrei una nuova visione della vita oltre la morte, si fece strada l’idea che nell’uomo ci fosse un principio vitale, l’anima appunto, che sopravvivesse alla dissoluzione del corpo. In questo contesto le anime dei defunti dopo la morte avevano un destino diverso a seconda di come si erano comportate in vita, mi spiego: finivano tutte negli inferi, ma se erano state “buone” andavano nella parte degli inferi chiamata “il seno di Abramo” e se invece erano state “cattive” finivano nella parte dolorosa degli inferi, è la concezione che troviamo principalmente, principalmente ma non unicamente al contrario di quello che credono i protestanti, nei cosiddetti libri deuterocanonici come il libro della Sapienza, che sono canonicissimi checché se ne dica (piccola polemica scusate). E ancora troviamo che le anime di coloro che sono morte nel peccato possono essere aiutate a salvarsi tramite sacrifici e preghiere come scritto per esempio nel 2° libro dei Maccabei. Questo fino alla morte e resurrezione di Cristo, il Grande Sabato infatti ricordiamo la discesa agli inferi di Nostro Signore che distrusse, scardinò le porte degli inferi che tenevano prigioniere anche le anime dei giusti e riaprì definitivamente la via al paradiso che era chiusa e impossibile da percorrere fin dai tempi del peccato originale.
Attenzione però anche questa non è un situazione definitiva, ma è la situazione delle anime fino al 2° ritorno di Cristo, quando i morti risorgeranno e le anime saranno nuovamente unite ai corpi per il giudizio finale in cui tutto sarà ricapitolato in Cristo: sia le cose del Cielo che quelle della terra come ci dice il Santo Apostolo Paolo.
Fino ad allora “i giochi sono aperti”, fino ad allora c’è possibilità di salvezza per tutti sia i viventi che i defunti, fino ad allora i tormenti negli inferi non sono qualcosa di eterno, l’essere morti nel peccato non è una situazione definitiva, ma le anime di coloro che non possono ancora accedere al Regno Celeste possono essere aiutate tramite le preghiere dei viventi a redimersi, ad ottenere la remissione delle proprie colpe e a ritrovare la via della salvezza.
Buona Domenica a tutti.

