venerdì 31 luglio 2009

Dal sito Cattolico: ZENIT.org

In Ucraina si rafforza il rapporto tra cattolici e ortodossi russi

KÖNIGSTEIN, venerdì, 31 luglio 2009 (ZENIT.org).-

Secondo un Vescovo di rito latino in Ucraina, i rapporti tra i cattolici e gli ortodossi russi stanno diventando sempre più stretti.

Il Vescovo Marian Buczek di Kharkiv-Zaporizhzhya ha riferito all'associazione cattolica internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) che le relazioni ecumeniche nell'est dell'Ucraina stanno compiendo significativi passi avanti.

La nomina del Patriarca Kirill, ha spiegato, è stata una buona notizia per l'ecumenismo, nonostante la posizione inflessibile che questi ha assunto pubblicamente dalla sua elezione.

“Il Patriarca Kirill conosce molto bene la Chiesa cattolica romana – ha osservato il Vescovo Buczek –. Ha incontrato Papa Giovanni Paolo II e anche Papa Benedetto XVI mentre era alla guida del Dipartimento per le Relazioni Esterne della Chiesa ortodossa russa”.

“La relazione tra le due Chiese sta diventando sempre più stretta”, ha aggiunto.

Nella Diocesi di Kharkiv-Zaporizhzhya, che confina con la Russia, cattolici e ortodossi hanno ottime relazioni. Una delle prime azioni del Vescovo è stata quella di stabilire contatti con il metropolita ortodosso locale.

Nella Diocesi la Chiesa di rito latino è una minoranza, ma ci sono molti matrimoni misti. “Per questo motivo vogliamo che i rapporti tra le gerarchie siano buoni, ma c'è anche un senso di unità che deriva dalle famiglie miste cattoliche e ortodosse”, ha spiegato il Vescovo Buczek.

Da questo punto di vista, sono molto importanti i corsi prematrimoniali, che aiutano a conoscere la fede del partner. Il Vescovo vuole anche organizzare un incontro tra i giovani cattolici romani e ortodossi, sostenendo che li aiuterebbe a capirsi meglio e a dare una testimonianza comune della fede cristiana a chi non va in chiesa.

La Diocesi di Kharkiv-Zaporizhzhya è stata eretta sette anni fa e copre la gran parte dell'Ucraina orientale, particolarmente provata dal comunismo, che il Vescovo ha definito “un deserto spirituale”, ricordando che per 70 anni non ci sono stati sacerdoti.

Dei 20 milioni di abitanti della Diocesi, 50.000 sono cattolici di rito latino.

Dal sito: AsiaNews.it

Malgrado lo chieda l’Europa, Ankara continua a nicchiare sulla libertà religiosadi NAT da PolisIl responsabile Ue per l’allargamento ha detto che il processo di adesione della Turchia passa anche attraverso la scuola di Halki, istituto di formazione del clero del Patriarcato ecumenico, chiuso dal 1971. Il governo tace, mentre cresce il dibattito sui media. La vera questione è il riconoscimento dello status del Patriarcato.

Istanbul (AsiaNews) – Continuano a trovare spazio sulla stampa turca, le voci sulla imminente riapertura della Scuola teologica di Halki, dove si formavano i teologi e il clero del Patriarcato ecumenico, chiusa improvvisamente nel 1971, dopo più di 100 anni di attività. La questione ha ampia diffusione sui media, con l’intrecciarsi di opinioni a favore e contro la riapertura.

Tutto ha avuto inizio quando Oli Rehn, responsabile della UE per l’allargamento, e quindi del processo dell’adesione della Turchia alla UE, in un incontro con i giornalisti a Bruxelles, il 10 giugno scorso, ha dichiarato che tale processo passa anche dalla riapertura di Halki. Inoltre ha potrato a conoscenza della stampa, le preoccupazioni espresse a lui dalla Santa Sede sul livello di liberta religiosa esistente in Turchia.

A favore della riapertura si sono schierati autorevoli giornalisti, scrittori e professori, come Baskin Oran, Murat Belge, Ali Birant, Kanli e Orhan Kemal Cengiz. Quest’ultimo, dalle pagine di Today’s Zaman in un articolo intitolato “Il Patriarcato ecumenico sta aspettando Godot?” descrive, come mai prima d’ora, il vergognoso e persistente comportamento delle autorità turche, mirato a perseguitare sino alla totale estinzione il Patriarcato Ecumenico, usando anche sottili metodi legislativi e arriva addirittura al punto di accusare il Patriarcato, perché, secondo lui, si è mosso con ritardo nel ricorrere nella corte di Strasburgo ed è reo di fidarsi troppo delle periodiche promesse fatte dalle autorità turche.

Voci contrarie alla riapertura di Halki si sono levate, invece, dall’Associazione degli avvocati di Istanbul, un’istituzione molto importante, durante un convegno da essa organizzato dopo (un caso?) le dichiarazioni di Rehn. Le parole usate contro la riapertura e contro il Patriarcato sono state addirittura poco garbate. Si è contestato innanzi tutto lo stato giuridico del Patriarcato e di conseguenza il suo diritto ad avere una scuola teologica. Il presidente dell’associazione, Muammer Aydin, ha accusato il Fanar di disprezzare la Turchia e di mirare a costituire il Vaticano dell’ Est, mentre una docente dell’Università di Marmara, Sibel Ozel, dopo aver elencato un elenco di normative le quali, giustamente secondo lei, non permettono nè il riconoscimento del Patriarcato, nè la riapertura di Halki – che, sempre secondo lei, è stata giustamente chiusa - ha concluso affermando che “nessuno può imporci la riapertura di Halki”.

Il governo turco, da parte sua, si è espresso una prima volta per bocca di Erdogan, il quale, a margine del recente vertice del G8 ampliato ai Paesi emergenti, rispondendo alle domande dei giornalisti su Halki, ha detto di non aver ricevuto sulla questione alcuna richiesta da parte dei diretti interessati, cioe il Patriarcato di Costantinopoli.

Ma per capire le vere intenzioni delle autorità turche, indipendentemente da che tipo di governo si trovi al potere, sono importanti le dichiarazioni del ministro Egemen Bagis, responsabile dei rapporti Turchia–UE, il quale ha dichiarato l'altro ieri: “la riapertura di Halki è una questione interna della Turchia”, ovverosia tra i suoi cittadini. Una soluzione, secondo Bagis, va trovata nel contesto della reciprocità con i diritti dei mussulmani (140.000 circa), che vivono nel nordest della Grecia, perché, sebbene cittadini greci, sono secondo Ankara tutti di etnia turca.

