mercoledì 29 giugno 2011

Dal sito cattolico: Zenit.org

Il messaggio del Patriarca Bartolomeo I per Benedetto XVI
Per la Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo
ROMA, martedì, 28 giugno 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il messaggio inviato a Benedetto XVI dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I in occasione della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.


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A Sua Santità, Papa dell’Antica Roma, Benedetto XVI, saluti fraterni nel Signore Gesù nostro Dio
Si celebra di nuovo la luminosa festa della memoria sacra dei Santi Apostoli e Corifei Pietro e Paolo. I nostri pensieri, dalla sede del Santo Apostolo Andrea, sono rivolti a quella dell’Antica Roma e a lei, Santità, con amore fraterno e grande rispetto, al fine di esprimerle e di manifestarle la nostra gioia per la celebrazione di un così importante anniversario. Porgendole, Santità, il nostro augurio fraterno in occasione di questa festa, l’abbracciamo cordialmente e preghiamo il Dio Creatore di ogni cosa di custodirla, di darle la forza e di guidarla per il bene della Chiesa e per la promozione dell’unità di tutti i cristiani.
I primi apostoli e maestri dell’universo, quelli che l’innografia ortodossa canta «Pietro, la pietra della fede e Paolo, l’elogio dell’universo», sono celebrati da tutti i cristiani della terra come «le delizie di tutto l’universo», e in particolare come «la gloria e la fierezza di Roma». Ciò è dovuto al fatto che Pietro «inchiodato sulla croce, ha stabilito il cammino verso il cielo e verso il Regno del quale ha fra le sue mani le chiavi che gli ha affidato Cristo», e Paolo è «ritenuto degno di essere beato nel Salvatore perché ucciso dalla spada». Per questo Roma «gioisce e festeggia» nel raccogliere il sangue dei due Corifei e con essa gioisce tutto l’universo nel ricevere il loro insegnamento.
Attraverso il martirio e la testimonianza dei due Apostoli, la santissima Chiesa di Cristo restò pienamente unita per un millennio, istituita sulla confessione di Pietro al Signore: «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16) e sulla fondazione del Vangelo di cui Paolo fu il sapiente architetto (1 Cor 3, 10). Su queste fondamenta, i Padri della Chiesa, nei Concili ecumenici, formularono la nostra fede comune e ce la trasmisero. Queste fondamenta costituiscono una guida in tutte le nostre azioni e in tutti i nostri passi.
Questa fede degli Apostoli, che i nostri Padri interpretarono e ci trasmisero attraverso i Concili ecumenici, anche noi la possediamo oggi ed essa costituisce una guida sicura, preparando il cammino che conduce al ripristino della piena comunione in un dialogo di verità e di amore. I nostri Padri esaminarono le questioni legate alla nostra unione e alla nostra divisione che per un millennio ci allontanarono gli uni dagli altri, affinché con una sola bocca e con un solo cuore confessassimo di nuovo la fede salvatrice di Pietro e il kerigma dell’Apostolo delle Nazioni.
Di questo sforzo celeste per vedere la nostra piena comunione ristabilita sul fondamento della fede e della confessione degli Apostoli e dei Padri della Chiesa noi possediamo lo stesso ardore che ha lei, Santità, che è conosciuto per essere il fondamento della tradizione apostolica della Chiesa.
Certamente occorre impegnarsi affinché il nostro cammino verso l’unità sia basato sulle solide fondamenta della fede e della confessione degli Apostoli e dei Padri. E non solo perché ciò s’impose come tradizione comune nel primo millennio dopo Cristo, ma anche perché solo la vera fede apostolica e patristica, correttamente interpretata, è oggi in grado di realizzare la salvezza dell’uomo. Come confessava san Pietro, «pieno di Spirito Santo», «non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4, 12).
Le trasmettiamo, Santità, i nostri pensieri rispetto a tale comunione tanto desiderata come un segno positivo in questo giorno di festa della Chiesa di Roma e ci rallegriamo anche nel profondo del cuore per i suoi sessant’anni di sacerdozio, Santità. Si tratta di una tappa importante nella sua vita, come pure nella vita della sua Chiesa. Rendendo onore al lavoro svolto da Vostra Santità sul piano teologico e per tutta la vita della Chiesa, preghiamo il Signore di concederle la forza spirituale e fisica affinché negli anni a venire possa proseguire il suo impegno al servizio della parola di verità e della santa missione della Chiesa per la gloria del Suo santo nome.
Questi saluti, mossi da un amore fraterno, sono rivolti a lei, Santità, in occasione della festa della sua Chiesa. L’abbracciamo con amore e rispetto.
23 giugno 2011
L’Amato Fratello in Cristo di Vostra Santità
Bartolomeo di Costantinopoli

martedì 28 giugno 2011

Dalla Chiesa Ortodossa Russa

Il Patriarca al Festival dell’unità dei popoli slavi


Il 25 giugno il Patriarca di Mosca e tutte le Russie Kirill è arrivato a Brjansk, nella Russia Sudoccidentale. Dalla città il Primate della Chiesa Ortodossa Russa si è recato al punto dove si incontrano le frontiere di Russia, Bielorussia e Ucraina. Qui ha partecipato all’apertura del festival internazionale “Unità slava 2011”.
Nel punto in cui confluiscono le frontiere dei tre stati è stata eretta una croce vicino al monumento all’amicizia; qui il Patriarca ha fatto una preghiera per la pace e l’unità dei popoli slavi.
Dopo che il governatore della regione di Brjansk ha dichiarato aperto il festival, sono stati suonati gli inni nazionali dei tre paesi e alzate le loro bandiere.
Alla manifestazione hanno partecipato numerose autorità civili, tra cui i governatori delle regioni di Brjansk e Smolensk (Federazione Russa), i presidenti del comitato esecutivo di Gomel e Mogilev (Bielorussia), il capo dell’amministrazione regionale della regione di Cernigov (Ucraina), il primo ispettore federale della regione di Brjansk. Tra le autorità religiose presenti: il metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, l’arcivescovo Aristarch di Gomel e Zhlobinsk, l’arcivescovo Amvrosij di Cernigov e Novgorod-Severskij, il vescovo Sofronij di Mogilev e Mstislavsk, il vescovo Feofilakt di Brjansk e Sevsk, il vescovo Sergij di Solnecnogorsk, responsabile della segreteria amministrativa del Patriarcato, il vescovo Evlogij di Sumsk e Achtyrsk e il vescovo Leonid di Recitsk, vicario della diocesi di Gomel.
Il Patriarca Kirill ha rivolto la propria parola a tutti i presenti. Alla fine della parte ufficiale, il Patriarca si è incontrato con i rappresentanti della polizia di frontiera dei tre paesi. Sua Santità ha proposto ai rappresentanti dei tre stati una molto maggiore collaborazione a diversi livelli. Tra l’altro è stata proposta la costruzione di una chiesa nel punto di coincidenza delle tre frontiere di stato. Alla discussione sono intervenuti i governatori delle varie regioni e i vescovi presenti.