p. Seraphim

mercoledì 27 ottobre 2010

Dal sito: natidallospirito

1. LA MORTE
Il silenzio dei morti pesa sui vivi. Tuttavia, da Cristo in poi la morte è cristiana, non è più un intruso, ma la grande iniziatrice. “Regina dei terrori”, secondo Giobbe, la morte ferma le profanazioni abituali e le dimenticanze, colpisce con il suo avvenimento irreversibile. Non ha un’esistenza in essa stessa, non è la vita che è un fenomeno della morte, ma è la morte che è un fenomeno provvisorio della vita. Come la negazione è posteriore alla dichiarazione, è un fenomeno secondario e principalmente parassitario. Dopo la rottura dell’equilibrio iniziale, la morte diventa il destino “naturale” dei “mortali” pur essendo contro natura, cosa che spiega l’angoscia dei morenti. L’ampiezza del male si misura dalla potenza dell’antidoto. La ferita è così profonda, il male è così virulento, che esigono una terapeutica propriamente divina ed è il tragico della morte di Dio e, al suo seguito, il nostro passaggio con la purificazione della morte. L’incarnazione del Verbo è già l’avviamento della Risurrezione. Il Verbo si unisce alla natura “morta” per vivificarla e curarla. “Prese un corpo capace di morire affinché, soffrendo per tutti in questo corpo in cui era venuto, riducesse a nulla il Maestro della morte”[1]. “Si è avvicinato alla morte fino a prendere contatto con lo stato di cadavere e fornire alla natura il punto di partenza della risurrezione”[2]. “Ha distrutto la potenza della mortalità”[3].
La Bibbia non insegna alcuna immortalità naturale. La risurrezione di cui parla l’Evangelo non è affatto la sopravvivenza dell’anima ma la penetrazione di tutto l’essere umano con le energie vivificanti dello Spirito Divino. Il Credo lo confessa: “Attendo la risurrezione dei morti”, e “Credo nella risurrezione della carne”. I santi vivono la morte con gioia, nella gioia di nascere al mondo di Dio. San Serafino di Sarov insegnava il “morire in allegria”. È per questo che indirizzava a tutti questo saluto pasquale: “Gioia mia, Cristo è risorto”, la morte è inesistente e la vita regna. La morte per san Gregorio di Nissa è cosa buona e san Paolo lo dice in una visione stupefacente: Tutte le cose son vostre, sia la vita, sia la morte (1Cor 3, 22), le due sono allo stesso titolo, i regali di Dio messi a disposizione dell’uomo.
Assumendola interamente, l’uomo è sacerdote della sua morte, egli è ciò che fa della sua morte. L’estrema unzione introduce in questo sacerdozio ultimo, offre “un olio di gioia”, suscita l’esaltazione del cuore sopra il corpo in agonia. Diadoco nota che le malattie prendono il posto del martirio. Quando, di fronte al boia che la morte sostituisce, l’uomo può chiamarla “nostra sorella la morte” e confessare il Credo, anticipa e vive quest’evidenza di essere passato dalla morte alla vita. I grandi spirituali dormivano nella loro bara come in un letto nuziale e manifestavano un’intimità fraterna con la morte che è soltanto un ultimo passaggio-Pasqua. Se la saggezza secondo Platone insegna l’arte di morire, solo la fede cristiana apprende come occorre morire nella risurrezione. Infatti, la morte è interamente nel tempo, dunque è dietro di noi; davanti, si trova ciò che è stato già vissuto nel battesimo: la “piccola risurrezione”, e nell’eucaristia: la vita eterna. Colui che mi ascolta ha la vita eterna, non viene in giudizio, è già passato dalla morte alla vita(Gv 5, 24, e Col 2, 12).
2. IL PASSAGGIO DI PURIFICAZIONE E L’ATTESA CELESTE
La morte è chiamata liturgicamente “dormizione”: c’è una parte dell’essere umano che si trova in stato di sonno, sono le facoltà psichiche attaccate al corpo, ed una parte che resta cosciente, sono le facoltà psichiche attaccate allo spirito. Molti passaggi del Nuovo Testamento mostrano sufficientemente che i morti possiedono una coscienza perfetta. La vita, passando per la morte, continua e giustifica la preghiera liturgica per i morti. Se l’esistenza tra la morte e l’ultimo giudizio può essere chiamata “il purgatorio”, quest’ultimo non è un luogo, ma uno stato intermedio.
L’Oriente insegna la purificazione dopo la morte, non come una condanna da scontare, ma come il destino assunto e vissuto fino alla fine, con la speranza di una guarigione progressiva al termine. L’attesa collegiale di tutti i morti è creatrice a causa della sua ricettività. La preghiera dei vivi, gli uffici della Chiesa, il ministero per intercessione degli angeli intervengono e continuano l’opera di salvezza del Signore. Non è tanto l’errore che si ripara quanto la natura che si ripara, che trova la sua integrità e la “salute” del Regno. Ciò che spiega l’immagine frequente del passaggio dei morti dalle “stazioni di pedaggio” (“telonia”), dove si lascia ai demoni ciò che appartiene loro e dove ci si libera conservando soltanto ciò che è del Signore. Non si tratta di torture né di fiamme, ma della maturazione mediante lo spogliamento di qualsiasi macchia che pesa sullo spirito.
La parola “eternità” in ebraico, è presa dal verbo alam, che vuol dire “nascondere”. Dio ha avvolto di oscurità il destino dell’oltretomba e non si tratta affatto di violare il segreto divino. Tuttavia, il pensiero patristico afferma chiaramente che il tempo tra la morte ed il giudizio non è vuoto e, come dice sant’Ireneo, le anime “maturano”[4]. Sant’Ambrogio parla del “luogo celeste” dove dimorano le anime. Secondo la tradizione, è “il terzo cielo” di cui parla san Paolo, il cielo delle parole ineffabili (2 Cor 12, 2-4). È ovvio che non si tratta affatto di nozioni spaziali. È un linguaggio simbolico, dunque misterioso per essenza. Gli approcci del Regno non designano dei luoghi ma degli stati e dei mondi spirituali. Secondo san Gregorio di Nissa, le anime accedono al mondo intelligibile, alla città delle gerarchie celesti sopra il cielo, il che significa al di sopra delle dimensioni conosciute. L’Eden è diventata il sagrato del Regno, chiamato anche “seno di Abramo”, “luogo di luce, di refrigerio e di riposo”[5].
Quest’ascensione spoglia dal peso del male e le anime purificate salgono da una dimora all’altra (le Mansiones di Ambrogio), da uno stato all’altro, si iniziano gradualmente al mistero dell’aldilà e si avvicinano al Tempio-Agnello. Le anime e gli angeli entrano nell’intercomunione preliminare ed al canto del Sanctus salgono insieme i gradini “della casa dell’Eterno”. È il santuario dove entra il Signore (Ebr 9, 24), dove “gli amici feriti dello Sposo”, i martiri ed i santi sono riuniti nella Communio sanctorum, attorno al cuore-agape del Teantropo. È ancora la vita degli spiriti disincarnati, avvolti come da un manto dalla presenza del Cristo la cui carne glorificata e radiante di luce compensa la nudità delle anime. I sensi diventati interni allo spirito captano il celeste.
È l’attesa attiva, in comunione di preghiera con la Chiesa che si veste di lino purpureo, delle opere dei santi che li seguono (Ap 14,13; 19,8). La parola:Dormo ma il mio cuore veglia (Ct 5,2) designa il sonno vigilante “della piccola risurrezione”. Pur superando i gradi, le anime attendono “il giorno del Signore”. È il mistero del Corpo tutto intero, “del covone legato dei grani raccolti”, poiché “c’è un solo corpo che attende la beatitudine perfetta”[6], ed è soltanto a questa totalità che l’abisso del Padre si apre. Lo sguardo di tutti si dirige verso la costituzione del Totus Christus, l’Avvento escatologico sfocia nel destino unico dell’Uomo ricostituito tutto intero in Cristo.
3. LA FINE DEL MONDO
La figura di questo mondo passa, ma colui che fa la volontà di Dio rimane in eterno (1Cor 7, 31; 1Gv 2, 17). Vi è ciò che scompare e vi è ciò che resta. L’immagine apocalittica parla del fuoco che rifonda e purifica la materia, ma questo passaggio è quello del limite. C’è uno iato. “L’ultimo giorno” non diventa un ieri e non avrà domani, non farà numero con gli altri giorni. La mano di Dio afferra il cerchio chiuso del tempo fenomenale e lo eleva ad uno orizzontale superiore[7]. Questo “giorno” chiude il tempo storico, ma esso stesso non appartiene al tempo; non si trova sui nostri calendari ed è per questo che non lo si può predire. “Dinanzi al Signore, un giorno è come mille anni” (Cf Sl 89, 4), si tratta qui di misure o di stati incomparabili. Questo carattere trascendente della fine è l’oggetto della Rivelazione e della fede.
4. LA PARUSIA E LA RISURREZIONE
La Parusia renderà evidente per tutti l’avvento folgorante del Cristo nella sua gloria. Ma non è nella storia che la Parusia sarà visibile ma oltre alla storia, cosa che presuppone il passaggio ad un altro eone: Tutti saranno trasformati (1Cor 15, 51) – I vivi che saranno ancora là saranno portati via su nuvole per incontrare il Signore nell’aria (1Tess 4, 17). Secondo san Paolo, c’è un’energia d’un granello di seme che Dio fa risorgere: è seminato un corpo naturale, risuscita un corpo spirituale (1Cor 15, 44) rivestito dell’immortalità e dell’immagine del celeste; Tutti usciranno al richiamo della voce. I testi escatologici presentano una densità simbolica che elimina ogni semplificazione e soprattutto ogni senso letterale. La parola impotente lascia posto alle immagini di una dimensione trascendente per il mondo. Il senso preciso ci sfugge completamente e ci invita ad “onorare in silenzio” la realtà di cui è stato detto: l’occhio non vide, l’orecchio non udì e non venne mai nel cuore dell’uomo ciò che il Signore ha preparato per quelli che lo amano (1Cor 2, 9).
La risurrezione è un’ultima soprelevazione. La mano di Dio afferra la sua preda e la solleva in una dimensione sconosciuta. Si può dire al massimo che lo spirito ritrova la totalità dell’essere umano, anime e corpi conservati perfettamente identici alla loro unicità. San Gregorio di Nissa parla del “sigillo”, dell’“impronta” che si rapporta alla forma del corpo (che è una delle funzioni dell’anima) e che permetterà di riconoscere il viso conosciuto. Il corpo sarà simile al corpo del Cristo risuscitato, cosa che vuol dire: di maggiore gravità e impenetrabilità. L’energia di repulsione che rende tutto opaco, impenetrabile, lascerà posto alla sola energia d’attrazione e di compenetrazione di tutti e di ciascuno.
5. LA NOZIONE PATRISTICA DELLA SALVEZZA-GUARIGIONE
Gesù sulla Croce diceva: Padre mio, perdona loro, non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). Non sapere ciò che si fa è il proprio di un ammalato, il comportamento di un insensato reso sordo e cieco.
Alla luce della bibbia, la salvezza non ha nulla di giuridico, non è una sentenza di tribunale. In ebraico, salvezza (yéchà) significa la consegna totale, ed in greco l’aggettivo sôs corrisponde al sanus latino e vuole dire rendere la salute. L’espressione “la tua fede ti ha salvato” include il suo sinonimo: “La Tua fede ti ha guarito”. È per questo che il sacramento della confessione è concepito come “clinica medica” e l’eucaristia secondo sant’Ignazio di Antiochia è “rimedio di immortalità”. Il concilio Trullano (692) precisa: “Coloro che hanno ricevuto da Dio il potere di legare e sciogliere, si comporteranno come medici attenti a trovare il rimedio che richiedono ogni penitente ed il suo errore” poiché “il peccato è la malattia dello spirito”. Gesù-Salvatore, secondo i Padri, è “il Guaritore divino”, “Generatore della salute”, che dice: Non è la gente che sta bene che ha bisogno del medico, ma i malati (Lc 5, 31). Un peccatore è un malato che ignora la natura maligna del suo stato. La sua salvezza sarebbe l’eliminazione del germe della corruzione e la rivelazione della luce del Cristo, il ritorno verso lo stato normativo della natura, verso la sua salute ontologica.
6. IL GIUDIZIO
San Paolo parla della facoltà di vedere “il volto scoperto”, è già il pre-giudizio, ed il giudizio ultimo sarà la visione totale del tutto dell’uomo. Simone Weil dice profondamente: “Il Padre dei Cieli non giudica… attraverso lui gli esseri si giudicano”. Secondo i grandi spirituali, il giudizio è questa rivelazione alla luce non della minaccia della punizione ma dell’amore divino. Dio è eternamente identico a sé stesso, Egli è amore. “I peccatori nell’inferno non sono privati dell’amore divino”, dice sant’Isacco, ed è lo stesso amore che soggettivamente “diventa sofferenza nei reprobi e gioia nei beati”[8]. Dopo la rivelazione della fine dei tempi, non si potrà più non amare il Cristo; ma l’indigenza, il vuoto del cuore ci rendono incapaci di rispondere all’amore di Dio ed è la sofferenza indicibile dell’inferno.