“Insomma la solita storia”, commenta un anziano docente di storia, greco di Istanbul, Dimitri G., uno degli ultimi dell’ormai sparuta comunità ortodossa della città. “Ogni volta che si pone, durante la visita di capi di Stato ad Ankara, non ultima quella di Obama, la questione di Halki, Ankara, cogliendo impreparati gli interlocutori, pone la questione della reciprocità con la comunità mussulmana in Grecia, e cosi si sorvola su tutto”. “Ma di quale reciprocità si parla?” continua Dimitri G. “In Grecia esiste una comunità di cittadini greci di religione mussulmana di circa 140mila persone, di varia origine etnica: turca, pomaca (slavi convertiti all’ islam) e zingari, che sono in piena fioritura, con moschee e clero, scuole coraniche e attività culturali, secondo i dettami della libertà religiosa. Il tutto finanziato dallo Stato greco e anche dalla UE, perché sono cittadini di uno Stato membro della UE. Ed è giusto così. In Turchia, al contrario, in seguito alle sistematiche epurazioni degli anni passati, da 100mila anime che esistevano nel 1923 - che secondo il trattato di Losana dovevano equipararsi alla minoranza mussulmana della Tracia greca, proprio per il principio di reciprocità numerica, voluto e imposto dalle stesse autorità turche - ci siamo ridotte a malapena a 3mila. Al Patriarcato Ecumenico non è mai stato riconosciuto il suo status storico e deve procurarsi i fondi per proprio conto. I muftì in Grecia sono pubblici impiegati. E, ripeto, è giusto. Pertanto qualsiasi invocazione della reciprocità da parte turca è improponibile, perché sono loro che l’hanno volutamente e sistematicamente calpestata”.

Padre Distheos, responsabile rapporti esterni del Patriarcato ecumenico, cittadino tedesco, ma greco di Costantinopoli, persona molto stimata negli ambienti internazionali per la sua perspicacia, ha detto in proposito ad AsiaNews: “con tutta questa bagarre che s’è creata sui media attorno all’eventuale riapertura di Halki - magistralmente impostata come al solito si fa con i media in Turchia - c’è il rischio di offuscare l’essenza della questione di fondo, che è molto piu importante. Cioè quella dello status del Patriarcato Ecumenico. Per quanto riguarda Halki, la soluzione è semplicissima: ritornare allo status che c’era sino al 1971. Spetta alle autorità ripristinarla”. Quanto poi alle dichiarazioni del Primo ministro Erdogan di non aver ricevuto alcuna richiesta da parte dei diretti interessati padre Dositheos ha riferito che il patriarca Bartolomeo in occasione delle visite di cortesia compiute nel 2007 sia al presidente Gul che alle altre autorità turche, ha posto certamente tutte le questioni, compresa quella di Halki, e loro “hanno semplicemente detto di aver preso atto..”.

giovedì 30 luglio 2009

www.ziarullumina.ro



Gheron Iosif Vatopedinul, un sfânt contemporan
Alexandru PRELIPCEAN
Joi, 30 Iulie 2009

Pe 1 iulie anul acesta, a trecut la Domnul un mare părinte isihast, şi anume gheron Iosif Vatopedinul. Model exemplar al vieţii isihaste, un înnoitor al duhului Mănăstirii Vatopedu, dar şi ucenic apropiat al marelui ascet Iosif Sihastrul, monahul Iosif Vatopedinul rămâne în istorie ca un nevoitor al rugăciunii şi al practicii ascetice. Ne-au rămas de la el numeroase lucrări, în care a descris viaţa, faptele şi întâmplările din viaţa lui Iosif Sihastrul, unele din ele traduse şi publicate şi în limba română. Mulţi teologi şi părinţi duhovniceşti l-au considerat pe drept cuvânt un sfânt contemporan.

Viaţa monahului Iosif Vatopedinul
La data de 1 iulie 1921, în localitatea Giolos (din Cipru) s-a născut la numai 7 luni pruncul Socratis, cel care mai târziu avea să devină cunoscut sub numele de călugărie Iosif. Nu se cunosc foarte multe aspecte privind tinereţea acestuia. La vârsta de 25 de ani, în anul 1946, a ajuns în Sfântul Munte Athos, fiind unul dintre ucenicii vestitului monah Iosif Sihastrul (Iosif al Peşterii sau Spileotul), de la Nea Skiti. După întemeierea obştii, chilia de la Nea Skiti a fost renovată şi lărgită. Aici a rămas până în anul 1988, când toată obştea s-a stabilit la Mănăstirea Vatopedu, oferind astfel un suflu nou acestei mănăstiri. Până în 1990 s-a ocupat de cârmuirea duhovnicească la Mănăstirea Vatopedu, apoi conducerea mănăstirii a fost luată de unul din ucenicii săi, monahul Efrem. Ca o pronie de sus, monahul Iosif Vatopedinul a plecat la Domnul la data de 1 iulie 2009, când a împlinit exact 88 de ani.

Vindecat miraculos de nădejdea în Maica Domnului şi în pronia lui Dumnezeu
Întrebat de către unii ucenici la cine are mare evlavie, gheronda Iosif va spune răspicat numele Sfântului Mare Mucenic Pantelimon, precum şi numele Doctorilor fără de arginţi, Cosma şi Damian. Motivul ni l-a oferit chiar smeritul monah vatopedin. În primul rând, Sfântul Pantelimon era protectorul familiei sale. Tatăl gherondei Iosif, care purta numele Sfântului Pantelimon, a trecut la Domnul în ziua de prăznuire a Sfântului Pantelimon, când după slujba de la biserică a plecat să îşi viziteze ţarina, s-a întors acasă, s-a aşezat într-un scaun şi a adormit întru nădejdea învierii şi a vieţii celei de veci.
După mutarea la Nea Skiti, unde clima era mai blândă, gheronda Iosif a plecat la Tesalonic pentru nişte examene medicale, deoarece deseori expectora sânge. S-a întors cu avizul doctorilor că singura lui scăpare este numai prin operaţie. Bătrânul Teofilact i-a spus că a văzut că va fi bine, numai cu condiţia să aibă încredere în Maica Domnului şi în Sfântul Pantelimon. Aşa a şi făcut, iar la următorul control medical, medicii nu au putut observa decât o mică cicatrice pe care o avea. Boala se vindecase în mod miraculos, prin nădejdea în Maica Domnului şi în pronia lui Dumnezeu.

