La più antica raffigurazione dell'apostolo è stata ritrovata a poca distanza dalla sua tomba, anch'essa oggetto di nuovi accertamenti. La Chiesa volle rappresentarlo come il Platone cristiano. Una decisione audace. E ancor oggi attualissima
di Sandro Magister
ROMA, 30 giugno 2009 – L'anno dedicato a san Paolo, a due millenni dalla sua nascita, si è concluso con due importanti scoperte annunciate lo stesso giorno, la vigilia della festa del santo.La prima scoperta l'ha rivelata Benedetto XVI in persona, nell'omelia dei vespri del 28 giugno, nella basilica romana di San Paolo fuori le Mura:"Siamo raccolti presso la tomba dell’apostolo, il cui sarcofago, conservato sotto l’altare papale, è stato fatto recentemente oggetto di un’attenta analisi scientifica. Nel sarcofago, che non è stato mai aperto in tanti secoli, è stata praticata una piccolissima perforazione per introdurre una speciale sonda, mediante la quale sono state rilevate tracce di un prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato con oro zecchino e di un tessuto di colore azzurro con filamenti di lino. È stata anche rilevata la presenza di grani d’incenso rosso e di sostanze proteiche e calcaree. Inoltre, piccolissimi frammenti ossei, sottoposti all’esame del carbonio 14 da parte di esperti ignari della loro provenienza, sono risultati appartenere a persona vissuta tra il I e il II secolo. Ciò sembra confermare l’unanime e incontrastata tradizione che si tratti dei resti mortali dell’apostolo Paolo".Anche per Paolo dunque – come già per l'apostolo Pietro la cui tomba è ormai identificata con sicurezza sotto l'altare maggiore della basilica di San Pietro in Vaticano – si ha l'importante conferma che sia sepolto proprio dove è stato sempre venerato: sotto l'altare maggiore della basilica romana a lui dedicata.***La seconda scoperta è stata invece annunciata da "L'Osservatore Romano" nella sua edizione del 28 giugno.È la scoperta della più antica raffigurazione dell'apostolo Paolo che si conosca, risalente alla fine del IV secolo: la raffigurazione riprodotta sopra in questa pagina.Questa immagine di Paolo è affiorata il 19 giugno scorso dagli scavi che sono in corso in una catacomba intitolata a santa Tecla, lungo la via Ostiense che porta da Roma al mare, a poca distanza dalla basilica dell'apostolo.Ripulendo con raggi laser la volta di un cubicolo, gli archeologi hanno visto tornare alla luce una ricca decorazione ad affresco. Al centro della volta è apparsa l'immagine del Buon Pastore, con attorno, in quattro tondi, le figure di Paolo, la meglio conservata, di Pietro e probabilmente di altri due apostoli.Gli archeologi Fabrizio Bisconti e Barbara Mazzei, in due ampi resoconti sul giornale della Santa Sede, hanno fornito tutti i dettagli della scoperta. Ma c'è un elemento che colpisce più di altri. E riguarda i motivi che portarono a raffigurare l'apostolo Paolo così come lo vediamo in questo affresco e poi in tanti altri successivi: con l'aspetto di un filosofo, lo sguardo pensoso, la fronte alta, la calvizie incipiente, la barba appuntita.In effetti, in una mostra d'arte dedicata a san Paolo inaugurata pochi giorni fa in un'ala dei Musei Vaticani, sono esposte le teste scolpite in epoca romana di due filosofi – uno dei quali probabilmente è Plotino – che presentano forti somiglianze con le antiche raffigurazioni di Paolo, a partire da quella che è stata ora scoperta.La stessa questione si pone per l'apostolo Pietro, raffigurato tradizionalmente con capigliatura corta, folta e candida, col volto ampio e lo sguardo deciso, con la barba anch'essa corta e piena. E così per altri protagonisti della storia sacra.La ritrattistica era diffusissima nell'arte greca e romana. Ma nella cultura ebraica le immagini umane erano interdette e quindi era impensabile che Paolo e gli altri si facessero ritrarre. Solo più tardi la Chiesa accettò di raffigurare i personaggi della fede cristiana.Ma come? Ecco la suggestiva spiegazione che ha dato il professor Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani e grande storico dell'arte, nel presentare la mostra su san Paolo:"Il problema si pose fra il III e il IV secolo quando una Chiesa ormai diffusa e strutturata giocò il grande e geniale azzardo che sta alla base di tutta la nostra storia artistica. Accettò e fece proprio il mondo delle immagini e lo accettò nelle forme in cui lo aveva elaborato la tradizione stilistica e iconografica ellenistico-romana. Avvenne così che Cristo buon pastore assumesse il volto di Febo Apollo o di Orfeo, e che Daniele nella fossa dei leoni avesse le sembianze di Ercole, l'atleta nudo vittorioso."Ma come rappresentare Pietro e Paolo, i principi degli apostoli, le colonne portanti della Chiesa, i fondamenti della gerarchia e della dottrina? Qualcuno ebbe un'idea felice. Diede ai protoapostoli le sembianze dei protofilosofi. Così Paolo, calvo, barbato, l'aria grave e assorta dell'intellettuale, ebbe il volto di Platone o forse di Plotino, mentre quello di Aristotele fu dato al pragmatico e terrestre Pietro, che ha il compito di guidare nelle insidie del mondo la Chiesa professante e combattente".Se così avvenne, la Chiesa dei primi secoli non ebbe dunque alcuna timidezza ad attribuire agli apostoli, e in particolare a Paolo, l'aspetto del filosofo, né a tramandare, a studiare, a proclamare il suo pensiero nella sua interezza, certamente non facile ad essere capito e accettato.Lo stesso si può dire dei Padri della Chiesa. In un a fase di cristianesimo in espansione, in una fase in cui la trasmissione della fede cristiana alle genti era in pieno sviluppo, la Chiesa non pensò mai di annacquare o addomesticare il proprio messaggio per renderlo più accettabile agli uomini del tempo.