L’Evangelo usa l’immagine della separazione delle pecore e dei capri. Ma non esistono affatto santi perfetti, come, in qualsiasi peccatore, ci sono almeno alcuni frammenti di bene. Secondo l’epistola ai Romani, la legge condanna il peccato ed insieme il peccatore, la sua sola vittoria sul male è la distruzione del peccatore. Ma, il Cristo sulla Croce ha separato il peccato dal peccatore, ha condannato e distrutto il potere del peccato ed ha salvato il peccatore. A questa luce, la nozione del giudizio s’interiorizza, non è una separazione tra gli uomini ma all’interno di qualsiasi uomo. In questo caso, anche “la seconda morte” si riferisce non agli esseri umani, ma agli elementi demoniaci che portano in loro. È il senso preciso dell’immagine del “fuoco”, che non è tortura e punizione ma purificazione e guarigione. La spada divina penetra nelle profondità umane e rivela che ciò che fu dato da Dio come dono non è stato ricevuto, essa rivela così il vuoto scavato dal rifiuto dell’amore e la diversità tragica tra l’immagine-appello e la somiglianza-risposta. Ma la complessità del miscuglio del bene e del male durante la vita terrestre, descritta nella parabola del frumento e del loglio (Mt 13, 24-30), rende ogni nozione giuridica inefficace e ci mette dinanzi al più grande mistero della Sapienza divina, convergenza della giustizia e della misericordia. “Alla sera della nostra vita saremo giudicati sull’amore”, su ciò che abbiamo amato sulla terra.
7. LA DISCESA AGL’INFERI
Il fiat umano, proclamato dalla Vergine Maria da parte di tutti, esige la stessa libertà del Fiat creatore di Dio. Ed è per questo che Dio accetta di essere rifiutato, misconosciuto e respinto dalla ribellione della sua creatura. Sulla Croce, Dio contro Dio ha preso la parte dell’uomo. L’umanità da Adamo è arrivata allo Sheòl, buio soggiorno dei morti. Nell’ufficio del sabato della passione si canta: “Sei sceso sulla terra per salvare Adamo, e non trovandolo, o Maestro, sei andato a cercarlo fino negli inferni”. È dunque lì che il Cristo andrà a cercarlo, caricato del peccato e dei segni dell’Amore crocifisso, della preoccupazione sacerdotale del Cristo-Sacerdote per il destino di quelli che sono agli inferi.
Se “il Regno di Dio è in mezzo a voi”, l’inferno vi è presente anch’esso. Tutta una parte del mondo moderno da cui Dio è escluso lo è già. Secondo san Giovanni Crisostomo, il battesimo non è soltanto morire e risuscitare con il Cristo, ma anche scendere agli inferi seguendo il Cristo. A differenza di Dante che Péguy rimproverava di scendere agli inferi “da turista”, ogni battezzato vi incontra il Cristo ed è la missione della Chiesa. Dio ha creato l’uomo come un’“altra libertà” ed il rischio che Dio ha assunto annuncia già “l’uomo dei dolori”, profila l’ombra della Croce, poiché secondo i Padri, “Dio può tutto, eccetto forzare l’uomo ad amarlo”. Nella sua attesa, Dio rinuncia alla sua onnipotenza, anche alla sua onniscienza, ed assume interamente la sua kènosis sotto la figura dell’Agnello immolato. Il suo destino fra gli uomini è sospeso al loro fiat. Prevede il peggio ed il suo amore è tanto più vigile, poiché l’uomo può rifiutare Dio e costruire la sua vita sul suo rifiuto, sulla sua ribellione. Chi lo trascina, l’amore o la libertà? Entrambi sono infiniti e l’inferno porta questa questione nella sua carne bruciante.
8. L’INFERNO
La corrente concezione delle sofferenze eterne è soltanto un’opinione scolastica, una teologia semplicistica di natura “penitenziale” e che trascura la profondità di testi come Giovanni 3, 17 e 12, 47. Ciò che è inconcepibile, è di immaginare che accanto all’eternità del Regno, Dio prepari quella dell’inferno, cosa che sarebbe, in un certo senso, un fallimento di Dio ed una vittoria parziale del male.
Se un tempo sant’Agostino condannò i “misericordiosi”, sostenitori della concezione della salvezza universale uscita da Origene, fu per allontanare il libertinismo ed il sentimentalismo fuori luogo; ma oggi, l’argomentazione pedagogica del timore è completamente inefficace. Invece, il sacro tremito dinanzi alle cose sante salva il mondo dalla sua banalità e l’amore perfetto bandisce il timore (1Gv 4, 18). All’opinione personale dell’imperatore Giustiniano (che si collega ai “giusti” della storia di Giona) si oppone la dottrina di san Gregorio di Nissa[9] che non è stato mai condannato. Parla della redenzione anche del diavolo; san Gregorio di Nazianzo[10] menziona l’apocatastasis; san Massimo il Confessore[11] invita l’uomo “ad onorarla in silenzio” poiché lo spirito della folla non è idoneo a comprendere la profondità delle parole e non è saggio aprire agli imprudenti delle considerazioni sull’abisso della misericordia. Secondo sant’Antonio, l’apocatastasis non è una dottrina, né il tema di un discorso, ma la preghiera per la salvezza di tutti. Gesù-Salvatore in ebraico significa “Liberatore” e, come dice magnificamente san Clemente di Alessandria: “Come la volontà di Dio è un atto e si chiama il mondo, così, la sua intenzione è la salvezza e si chiama la Chiesa”[12]. Si tratta di una malattia da curare, anche se il rimedio è il sangue di Dio.
Senza nulla “pregiudicare”, la Chiesa si abbandona “alla filantropia” del Padre e intensifica la sua preghiera per i vivi e per i morti. I più grandi fra i santi trovano l’audacia ed il carisma di pregare anche per i demoni. Forse l’arma più temibile contro il Maligno è proprio la preghiera di un santo, ed il destino dell’inferno dipende dalla volontà trascendente di Dio, ma anche dalla carità dei santi. Qualsiasi fedele ortodosso, avvicinandosi alla santa tavola, confessa: “Sono il primo dei peccatori”, cosa che vuole dire il più grande, “l’unico peccatore”. Sant’Isacco nota: “Colui che vede il suo peccato è più grande di colui che risuscita i morti”. Una simile visione della sua nuda realtà insegna che si può parlare dell’inferno soltanto quando ci riguarda personalmente. Il mio atteggiamento è di lottare contro il mio inferno che mi minaccia se non amo gli altri per salvarli. Un uomo molto semplice confessa a sant’Antonio: “Osservando i passanti, mi dico: ‘Tutti saranno salvati, io solo sarò dannato’”, e sant’Antonio per concludere “L’inferno esiste realmente, ma per me solo…”. Riprendendo la formula di sant’Ambrogio: “Lo stesso uomo è allo stesso tempo condannato e salvato”, si può dire che il mondo nella sua totalità è così “allo stesso tempo condannato e salvato”. Allora, forse è nella sua condanna che l’inferno trova la sua trascendenza. Sembra che sia lì il senso della parola che il Cristo avrebbe detto ad un starets contemporaneo, Silvano dell’Athos: “Tieni il tuo spirito all’inferno, ma non disperare…”.
L’Oriente non mette limite né alla misericordia di Dio né alla libertà dell’uomo di rifiutare questa grazia. Ma soprattutto non mette limite all’arte di essere testimone, alla carità inventiva di fronte alla dimensione infernale del mondo. Ogni battezzato è un essere invisibilmente “stigmatizzato”, “Gesù è una ferita dalla quale non c’è cura”, ha detto Ibn Arabi. È questa ferita per il destino degli altri che aggiunge qualcosa alla sofferenza del Cristo “entrato in agonia fino alla fine del mondo”. Imitare il Cristo, è configurarsi al Cristo totale, è scendere al suo seguito nel fondo del baratro del nostro mondo. L’inferno non è altro che l’autonomia dell’uomo ribelle che lo esclude dal luogo dove Dio è presente. La potenza di rifiutare Dio è il punto più avanzato della libertà umana; è voluta tale da Dio, cioè senza limiti. Dio non può forzare alcun ateo ad amarLo ed è, si oserebbe appena dirlo, l’inferno del proprio amore divino, la visione dell’uomo immerso nella notte delle solitudini.
Se Giuda fugge nella notte (Gv 13, 2-30), è perché Satana è in lui. Ma Giuda porta via nella sua mano un mistero terribile, il pezzo di pane della Cena del Signore[13]. Così l’inferno conserva nel suo seno una particella di luce, che risponde alla parola: “La Luce splende nelle tenebre”. Il gesto di Gesù designa l’ultimo mistero della Chiesa: è la mano di Gesù che offre la sua carne ed il suo sangue; l’appello è per tutti, poiché tutti sono in potere del principe di questo mondo. La luce non dissipa ancora le tenebre, ma le tenebre tuttavia non hanno alcuna influenza sulla luce invincibile. Siamo nella tensione estrema dell’amore divino. Dio non è “impassibile”. Il libro di Daniele (3, 25) parla dei tre giovani gettati nella fornace. Il re scorge la presenza misteriosa del quarto: Vedo quattro uomini che camminano in mezzo al fuoco senza che loro arrivi alcun male, ed il quarto ha il volto del Figlio di Dio
È a questo livello che troviamo l’esigenza dell’inferno che testimonia la nostra libertà di amare Dio. È essa che genera l’inferno poiché può sempre dire con tutti i ribelli: “Che la tua volontà non sia fatta” e Dio stesso non ha alcuna influenza su questa parola. Con le ragioni del nostro cuore, sentiamo che la nostra visione di Dio diventa inquietante se Dio non ama la sua creatura fino a rinunciare a punirla con una separazione crudele; è anche inquietante se Dio non salva l’amato senza toccare né distruggere la sua libertà… Il Padre che manda suo Figlio sa sempre che anche l’inferno è suo dominio e che “la porta della morte” è cambiata “in porta della vita”. L’uomo non deve mai cadere nella disperazione, può cadere soltanto in Dio ed è Dio che non dispera mai.
Durante il Mattutino della notte di Pasqua, nel silenzio della fine del Grande sabato, il sacerdote ed il popolo lasciano la chiesa. La processione si ferma all’esterno dinanzi alla porta chiusa del tempio. Per un breve momento, questa porta chiusa simbolizza la tomba del Signore, la morte, l’inferno. Il sacerdote fa il segno della croce sulla porta, e sotto la sua forza irresistibile, la porta, come la porta dell’inferno, si spalanca e tutti entrano nella chiesa inondata di luce e cantano: “Cristo è risuscitato dai morti, con la morte ha vinto la morte, a quelli che sono nelle tombe egli ha dato la vita!”. La porta dell’inferno è ridiventata la porta della Chiesa, del Regno. Non si può andare più lontano nel simbolismo della festa. In verità, il mondo nella sua totalità è allo stesso tempo condannato e salvato, è allo stesso tempo l’inferno ed il Regno di Dio. “Ecco, fratello mio, un comandamento che ti do, dice sant’Isacco, che la misericordia prevalga sempre sulla tua bilancia, fino al momento in cui sentirai, in te stesso, la misericordia che Dio prova verso il mondo”[14].
I grandi vespri che seguono la liturgia della Pentecoste comprendono tre preghiere di san Basilio. Nella terza si prega per tutti i morti dalla creazione del mondo. Una volta l’anno, la Chiesa prega anche per i suicidi… La carità della Chiesa non conosce limiti, porta e rimette il destino dei ribelli tra le mani del Padre e queste mani sono il Cristo ed il Santo Spirito. Il Padre ha consegnato ogni giudizio al Figlio dell’uomo ed è “il giudizio del giudizio”, il giudizio crocifisso. “Il Padre è l’amore che crocifigge, il Figlio è l’amore crocifisso, ed il Santo Spirito è la potenza invincibile della Croce”. Questa potenza esplode nei soffi e nelle effusioni del Paraclito, di Colui che è “presso di noi” e che ci difende e ci consola. È la gioia di Dio e dell’uomo. Il Cristo non ci chiede che di rimetterci completamente a questa gioia: Me ne vado per prepararvi un posto… Ritornerò a prendervi con me affinché, dove sarò, voi siate con me (Gv 14, 2-3). Dio ha pazienza verso noi tutti, non vuole che alcuno perisca… quali non devono essere la vostra santità e la vostra preghiera, che attende e che accelera l’arrivo del giorno di Dio (2Pt 3, 9 e 11). Poiché questo giorno non è solo un obiettivo, né il termine della storia, questo Giorno è il mistero di Dio in pienezza.
Pavel Evdokimov
[1] Sant’Atanasio, De Incarn., 20.
[2] San Gregorio di Nissa, Catech., 32, 3.
[3] San Cirillo d’Alessandria, In Luc., 5, 19.
[4] Adv. haer., PG 7, col. 806.
[5] Preghiera per i defunti.
[6] Origene, in Lev., 7, 2.
[7] San Gregorio di Nissa, PG 44, 504 D.
[8] Omelie spirituali, 11, 1, PG 34, 5440.
[9] PG 46, 609C e 610A.
[10] PG 36, 412A e B.
[11] PG 90, 412A e 1172D.
[12] Il Pedagogo, 1, 6.
[13] È il parere di Sant’Efrem, San Giovanni Crisostomo, S. Ambrogio, S. Agostino, S. Girolamo.
[14] Sant’Isacco il Siro, Sentences, 48.
tratto da
Bulletin saint Jean-Baptiste, VIII, 1968; riprodotto in L’amour fou de Dieu, Seuil, 1973.
Traduzione a cura di Tradizione Cristiana