Ne mângâia mila lui Dumnezeu şi harul Lui…“
În decursul anilor s-a format ca monah în jurul vestitului sihastru Iosif, cunoscut pentru viaţa sa sfântă şi exemplară pe care a dus-o la Nea Skiti. Ca un dar adus de către ucenic faţă de părintele său, gheron Iosif Vatopedinul a publicat numeroase lucrări în care a descris viaţa şi faptele minunate petrecute alături de îndrumătorul său spiritual, Iosif Sihastrul. O parte din aceste opere au fost traduse şi publicate, precum: Cuviosul Iosif Sihastrul. Nevoinţe-experienţe-învăţături (2001) şi Trăiri ale dumnezeiescului har. Gheron Iosif Isihastul: epistola (2008). Ca martor ocular, monahul Iosif Vatopedinul ne-a lăsat o mărturie vie a ceea ce înseamnă şi presupune cu adevărat viaţa monahală, precum şi percepţiile de ordin ascetic ale predecesorilor săi. Despre perioada petrecută în preajma avvei Iosif Spileotul, monahul Iosif Vatopedinul preciza adeseori: „Nici severitatea programului, nici privaţiunea de cele strict necesare, nici locul abrupt şi neodihnitor, nici munca pentru întreţinerea a 7-8 persoane nu ne-a micşorat râvna, deoarece ne mângâia mila lui Dumnezeu şi harul, împreună cu rugăciunile bătrânilor“.

Harul lui Dumnezeu şi libertatea omului, în gândirea lui Iosif Vatopedinul
Monahul Iosif Vatopedinul a urmat mereu spusele şi sfaturile bătrânului său. A continuat şi pus în practică cele învăţate prin experienţă. Vorbea foarte mult despre iubirea omului faţă de Dumnezeu, care are la temelie conlucrarea harului divin şi libertatea fiecărui om de a dori unirea cu Dumnezeu, prin eliberarea de lucruri care nu-i sunt de reală trebuinţă. Iată cât de frumos descrie aceste aspecte: „Ca să iubească omul pe Dumnezeu trebuie încet-încet să se arate deasupra oricărui lucru de care se ocupă, până la starea la care au ajuns Părinţii, încât şi la starea biologică să-l refuze, fapt care ajunge să fie şi astăzi de necrezut. Şi totuşi este real. Cu această tăgăduire absolută şi cu această grijă exclusivă a ascultării faţă de voia dumnezeiască, începe dumnezeiescul har, care este înăuntrul nostru, să acţioneze. Harul nu are putere dacă nu este precedat de libertatea personalităţii umane; dacă libertatea personalităţii umane nu se mişcă, dumnezeiescul har, cu toate că se găseşte prezent, nu acţionează. Omul trebuie să dovedească de bună-voie ce preferă. Preferă să iubească pe Dumnezeu şi să dovedească aceasta prin faptă? Atunci acţionează dumnezeiescul har, care distruge pe omul cel vechi şi modelează pe cel nou, după Hristos“.

Zâmbetul de după moarte
După mărturisirile vieţuitorilor Mănăstirii Vatopedu, adormirea lui gheron Iosif s-a petrecut astfel: în ultima lună de viaţă, în timp ce dormea, gheron Iosif spunea cu gura rânduielile de slujbă. Monahul care îi slujea a venit în dimineaţa de marţi, 30 iunie 2009, cam pe la ora 10, să vadă ce face bătrânul. Gheron Iosif i-a spus că astăzi se va duce, deoarece simte moartea. Monahul i-a răspuns: „Bine, gheronda, cum vrea Domnul“. După masă, rămas singur în chilie, a săvârşit Vecernia. Seara, pe la 8, gheronda l-a întrebat pe fratele ce era cu el: „Ce vor demonii ăştia, de ce au venit ?“. Apoi, la ora 9:00: „Sfinţii care au venit vor rămâne cu noi, să ne ajute“. Gheronda Iosif era liniştit şi împăcat cu sine. Pe la ora 10:00 s-a ridicat, în pat fiind, şi a întrebat: „Cum este troparul în continuare? Că nu ştiu cum urmează…“. Fratele nu i-a răspuns nimic, căci nu ştia despre ce anume este vorba. Noaptea, a respirat adânc de trei ori şi a adormit.
Părinţii Mănăstirii Vatopedu susţin că după moartea sa, bătrânul Iosif „a zâmbit“ timp de 45 de minute, după care buzele au revenit la poziţia iniţială.
Fără nici o îndoială, sfinţii Bisericii sunt modele vii de urmat. Într-o societate confuză, în care cele pământeşti, trecătoare joacă un rol parcă prea important, în care viaţa roieşte doar în jurul bunurilor de ordin material, cuviosul Iosif Vatopedinul ne arată atât de limpede că viaţa noastră nu este altceva decât un dar al lui Dumnezeu făcut nouă de a ne bucura. În faţa bunurilor materiale, gheronda Iosif ne-a învăţat că cel mai important lucru este căutarea lui Dumnezeu şi a împărăţiei Sale, la care ne-a făcut moştenitori prin Fiul Său cel Unul Născut. Monahul Iosif Vatopedinul nu rămâne doar o simplă personalitate marcantă a Bisericii Ortodoxe din Grecia şi a Sfântului Munte Athos, ci este o personalitate a întregii Biserici, un model vrednic de urmat de noi toţi, cei ce permanent străbatem popasuri în drumul nostru către înviere. Iată cum îl caracteriza un teolog grec pe marele Iosif Vatopedinul: „Un sfânt contemporan care a ştiut să adune în jurul lui o mare grupare cu binecuvântarea lui Iosif Sihastrul, al cărui fiu duhovnicesc a fost. La Sfânta Mănăstire Vatopedu au venit mii de credincioşi ca să asculte cuvântul lui şi să ia binecuvântarea sa. Să fie amintirea lui în veac“.

martedì 28 luglio 2009

Riflessioni pre-conciliari

Avviato in www.romfea.gr un proficuo dibattito preconciliare

Ieromonaco Nilos Vatopedinos
Professore di Diritto Romano
Università della Magna Graecia
di Catanzaro, Italia
26 luglio 2009