Pubblicata da Nicola D'Amico

LA CATENA DI SAN PAOLO ESPOSTA VICINO ALLA SUA TOMBA

I superstiti anelli della catena che, secolare  tradizione vuole abbia tenuto prigioniero San Paolo a Roma, tra il 61 e il 63 dopo Cristo, sino al felice esito del processo, sono ora esposti in una artistica teca illuminata vicino al suo sepolcro nella Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura . Così’ questa che è la più importante reliquia dell’Apostolo delle Genti può essere venerata meglio che in passato, dalle migliaia di fedeli e pellegrini che ogni giorno affluiscono nel tempio. Erano finora  custodite in una pisside di oro e  cristallo nella cappella dell’Abbazia benedettina, insieme ad altre reliquie. La decisione di darle maggiore visibilità, nell’Altare della Confessione sotto il Baldacchino di Arnolfo di Cambio, è stata presa dall’Arciprete della Basilica cardinale Andrea di Montezemolo per segnare un evento dell’Anno Paolino che il 28 giugno sarà aperto da papa Benedetto XVI.  Il trasferimento della reliquia è stato compiuto dall’Abate padre Edmund Power OSB mentre il Cardinale l’ha collocata nella teca in bronzo patinato con una finestra in cristallo. Vi appare sopra un rivestimento di seta, in tutta la sua estensione di nove anelli agganciati all’estremità a due monete romane ingrandite, sesterzi con l’effigie dell’imperatore Nerone, per ricordare che San Paolo fu suo prigioniero e martire. Il progetto della teca del cardinale di Montezemolo è stato disegnato dallo scultore Guido Veroi, Accademico Pontificio, autore dei disegni della Porta Paolina, della medaglia commemorativa dell’Anno Paolino e di una moneta celebrativa del bimillenario di San Paolo dello Stato della Città del Vaticano.
E’ di San Giovanni Crisostomo una delle prime testimonianze della venerazione della catena di San Paolo. Ogni anno, per la solennità liturgica del 29 giugno, viene portata in processione dall’Abate di San Paolo fuori le Mura attorno alla Basilica. Negli ultimi anni questa processione ha assunto una connotazione ecumenica, per la partecipazione di cristiani ortodossi e protestanti.

Dal sito: Repubblica.it

Atene, esplode la protesta
lacrimogeni contro dimostranti

Sciopero di 48 ore indetto dai sindacati paralizza il Paese. Ondata di manifestazioni contro il piano di austerity che il Parlamento si appresta a votare, necessario per sbloccare i finanziamenti Ue-Fmi. "Il governo ci ha dichiarato guerra e rispondiamo con la guerra"

ATENE - La polizia ha usato gas lacrimogeni ad Atene davanti al Parlamento, dove sono in corso scontri con i manifestanti che lanciano pietre e bottiglie. Gruppi di persone con bandiere nere, simbolo degli anarchici più radicali, hanno sfondato le transenne, cercando lo scontro con gli agenti. Tafferugli si registrano anche davanti al ministero delle Finanze.
La protesta è contro l'ondata di misure economiche di austerity e tagli che il Parlamento si appresta a votare, necessari per sbloccare gli aiuti finanziari dalla comunità internazionale. I sindacati dei settori pubblico e privato hanno indetto uno sciopero di 48 ore: bloccato sin da questa mattina il trasporto aereo, urbano e marittimo e i servizi pubblici a parte la metro che funzionerà "proprio per permettere la partecipazione alla manifestazione" hanno detto gli organizzatori. 

Ad Atene oltre 15mila persone partecipano ai cortei di protesta, a Salonicco sono scese in piazza in 10mila. "La nostra mobilitazione continuerà fino a quando resterà in vigore questa politica", ha detto un portavoce della Confederazione generale di lavoratori. La manifestazione principale è in piazza Sintagma ad Atene, di fronte al Parlamento, presidiata sin dal mattino da 5mila uomini delle forze dell'ordine. Bloccato anche il porto del Pireo. "Il governo ci ha dichiarato guerra - ha detto
Spyros Linardopoulos del sindacato Pame - e noi rispondiamo con la guerra".
A 24 ore dal voto del Parlamento sul piano di risanamento da 28 miliardi messo a punto dal premier George Papandreou 2, il commissario Ue agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, ha ribadito senza mezzi termini che si tratta per il paese dell'"unica alternativa" al default. "Questa settimana - ha ricordato da Bruxelles Rehn - la Grecia affronta un momento critico. Sono in gioco sia il futuro del paese che la stabilità finanziaria in Europa. Rispetto pienamente le prerogative e la sovranità del Parlamento greco nel dibattito in corso, e credo che i leader politici greci sono pienamente consapevoli della responsabilità che hanno per evitare il default".
Il piano, ha ricordato il commissario Ue, comprende sia "la strategia fiscale a medio termine che il piano di privatizzazioni", condizione necessaria perché venga versata la prossima tranche dell'assistenza finanziaria Ue-Fmi 3da 12 miliardi. "A coloro che speculano su altre opzioni dico chiaramente che non esiste un piano B per evitare il default - ribadisce Rehn -. L'Unione europea continua a voler sostenere la Grecia, ma l'Europa può aiutare la Grecia solo se il Paese aiuta se stesso".

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Tutti noi siamo, in questi momenti assai travagliati per la Nazione Greca, a fianco del nobile popolo della Grecia.

Dal sito cattolico: Zenit.org

L’Ucraina non è solo una terra di badanti
Si è tenuta a Mukacheve la 2amarcia per la vita
di Elisabetta Pittino
ROMA, lunedì, 27 giugno 2011 (ZENIT.org).- Il 1° giugno a Mukacheve, una cittadina ucraina al confine con l’Ungheria, diocesi e pro life hanno organizzato la 2a marcia per la vita. The day of the children è il titolo della manifestazione che ha visto sfilare circa 400 persone (il doppio rispetto al 2010).
In testa alla marcia c’erano i Vescovi delle varie confessioni religiose: cattolica, greco cattolica, ortodossa, riformata. Un vero e proprio momento ecumenico grazie alla vita, che ha del “miracoloso”. È la prima volta che i Vescovi delle varie confessioni organizzano qualcosa insieme.
La marcia è iniziata nelle rispettive chiese per poi ricongiungersi nelle strade della città. La prima tappa è stata davanti al Municipio, dove il Sindaco ha tenuto un discorso di incoraggiamento alla difesa della vita e di sostegno a tutti coloro che operano in questo ambito. La marcia si è conclusa davanti ad una clinica.
Nel giardino della clinica lo scorso anno i pro life hanno piantato un albero, che ancora vive. Una targa con scritto “perché questo luogo sia memoria per la protezione della vita data da Dio” è stata posta vicino all’albero.
Il sindaco, che ha permesso la manifestazione, è rimasto colpito dall’immagine del feto di 12 settimane che i manifestanti mostravano. Poster giganti del bambino nella pancia erano sparsi per tutto il territorio della diocesi, grazie a una campagna dei pro life, sostenuta dal Vescovo cattolico, Mons. Antal Mainek.
Questa campagna ha ridotto gli aborti del 50% nella zona. È un risultato sorprendente se si pensa alla situazione dell’Ucraina, che ha visto introdurre una legislazione abortiva già negli anni ’20, quando era parte dell’ex URSS.
I tassi di abortività e di riabortività per donna sono estremamente elevati (l’aborto è un metodo contraccettivo). L’aborto nelle prime 6-7 settimane non è considerato tale, viene chiamato “regolazione del ciclo mestruale” e pertanto gli aborti procurati durante questo periodo non sono inseriti in nessuna statistica.
In particolare a Mukacheve una ricerca fatta da una clinica cattolica privata su migliaia di donne fornisce questi dati: l’87% delle donne contattate ha ammesso di avere fatto altri aborti (alcune donne non lo hanno ammesso, ma la clinica è sicura che il tasso di riabortività sia oltre il 90%); l’85% di queste donne ha meno di 40 anni.
Il successo della campagna e della marcia pro vita mostra la “sete” di questa popolazione, pronta ad ascoltare.
Lo stupore delle donne, delle madri, dei padri di fronte alla scoperta di un nuovo uomo, l’embrione, che già così piccolo è un bambino, conferma che la bellezza può rivoluzionare una società.
La marcia si è conclusa in serata con un concerto.

lunedì 27 giugno 2011


CHIESA ORTODOSSA RUSSA
PATRIARCATO  DI  MOSCA

PARROCCHIA
SAN GIOVANNI DI KRONSTADT

P. Gallo – P.zza Vittorio Em. II

CASTROVILLARI


DOMENICA  3 LUGLIO  2011

III  DOMENICA  DI  MATTEO

TONO II


    

