Insieme ai loro decisivi risvolti geopolitici – che qui diamo per
conosciuti – le drammatiche giornate di Kiev, bagnate dal sangue a
piazza Majdan, e il contrasto russo-ucraino per la Crimea hanno
innescato anche una questione religiosa che è forse utile focalizzare,
in se stessa e per le sue inestricabili connessioni con la situazione
storica e sociale, ieri e oggi, dell’Ucraina.
Ucraina: come eravamo
Storicamente, il Paese da mille anni è sempre stato ortodosso. Nel
988 missionari bizantini battezzarono il principe Vladimir di Kiev,
guida della Rus’ (l’Ucraina meridionale), e di conseguenza il popolo
dovette farsi cristiano. Nel 1054 Roma e Costantinopoli si scomunicarono
reciprocamente; una frattura, però, quasi ignorata nella Rus’. Quando i
Tartari, alla metà del secolo XIII, devastarono Kiev, il metropolita
della città riparò in Russia, infine fissando la sua sede a Mosca, pur
mantenendo il suo titolo ecclesiastico originario. Con la nascita del
patriarcato di Mosca (1589) la Chiesa ortodossa russa si riorganizzò,
fino a controllare ecclesialmente parte dell’Ucraina.
Ma nel 1595-96 gran parte dei vescovi ucraini riconobbero il papato:
nacquero così i greco-cattolici, definiti “uniati” dagli ortodossi, che
li detestavano e li detestano. I primi ritennero di esplicitare
un’unione mai in realtà spezzata con Roma; i secondi accusarono i re
polacco-lituani ed i pontefici di aver organizzato il “tradimento” per
distruggere dall’interno l’Ortodossia. Complicate vicende politiche
porteranno poi l’Ucraina ad essere spartita: in particolare, la Galizia
finirà sotto l’impero austro-ungarico; e Leopoli sarà asburgica dal 1772
al 1918, poi polacca e, dal 1939, sovietica.
Ai tempi dell’Urss, e nei limiti di azione permessi dal regime
comunista, il patriarcato di Mosca ad un certo punto creò in Ucraina un
esarcato, guidato dal metropolita di Kiev, membro permanente del Santo
Sinodo russo. Tra la prima e la seconda Guerra mondiale vi fu un
tentativo di creare in Ucraina una Chiesa autocefala, ma rimase
minoritaria e svanì.
Quando, nel 1941, Hitler attaccò l’Urss, gruppi di “uniati” (forse
pochi, ma il Cremlino li ritenne molti) salutarono i nazisti come
liberatori dal giogo dei sovietici atei. Nel 1946, a Leopoli, un Sinodo –
praticamente imposto da Stalin, e disapprovato dalle legittime autorità
canoniche – annullò l’unione a Roma che i greco-cattolici avevano
deciso nel XVI secolo; perciò essi divennero fuorilegge, e i loro beni,
chiese ed edifici, passarono allo Stato o alla Chiesa ortodossa.
L’arcivescovo maggiore di Leopoli degli Ucraini, Iosif Slipyj, già nel
‘45 era stato arrestato e mandato ai lavori forzati in Siberia: lo farà
liberare, nel 1963, Nikita Khruscëv, per un gesto di deferenza verso
Giovanni XXIII.
Ucraina: come siamo
Nel clima della perestrojka avviata da Mikhail Gorbaciov, e nel
contesto di un’Urss che vedeva i Paesi baltici proclamarsi indipendenti,
anche in Ucraina, nel 1990, si avviano analoghi movimenti, spesso
guidai da “uniati”. Nel ’91 l’Ucraina proclama la sua indipendenza; nel
dicembre di quell’anno l’Urss implode. Nel 1992 l’esarcato dipendente
dal patriarcato russo si sfalda, e gli ortodossi si dividono in tre
tronconi: Chiesa ortodossa ucraina, legata a Mosca; Chiesa autocefala
ucraina; patriarcato di Kiev. Queste ultime due creazioni non sono
riconosciute da nessuna Chiesa ortodossa al mondo. Il Santo Sinodo
russo, da parte sua, degrada al rango di semplice monaco il metropolita
Filaret, l’autoproclamatosi patriarca di Kiev; ma lui tira dritto.
Nel frattempo, gli “uniati”, pienamente rilegittimati, chiedono la
restituzione dei beni loro sottratti nel 1946: nascono molti
contenziosi, perché le tre Chiese ortodosse, là ove sono in possesso di
beni già “uniati”, spesso non intendono restituirli.
Il patriarca di Mosca, Aleksij II, accusa Giovanni Paolo II di
sostenere la causa degli “uniati” a spese della Chiesa ortodossa russa.