La pubblicazione su www.romfea.gr. di osservazioni pubblicate il 24 luglio dal Metropolita di Johannesburg e Pretoria Serafim relative alla circolare ministeriale greca che prevede l’ammissione di donne nei licei ecclesiastici della Grecia, riavvia il dibattito su un tema indubbiamente meritevole di discussione in quest’epoca preconciliare ,in vista di un auspicabile pronunciamento in materia da parte del futuro Grande e Santo Concilio della Chiesa Ortodossa.
Interessato alla storia dei Concili, divengo sempre più sorpreso ed incerto innanzi alla procedura preconciliare di questi ultimi decenni, sempre più rigidamente ingessata, nella preparazione della nostra Santa Chiesa Ortodossa ad un Concilio Generale, che sembra ormai imminente.
Indubbiamente la prospettiva di potere realmente giungere, dopo tanto tempo, ad un Grande Concilio Generale della Chiesa Ortodossa ha imposto, fin dalle ormai lontane Conferenze di Rodi degli anni sessanta, la necessità di fissare la procedura da seguire nei lavori preparatori e di stabilire una lista dei temi da approfondire in vista della loro sottoposizione al futuro Grande Concilio.
Pur ineccepibile nella sua logica formulazione, la procedura fino adesso seguita non ha però facilitato un adeguato dibattito nell’ambito delle singole Chiese locali, neanche limitato alle facoltà teologiche ortodosse, neppure sui temi che sembrano unicamente destinati all’esame del futuro Concilio, in quanto riconosciuti di urgenza prioritaria da Conferenze Preconciliari.
Purtroppo, però, le vicende che hanno determinato negli ultimi 40 anni il lungo iter preconciliare riflettono difficoltà interecclesiali, (come, ad esempio, la vicenda “estone”, superate dalla fraterna buona volontà dei nostri Primati), che hanno, probabilmente, ostacolato la diffusione in tutta la Chiesa di quella coscienza preconciliare che stenta ancora a manifestarsi.
Di conseguenza appare evidente come, nonostante il lungo periodo presinodale e il lavoro compiuto dalle commissioni preparatorie emerga solo adesso la necessità di sottoporre al futuro Grande Concilio non soltanto quei temi sui quali lavorano da decenni commissioni preparatorie, con risultati spesso non facilmente accessibili a quanti vorrebbero seguirne i lavori (non risultano in genere pubblicati i dibattiti ma soltanto troppo rapidi comunicati che si limitano ad accennare ai risultati conseguiti).
La preparazione dell’imminente Concilio continua di conseguenza a rimanere di esclusiva competenza dei pur autorevoli rappresentanti delle Chiese autocefale senza accesso pratico alla documentazione preconciliare da parte di quanti, seguendone i lavori preparatori, potrebbero contribuire ad una maggiore diffusione della coscienza preconciliare irrinunciabile in un’epoca, come la nostra, caratterizzata dalla possibilità di discutere e valutare in più vasti ambiti quali temi siano effettivamente più avvertiti in ambito ecclesiale e, quindi, non eludibili dal prossimo Concilio, malgrado la lista dei temi stabiliti e approfonditi dalle Conferenze preconciliari.
Ma per venire alla situazione presente è noto come la procedura preconciliare sia stata ancora una volta riavviata dalla Conferenza dei Patriarchi, svoltasi felicemente al Fanar nell’ottobre dello scorso anno. Di conseguenza a Chambesy si è svolta a giugno di quest’anno una nuova conferenza presinodale che ha esaminato il problema della cosidetta “diaspora”, mentre ha rinviato la questione dell’autocefalia, dell’autonomia e dei dittici a successivo esame.
Ascoltando nella Chiesa Patriarcale di Chambesy l’omelia pronunciata a Pentecoste dal Metropolita di Pergamo, che ha sollecitato i delegati a procedere nell’esame dei temi da sottoporre all’imminente Concilio, sono rimasto colpito dalla saggia disponibilità del Patriarcato Ecumenico a riavviare i lavori prendendo atto come diverse Chiese ortodosse non ne condividano l’esegesi del can.28 di Calcedonia. In riferimento all’instaurazione del pluralismo giurisdizionale nella “diaspora” il Metropolita di Pergamo ha ricordato come negli anni 20 del secolo scorso il Patriarcato Ecumenico abbia richiamato l’attenzione delle altre Chiese locali sul canone 28 di Calcedonia che, secondo l’interpretazione da allora sostenuta dal Patriarcato Ecumenico, sottopone alla giurisdizione costantinopolitana tutte le comunità ortodosse site al di fuori dei confini territoriali delle Chiese autocefale.
Riaffermata dalla Conferenza Preconciliare di giugno, la necessità di stabilire Conferenze Episcopali regionali, destinate a predisporre la “diaspora” all’instaurazione, da parte del futuro Grande Concilio, dell’ordinamento canonico tradizionale, fondato sulla presenza in ogni città di un unico vescovo urbano, non può peraltro ritenersi ostativo all’instaurazione canonica di nuovi vescovati etnici, pure previsti dai Sacri Canoni, (come ad esempio dal già menzionato can..28 di Calcedonia), per quei motivi pastorali e missionari che hanno indotto i Santi Padri a promuovere l’evangelizzazione, (o l’adesione all’Ortodossia) dei barbari insediatisi nelle provincie dell’impero romano, mediante l’istituzione di vescovati etnici, autonomi rispetto ai vescovati urbani presenti nei medesimi territori provinciali.
Pare, pertanto, opportuno verificare se le motivazioni pastorali e missionarie che hanno indotto la Chiesa antica a istituire vescovati etnici, esenti dall’ordinamento ecclesiastico provinciale, non ne legittimino ancora oggi nuove istituzioni, pur destinate a trasformare nel tempo i Vescovati etnici in urbani, una volta maturata quella fusione dei discendenti degli immigrati con la popolazione locale, che pone termine all’emergenza pastorale che ne aveva determinato la creazione. Ancora oggi l’istituzione di vescovati etnici risulta, in effetti, pastoralmente indispensabile come nel caso del vasto fenomeno immigratorio che da un ventennio continua a spingere milioni di fedeli ortodossi a stabilirsi in paesi europei, prevalentemente eterodossi, nei quali le sussistenti strutture ecclesiastiche ortodosse non hanno la possibilità di assicurare né l’adeguata tutela della fede ortodossa e delle connesse tradizioni, né l’adeguata promozione dell’inserimento degli immigrati nel paese raggiunto, secondo quanto ho avuto modo di constatare personalmente in oltre un decennio di servizio pastorale nella Sacra Metropoli di Italia del Patriarcato Ecumenico.
Ho accennato a concreti problemi facilmente rilevabili oggi nella “diaspora” per evidenziare quanto sia importante, per diffondere davvero in tutta la Chiesa la coscienza preconciliare, la conoscenza in più vasti ambiti ecclesiali tanto degli argomenti esaminati dalle Conferenze preconciliari quanto di altri temi che, grazie ad un largo e approfondito dibattito, potranno eventualmente risultare meritevoli di essere esaminati dal futuro Concilio Generale della Chiesa Ortodossa (peraltro non vedo la necessità in riferimento al futuro Grande Concilio della Chiesa Ortodossa definirlo Concilio Panortodosso: estranea alla tradizione conciliare della Chiesa antica, la definizione suggerisce, nei non addetti ai lavori, l’errata idea di differenti Chiese Ortodosse ponendo di fatto in secondo piano l’unicità della Chiesa Ortodossa. Evidentemente si tratta di un errore confutato da tutto l’Episcopato Ortodosso ma resta, purtroppo, abbastanza diffuso tra i fedeli, come ho avuto modo di constatare tra gli immigrati.
Per questi motivi ritengo che le annotazioni del Metropolita di Johannesburg e Pretoria offrano un contributo di dimensione davvero ecumenica, in quanto rilevante per tutta la Chiesa Ortodossa..