Santo ieromartire Metodio, vescovo di Patara

SABATO  2 LUGLIO,  ORE   17.30   VESPRO


DOMENICA 3 LUGLIO,  ORE   10.00    DIVINA LITURGIA




Dal sito: CRISTIANESIMO ORTODOSSO

Cristo è il nostro amore e la nostra gioia

Cristo è la gioia, la vera luce, la felicità. Cristo è la nostra speranza. Il rapporto con Cristo è un rapporto d’amore, è eros, è emozione, desiderio del divino. Cristo è tutto. Cristo è il nostro amore, Egli ci ama. L’amore di Cristo non ci può essere tolto. Da lì nasce la gioia.
La gioia è Cristo. E’ una gioia che ti trasforma in altra persona. Si tratta di una follia spirituale, ma in Cristo. Ti inebria come il vino non adulterato questo vino spirituale. Come disse David: “Hai unto d'olio il mio capo e il tuo calice inebriante quanto è impareggiabile”. (Sal 22, 5). Il vino spirituale è puro ed è molto forte e quando lo bevi ti inebria. Questa ebbrezza Divina è un dono di Dio, donata a coloro che sono “puri di cuore” (cfr. Mt. 5, 8).
Per quando vi è possibile digiunate, prostratevi di fronte a Cristo, vegliate in preghiera, ma cercate di essere sempre gioiosi. Cercate di avere dentro di voi la gioia di Cristo. E’ una gioia che dura per sempre, è la gioia eterna. È la gioia del nostro Signore, che ci dona serenità, calma, piacevolezza e beatitudine. La gioia che contiene ogni gioia, al di là di ogni gioia. Cristo vuole ed è lieto di donare a piene mani la gioia, desidera arricchire i fedeli con la gioia. Prego "affinchè la vostra gioia sia completa." I Giovanni 1,4).
 Questa è la nostra Fede. È là che bisogna andare. Cristo è il Paradiso, figli miei. Che cosa è il Paradiso? È Cristo. Da Cristo si apre il Paradiso. E’ proprio la stessa cosa, chi qui sulla terra vive in Cristo si trova in Paradiso. Le cose stano come le dico. E’ cosa giusta e vera credetemi! Il nostro compito è cercare di trovare un modo per entrare nella luce di Cristo. Non fare solo le cose essenziali. L’essenza è di essere con Cristo. Fate risvegliare a vostra anima da amare Cristo, per diventare santa. Darsi all’amore divino. Così ci amerà anche Lui. Allora la gioia non ci potrà mai essere tolta. È questo che vuole di più Cristo di riempirci di gioia, perché è la fonte della gioia. Questa gioia è un dono di Cristo. All’interno di questa gioia conosceremo Cristo. Non possiamo conoscerlo se Lui non conosce noi. Come dice Davide? “Se il Signore non costruisce la casa, invano hanno faticato i costruttori. Se il Signore non custodisce la città, invano ha vigilato il custode” (Sal 126, 1).  Queste sono le cose che la nostra anima vuole acquisire. Se ci prepariamo di conseguenza la grazia ci donerà ogni cosa. Non è difficile. Se avremo la grazia, tutto sarà facile, felice e benedetto da Dio. La grazia divina bussa continuamente alla porta della nostra anima e aspetta che noi apriamo, per entrare nel nostro assetato cuore e riempirlo: da Cristo, dalla Vergine Maria, dalla nostra Santissima Trinità. Che cose stupende!
Se ami vivi in concordia senza renderti conto di questo. Non sei interessato ne ai automobili, né al mondo ne da altre cose. Sei in te con la persona che ami. È una situazione che vivi, ti rende felice, ti ispira. Pensate che non sia vero? Cercate di pensate che la persona che amate è Cristo. Cristo nella tua mente, Cristo nel tuo cuore, Cristo in tutto il tuo essere, Cristo ovunque.
Cristo è la vita, la fonte della vita, la fonte della gioia, la fonte della vera luce, Cristo è tutto. Chi ama Cristo e gli altri, lui vive la vita. La vita senza Cristo è la morte è l’inferno, non è vita. Questo è l’inferno, non è amore. La vita è Cristo. L’amore è la vita di Cristo. O nella vita o nella morte. Dipende da voi la scelta.
 Uno è il nostro obiettivo, amare Cristo, la Chiesa e il nostro fratello. L’amore, l’adorazione a Dio, il desiderio, l’unione con Cristo e con la Chiesa è il Paradiso in terra. L’amore in Cristo è amore anche verso il confratello, verso tutti, verso i nostri nemici. Il cristiano sente dolore per tutti, vuole la salvezza di tutti, desidera che tutti assaporano il regno di Dio. Questo è il cristianesimo. Attraverso l’amore per il fratello riusciremo ad amare Dio. Finché noi lo desideriamo, finché noi lo vogliamo, finché siamo degni, la grazia arriva per mezzo del nostro fratello. Quando amiamo il nostro fratello amiamo la Chiesa e di conseguenza Cristo. Anche noi stiamo nella Chiesa. Così, quando amiamo la Chiesa, amiamo noi stessi. 
 
Fonte: Gheron Porfirios Kapsocalivitis.

L’uomo di oggi si sente un piccolo dio, un super uomo, tutte le sue energie sono spese alla ricerca frenetica di colmare il vuoto che sente. e questo vuoto lo colma con il successo, con il denaro e con tanti beni materiali. Il possesso di queste cose e il dominio sugli altri uomini la fa sentire un dio, pensa di essere al sicuro e dice a se stesso che Dio non esiste.
Questo finche per un scherzo del destino perde il suo potere, il suo denaro, oppure la sua salute e allora vede la sua  vita vuota e la sua esistenza senza significato arrivando anche ad estremi decisioni. Si accorge di non aver vissuto ma di avere creato l’inferno sulla terra. Questa è la vita dell’uomo senza Cristo, senza la gioia, senza l’amore di vivere una vita in Cristo.

domenica 26 giugno 2011

Dal sito della Chiesa Ortodossa Russa

Ambasciatore d’Italia ringrazia la Chiesa Russa


Il 22 giugno nei locali dell’Ambasciata d’Italia a Mosca si è svolta la presentazione dell’edizione in lingua russa del libro “Identità religiosa e culturale in Europa: la questione del crocefisso” del giurista italiano Carlo Cardia. Il libro è dedicato al problema della simbologia religiosa nello spazio pubblico. L’autore espone gli strumenti giuridici e gli argomenti legali cui può far ricorso chiunque si confronti con l’infrazione del diritto all’autoespressione religiosa.
In occasione della presentazione, l’ambasciatore d’Italia presso la Federazione Russa Antonio Zanardi Landi ha espresso la propria gratitudine al Patriarcato di Mosca per il sostegno dato all’Italia nella difesa del diritto di esporre il crocefisso nelle aule scolastiche. “Siamo grati alla Chiesa Ortodossa Russa che è stata il nostro principale alleato nel nostro appello alla sentenza del tribunale di Strasburgo”, ha affermato il diplomatico italiano.
Con la propria sentenza del 3 novembre 2009, la Corte Europea per i diritti dell’uomo faceva divieto alle scuole pubbliche italiane di affiggere il crocefisso nelle aule, a conclusione di un processo intentato dalla cittadina italiana Soile Lautsi.
Il governo italiano ha fatto ricorso ed ha avuto in ciò il sostegno della Federazione Russa e di una serie di altri paesi. Nel suo libro, il prof. Carlo Cardia riporta gli argomenti che sono serviti da base legale per l’appello. Nel 2011 la Camera alta del tribunale di Strasburgo ha stabilito che l’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche italiane non contraddice la convenzione europea sui diritti dell’uomo.
“Questo libro testimonia che gli argomenti di chi difende la presenza della religione nella società secolare sono sempre più convincenti rispetto alla posizione di chi vorrebbe che la religione si distacchi del tutto dalla vita sociale”, ha detto alla presentazione del volume l’arciprete Vsevolod Chaplin, capo del Dipartimento sinodale per i rapporti tra Chiesa e società.
Il libro del prof. Cardia è stato pubblicato in lingua russa con la benedizione del Patriarca Kirill in una tiratura di mille copie. Il libro è preceduto da prefazioni del metropolita Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, del ministro degli esteri italiano Franco Frattini, dell’ambasciatore d’Italia a Mosca Antonio Zanardi Landi e del prof. Adriano dell’Asta, direttore dell’Istituto italiano di cultura a Mosca.