Quando papa Wojtyla, nel 2001, programma un viaggio in Ucraina, il Santo
Sinodo russo si oppone, per quanto può, a quell’iniziativa; ma il
pontefice insiste e, malgrado il niet di Mosca, nel giugno di quell’anno
il papa visita Kiev e Leopoli, qui accolto trionfalmente. Nella
capitale ucraina Wojtyla incontra il Consiglio pan-ucraino delle Chiese e
delle Organizzazioni religiose: tra i suoi rappresentanti manca però il
metropolita (moscovita) di Kiev e di tutta l’Ucraina, Vladimir –
«partito per le ferie», si premura egli stesso, polemicamente, di far
sapere. E, nell’incontro con il Consiglio, è il “patriarca” Filaret a
dare il benvenuto al papa. Uno schiaffo inaudito a Mosca.
D’altronde, vi erano tensioni anche in casa cattolica, soprattutto
tra i latini ucraini – quasi tutti di origine polacca – e i
greco-cattolici. Il che spinse papa Wojtyla, pochi mesi prima di recarsi
in Ucraina, ad una singolarissima decisione: nel concistoro del 21
febbraio 2001 creò cardinali l’allora arcivescovo maggiore di Leopoli
degli Ucraini, Lubomyr Husar, e l’allora arcivescovo di Leopoli dei
latini, Marian Jaworski. Una città, due porporati!
Ucraina: come, forse, saremo
Nell’ultimo decennio ci sono state varie proposte – sostenute da
molti politici ucraini; non da tutti – per unificare le tre Chiese
ortodosse e crearne una sola, così come esistono la Chiesa ortodossa
russa, romena, serba, bulgara, greca… Ipotesi sempre respinta dal
patriarcato russo. Ma le recentissime vicende geopolitiche
inaspettatamente hanno modificato anche lo scenario religioso.
Infatti, il Santo Sinodo della Chiesa ortodossa ucraina (legata a
Mosca) il 24 febbraio ha comunicato al patriarca russo Kirill di avere
deciso, essendo il metropolita Vladimir di Kiev assai malato, di
nominare locum tenens al suo posto Onufrij, metropolita di Chernovtsy e
Bukovina. E Kirill ha augurato al neo-eletto di «essere aiutato da Dio a
sostenere le sue responsabilità nel servizio della Chiesa in un momento
difficile per il popolo ucraino». Parole significative, dato che nella
stessa riunione nella quale aveva scelto Onufrij, il Santo Sinodo
ucraino aveva deciso di creare una Commissione per aprire il dialogo con
la Chiesa autocefala ucraina e con il patriarcato di Kiev; un dialogo,
negli ultimi vent’anni, mai davvero avviato.
Si potrebbe dunque dischiudere una pagina nuovissima nell’Ortodossia
ucraina; per andare dove, però? Al momento – e mai scordando che la
situazione geopolitica, e il mantenimento o, al contrario, la
dissoluzione dell’unità territoriale dell’Ucraina, peserà moltissimo
sulle decisioni delle Chiese – si delineano scenari assai differenti.
Ove le tre Chiese ortodosse ucraine si unificassero, dando vita ad una
sola Chiesa ortodossa nel Paese, quali sarebbero i suoi rapporti con
Mosca? Il patriarcato russo, che ha “assorbito” l’eredità della Rus’,
accetterebbe una Chiesa ucraina autocefala, da esso slegata e guidata da
un patriarca di Kiev? Insomma, per dirla con la terminologia cara alle
Chiese ortodosse: l’Ucraina fa parte, o no, del “territorio canonico”
del patriarcato russo, cioè di quello da esso storicamente controllato?
D’altronde, a parte le questioni di principio, o di gloria, non va
dimenticato che, oggi come oggi, proprio dall’Ucraina proviene una parte
notevole del clero della Chiesa russa, e questa non potrebbe privarsene
a cuor leggero.
Comunque, se gli ucraini riuscissero nel loro ambizioso progetto (il
che non è scontato: intricatissimi sono i nodi, storici e canonici, da
sciogliere), epperò Mosca lo contrastasse, che accadrebbe? Non
rischierebbe, l’intera Ortodossia, dai patriarcati storici
(Costantinopoli, Antiochia, Alessandria e Gerusalemme) a quelli
balcanici (Serbia, Romania, Bulgaria), di spaccarsi tra favorevoli e
contrari alla scelta di Kiev? E i greco-cattolici – tra i maggiori
sostenitori della rivolta di febbraio contro il presidente Viktor
Yanukovich – come si muoverebbero? E il papato?I drammatici eventi
sociali e geopolitici che hanno avuto il loro epicentro in piazza Majdan
hanno avviato qualcosa di irreversibile anche nell’Ortodossia ucraina e
nell’insieme delle Chiese di quel Paese; ma, per ora, è arduo sapere in
quale direzione.
* Giornalista vaticanista e saggista