Nel rispetto delle plausibili preoccupazioni manifestate dal Santo Sinodo della Chiesa di Grecia, in merito ad un immediato inserimento di ragazze nei licei ecclesiastici, il Metropolita Serafim prospetta la necessità di rintrodurre in Africa le diaconesse per l’amministrazione del Battesimo delle catecumene adulte e per promuovere maggiormente la diffusione della catechesi. Si tratta di esigenze prevedibilmente destinate a crescente e generale diffusione: appare pertanto opportuno l’intervento del Metropolita indirizzato a suscitare un dibattito volto a sottoporre la questione al futuro Grande Concilio.
Nel precisare quali siano i compiti che la Tradizione Ortodossa conferisce alle diaconesse, il futuro Grande Concilio non potrà ignorare il diffuso dibattito sulla legittimità dell’accesso delle donne alla chirotonia presbiterale o episcopale. L’introduzione del sacerdozio femminile nell’ambito di comunità cristiane con le quali la Chiesa Ortodossa continua a dialogare impedisce, infatti, al futuro Concilio Generale di tacere sulla questione in un’epoca nella quale i fedeli ortodossi assistono, con sempre maggiore frequenza, ad incontri ecumenici di chierici ortodossi con donne rivestite nelle rispettive comunità eterodosse del presbiterato o dell’episcopato.
Devo peraltro notare come, pur condividendo le puntuali affermazioni del Metropolita Serafim, sul ruolo determinante svolto dalle donne nell’ambito della Chiesa antica, (discepole di Cristo e degli apostoli, diaconesse e catechiste evangelizzatrici dell’ecumene), non ritengo plausibile l’imputazione dell’esclusione delle donne dal presbiterato al regime patriarcale vigente nell’antica Roma..
Anche a prescindere dall’evoluzione rilevabile nella condizione femminile nella società romana (dove la donna è stata ritenuta cosa solo se schiava, contrariamente a quanto troppo spesso si sente affermare, anche da alti ecclesiastici), resta evidente come già gli antichi romani non abbiano mai escluso le donne dal sacerdozio (basti ricordare l’alto rango riconosciuto fin dalla più alta antichità alle sacerdotesse di Vesta).
Mentre tra i pagani il sacerdozio femminile è dunque attestato e rispettato in tutto il vasto impero romano, in ambito cristiano il ruolo presbiterale o episcopale conferito alle donne in comunità ereticali appare fin dai primi secoli dichiarato dai Padri della Chiesa estraneo alle tradizioni apostoliche.
Come però fondatamente sostiene il Metropolita Serafim l’argomento risulta nel nostro odierno contesto storico meritevole di rinnovati approfondimenti teologici auspicabilmente non condizionati da moderne prospettive sociologiche che non aiutano a comprendere meglio il mondo antico. Tale pericolo mi sembra, infatti, riscontrabile nel rapido accostamento tra la chirotonia delle donne e l’abolizione della schiavitù: in entrambi i casi il Metropolita Serafim ne imputa la mancata realizzazione in ambito cristiano alla struttura patriarcale della società romana.
In realtà l’attitudine assunta dalla Chiesa antica, nei riguardi delle chirotonie femminili o dell’abolizione della schiavitù non mi pare affatto unificabile nella comune imputazione alla rigida struttura patriarcale della società romana. Mentre non ho notizia di Padri della Chiesa che abbiano ipotizzato il sacerdozio femminile, in merito alle posizioni riscontrabili nelle prime Chiese cristiane in attinenza alla schiavitù appare già eloquente l’affermazione crisostomica che gli Atti degli Apostoli non parlano di schiavi perché la Chiesa delle origini non ha recepito nel suo ambito la suddivisione degli uomini in liberi e schiavi. Pur non differenziando in Cristo l’uomo dalla donna e il libero dallo schiavo, l’antica Tradizione Ecclesiastica mentre rifiuta il sacerdozio femminile attribuisce, infatti, in ambito ecclesiale agli schiavi battezzati la stessa dignità di “fedele” conferita ai liberi.
Queste rapide osservazioni non intendono certo contrapporsi a quanto autorevolmente affermato dal Metropolita Serafim ma ad alimentare, piuttosto, un dibattito meritevole di approfondimento in quest’epoca preconciliare. Filialmente ringrazio, pertanto, il Metropolita per avere evidenziato emergenti esigenze pastorali che sollecitano un più ampio dibattito su di un tema che si profila oggi di effettiva rilevanza pastorale.
In merito al futuro Grande Concilio vorrei ancora evidenziare come già la normativa canonica calcedonese si apra con la riaffermazione della vigenza dei Sacri Canoni e dei Responsi Patristici, recepiti e sanciti dai Concili precedenti. Non si tratta, evidentemente, di una mera formalità. Mentre affermano la vigenza di tutta la disciplina canonica sancita dai concili precedenti i Santi Padri Calcedonesi rivisitano i canoni precedenti non solo per ratificarli ma anche per reinterpretarli e, ove l’hanno ritenuto opportuno, colmare lacune dell’ordinamento canonico con la produzione di nuovi canoni, elaborati in connessione con la disciplina precedente, per rispondere a nuove ineludibili esigenze pastorali.
Nell’esperienza bimillenaria della Santa Chiesa Ortodossa la “farmacia” che accoglie i medicinali (= canoni ecclesiastici) continua ad arricchirsi, allorché risulti pastoralmente opportuno la promulgazione di nuovi canoni da parte dei Padri Conciliari ispirati dallo Spirito Santo. Le nuove disposizioni sono volte ad integrare non ad abolire le precedenti, neppure quelle disapplicate da secoli.
Avviati verso il Grande Concilio è dunque legittimo porsi molti interrogativi. Prima di tutto potrà un futuro Concilio Generale non ribadire la vigenza dei Sacri Canoni e dei Pronunciamenti Patristici sanciti dai Concili Ecumenici, limitandosi a disciplinare unicamente questioni ritenute di maggiore urgenza?
Inoltre, molte antiche disposizioni canoniche riguardano, come è noto, i Vescovi: di recente il dialogo ortodosso-romanocattolico ha richiamato l’attenzione sul ruolo del protos in ambito ecumenico. Questioni di indubbia importanza continuano ad essere quelle attinenti alle elezioni episcopali e ai divieti di trasferimento dei vescovi.
Non è più necessario riassicurare effettiva vigenza ai canoni che prescrivono la netta distinzione tra patrimoni diocesani e privati dei vescovi? Non è forse oggi opportuna la reintroduzione in ogni eparchia di un economo per la diretta gestione del patrimonio ecclesiastico, sottoposto al controllo episcopale. Troppo spesso l’amministrazione dei beni ecclesiastici risulta svolta esclusivamente dal vescovo così sottratto ai suoi specifici compiti pastorali. Il danno non diventa ancora maggiore allorché, a torto o a ragione, si diffonde l’opinione che il vescovo amministri i patrimoni ecclesiastici come propri beni privati?
Antichi canoni emanati per ovviare a questi o ad altri inconvenienti possono non essere ribaditi dal futuro Grande Concilio, (con la conseguenza di essere definitivamente considerati disposizioni desuete del passato non più in vigore), o è necessario la ratifica sinodale che ne sancisca la ripristinata vigenza?
Ci avviamo forse, sia pure inconsapevolmente, ad una codificazione dei Sacri Canoni destinata in pratica a relegare la Tradizione canonica della Chiesa Ortodossa nell’ambito della storia delle fonti canoniche, come avviene in ambito romano-cattolico?
Questi e altri temi quali, ad esempio, la partecipazione al Concilio di vescovi soltanto residenziali, (preposti cioè al gregge che effettivamente costituisce la loro rispettiva Chiesa locale), vanno nell’odierna epoca preconciliare rivisitati non soltanto in Facoltà teologiche o in istituzioni diocesane ma anche in forums, blogs con qualsiasi mezzo utile ad assicurare la diffusa preparazione in tutta la Chiesa al futuro Grande e Santo Concilio che, guidato dalla Grazia dello Spirito Santo, sarà in effettiva connessione con i precedenti Concili Generali della Chiesa Ortodossa.