venerdì 24 giugno 2011

http://makj.jimdo.com/

A QUANDO LO SVATICANAMENTO DELL’ITALIA ?

di Giordano Bruno Guerri  [1]
Copertina del libro: “Gli italiani sotto la chiesa”
Arturo Carlo Jemolo, storico cattolico dotato di ironia e di spirito laico, scriveva in una lettera privata del giugno 1948, dopo le elezioni che dettero inizio ai predominio democristiano: « Se gli italiani avessero una certa elasticità mentale, mi farei fautore di -   un movimento per la restituzione di Roma al Papa e per riportare la capitale a Firenze. (...) Il Papa ha bisogno di un suo Stato; se no tutta l’Italia diventa Stato pontificio ». La Chiesa ha sempre considerato l’Italia come un proprio territorio irrinunciabile, spazio vitale dal quale svolgere la sua missione. Trattandosi di una missione universale e spirituale, non sempre gli interessi della Chiesa hanno coinciso e coincidono con quelli degli italiani e delle loro organizzazioni statali: una presenza eccessiva della Chiesa ha spesso danneggiato, danneggia e danneggerà gli italiani.
     La prima tesi di Machiavelli — sul ruolo avuto dalla Chiesa nel ritardare di secoli la formazione di uno Stato nazionale — è già stata abbondantemente dimostrata, e le conseguenze peggiori (di cui risentiamo tutt’oggi) si sono avute dopo il Cinquecento, quando l’Italia non ha più potuto reggere il confronto con le grandi nazioni europee, unificate e laiche. Tanta parte della riottosità degli italiani allo Stato viene dall’esperienza dello Stato Pontificio come unica organizzazione centralizzata e duratura.
     E più complesso valutare l’attualità della seconda tesi di Machiavelli, per cui la Chiesa avrebbe reso gli italiani « senza religione e cattivi ». Anche ai suoi tempi era una tesi paradossale, perché grazie soprattutto alla Chiesa gli italiani avevano potuto conservare parte della cultura romana, vivere un superiore messaggio morale, assorbire le invasioni barbariche e uscire per primi dal Medioevo, con tutte le ottime conseguenze che ne derivarono. Ma, fra Duecento e Quattrocento, in un’Italia in piena crescita civile, la Chiesa non riuscì più a mantenere il controllo integrale sulla società e su se stessa. Gli scandalosi esempi di corruzione e immoralità del papato, dell’alto e basso clero fecero perdere agli italiani il rispetto per i rappresentanti di Dio: da qui quella caduta del sentimento religioso e della morale che Machiavelli individuò nei suoi contemporanei.
     Il peggio però doveva ancora venire. Finché la Chiesa condivideva la peccaminosa vita del mondo, contribuì allo slancio di rinnovamento, alla ricerca della bellezza, alla crescita civile. Dopo la Controriforma invece ha sempre cercato di impedire trasformazioni sociali e culturali sostanziali, dichiarando di possedere già tutte le verità, immutabili, sufficienti e indiscutibili, al di fuori delle quali non esistono valori apprezzabili. L’indice e l’Inquisizione sono soffocamenti premeditati del Paese. Abbarbicata immobile in Italia, mentre il mondo occidentale del XVI secolo è in frenetico movimento, la Chiesa blocca ogni libertà morale e intellettuale, la voglia di scoprire, lo slancio alla modernità degli italiani, e ferma in modo probabilmente definitivo il loro ruolo di guida della civiltà laica.
     La secolare — opportunistica e reciproca — compromissione tra intellettuali e Chiesa ha decapitato e screditato la cultura e danneggiato anche la religiosità, frenando lo sviluppo culturale dello stesso cattolicesimo. L’alleanza millenaria della Chiesa con il potere civile ha fatto della religiosità un elemento di obbedienza e di ordine ben al di là dei dettami delle Scritture. Quando poi lo Stato e gli intellettuali si sono contrapposti al potere religioso — sulla spinta delle conquiste del pensiero laico (non italiano) e di esigenze politiche non più rinviabili (l’unità) — la Chiesa si è trincerata ancora di più dentro se stessa: con il dogma dell’infallibilità papale e la proibizione ai credenti di partecipare alla vita dello Stato ha rinnovato la scissione del cittadino fra coscienza cristiana e dovere civile. Non è un caso che, nell’epoca moderna, la Chiesa abbia avuto la più stretta e felice alleanza politica con il fascismo, con il quale condivide « il sostanziale disprezzo e pessimismo sull’uomo come essere sociale, sempre da guidare, da correggere, da costringere e da limitare, la sfiducia quindi per ogni forma di discussione e di ricerca, per ogni atteggiamento che non fosse di obbedienza e di sottomissione» (Miccoli). (…)
     Per secoli la Chiesa ha scandalizzato gli italiani, e per altri secoli li ha costretti a un rigore irrazionale e eccessivo. Si è creato così un diffuso anticlericalismo, anche nei fedeli.
     E scomodo avere poca stima del clero? praticando una religione in cui il rapporto con il divino è mediato dai sacerdoti, e in uno Stato in cui credenti e non credenti devono fare i conti con il clero più potente del mondo occidentale. (…)
     La Chiesa, da parte sua, ha assorbito vizi e virtù degli italiani, in un condizionamento reciproco che ha fatto della religione una caratteristica subculturale, più che un’adesione di fede.
     Preservando l’Italia dalle eresie (ovvero da letture diverse, critiche, personali della Bibbia), la Chiesa ha dato agli italiani una religione senza slanci e senza tensioni, vincolata dalla gerarchia, dal catechismo e dai dogmi, formale, senza dialettica e senza rimeditazione, superstiziosa e paganizzante nel culto dei santi, scenica e emotiva, piena di compromessi e di abitudini, in cui anche i credenti non mettono troppo impegno nel rendere la propria vita coerente con la propria fede; o, nei casi peggiori, applicano una razionalità da contabili, il dare ora per avere poi, con un investimento nel quale non si ha troppa fiducia ma che apparentemente non comporta troppi sforzi, a parte quello — micidiale e spossante — di non poter pensare con la propria testa per essere considerati qualcuno con la testa sulle spalle. Tutto ciò conduce a un opportunismo che dalla religione si estende ai rapporti sociali e che coincide perfettamente con la maggiore caratteristica nazionale, quella « furbizia » che è stata necessaria nel corso dei secoli per sopravvivere al triplice dominio del potere locale, del potere straniero e del potere chiesastico. Gli italiani hanno generalmente deciso di fingere obbedienza e poi fare come gli pare, sviluppando un’ipocrisia collettiva che non ha uguale neanche negli altri paesi cattolici.
     Contraddizioni e contrapposizioni, doppie morali e messaggi divergenti sono caratteristiche della Chiesa che si sono riversate nella società italiana di ogni tempo: predicazione di umiltà e povertà e ricerca di potere e ricchezza; violenze in nome di Dio; proclamazioni di infallibilità ed errori immensi e palesi; teorica difesa della dignità dell’uomo e soffocamento delle sue più elementari libertà intellettuali.
     Per secoli abbiamo avuto tanta Chiesa e poco Stato, tanti maestri di morale e pochi maestri morali. Per secoli metà degli italiani hanno passato la vita ad amare la Chiesa e l’altra metà ad odiarla, ma non era possibile per nessuno vivere contro la Chiesa, e per secoli gli italiani l’hanno edificata e hanno cercato di abbatterla, in una schizofrenia che si ripercuoteva nella vita pubblica e in quella privata. Finché — constatato che non è possibile nè abbatterla né farne a meno — si è arrivati a un tacito accomodamento. Gli italiani hanno imparato a convivere con una doppia morale, necessaria per conciliare l’esistenza eterna con quella quotidiana, i peccati con i desideri, l’apparenza con la realtà, la morale con il moralismo. Questo tipo di cattolicesimo è penetrato a tal punto nell’organismo della cultura e della società nazionale da fare dell’Italia un paese non più di guelfi e di ghibellini, ma di guelfi-ghibellini e di ghibellini-guelfi: fra gli italiani è difficile trovare dei veri laici, perché ogni aspetto della vita privata e sociale è profondamente segnato dalla tradizione e dalla formazione cattoliche; allo stesso tempo la religiosità di gran parte dei credenti è priva di spiritualità e ormai poco disposta a seguire la Chiesa in molte delle sue posizioni. E un fenomeno che si è formato lentamente nel corso dei secoli, ma che da qualche decennio ha assunto aspetti eclatanti: i clericofascisti, i catto-comunisti e i democristiani sono esempi drammatici di quanto sia difficile sciogliere il nodo e formare vere coscienze laiche, vere coscienze cristiane. (…)
     Ha pienamente ragione Machiavelli: siamo un popolo « sanza religione >> perché la Chiesa cattolica, dopo avere impedito altre scelte e ogni contatto diretto con il divino, non è mai stata abbastanza degna di rappresentarlo, nè abbastanza sicura del proprio messaggio da rinunciare al potere politico.
     Quanto all’essere cattivi, il concetto di cattiveria coincide - a dimostrazione del successo della Chiesa - con quello religioso. Per cui sì, gli italiani saranno « cattivi » fino a quando, fingendo di essere cristiani, saranno cattolici senza via di scampo e senza Stato.
 