lunedì 25 ottobre 2010

Dal sito della Chiesa Ortodossa d'Albania

Habitemi se si paraqeten si dokumente të vërteta disa sajesa të shtypit

Ne besimtarët orthodhoksë të kishës “Ungjillëzimi i Hyjlindëses”, në Tiranë, shprehim indinjatën tonë për intervistat e z. Kristo Frashëri rreth çështjeve të Kishës Orthodhokse Autoqefale të Shqipërisë dhe Kryepiskopit tonë. Ne e kemi parë shpesh gjithë këta vjet z. Frashëri në Kryepiskopatën tonë, duke uruar përzemërsisht Fortlumturinë e Tij Anastasin me rastin e Pashkëve dhe Krishtlindjeve etj. E dinim pra, mik të tij dhe të komunitetit tonë.
Si ndodhi kjo kthesë e tij e pak ditëve më parë? Si arrin ai të deklarojë që Kryepiskopi ynë nuk është fronëzuar në kishën tonë të Ungjillëzimit, por në hotel? Mund të ndodhë kjo, dhe a ka njeri të arsyeshëm në botë që mund ta pranojë? Shumë nga ne që e firmosim këtë protestë, kemi qenë dëshmitarë okularë, pjesëmarrës në këtë eveniment, dhe habitemi që ai, një personalitet i kulturës, në vend të dënojë gjestin e ulët të disa personave, ndër ta dhe joortodokse, madje dhe deputetë - që i lejuan vetes të cënonin tolerancën ndërfetare. Brenda një tempulli të një komuniteti vëlla, merr anën e tyre dhe nxjerr nga goja gjëra kaq absurde, sikur Kryepiskopi ynë nuk qenka i ligjshëm(!). Po atëherë tërë autoritetet më të larta të shtetit kanë folur kot kur e kanë përgëzuar personalisht në vizitat e tyre, ose kur e kanë ftuar të merrte pjesë me raste solemnitetesh apo e kane nderuar me dekorata?
Habitemi se si z. Frashëri, si historian, i mban për të vlefshme dhe i paraqet si dokumente të vërteta disa sajesa të shtypit…sikur Eksarku Anastas, me të arritur në Shqipëri, madje para se të arrinte, paska komplotuar kundër vendit tonë! Një historian, sado i ri dhe i papërvojë, nuk do të guxonte të citonte një dokument, pa paraqitur njëherazi edhe burimin nga e ka marrë dhe pa e shoqëruar me një faksimile. Si është e mundur që Imzot Anastasi, shkencëtar i njohur dhe i nderuar në botë përveçse klerik, të bëhet pjesë enjë marrëveshjeje kaq qesharake siç pretendon prof. Frashëri, dhe organet tona të zbulimit të mos e kenë marrë vesh?
Prof. Frashëri pretendon të mbrojë kulturën shqiptare kur kundërshton të drejtën e Kishës tonë për të rindërtuar tempullin e saj “Shën Maria e Pazarit” në Përmet, të shkatërruar nga regjimi komunist. Ai bëhet përkrahës i gënjeshtrës se ajo kishë paska qenë djegur gjatë luftës, kur ka plot të moshuar që dëshmojnë se Kisha ka qëndruar në këmbë deri në 1960. veç kësaj regjimi komunist ka qenë i plotfuqishëm, atëherë pse të shfrytëzonte vetëm 0.7% të ndërtesës së kishës dhe jo të tërën, siç bëri dhe si e dinë të gjithë? Pastaj a e përfaqëson kulturën shqiptare dhe Naim Frashërin më mirë loja e bilardos dhe ping-pongut (me përfitues privatë), apo feja e lashtë e shqiptarëve me dymijë vjet histori?
Në fund të fundit, ne nuk habitemi për këtë qëndrim të z. Frashëri. Ai që në rini pati aderuar në ateizmin ekstrem, në moshë të pjekur ka dhënë pëlqimin për shkatërrimet e atij ateizmi në 1966 (se s’na e merr mendja të këtë guxuar të heshtë), dhe sot në pleqëri të thellë mbetet i papenduar, konseguent në ateizmin e tij duke goditur përsëri kishën dhe atë pjesë të shqiptarëve që vuajtën për besimin e tyre nga regjimi monist dhe nga elita ndihmëse e tij, pjesë e së cilës ishte dhe z. Frashëri.
Krejt inkoherent së fundi na duket paragrafi i fundit i intervistës së tij që kërkon të largojë nga Shqipëria dhe nga Kisha jonë Fortlumturinë e Tij Anastasin, duke e falënderuar për punën e tij vetëm si Eksark, një falënderim i habitshëm, që shuan me një të rënë lapsi si punën 18-vjeçare të tij si Kryepiskop, edhe të ashtuquajturin shovinizëm që i atribuon z. Frashëri gjatë tërë intervistës së tij në kohën si Eksark kohe, për të cilën ai e falënderon(!) vështirë të merret vesh prof. Frashëri.
Besimtarët
Dhimitër Topi, Anastas Dodbiba, Llazar Pjeshkazini, Joana Bagaviki, Krisavgji Kolemiço, Diana Peto, Lekë Tasi, Veronika Xhindi, Antigoni Buçka, Gjenovefa Koliçi, Tote Aliaj, Panajota Qirjaqi, Leonora Terezi, Adelina Dante, Krisulla Dhima, Spiro Sulkuqi, Katerina Gjika, Tatiana Dodbiba.