Incontri culturali a Contessa Entellina (PA)

La due giorni delle minoranze linguistiche a Contessa Entellina (PA)

Una due giorni di rassegne e di feste popolari che ricordano i bei tempi passati in un paesino siculo-albanese della provincia di Palermo.

Una lingua albanese e un rito greco-bizantino tramandato dai fondatori del Comune nel lontano 1500. Una antica Abbazia Benedettina, S. Maria del Bosco e la riserva del Monte Genuardo che le fa corona intorno. Gli scavi archeologici della Rocca di Entella di epoca Elima e l'Antiquarium, costituito dal Direttore della Scuola Normale di Pisa.

Con questo piccolo ma antico patrimonio etno culturale e monumentale, Contessa Entellina in provincia di Palermo, il 30 e 31 Maggio è stata la capitale delle minoranze linguistiche d'Italia, ospitandone la XVI rassegna folcloristica delle minoranze etniche.

Ospitati a cura del locale Istituto Comprensivo "Francesco Di Martino " col contributo economico dell'Unione dei Comuni Albanesi di Sicilia: "BESA", i gruppi folcloristici nei variopinti costumi locali, dopo l’attesa sfilata per le vie del centro si sono esibiti sul palco di Piazza Matrice fino a tarda notte in balli, canti e coreografie tipiche, tramandate da generazioni nei piccoli centri delle minoranze linguistiche provenienti dal Friuli, dalla Calabria e dalla Sicilia.

Premiati i gruppi di Lignano Sabbiadoro Udine), di Contessa E., di Caraffa e Vena di Maida (CZ), di Falconara Albanese , Frascineto e Santa Sofia d’Epiro (CS), di Piana degli Albanesi, Palazzo Adriano e Mezzojuso (PA) presenti con i rispettivi Sindaci e Dirigenti Scolastici.

Per il gruppo folcloristico “KUNTISA” è la quinta partecipazione annuale alla Rassegna ed è stata già annunciata dal Sindaco Parrino la candidatura del Comune per ospitare “una seconda volta” la XVII rassegna nel 2010.

In contemporanea il Comune di Contessa organizzava la prima Sagra del Grano per far conoscere i prodotti del territorio, fin dall'antichità vocato al grano ed al vino come testimoniato dalle monete elime di Entella. Tra i prodotti in esposizione negli stand, alcuni con marchio DOP come i formaggi e la vastedda del Valle Belice e poi i vini rossi locali ( l’Entellano ), salumi e salsiccia, lasagne di grano duro e dolci locali (biscotti al sesamo ed all'uovo e i tradizionali taralli).