NOTA
 
[1] Conclusioni” tratte dal libro di Giordano Bruno Guerri (storico e giornalista italiano), Gli italiani sotto la Chiesa. Oscar Storia Mondadori – 14 ristampa – anno 2007).

mercoledì 22 giugno 2011

Dalla Chiesa Ortodossa Russa

Il metropolita Hilarion celebra il giorno 

del suo onomastico


Il 19 giugno, giorno della memoria liturgica di s. Ilarione Nuovo della Dalmazia (IX sec) e (in quanto prima domenica dopo Pentecoste) festa di tutti i Santi, il metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne della Chiesa Russa, ha celebrato la Divina liturgia nella chiesa dedicata all’icona della Madonna “Gioia di tutti i sofferenti” di Mosca, di cui è parroco.
Con lui hanno concelebrato gli arcivescovi Feofan di Berlino e della Germania, Jonafan di Tulcinsk e Bratslav, Justinian di Naro-Fominsk, responsabile delle parrocchie patriarcali ngli USA, Kirill di Rostov e Jaroslavl, il vescovo Veniamin di Penza e Kuznetsk, l’igumeno Filaret (Bulekov), vicepresidente del Dipartimento, l’arciprete Vladimir Shmalij, prorettore del Corso di master e dottorato della Chiesa Ortodossa Russa e diversi altri chierici collaboratori del Dipartimento e della parrocchia.
Erano presenti alla liturgia rappresentanti del governo ungherese e numerosi amici e ospiti del metropolita Hilarion, venuti per felicitarlo nel giorno del suo onomastico.
Alla fine della liturgia l’arcivescovo Kirill di Rostov e Jaroslavl ha dato lettura di un messaggio di auguri indirizzato al metropolita dal Patriarca di Mosca e tutte le Russie Kirill. Si è poi rivolto al metropolita Hilarion a nome degli altri vescovi e chierici presenti, dicendo tra l’altro: “Dio le ha dato molti talenti e forza. Oggi è la festa di tutti i santi e la ricorrenza di s. Ilarione Nuovo, suo santo protettore, di cui lei ha ricevuto il nome monastico. Vorrei augurarle di continuare a esercitare il suo ministero episcopale dando seguito all’opera di molte generazioni di presuli della Chiesa Russa che hanno protetto l’Ortodossia nella nostra terra. Le auguriamo che si rafforzino i molteplici doni che il Signore le ha donato e che lei ha acquisito nel suo continuo sforzo di servire Dio e il nostro popolo”.
Il metropolita prima di tutto ha espresso la propria gratitudine al Patriarca Kirill per il suo messaggio, ha poi ringraziato l’arcivescovo Kirill di Rostov e Jaroslal’ delle sue parole, gli altri presuli e chierici per la concelebrazione e tutti i presenti per la preghiera comune. Ha poi pronunciato l’omelia sulla festa di tutti i santi.
Visita ecumenica del Cardinale Etchegaray 
a San Pietroburgo
In occasione della festa di Pentecoste
SAN PIETROBURGO, mercoledì, 22 giugno 2011 (ZENIT.org).- Una visita ecumenica del vice-decano del Collegio Cardinalizio e Presidente emerito dei Pontifici Consigli Giustizia e Pace e “Cor Unum”, il Cardinale Roger Etchegaray, a San Pietroburgo ha caratterizzato la festa di Pentecoste in Russia.
Il porporato ha soggiornato a San Pietroburgo dal 9 al 15 giugno per le celebrazioni della Pentecoste, invitato dalla Chiesa ortodossa russa, ha reso noto a ZENIT il sacerdote domenicano Hyacinthe Destivelle, parroco della parrocchia di Santa Caterina di San Pietroburgo.
Al suo arrivo nella città, il Cardinale francese ha voluto raccogliersi in preghiera sulla tomba del metropolita Nicodemo, che lo accolse lì più di 30 anni fa.
Giunto proprio per la festa di Pentecoste, celebrata quest'anno simultaneamente da ortodossi e cattolici, il porporato ha assistito a un ufficio ortodosso di veglia durante il quale il metropolita Vladimir e il Vescovo Nazaire, superiore dell'antico monastero Aleksandr Nevski, gli hanno dato il bacio della pace.
Il mattino dopo, il Cardinale Etchegaray ha consegnato al metropolita Vladimir una lettera del Presidente del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani, il Cardinale Kurt Koch, in cui si ricorda l'importanza del Concilio Vaticano II nello sviluppo delle relazioni tra cattolici e ortodossi.
Il Vescovo Ambrosio, rettore dell'accademia di teologia ortodossa, aveva invitato il porporato ad alloggiare nell'accademia durante il suo soggiorno a San Pietroburgo e ha organizzato un ricevimento in suo onore.
All'epoca della prima visita del Cardinale in città, il rettore di questa accademia era l'attuale Patriarca Kirill, guida della Chiesa ortodossa russa.
Sottolineando di recarsi a San Pietroburgo anche per incontrare i cattolici della città, il Cardinale ha celebrato la Messa di Pentecoste nella chiesa cattolica di Santa Caterina, situata lungo la Prospettiva Nevski.
Ha anche visitato il seminario cattolico, dove ha potuto incontrare seminaristi giunti da varie regioni della Russia.
Il Cardinale ha anche incontrato personalità del mondo culturale di San Pietroburgo, tra cui Boris Piotrovski, direttore del prestigioso museo dell'Hermitage, che ospita numerosi capolavori dell'arte religiosa occidentale.
In questa occasione, il Cardinale Etchegaray ha ricordato la funzione e la vocazione di San Pietroburgo non solo nelle relazioni tra la Chiesa e la cultura, ma anche nel dialogo tra le varie confessioni cristiane.
Nel libro d'oro dell'accademia di teologia nella quale era ospitato, citando la Lettera ai Galati, ha invitato gli ortodossi e i cattolici di San Pietroburgo a lasciarsi guidare dallo Spirito: “Se viviamo  secondo lo Spirito, operiamo anche secondo lo Spirito” (Gal. 5, 22-26), lo Spirito di Pentecoste.
Il Cardinale Etchegaray, pioniere del dialogo tra cattolici e ortodossi e amico pesonale del defunto Patriarca di Mosca Alessio II, è stato per la prima volta a Leningrado su invito di colui che era metropolita della città, Nicodemo (Rotov).
E' amico da tempo anche dell'attuale metropolita di San Pietroburgo, Vladimir: si sono conosciuti nel contesto del Concilio Vaticano II, al quale il Cardinale partecipava come esperto e il metropolita come osservatore del Patriarcato di Mosca.