Non giudicare (Mosè l’Etiope)


Le reliquie di Mosè l'Etiope riposano nella chiesa della Vergine nel monastero del 
Baramos (piRomeos), in Egitto
Il fratello chiese: “Se un uomo colpisce il suo servo per una colpa da lui commessa, cosa deve dire il servo?”.
L’anziano rispose: “Se è servo buono, dirà: – Abbi pietà, ho peccato“.
“Non dirà nient’altro?”
Dice l’anziano: “No. Dal momento in cui prende su di sé il rimprovero e dice: – Ho peccato, il suo padrone ha subito pietà di lui. Conclusione di tutto questo è: non giudicare il prossimo. Infatti quando la mano del Signore uccise ogni primogenito in terra d’Egitto no nrimase casa in cui non vi fosse un morto” (Cf. Es 12,30).
Dice a lui il fratello: “Che cosa significa questo?”
“Significa – dice l’anziano – che, se prestiamo attenzione a guardare i nostri peccati, non vediamo quelli del prossimo. Sarebbe follia se un uomo che ha in casa il proprio morto, lo lasciasse, per andare a piangere quello del prossimo. Morire al prossimo significa che tu porti i tuoi peccati e non ti preoccupi di nessuno, se questo è buono, o quest’altro cattivo. Non fare del male a nessuno, e non pensare contro alcuno nulla di male nel tuo cuore. Non disprezzare chi commette il male, non accondiscendere a chi fa del male al suo prossimo (Cf. Sal 14,3) e non gioire con chi fa del male al suo prossimo. Non dire male di nessuno; di’ invece: – Il Signore conosce ogni uomo (Cf. Gv 2,24). Non essere complice di chi fa maldicenza, non rallegrarti di ciò che egli dice, ma non odiare chi parla male del prossimo (Cf. Sal 100,5). Questo è non giudicare. Non avere ostilità verso nessuno, non conservare inimicizia nel tuo cuore e non odiare chi nutre inimicizia contro il suo prossimo. La pace è questo. In tutto ciò consolati con il pensiero: la fatica dura breve tempo e il riposo per sempre, grazie al Verbo di Dio. Amen”.

Mosè l’Etiope
(anche conosciuto come “Mosè il nero”)
tratto da Vita e detti dei padri del deserto, Città Nuova, p. 330

venerdì 22 ottobre 2010

Dal sito cattolico: Zenit.org

Cattolici e ortodossi mettono in guardia contro la secolarizzazione
Si è concluso a a Rodi il II Forum cattolico-ortodosso
ROMA, venerdì, 22 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Rappresentanti cattolici e ortodossi europei hanno lanciato un appello per mettere in guardia sul pericolo di una società secolarizzata “senza punti di riferimento morali e senza un progetto degno della persona umana”. 
E' il messaggio lanciato nel comunicato finale del II Forum cattolico-ortodosso, svoltosi a Rodi (Grecia) dal 18 al 22 ottobre sul tema “Rapporti Chiesa-Stato: Prospettive Teologiche e Storiche”.
Il Forum è stato copresieduto dal Metropolita Gennadios di Sassima, del Patriarcato Ecumenico e dal Cardinale Péter Erdő, Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE), e ha visto riuniti 17 delegati delle Conferenze Episcopali Cattoliche d’Europa e altrettanti rappresentanti di Chiese Ortodosse in Europa.
“Non è possibile fondare il vivere insieme senza stabilire un rapporto con la realtà oggettiva dell’essere umano, il suo bisogno di aprirsi all’intera realtà nella quale è inserito, che non si riduce al perseguimento del benessere materiale, ma che include la ricerca del senso della vita attraverso una ricerca spirituale che non ha mai fine”, scrivono i partecipanti nel comunicato finale.
“L’immagine dell’uomo che appare nei discorsi pubblici e nei media è spesso estranea alla ricerca della verità, mentre è valorizzata esclusivamente la soddisfazione dei desideri soggettivi”.
“L’ordine giuridico sul quale sono eretti gli Stati e quindi le relazioni tra i cittadini, non può dipendere dalle opinioni mutevoli delle persone, né dall’azione dei gruppi di pressione”, dichiarano, sottolineando che tale ordine “deve fondarsi su valori umani intangibili”, “insiti nell’essere umano stesso” e “precedenti al diritto e allo Stato”.
Il Forum ha affrontato alcune tematiche in particolare: il rapporto Chiesa-Stato dal punto di vista teologico e storico; come le Chiese vivono i loro rapporti con lo Stato; il bene comune e il servizio/diaconia della Chiesa alla Società.
In Europa, prosegue il testo, il sistema della separazione con cooperazione tra la Chiesa e lo Stato è il più diffuso.
Tale separazione va intesa “come distinzione dei campi politico e religioso, e non nel senso di un’ignoranza reciproca, impossibile da attuare”. “Indipendenza e autonomia reciproca debbono consentire una cooperazione specifica e armonica tra le due istituzioni”.
In tale panorama, le Chiese “auspicano di poter partecipare più attivamente ai dibattiti etici e morali che impegnano il futuro della società”.
“Ci sembra importante ribadire che i nostri paesi d’Europa non possono recidere le loro radici cristiane senza distruggersi e che le sfide etiche sono determinanti per il nostro futuro in un mondo globalizzato”, dichiarano i partecipanti.
“Le Chiese hanno il dovere di risvegliare le coscienze” “e di difendere la dignità della persona umana creata a immagine di Dio”, ribadendo in particolare “il diritto all’obiezione di coscienza per il personale medico che nessuno può costringere a praticare atti di aborto o di eutanasia”.
Il comunicato finale ricorda anche le “differenze notevoli” esistenti tra le Chiese per quanto riguarda le loro condizioni di vita materiale: alcune “sono finanziate dal bilancio dello Stato, altre hanno un sistema di tassazione ecclesiastica imposta dalla legge, altre ancora ricorrono esclusivamente alle donazioni dei fedeli”.
“In alcuni paesi d’Europa, le Chiese attendono ancora la restituzione dei beni che sono stati confiscati loro dal regime comunista, cosa che consentirebbe di compiere la missione pastorale, caritativa e sociale che si prefiggono”.
I partecipanti al Forum hanno infine insistito sulla libertà di educazione, ricordando che il dovere di educare appartiene ai genitori. La Chiesa, hanno sottolineato, “ha un diritto innato di offrire un’educazione in conformità con i principi cristiani ai figli delle famiglie che ne fanno richiesta”.
Il terzo Forum Cattolico-Ortodosso si svolgerà a Lisbona, in Portogallo, nel 2012.

giovedì 21 ottobre 2010

Jeta Arbëreshe, 67 / llonar-vjesht 2010


L’EPARCHIA DI LUNGRO CERCA LA STRADA PERSA

Questa pagina l’avrei voluto lasciare bianca. Perchè io, sull’Eparchia di Lungro, ho detto e scritto tutto, da tredici anni in qua. Trenta articoli. E li ho scritti perchè credevo che il vescovo di Lungro avrebbe raddrizzata l’Eparchia. Ma così non è stato. E oggi a Lungro abbiamo un Amministratore Apostolico latino. Perchè i papas non si sono trovati d’accordo sul nome del nuovo vescovo. Sono divisi. Io credo che i problemi dell’Eparchia sono cominciati nel 1987. Appena il vescovo Lupinacci si sedette sul trono di Lungro, si scoprì la sua impotenza: appena accortosi che col parroco di Lungro non c’era accordo, avrebbe dovuto allontanarlo, ma non lo fece. Questo gesto d’impotenza fu il suo peccato originale. Peccato ripetuto otto anni dopo,  all’apertura del Sinodo di Lungro (1995). Quando il parroco di Lungro, davanti a tutti, bollò di “illegalità” il Sinodo stesso. Neanche quella volta il vescovo alzò il bastone. E qui lo scandalo si estese, come macchia d’olio, a tutta l’Eparchia. Il vescovo pensava di salvare l’Eparchia con la bontà, non con la forza; con la parola, non con il bastone.(Avrebbe dovuto salvarla con la parola e col bastone). E i parroci, vedendolo impotente, se ne approfittarono: cominciarono a fare quel che loro piaceva. Cominciarono ad allontanarsi dal vescovo. E il vescovo dai parroci. Poco fece il vescovo per trovare vocazioni nei paesi arbëreshë, anche perchè poco aiutato dai parroci. Provò a trovare seminaristi in Albania, ma non uno si fece prete. Rimasto senza seminaristi, il vescovo chiuse i Seminari di S.Basile e di Grottaferrata e non mandò più nessuno al Collegio Greco. E, per coprire questa vergogna, i preti andò a cercarli in ...Romania! Io credo che il vescovo i seminaristi e i preti ce l’aveva in Calabria. Negli anni, chi s’è spogliato e chi se n’è andato, trovando posto nella Chiesa Ortodossa Greca; chi voleva essere fatto lettore, ma venne scacciato, e se n’è andato con la Chiesa Ortodossa Russa, che l’ha ordinato prete; chi è diacono da anni, ma non è stato ordinato prete; alcuni seminaristi hanno finito gli studi filosofici e teologici, ma non sono neanche diaconi; c’è chi è laico sposato e avrebbe voluto farsi prete, ma il vescovo non l’ha neanche voluto sapere. Come il vescovo non ha saputo, nè voluto, esercitare la sua autorità sui preti, e così da questi è stato preso in giro; così i preti non hanno saputo, nè voluto, esercitare la loro autorità sui fedeli dei paesi, ma da questi sono stati trascinati per il naso. Senza bussola, tanto il vescovo quanto i preti. Come il vescovo ha sempre addossato la colpa ai preti (“Glielo dico con le buone, ma non mi ubbidiscono”), così i preti addossano la colpa ai fedeli (“L’albanese non lo capiscono, preferiscono l’italiano; vogliono le statue e non le icone; vogliono la festa di S. Pio, di S. Francesco e di S. Antonio; non vogliono saperne del Sinodo di Lungro, ecc...). Senza bussola. Dove mai s’è visto che le pecore dicono al pastore dove devono andare a pascolare? Senza bussola. Senza cultura bizantina (ce l’hanno, ma l’hanno nascosta), senza cuore arbëresh, senza testa. E l‘anarchia è andata aumentando, tanto a Lungro quanto nei paesi arbëreshë. Frasi tipiche italiane sono entrate nella liturgia bizantina, con la benedizione del vescovo; qua e là,la recitazione italiana (bla-bla-bla monotono) ha sostituito il canto greco e albanese; le statue hanno soppiantato le icone, nelle feste e nelle processioni; in alcune chiese, la messa viene cantata in italiano dal prete e il popolo risponde in greco, e il battesimo si fa per aspersione; ecc... Mons. Nunnari, a cui facciamo tanti auguri, ha da lavorare, prima di trovare un prete arbëresh degno del trono di Lungro.