Nicolò Graffagnini

NDR: L’articolo mi è stato inviato dall’ex collega di seminario, in quel di Grottaferrata, ai tempi d’oro, Nicolò che personalmente io non conosco in quanto siamo stati ospiti del seminario in tempi diversi, ma che tramite il gruppo di Face Book “ex allievi di Grottaferrata” abbiamo stretto amicizia.
Chatando abbiamo ricorda un poco i trascorsi giovanili, in più abbiamo parlato anche delle nostre radici etnico-linguistici e da qui è scaturito il ricordo di questo articolo sulla e, cogliendo la palla al balzo, ho pregato Nicolò affinché me lo mandasse via email. Ve lo presento e lo inserisco affichè anche voi possiate sapere delle attività culturali nei nostri paesini italo-albanesi.
P. Govanni


sabato 25 luglio 2009

Sicurezza, 100 religiosi "obiettori di coscienza" contro legge

Un appello a non rispettare il giro di vite contro gli immigrati clandestini contenuto nella legge sulla sicurezza è stato lanciato da un centinaio di sacerdoti e suore.


In una lettera dal titolo "Onoriamo i poveri", i firmatari dell'appello dichiarano la loro "obiezione pubblica" contro una legge che, a loro dire, discimina i più deboli.
"La nostra disobbedienza non riguarda soltanto il nostro comportamento individuale, ma faremo quanto è in nostro potere, perché un numero sempre crescente di cittadini metta in atto pratiche di accoglienza, di solidarietà e anche di disobbedienza pubblica, perché nel tempo più breve possibile questa legge venga radicalmente cambiata", si legge nell'appello.
La legge -- contestata dall'opposizione, da associazioni che si occupano di immigrazione e da esponenti cattolici -- introduce tra l'altro il reato di immigrazione clandestina, esclude gli irregolari dai pubblici servizi, con l'eccezione di sanità e scuola, e prevede le ronde anticriminalità.
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha promulgato la legge, pur esprimendo delle riserve. La maggioranza di centrodestra l'ha approvata in Parlamento, dopo che su di essa il governo ha posto la fiducia.
Per la Lega Nord, che ne è stata lo sponsor principale, la legge ha risposto alle richieste di maggiore sicurezza provenienti dall'opinione pubblica e rientrava nel programma del centrodestra alle elezioni politiche vinte lo scorso anno.
"La legge-sicurezza discrimina, rifiuta e criminalizza proprio i più poveri e i più disperati. Riteniamo strumentale e pretestuosa la categoria della clandestinità loro applicata", si legge ancora nella lettera che ha come primo firmatario don Albino Bizzotto, un sacerdote da tempo impegnato nel volontariato cattolico.

Come prete ortodosso e come cittadino italiano, mi vergogno di rispettare una legge iniqua fatta sono per rispettare accordi ed intrallazzi politici e non per dare una mano e dignità a dei fratelli più sventurati di noi. Purtroppo questi sono coloro che ci governano i quali per camuffare la loro insicurezza e la loro meschinità politica se la prendono con i più bisognosi. P. Giovanni Capparelli

Traduzione

In questi ultimi giorni , da quando ho inserito e pubblicato l’intervento del Prof. Gjovalin Shkurtaj, un uomo di immensa cultura e grande amante del popolo Arbëreshë e Professore presso l’Università Albanese di Tirana, si è alzato il grido, a ragione, di una traduzione di questo intervento. Ieri sono stato ad Acquaformosa il mio grande paese natale, dove abbiamo la nostra Cappella Ortodossa, e visto che abbiamo un carissimo amico, il ragioniere Tuço Capparelli, il quale la lingua Shqipe la parla correttamente e bene, mi sono rivolto perché facesse una traduzione secondo i crismi letterari, ed ecco la traduzione dell’intervento del Prof. Gjovalin:


“La Chiesa Ortodossa Albanese ha dato un contributo decisivo per la salvaguardia e per la diffusione della cultura, delle tradizioni e della lingua degli Arbëreshë in tutti i siti dell’Italia ove essi vivono.
La difesa di questa istituzione non è soltanto un sentimento individuale e spirituale, ma anche un obbligo morale e nazionale verso questa istituzione che ha saputo salvaguardare e stimolare per secoli il sentimento nazionale presso gli Arbëreshë d’Italia. Ringrazio Padre Giovanni Capparelli per il contributo e per il prezioso lavoro che svolge in questo senso. Grazie a questa opera instancabile possiamo affermare che lo Spirito Albanese vive”.



Cari amici, cari fratelli Arbëreshë, carissimi fratelli e sorelle ka Shqipëria, queste sono le parole ed i sentimenti di chi ama svisceratamente le proprie tradizioni, la propria lingua e le proprie radici e non le potrà mai e poi mai rinnegare. Grazie Caro Professore oltre alla immensa cultura, hai anche un cuore che batte per la salvaguardia della nostra e vostra dignità.

Grazie

P. Giovanni Capparelli

venerdì 24 luglio 2009

Russia - Incontro tra leader religiosi e l'Unesco

Dal sito mico: Eleousa.net

Mosca - Il 22 luglio,presso il Monastero di San Daniele, residenza del Patriarca e del Santo Sinodo, si è svolto l’incontro tra Sua Santità il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia Kirill e i partecipanti del gruppo ad alto livello per il dialogo interreligioso tra cristiani (ortodossi, cattolici, protestanti), l’Islam, l’Ebraismo, e il Direttore generale dell’Unesco Koichiro Matsuura. Al termine dell’incontro, è stato adottato il seguente documento: - Presi in considerazione gli appelli dei leader religiosi del mondo (Mosca 3-5 luglio 2006, Colonia 5-6 giugno 2007; Sapporo 2-3 luglio 2008, Roma, 16-17 giugno 2009) per promuovere il dialogo con le comunità religiose, le organizzazioni delle Nazioni Unite, e le numerose,analoghe esortazioni dei rappresentanti delle varie religioni del mondo, - Convinti dell’ utilità della cooperazione tra l'Unesco e le organizzazioni religiose in materia di istruzione, scienza e cultura, - Sottolineando l'importanza di lunghi sforzi dell'Unesco nel promuovere il dialogo interculturale e interreligioso, - Condanna l'estremismo e il terrorismo per l'uso eccessivo dei sentimenti religiosi dei credenti per fini contrari a qualsiasi religione, - Tenuto conto della diversità culturale e religiosa e sulla base dei fondamenti etici dell’umanità, - Pronto a contribuire alla pace giusta e stabile nel contesto dell'Anno Internazionale del riavvicinamento delle culture nel 2010, 1) noi sosteniamo gli sforzi del Direttore Generale dell'Unesco per istituzionalizzare e intensificare il dialogo tra l'Unesco e le comunità religiose in tutto il mondo al fine di rafforzare la pace tra le religioni e i leader religiosi coinvolti nel dibattito sui problemi attuali. 2) Riteniamo positivo il processo di creazione di un meccanismo di dialogo tra le comunità religiose nel mondo e l'Unesco e siamo disposti, in collaborazione con il Direttore Generale dell'Unesco, di creare un gruppo consultivo di leader religiosi ad alto livello.
(www.patriarchia.ru; www.egliserusse.eu)

mercoledì 22 luglio 2009

Nicola Saracino: Carme nuziale

1680. Carme Nuziale composto da Eugenio Peta nella parlata arberesh di Chieuti. Recitato o cantato alle nozze di Nicola Maurea e Cecilia Saracino.