Dal sito cattolico: Zenit.org

Una delegazione ortodossa dal Papa
per i Santi Pietro e Paolo
Il 29 giugno sarà presente alla celebrazione eucaristica nella Basilica Vaticana
ROMA, mercoledì, 22 giugno 2011 (ZENIT.org).- Anche quest’anno, il Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, invierà una delegazione a Roma il 29 giugno, in occasione della Festa dei Santi Pietro e Paolo.
L'iniziativa si inserisce nell'abituale scambio di delegazioni per le rispettive feste dei Santi Patroni. Infatti, la Santa Sede invia sempre una delegazione a Istanbul il 30 novembre per la celebrazione di Sant’Andrea.
La delegazione ortodossa sarà composta: da Sua Eminenza Emmanuel, Metropolita di Francia e direttore dell’Ufficio della Chiesa ortodossa presso l’Unione Europea; dal escovo di Sinope, Athenagoras, ausiliare del Metropolita del Belgio, e dall’Archimandrita Maximos Pothos, Vicario generale della Metropolia della Svizzera.
Il 28 giugno, informa una nota ufficiale, la delegazione sarà ricevuta da Benedetto XVI, mentre il 29 giugno sarà presente alla celebrazione eucaristica che il Papa presiederà nella Basilica Vaticana. La delegazione si incontrerà con esponenti del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
Questo scambio di delegazioni fra Roma e Costantinopoli ha avuto inizio nel 1969, con la visita a Costantinopoli del Cardinale Johannes Willebrands, presidente dell’allora Segretariato per l’unità dei Cristiani, in occasione della Festa di Sant’Andrea.

http://tradizione.oodegr.com


Storia del Digiuno degli Apostoli




Icona dei santi Pietro e Paolo






Testimonianza Patristica relativa al Digiuno
Il Digiuno dei Santi Apostoli è molto antico, risalente ai primi secoli del cristianesimo. Abbiamo, relative ad esso, le testimonianze di sant’Atanasio il Grande, di sant’Ambrogio di Milano, di san Leone Magno e di Teodoreto di Ciro. La più antica testimonianza relativa al Digiuno degli Apostoli ci è data da sant’Atanasio il Grande († 373). Nella sua lettera all’imperatore Costanzo, nel parlare della persecuzione dagli ariani, egli scrive: “Durante la settimana che segue la Pentecoste, la gente che osserva il digiuno è andata al cimitero a pregare”. “Il Signore così ha ordinato”, dice sant’Ambrogio († 397), “che come abbiamo partecipato alle sue sofferenze durante i quaranta giorni, così dobbiamo anche gioire della sua Risurrezione durante il tempo della Pentecoste. Noi non digiuniamo durante il tempo di Pentecoste, dal momento che il nostro Signore stesso era presente in mezzo a noi in quei giorni ... La presenza di Cristo era come cibo nutriente per i cristiani. Così pure, durante la Pentecoste, ci nutriamo del Signore che è presente tra noi. Nei giorni seguenti la sua ascensione in cielo, tuttavia, abbiamo ancora una volta digiuno” (Sermone 61). Sant’Ambrogio basa questa pratica sulle parole di Gesù relative suoi discepoli nell’Evangelo di Matteo 9,14-15: “Possono gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno i giorni, quando lo sposo sarà portato lontano da loro, e allora digiuneranno”.
San Leone Magno († 461) dice: “Dopo la lunga festa di Pentecoste, il digiuno è particolarmente necessario per purificare i nostri pensieri e renderci degni di ricevere i doni del Santo Spirito ... Perciò, è stato stabilito il salutare uso di digiunare, dopo i gioiosi giorni in cui abbiamo celebrato la resurrezione e l’ascensione di nostro Signore, e la venuta del Santo Spirito’’.
La pellegrina Egeria nel suo Diario (IV secolo) scrive che il giorno dopo la festa di Pentecoste, iniziò un periodo di digiuno. Le Costituzioni Apostoliche, opera non posteriore al quarto secolo, prescrivono: “Dopo la festa di Pentecoste, celebrare una settimana, poi si osservi un digiuno, perché la giustizia esige gioia dopo la ricezione dei doni di Dio e digiuno dopo che il corpo è stato rinfrescato”.
Dalle testimonianze del IV secolo constatiamo che in Alessandria, Gerusalemme e Antiochia, il digiuno dei Santi Apostoli era collegato con la Pentecoste, e non con la festa degli Apostoli Pietro e Paolo il 29 giugno. Nei primi secoli, dopo la Pentecoste vi era una settimana di festa, che erano Giorni Privilegiati, seguita da circa una settimana di digiuno.
I canoni di Niceforo, patriarca di Costantinopoli (806-816), menzionano il Digiuno degli Apostoli. Il Typicon di San Teodoro Studita per il monastero di Studios a Costantinopoli parla del Digiuno di Quaranta Giorni dei Santi Apostoli. San Simeone di Tessalonica († 1429) spiega lo scopo di questo digiuno in questo modo: “Il Digiuno degli Apostoli è giustamente stabilito in loro onore, perché attraverso di loro abbiamo ricevuto numerosi benefici e per noi sono modelli e maestri del digiuno ... Per una settimana dopo la discesa del Santo Spirito, in conformità con la Costituzione Apostolica composta da Clemente, celebriamo, e poi durante la settimana successiva, digiuniamo in onore degli apostoli”.
Durata del Digiuno
Il digiuno degli Apostoli è entrato nella prassi nella Chiesa, attraverso la consuetudine piuttosto che la legge. Per questo motivo per lungo tempo non vi è stata uniformità, sia nella sua osservanza che nella sua durata. Alcuni digiunavano dodici giorni, gli altri sei, altri ancora quattro, e altri solo un giorno. Teodoro Balsamo, patriarca di Antiochia († 1204), riguardo al Digiuno degli Apostoli, ha detto: “Tutti i fedeli, che siano laici o monaci, sono tenuti a digiunare sette giorni e più, e chi si rifiuta di farlo, sia scomunicato dalla comunità Cristiana”.
Dall’opera Sulle Tre Quaresime di Digiuno, che è attribuita a un monaco della comunità monastica di Sant’Anastasio Sinaita (VI o VII secolo), apprendiamo che il Digiuno dei Santi Apostoli durava dalla prima Domenica dopo Pentecoste alla festa della Dormizione della Santissima Madre di Dio il 15 agosto. In seguito, però, il Digiuno della Dormizione è stato separato da esso e il mese di luglio è stato escluso dal Digiuno degli Apostoli. San Simeone di Tessalonica parla del Digiuno degli Apostoli della durata di una settimana.
Nella Chiesa Ortodossa il Digiuno dei Santi Apostoli dura dal giorno dopo la Domenica di Tutti i Santi al 29 giugno, festa degli Apostoli Pietro e Paolo. Questo digiuno può essere di durata più o meno lunga a seconda del giorno in cui è celebrata la Pasqua. Secondo il Vecchio Calendario potrebbe durare da un minimo di 8 giorni a ben 42 giorni a seconda della data di Pasqua, ma è ridotto dal Nuovo Calendario che a volte cancella il digiuno del tutto. Se la festa di Pasqua cade presto, il Digiuno degli Apostoli è più lungo, se Pasqua cade tardi, allora il Digiuno degli Apostoli è più breve.
Prescrizioni per il digiuno
Il digiuno degli Apostoli è un po’ più mite rispetto Grande Digiuno prima della Santa Settimana e della Pasqua. Il Metropolita di Kiev Giorgio (1069-1072) ha approvato la Regola per il Monastero delle Grotte di Kiev che non consente che siano mangiati carne o latticini durante il Digiuno degli Apostoli. Al Mercoledì e al Venerdì prescriveva cibo secco, cioè pane e acqua o frutta secca. Al Martedì, Giovedi, Sabato e Domenica sono permessi pesce, vino e olio. Oltre a questo, hanno ordinato che vengano compiute quotidianamente un centinaio di prostrazioni (inchini profondi fino a terra), tranne Sabato, Domenica e nei giorni festivi (la festa della Natività di Giovanni Battista che cade il 23 giugno ove è consentito pesce, olio e vino, non importa il giorno). Questa regola è stata trasmessa in Russia attraverso il Monastero delle Grotte di Kiev che ha basato la propria regola su quella del monastero di Studios a Costantinopoli. Si può quindi presumere che questa era la regola per il Digiuno praticata sia dall’Impero Romano che dall’Impero Russo. Questa è la regola praticata ancora oggi con possibili lievi variazioni tra le giurisdizioni.
Tradotto per © Tradizione Cristiana da E. M. giugno 2011