N.D.R.: Credo che a scrivere questo articolo sull'ultimo numero della rivista italo-albanese " Jeta Arbëreshe" sia il Direttore, un carissimo amico con cui nel primo Sinodo Eparchiale abbiamo avuto idee che ci hanno sempre fatti incontrare, mai allontanare, ma per non fare errori è giusto mettere un bel condizionale. Le cose riportate sono realtà che tutti quanti conoscono, dal più piccolo al più grande, ma che la latinizzazione forzata ha fatto in modo che tutto ciò che era orientale venisse messo in disparte e tutto quello di latino diventasse il pane quotidiano.
Comnque visto che sono stato, amorevolmente, citato nel presente articolo, con calma e ponderando le espressioni, desidero dire ed esprimere il mio pensiero. Quindi a presto.

Dalla Grecia

Πέμπτη, 21 Οκτωβρίου 2010

Στο στόχαστρο φανατικών ο Αρχιεπίσκοπος Αλβανίας

Θορυβημένοι είναι οι ορθόδοξοι Προκαθήμενοι και οι ηγέτες των διεθνών χριστιανικών οργανισμών από τις επιθέσεις που εξαπολύονται το τελευταίο διάστημα κατά του Αρχιεπισκόπου Αλβανίας κ. Αναστασίου και κατά ιεραρχών της Εκκλησίας της Αλβανίας.
Πολλοί κληρικοί κάνουν λόγο για προσπάθεια σπίλωσης του κ. Αναστασίου επειδή στα τραγικά γεγονότα της Χειμάρρας, τον περασμένο Αύγουστο, με τη δολοφονία του 37χρονου Αριστοτέλη Γκούμα, στάθηκε δίπλα στους ορθοδόξους της περιοχής.
Μάλιστα τονίζουν ότι τότε ήταν ο πρώτος που μίλησε για δολοφονία, όταν πολλοί προσπαθούσαν να αποδώσουν το γεγονός σε τροχαίο δυστύχημα.

«Πρέπει να ακολουθήσουμε αυτό που έγινε στις αρχές του αιώνα,όταν οδηγήσαμε τον Μητροπολίτη Δυρραχίου Ιάκωβο στην Κορυτσά και του είπαμε “Φύγε”» είναι το μήνυμα που αποστέλλει στην αλβανική κυβέρνηση, στον λαό και στον ίδιο τον Αρχιεπίσκοπο ο εκφραστής των επικριτών του κ. Κρίστο Φρασέρι.
Ακαδημαϊκός από την εποχή του καθεστώτος Χότζα, ερευνητής του Ινστιτούτου Ιστορίας της Αλβανίας και γεννημένος το 1920 στην Κωνσταντινούπολη, ο Φρασέρι έχει τεθεί επικεφαλής της αμφισβήτησης του Αρχιεπισκόπου Αλβανίας. 
«Σκοπός του κ. Αναστασίου ήταν η αποκατάσταση της επιρροής της ελληνικής Εκκλησίας επί της Αλβανικής υπονομεύοντας και εκμηδενίζο- ντας τις προσπάθειες που είχαν καταβάλει οι αλβανοί πατριώτες» αναφέρεται σε ένα από τα δημοσιεύματα εφημερίδων που ανακυκλώνουν τις απόψεις του κ. Φρασέρι.
Ενδεικτικές του κλίματος είναι ακόμη και οι ερωτήσεις που θέτουν δημοσιογράφοι στους μητροπολίτες της Ορθόδοξης Εκκλησίας της Αλβανίας. 
«Γιατί η Εκκλησία δεν έκανε μνημόσυνο για τους Τσάμηδες, γιατί το αποφεύγει, γιατί εσείς ως Αλβανός δεν δέχεστε ότι σε βάρος τους υπήρξε γενοκτονία;Γιατί ο Αρχιεπίσκοπος δεν ενδιαφέρεται για τους Αλβανούς πουσκοτώνονται στην Ελλάδα;», ρωτήθηκε μεταξύ άλλων ο Επίσκοπος Κρούγιας κ. Αντώνιος κατά τη διάρκεια τηλεοπτικής συνέντευξης.
Ο κ. Φρασέρι ζήτησε να κηρυχθεί «persona non grata» ακόμη και ο Αρβανίτης στην καταγωγή Μητροπολίτης Βερατίου κ. Ιγνάτιος. «Είναι ένας φανατισμένος έλληνας επίσκοπος, ένας μισθοφόρος της σοβινιστικής πολιτικής της Ελλάδας, ο οποίος, όπως και όλοι οι μισθοφόροι που δρουν στην Αλβανία, όπως ο βουλευτής Βαγγέλης Ντούλες, ο δήμαρχος Βασίλης Μπολάνος και ο Αρχιεπίσκοπος Αναστάσιος, έλαβαν εντολή από την Αθήνα να εξαπολύσουν επίθεση εναντίον της Αλβανίας» λέει ο 90χρονος Φρασέρι σε αλβανική εφημερίδα.
Ο ίδιος ο Αρχιεπίσκοπος συστήνει στους συνεργάτες του νηφαλιότητα και καλεί να αποφεύγονται οι αυτοδικίες. Δέχεται πάντως τηλεφωνήματα στήριξης από πολλές πλευρές, καθώς πρόκειται για προσωπικότητα διεθνούς κύρους και αποδοχής.

mercoledì 20 ottobre 2010

Il metropolita Hilarion al Foro ortodosso-cattolico

20.10.2010 
Il metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, ha preso parte ai lavori dal secondo “Foro di dialogo tra le Chiese Ortodosse in Europa e il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa della Chiesa Cattolica Romana”, che su iniziativa del Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo è in corso nell’isola di Rodos dal 18 al 22 ottobre 2010.
L’incontro non ha carattere ufficiale e vuole essere un libero scambio di opinioni sul modo in cui nel corso della storia si sono stabiliti e si stabiliscono tuttora i rapporti tra Chiesa e Stato nell’Europa dell’età moderna.
Ai lavori del Foro partecipano rappresentanti di tutte le Chiese ortodosse dell’Europa (eccetto la Chiesa bulgara) e della Chiesa cattolica.
Nel proprio intervento, il metropolita Hilarion ha illustrato i momenti chiave nella storia dei rapporti tra la Chiesa Ortodossa Russa e lo stato russo, a partire dal momento in cui, nell’ottobre 1990, il Soviet Supremo della Repubblica Sovietica Federativa Socialista Russa ha adottato la legge “Sulla libertà di professione religiosa”. Il fatto che la legge del 1997 riconosca il ruolo particolare dell’Ortodossia nella storia russa, si è rivelato di particolare attualità in rapporto alle recenti discussioni sul progetto di costituzione dell’Unione Europea, e all’opportunità che essa faccia menzione del ruolo del cristianesimo in Europa.
“La Chiesa non vuole fondersi con lo stato – ha affermato il presidente del Dipartimento per le relazioni esterne – né vuole interferire negli affari della gestione del potere o della politica. Nello stesso tempo vogliamo che lo stato tenga conto degli interessi dei fedeli ortodossi: tali oggi in Russia si professano non meno dell’80 % degli abitanti”.
Secondo l’opinione del metropolita, è giunto il tempo di una collaborazione più stretta tra Chiesa e stato su una solida base legale: “Il Primate della Chiesa Russa, il Patriarca Kirill, oggi vuol impostare i rapporti tra stato e Chiesa a un nuovo livello. Vorremmo passare da collaborazioni occasionali, riguardanti sfere specifiche di impegno sociale, a una cooperazione sistematica con lo stato per il bene di tutta la società russa”.