martedì 21 giugno 2011

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CONTINUITÀ E ROTTURA: I DUE VOLTI DEL CONCILIO VATICANO II

di Enrico Morini


Caro Sandro Magister,

mi permetto di intervenire nel serrato dibattito sull’ermeneutica del Concilio Vaticano II. Mi ha incoraggiato a farlo anche il fatto che questo dibattito ha assunto di recente una connotazione legata alla mia città e alla mia Chiesa, in quanto vi sono coinvolti sia indirettamente la “scuola di Bologna” – rappresentata dallo scomparso Giuseppe Alberigo e da Alberto Melloni, esponenti della tesi cosiddetta della “rottura” – sia direttamente il pure bolognese p. Giovanni Cavalcoli OP, il quale, nella sua difesa della tesi della “continuità”, sembra discostarsi da una posizione mediana – che recentemente proprio a Bologna monsignor Agostino Marchetto ha ribadito –, auspicando un collegamento con gli "avversari tradizionalisti continuisti" (come Roberto de Mattei) per contrastare il "neo-modernismo degli anticontinuisti".

Io non ho titoli particolari per entrare in questo acceso dibattito: non sono un teologo, né ho velleità di assumerne il ruolo. Per vocazione sono piuttosto uno storico. Premetto anche che, pur essendo bolognese – per nascita, formazione, residenza, docenza – e di fervida fede dossettiana – don Giuseppe Dossetti è stato mio padre spirituale e il mio punto di riferimento religioso –, non ho alcun legame, né scientifico né accademico, con la “scuola bolognese” alberighiana.

Detto questo vengo ad esprimerle le mie riflessioni in merito all’ermeneutica del Concilio. Rottura dunque o continuità? Rispetto a che cosa, forse alla tradizione cattolica? Mi chiedo se la tradizione, anche all’interno della stessa Chiesa, sia un fatto univoco o non ci sia piuttosto una pluralità di tradizioni nella sua più che millenaria diacronia. Ora, nella mia personale ma convinta ermeneutica del Vaticano II, il Concilio è stato ad un tempo, intenzionalmente, sia continuità che rottura.

Innanzitutto esso si è posto, a mio parere, nella volontà sia del suo beato promotore Giovanni XXIII sia dei Padri che costituivano la cosiddetta maggioranza conciliare, nella prospettiva della più assoluta continuità con la tradizione del primo millennio, secondo una periodizzazione non puramente matematica ma essenziale, essendo il primo millennio di storia della Chiesa quello della Chiesa dei sette Concili, ancora indivisa. L’auspicato aggiornamento era finalizzato precisamente a questo recupero, a questo ritorno a un’epoca certo travagliata, ma felice, perché nutrita di comunione reciproca tra le Chiese. Non, si badi bene, al recupero – come purtroppo molti l’hanno inteso – di una "ecclesiae primitivae forma", che è una pura astrazione, un mito storiografico dai lineamenti estremamente nebulosi e pertanto inadatti a fondare, o rifondare, una prassi ecclesiale e, forse proprio per questo, divenuti un inconsistente modello per molte eresie e, ancor oggi, per diverse eterodossie ecclesiologiche.

La teoria e la prassi ecclesiale del primo millennio sono invece tutt’altro che un’astrazione ed un mito, documentate come sono dagli scritti del Padri e dalle delibere dei primi Concili. È molto significativo che l’annunzio del Vaticano II sia stato percepito all’inizio in alcuni settori – tra i quali figura nientemeno che il grande Atenagora, caduto anch’egli in quello che è stato definito un "equivoco ecumenico" – come espressamente finalizzato alla ricomposizione dell’unità fra i cristiani: in sostanza un Concilio d’unione. Ancor più significativo – anche al di là del valore altamente simbolico del gesto – è che il Concilio abbia chiuso i suoi lavori, il 7 dicembre 1965, con l’epocale rimozione "dalla memoria e dal mezzo della Chiesa" delle reciproche scomuniche intercorse nel 1054 tra il patriarca di Costantinopoli e i legati romani (la straordinaria valenza ecclesiologica di questo evento è stata magistralmente presentata dal cardinale Joseph Ratzinger in un artico sulla rivista “Istina” del 1975).

Questo recupero, da parte della Chiesa cattolica, della tradizione del primo millennio ha comportato di fatto un’implicita rottura – mi scuso dell’eccessiva schematizzazione – con la tradizione cattolica del secondo millennio. Non è vero, a mio parere, che nella tradizione della Chiesa non ci siano delle rotture. Uno iato c’era già stato, proprio al passaggio dal primo al secondo millennio, con la svolta impressa dai riformatori “lorenesi-alsaziani” (tale era papa Leone IX, come anche due dei tre legati a Costantinopoli nel fatidico 1054, il cardinale Umberto e Stefano di Lorena, futuro papa) e dalla cosiddetta riforma “gregoriana”, e poi da un approccio eminentemente filosofico alle verità teologiche e dal debordante interesse per la canonistica (già lamentata da Dante Alighieri), a scapito della Scrittura e dei Padri, propri della piena età medioevale. Per non parlare poi della riforma tridentina, con la rigida dogmatizzazione – andando persino oltre i presupposti della Chiesa medievale –, nonché del “sequestro” della Scrittura ai semplici fedeli, sino all’apoteosi della “monarchia” pontificia nel Concilio Vaticano I, relegando ancora più sullo sfondo il profilo della Chiesa indivisa del primo millennio. Non c’è da stupirsene: proprio perché la Chiesa è un organismo vivente, la sua tradizione è soggetta ad evoluzione, ma anche ad involuzioni.

Che sia stato veramente questo ritorno l’intento più profondo del Vaticano II lo si può cogliere da un paio di esempi. Il più immediato si situa in ambito ecclesiologico, dove l’insegnamento del Concilio in merito alla collegialità episcopale è inequivocabile. Ora precisamente la collegialità dei vescovi è un tratto proprio dell’ecclesiologia del primo millennio, anche in Occidente, dov’era perfettamente coniugata con la primazialità romana. È indicativo come nel primo millennio tutti i pronunciamenti dogmatici romani che i legati papali portavano in Oriente ai Concili ecumenici – relativi alle questioni in essi dibattute – fossero preceduti da un pronunciamento sinodale di tutti i vescovi afferenti alla giurisdizione super-episcopale di Roma. Ora se è vero che il più grande nemico del Concilio è stato il postconcilio – con le fughe in avanti di alcuni pastori d’anime e di gruppi di fedeli, che in nome dello “spirito del Concilio” hanno introdotto alcune prassi eversive proprio nei confronti della tradizione della Chiesa indivisa o almeno ne stanno chiedendo con insistenza l’introduzione –, mi sembra di poter affermare che nell’ecclesiologia è avvenuto precisamente l’opposto: le norme di applicazione sono state gravemente riduttive rispetto al deliberato conciliare, in quanto il carattere puramente consultivo attribuito al sinodo dei vescovi non trae le dovute piene conseguenze dall’insegnamento del Vaticano II in merito alla collegialità episcopale. E poi – sempre per restare nell’ambito della struttura della Chiesa – il ripristino del diaconato come grado permanente dell’ordine sacro non è stato anch’esso un recupero della tradizione del primo millennio?

Il secondo ambito, nel quale la continuità della riforma conciliare con il primo millennio è ancor più evidente – in quanto percepibile da tutti – è quello liturgico, anche se paradossalmente si tratta di un campione privilegiato dai critici del Vaticano II per accusare il Concilio di rottura con la tradizione. Il criterio ermeneutico da me assunto mi consente di affermare esattamente il contrario, sempre in base al postulato di una pluralità diacronica di tradizioni. Anche in questo caso c’è stata un’evidente rottura con la liturgia preconciliare – che era notoriamente, con interventi successivi, una creazione tridentina –, ma proprio al fine di un recupero della grande tradizione del primo millennio, quello della Chiesa indivisa. Forse non abbiamo ben presente che l’incriminato nuovo messale contiene il fantastico recupero di orazioni tratte dai più antichi sacramentari risalenti proprio al primo millennio, il Leoniano, il Gelasiano ed il Gregoriano, nonché, per l’Avvento, dal patrimonio eucologico dell’antico Rotolo di Ravenna, tesori rimasti in gran parte fuori dal messale tridentino. Lo stesso vale per il recupero, nel contesto di un’opportuna pluralità di preghiere eucaristiche, dell’antica anafora di Ippolito e di altre tratte dalla tradizione ispanica. In questo senso il messale “conciliare” è ben più “tradizionale” del precedente.

Scrivo questo, ponendovi a corollario due osservazioni, che forse non saranno condivise dai “progressisti”. La prima è che, se guardiamo allo stato attuale del rito “ordinario” della Chiesa romana, proprio questa continuità con la tradizione del primo millennio, implicita nella riforma conciliare, è stata parzialmente offuscata da tutt'altri sviluppi nel postconcilio: da una parte, a livello di base, si è prodotto il malinteso che il Concilio abbia promosso un disordinato spontaneismo liturgico e dall’altro si è proceduto, da parte dell’autorità competente, alla promulgazione di testi creati per l’occasione – relativi a nuove anafore e a nuove collette – in un linguaggio sventuratamente attualistico e modernamente esistenziale, visibilmente alieni dallo stile eucologico del primo millennio, profondamente ispirato al pensiero ed alla terminologia dei Padri.

La seconda osservazione è che il motu proprio "Summorum Pontificum" – che, com’è noto, autorizza la pratica del messale tridentino come rito “straordinario” –, documento considerato da molti come involutivo rispetto al Concilio, per me invece ha l’indubbio pregio di ristabilire nella Chiesa latina quel pluralismo liturgico proprio, ancora una volta, del primo millennio. Anche se si tratta di una pluralità rituale scandita dalla variabile del tempo, e non da quella dello spazio geografico, essa ha il pregio di introdurre anche nella Chiesa cattolica – in modo pacifico e indolore – quella presenza “vecchio-ritualista”, che è un patrimonio, sia pure acquisito in modo violento e traumatico, della tradizione ortodossa.

Mi sento invece di condividere con la “scuola bolognese” la possibilità, anzi l’opportunità, di una lettura "accrescitiva" del concilio, coerente con i suoi principi ispiratori (l’espressione è di Alberto Melloni), che consente, anzi suggerisce, al supremo magistero di assumere oggi decisioni che il Vaticano II, nella temperie storica del momento, non aveva potuto prendere in considerazione. Questo principio ispiratore – in quella che ritengo la corretta ermeneutica del Concilio – è precisamente la ripresa della tradizione del primo millennio, come ha sottolineato implicitamente il cardinale Ratzinger quando ha scritto – in un passo che l’attuale pontefice non ha mai esplicitamente contraddetto – che agli ortodossi, nella fisionomia di una Chiesa finalmente riunificata, non bisogna imporre nulla più di quanto era da loro creduto nel primo millennio di comunione.

Non è perciò assolutamente nello “spirito del Concilio” introdurre nella Chiesa sconsiderate innovazioni, nella dottrina e nella pressi teologica, quali sarebbero il sacerdozio femminile o aberranti sviluppi nell’etica e nella bioetica. Sarebbe invece perfettamente nello “spirito del Concilio” – sempre per esemplificare – l’eliminazione dal "Credo" dell’unilaterale, ingiustificata e offensiva aggiunta del "Filioque" (senza che questo implichi una negazione della tradizionale dottrina dei Padri latini – anch’essi del primo millennio – sulla processione dello Spirito Santo anche dal Figlio, come da un unico principio con il Padre). Tale malaugurata aggiunta rappresenta il frutto più evidente, dalla fortissima pregnanza simbolica, di quel processo di franco-germanizzazione teologica e culturale della Chiesa romana – avviato dai papi filofranchi della fine del primo millennio e da quelli tedeschi dell’inizio del secondo – denunciato in termini certo esasperati, ma non del tutto infondati, dallo scomparso teologo greco conservatore Ioannis Romanidis. E invece non solo l’addizione rimane, ma è stata ribadita anche in testi di composizione “postconciliare” e, per giunta – mi risulta – è ancor oggi vergognosamente imposta a una bella e fiorente Chiesa orientale unita a Roma, cioè alla Chiesa grecocattolica ucraina.

Insomma, per chiudere con una formula sintetica queste mie personali considerazioni, promuovendo il rinnovamento della Chiesa il Concilio non ha inteso introdurre qualcosa di nuovo – come rispettivamente desiderano e temono progressisti e conservatori – ma ritornare a ciò che si era perduto.

Grato dell’attenzione.

Enrico Morini

Bologna, 13 giugno 2011

lunedì 20 giugno 2011



Il Fondo internazionale "Girasole" (Kiev)
La Parrocchia ortodossa di S. Ambrogio (Milano)
con la Benedizione di Sua Beatitudine Vladimir,
Metropolita di Kiev e di tutta l'Ucraina,

 
Annunciano
I concerti strumentali e vocali con repertorio di canti liturgici e popolari dall’Ucraina e dalla Russia
in onore  di tutti i Santi della Chiesa Ortodossa Russa
 
I concerti si terranno:

Venerdì 24 Giugno alle 20:30

nella Basilica di San Babila
in Piazza San Babila

Domenica 26 giugno alle 13:00

presso la parrocchia ortodossa di San Ambrogio
(100 metri dalla fermata della metropolitana di “San Babila”  su Corso Europa)

Ingresso libero