Dal sito: Testimonianza ortodossa

Preghiera del gheron Sofronio Sacharof

Eterno Signore, Creatore di tutte le cose, Tu che mi hai chiamato in questa vita nella tua inesplorata bontà, che mi hai dato la grazia del Battesimo e il sigillo del santo Spirito, Tu che mi hai ornato con la grazia del desiderio di cercarti, l'unico vero Dio, ascolta la mia preghiera:
Mio Dio, non ho vita, luce, gioia, sapienza e forza senza di te.
Ma Tu hai detto ai discepoli "tutto quello che chiederete in preghiera, credendo, lo avrete”.
Perciò mi permetto di supplicarti:
Purificami da ogni corruzione di carne e di spirito.
Insegnami come pregare.
Benedici questo giorno che hai donato a questo indegno tuo servo.
Consentimi, con la potenza della tua grazia, di parlare e lavorare incessantemente per la Tua gloria in uno spirito di purezza, umiltà, pazienza, amore, bontà, pace, coraggio e saggezza, avendo coscienza della tua presenza senza fine.
Signore Dio, mostrami la via della tua volontà nella tua infinita bontà e rendimi degno di continuare il mio cammino senza peccato.
Conoscitore dei cuori, Signore, Tu conosci ogni mia mancanza, Tu conosci la mia cecità e la mia ignoranza, Tu conosci la debolezza e la corruzione della mia anima. Ma neanche il mio dolore e la mia angoscia ti sono sconosciuti. Ascolta la mia supplica e insegnami con il tuo Spirito santo la via da percorrere.
Non mi abbandonare perché la mia corrotta volontà mi condurrà in altre vie, ma inducimi a ritornare a te.
Dammi, con la potenza del tuo amore, la grazia di perseguire il bene.
Custodiscimi lontano da ogni parola o azione che possa portare corruzione alla mia anima e da ogni atto interiore ed esteriore che non sia gradito a te e nocivo per il mio fratello. Insegnami come vedere e come parlare.
Se è tua volontà di non rispondermi, donami spirito di pacifico silenzio che sia privo di amarezza e di pericolo per il mio fratello.
Insegnami nei tuoi precetti e fino al mio ultimo respiro non permettere che possa uscire dalla luce dei tuoi comandamenti, fino a quando la tua legge non diventi la sola legge di tutta la mia esistenza, sia in questa terra che nella vita eterna.
Ti supplico, mio Dio, abbi misericordia di me.
Liberami dal mio dolore e dalla mia miseria e non mi tenere nascosta la via della salvezza. Nella mia follia, mio Dio, per molte e grandi cose ti prego; conoscendo il mia malvagità, la mia debolezza e scelleratezza a te grido: abbi misericordia di me.
Non respingermi dalla tua presenza per la mia arroganza.
Dammi e fai crescere, in me disonesto, il potere di amarti secondo i tuoi comandamenti, con tutto il mio cuore, con tutta la mia anima, con tutta la mia mente, con tutta la mia forza e con tutto il mio essere.
Dio mio insegnami la giustizia e la conoscenza del tuo santo Spirito.
Dammi la conoscenza della tua verità prima di abbandonare questa vita.
Accresci i giorni della mia vita fino a quando possa offrirti un sincero pentimento. E quando con il tuo beneplacito arriverà la fine della mia vita fammi conoscere in tempo l’ora della mia morte, così la mia anima potrà essere pronta a incontrarti. E sii con me, Signore, in quell’ora terribile e donami la gioia della tua salvezza.
Purificami da ogni peccato palese e occulto e da ogni iniquità nascosta in me e donami una buona apologia quando sarò dinanzi al tuo terribile trono. Mio Dio, secondo la tua grande misericordia e la tua filantropia incommensurabile, ascolta la mia supplica.

(Tanto per cambiare) Anno 1975, Elezioni Regionali


Questo sono io avevo 21 anni,

Tanti anni addietro,  tanta gioventù, 
candidato alle regionali per la calabria.

Dal sito: CrestinOrtodox.ro

Frica de Dumnezeu

Iti poate fi frica de cineva necunoscut sau cunoscut ca fiind un rau factor, dar sa spui ca trebuie sa-ti fie frica de Dumnezeu, dupa cum ne cere Scriptura, pare nefiresc. Si asta pentru ca noi stim ca Dumnezeu doreste sa Se uneasca cu noi, in vreme ce frica ne face sa ne indepartam si sa vedem in cel de care ne-am indepartat pe cineva care ne pune in pericol viata.
Dar frica de Dumnezeu este opusul fricii de lume. Frica de Dumnezeu vestita de Scriptura, este frica de a nu-L pierde, este dorinta de a ramane in El si nu de a ne ascunde de El.
Pana la unirea cu Dumnezeu avem nelinisti si temeri. Sa nu uitam ca si Apostolii, dupa rastignirea lui Hristos, s-au ascuns de frica iudeilor (Ioan 20, 19). Se temeau pentru ca Duhul nu se pogorase peste ei. Insa, cand omul a ajuns la unirea cu Dumnezeu, el nu se mai tulbura nici daca lumea intreaga s-ar porni impotriva lui. Ajunge la vorbele psalmistului: "Domnul este luminarea mea si mantuirea mea; de cine ma voi teme? Domnul este aparatorul vietii mele; de cine ma voi infricosa? " (Ps. 26, 1-2).
Multe persoane inteleg frica de Dumnezeu ca frica de pedeapsa. Isi spun: "nu fac asta pentru ca nu doresc sa fiu pedepsit”. Aceasta frica este specifica celor care nu au progresat in credinta., caci Sfantul Evanghelist Ioan spune ca “in iubire nu este frica” (1 In 4,18). Cel ce a progresat nu savarseste binele nici de teama de a nu fi pedepsit si nici din dorinta de a fi rasplatit, ci pentru ca isi iubeste Parintele.
Dar Parintii considera aceasta frica de pedeapsa ca fiind “inceputul vietii celei adevarate”. Frica de pedeapsa aduce constientizarea pacatelor si vesteste chinurile ce vor urma din cauza acestei false vietuiri. Aceasta frica duce spre pocainta, infranare de pacate si efort de implinire a voii lui Dumnezeu. Cu cat inainteaza omul in aceasta lucrare, pe atat de mult locul fricii este luat de dragoste. Progresul duhovnicesc este descris de Sfantul Isaac Sirul astfel: "Omul, cat este in trandavie, se teme de moarte. Iar cand se apropie de Dumnezeu, se teme de judecata. Dar cand a inaintat deplin, a inaintat in dragoste”.
In concluzie, trebuie sa stim ca Dumnezeu nu-si doreste copii fricosi, ci persoane implinite pana la “masura barbatului desavarsit, care este Hristos” (Efes. 4, 13)
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Adrian Cocosila

Dal sito amico: Eleousa.net

Russia - Visita del metropolita del Montenegro

Mosca, 15 ottobre 2010 – Il metropolita del Montenegro Amfilohije, giunto in Russia per partecipare alle celebrazioni per il 15° anniversario del Fondo Internazionale per l'Unità dei Popoli Ortodossi (MFEPN), ha visitato la chiesa di San Nicola in Tolmachi presso la Galleria nazionale Tretyakov.
Nella chiesa di San Nicola, il vescovo Amfilohije, assistito dal rettore arciprete Nikolai Sokolov e dal clero parrocchiale, ha fatto una preghiera dinanzi all'Icona miracolosa della Madre di Dio di Vladimir. Nella chiesa era presente il rappresentante del MFEPN in Serbia e Montenegro S. Krstaich, il rappresentante serbo P. Voinovich, il direttore VV Kolbanovsky, e il rappresentante del Dipartimento per le Relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Moskva AY Hoshev.
L’arciprete Nikolai Sokolov ha ringraziato il gerarca della Chiesa ortodossa serba per la preghiera comune e ha donato una copia dell’Immagine di Nostra Signora di Vladimir, scritta dal protodiacono Trunin Alex.
Il metropolita del Montenegro Amfilohije ha benedetto l’Icona della Vergine di Vladimir. "Non c'è nessun posto al mondo dove non viene venerata l’Icona della Madre di Dio" Vladimirskaya ", - ha detto il metropolita, sottolineando l'importanza di questa Immagine sacra, anche per il popolo serbo. L’Icona sarà posta nella chiesa di San Lazzaro il grande martire, re di Serbia, che sarà costruita in Montenegro.
Al termine della cerimonia, il metropolita Amfilohije, accompagnato dall’arciprete Nikolai Sokolov ha visitato le reliquie del tempio di San Nicola e si è inchinato dinanzi all’Immagine della Santissima Trinità, scritta da Andrei Rublev.

(Fonte: Decr Servizio Comunicazione; www.mospat.ru)

http://www.natidallospirito.com/

Alcuni Padri sull’ “indegnità” di ricevere i Santi Misteri


Non dobbiamo evitare la Comunione perché stimiamo essere peccatori. Dobbiamo avvicinarci a essa più spesso per la guarigione dell’anima e la purificazione dello spirito, ma con tale umiltà e fede che considerandoci immeritevoli, desideriamo ancor di più la medicina per le nostre ferite. Invece, non è bene ricevere la comunione una volta per anno, come certe persone fanno, considerando la santificazione dei Misteri celeste a disposizione solo dei santi. E’ meglio pensare che dandoci grazia, il sacramento ci rende puri e santi. Tali persone [che fanno raramente la comunione] manifestano più orgoglio che umiltà, perché quando essi la ricevono, si ritengono di esserne meritevoli.  Sarebbe molto meglio se, in umiltà di cuore, sapendo che non siamo mai degni dei Santi Misteri, li ricevessimo ogni domenica per la guarigione dei nostri mali, piuttosto di pensare, accecati dall’orgoglio, che tra un anno diventeremo degni di riceverli.
S. Giovanni Cassiano
(Conferenza 23, capitolo 21)
Il Pane che davvero rafforza il cuore dell’uomo ci otterrà ciò: esso infiammerà in noi l’ardore per la contemplazione, distruggendo il torpore che ci appesantisce l’anima; esso è il Pane che è disceso dal Cielo per portare Vita; è il Pane che dobbiamo cercare in ogni modo. Dobbiamo essere continuamente occupati con il banchetto eucaristico per non morire di fame. Dobbiamo vigilare perché la nostra anima non diventi anemica e malata, restando a distanza di questo cibo con il pretesto della reverenza per il sacramento. Al contrario, dopo aver detto i nostri peccati al sacerdote, dobbiamo bere del Sangue espiatorio.
S. Nicola Cabasilas
(La vita in Cristo)
Talvolta si sente dire da certe persone che evitano di avvicinarsi ai Santi Misteri perché si considerano indegni. Ma chi mai ne è degno? Nessuno sulla terra ne è degno, ma chiunque confessi i suoi peccati con contrizione del cuore e si avvicini al Calice di Cristo con coscienza della propria indegnità, il Signore non lo respingerà, secondo le Sue parole: “Colui che viene a me, non lo respingerò” (Giovanni 6,37).
S. Arsenio, il russo di Stavronikita
(Monastero athonita di San Panteleimon, -
Manifesti athoniti, No. 105, pubblicati nel 1905)

lunedì 18 ottobre 2010

Dal sito della Chiesa ortodossa d'Albania

Përgënjeshtrim

Lexova, i habitur, shkrimin e z. Kristo Frashëri, botuar në “Gazeta Shqiptare” të dt. 15.10.2010. Lidhur me gjithçka që shkruani për vizitën time në Pejë të Kosovës, jam i detyruar të shprehem si më poshtë:
Nuk kam dhënë asnjë intervistë për ndonjë gazetë të shtypit serb dhe nuk kam mbajtur asnjë fjalim gjatë qëndrimit tim në Kosovë.
Pa zbritur nga autobusi dhe pa filluar ceremonia e Fronëzimit të Patrikut Irine, një klerik i lartë serb më pyeti: “Si e ndieni veten tuaj në këto momente?” Iu përgjigja me çiltërsi: “Jam i gëzuar që ndodhem këtu në një situatë paqeje pas gjithë atyre dhimbjeve që iu shkaktuan njerëzve të pafajshëm në vitin 1999. Jam i kënaqur që sapo mbërrita në këtë vend të shenjtë të Patriarkanës suaj të Hirshme”.
Çuditem sesi togfjalëshi “Vend i Shenjtë”, që është sinonim i Tokës së Shenjtë, ku ndodhet Jerusalemi,është keqinterpretuar nga shtypi sikur unë të kem thënë se “Peja është Jerusalemi i Serbisë”, gjë që unë nuk e kam thënë dhe e hedh poshtë kategorikisht.
Gjej rastin të deklaroj se me bujari dhe dhimbsuri, si njeri i Perëndisë, u kam qëndruar afër refugjatëve kosovarë në kampet e rrethit të Beratit, në Moravë dhe në Kuçovë, duke u ofruar ndihma në ushqime, në veshmbathje dhe duke i vizituar në spitalin tonë rajonal.
Para se të vija në Shqipëri, në vitet 90të, e në vazhdim refugjatët Shqiptarë në Greqi i kam konsideruar si bijtë e mi dhe i kam ndihmuar, duke i strehuar e punësuar dhe prandaj ata më kanë quajtur dhe më quajnë “baba”.
Gjithmonë kam punuar me përkushtim për të mbjellë midis njerëzve dashuri, respekt, mirëkuptim, bashkëpunim dhe harmoni vëllazërore.
Misioni im është të mbizotërojë dashuria dhe paqja në Shqipëri dhe kudo.

Me urimet dhe konsideratat më të larta
Mitropoliti i Beratit, Vlorës, Kaninës dhe gjithë Myzeqesë.

Dal sito: www.mospat.ru/it/

Il metropolita Hilarion ai festeggiamenti

della Chiesa georgiana

Il 14 ottobre, in occasione della ricorrenza liturgica del chitone del Signore e della Colonna vivificante (Svetitzchovloba), la Georgia ortodossa ha festeggiato i 1000 anni della cattedrale principale del Paese “Svetitzchoveli” nell’antica capitale di Mtzcheta. Nello stesso tempo ricorrevano i 1700 anni della costruzione della prima chiesa sul luogo di conservazione del chitone del Signore.

Nella chiesa cattedrale di “Svetitzchoveli” è stata celebrata la divina liturgia. La chiesa, dedicata ai Dodici apostoli, fu costruita tra il 1010 e il 1029 dal re Giorgio I con la benedizione del catholicos-patriarca Melchisedech I, sul luogo in cui sorgeva la prima chiesa georgiana del IV secolo. Il celebrante principale era il catholicos-patriarca di tutta la Georgia Elia II, col quale hanno concelebrato Sua Beatitudine Anastasio, arcivescovo di Tirana e tutta l’Albania, Sua Beatitudine Cristophor, arcivescovo di Praga e Metropolita delle terre ceche e della Slovacchia, i membri delle delegazioni delle diverse Chiese Ortodosse, e prelati e chierici della Chiesa georgiana.
Tra i membri della delegazione della Chiesa Russa, guidata dal metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, il metropolita Agathangel di Odessa e Izmajlsk, l’arcivescovo Thoegnost di Sergiev-Posad, l’arciprete Nikolaj Balashov, vicepresidente del Dipartimento per le relazioni esterne.
Alla celebrazione hanno partecipato rappresentanti del Patriarcato di Costantinopoli, di Alessandria, di Gerusalemme, delle chiese ortodosse della Serbia, della Romania, della Bulgaria, di Cipro, della Grecia, della Polonia, e della Chiesa Ortodossa in America.
Il metropolita Hilarion ha rivolto al catholicos-patriarca Elia gli auguri del Patriarca di Mosca e tutte le Russie Kirill in occasione di questa grande festa della Chiesa georgiana, e gli ha fatto dono di un’icona russa di s. Nicola.
Alla fine della celebrazione, il catholicos-patriarca Elia ha ringraziato tutti i presenti, e in particolare le delegazioni delle varie Chiese ortodosse, dicendo che “la Chiesa georgiana non ha ancora visto una tale festa. Tutto il mondo è con noi. Ringraziamo Dio di questa sua grande grazia”. Ha poi parlato della storia della Chiesa georgiana, che ha ricevuto la fede dalla predicazione degli apostoli Andrea e Simone cananeo, e che conserva grandi reliquie, come il chitone di Cristo.
Alla liturgia ha fatto seguito un banchetto per le delegazioni ufficiali delle Chiese. Ai festeggiamenti ha partecipato un gran numero di fedeli, compresi diversi pellegrini ortodossi dalla Russia.