Taghandishe hjiridhone
u harrosa s’erdhi hera
të lëroshë këta dhera
e të veçë bëshë fole.

Ku pughasinë të stisi
Fati’mirë çë të soghi
Zonja ‘madhe e Shën Nikoghi
Ec po, Zogëz-o me hare.

Mos të t’mbanjë trëmbësia
Se jo më detin borima
Me sudala e gogësima
Latrazon pa hajdhi.

Hapet dieghi, ritet dita
Nata parsinë rrëgjoi
Bora u los, dimri shkoi
Lulet bie vera ndë gji.

Shi si ditëzen menate
Passari zë molodhinë?
Plo haré me çiu-çinë
Falën dieghin hajdhjar.

Edhe e vafra manusaqe
Hapi lulezit e murra
Shih se qeghnjën gra e burra
Tufëzit t’vënë ndë kufar.

Qeshën era, harosën mali
Edhe punëtë çë grisi
Parmenda e çë skalisi
I palodhti punëtor.

Nani, zogëz-o vasileo
Çë zë detinë të shkosh
Ruai ujë mos të punosh
Se të lagën plumëzit.

As erën para s’larti
Mos të preç, përse vapa
Çë të shtie dieghi prapa
Të rrëmben shkëndazit.

Po për mesi erën preje
E dreq ! Prapë mos u prir;
mos ke vrap e mos u vir
fluturo me urtësi.

Përse nd’ule o para ngrihe
Gjithë të mbitenë haretë
E ti, zogëz-o, pë ndë det
As gjën ti lipisi.

Porsa dheun ke zënë
Mos pusho, nd’e liptë erra
As ndë driza e jo ndë ferra
Po te krahtë e zonjës moghë.

Mos fal logaz’e sorra
Sturdulaqe, jo malarda,
as mughënjat çiçarda,
pot të hjeshmën aushinjogh.

Pra çu prëhe e u tagjise
Shkëndat hap e anangasu
Hip, e dashur, te pughassi
E me shoktin mburo.

E sa janë përronje e fusha
Shtruan petkazit e mraime,
me këndim delet e maime
siegh i leshmi delmëtor.

Nisu po ti taghandishe
Se mbaradh frin voreja
Me uratë te shpitë e reja
Folenë pleqe e bën-na nderë.

Pa… jo edhe…mbaj fluturinë
Faqekuqeza si shega,
Pusho këmbazit te dega
Sa të thom edhe ca herë.

Milimagat shporri pranë
E hjidh grerar grëpore,
me hajdhi arëzën mjalzore
mbaj me tiji, mos e qërto.

Zonja zogë, qevarrisu
Se këshighin u e shëkrita
E sa munda edhe të ngrita
Se të desha shumë mirë.

Rro e shto për jetë të gjata
Fletë e pemëz si dhria
Bëfsh hje te sinodhia
Me skrivendet e shumë hir.

Mojë e bukura More


Mojë e bukura More
si të le u më ngit pe.
A tjè kam Zotin Tatë
a tjè kam Zonjinë Mëmë
a tjè kam edhè t’im vëlla.
Gjithë mbuluar ndën dhe.
Mojë e bukura More
si të le u më ngit pe.

martedì 21 luglio 2009

Per i nostri lettori della Campania e Basilicata

Ho notato in questi ultimi giorni, spulciando le provenienze dei nostri amati lettori, che dalla Regione Campania e precisamente dal paese di Atena Lucana, al confine con la regione Basilicata, almeno questa è l'indicazione che compare sulle provenienze, c'è qualcuno che quasi giornalmente legge il nostro Blog. Umilmente, mi rivolgo a questa persona per chiederle se eventualmente nella sua zona ci sono fedeli ortodossi, russi, ucraini, rumeni, bulgari ecc., bisognosi di conforto spirituale. In Italia, in tutte le regioni, moltissimi fedeli provenienti dagli ex paesi del blocco sovietico, dopo l'apertura delle frontiere si sono riversati qui da noi, alla ricerca di un lavoro più remunerativo, atto a salvaguardare la sopravvivenza della propria famiglia lasciata in Patria. Ebbene questi nostri fratelli, hanno anche bisogno del sostegno religioso, ecco perchè essendo la stragrande maggioranza di confessione ortodossa, noi preti ortodossi, se avvisati e richiesti possiamo essere di aiuto. Il mio numero di telefono è il seguente 3280140556. Per questo caro lettore anonimo, ti sarei grato se potessi comunicarmi, dopo aver parlato eventualmente con qualcuno di queste persone, per eventuali battesimi, matrimoni, Liturgie e tutto ciò che concerne l'attività religiosa di un prete.
Con profonda stima e ringraziamenti

P. Giovanni

domenica 19 luglio 2009

Si ritorna a parlare del Sacro Monastero di Bivongi.

Non mi permetto di entrare in merito sulle vicissitudini del Sacro Monastero di San Giovanni Theristis di Bivongi, il quale dopo essere stato restaurato e riportato al Suo vecchio e meraviglioso splendore, grazie anche all'indomabile lavoro del Monaco P. Kosmas, per motivi che non sta a me giudicare, abbandonato da Costantinopoli è passato sotto la giurisdizione della Romania. Ora sembra che sia in atto un ritorno di fiamma..... comunque siate voi a giudicare e .... che sia fatta la volontà del Signore, che scruta i nostri cuori e legge nella nostra mente. E' tempo di dare una sterzata definitiva a questa incresciosa vicenda, l'ortodossia non può entrare nel contesto politico, stiamo parlando di spiritualità e non di elezioni e voti. Qualunque sia la decisione ultima, lasciamo che i monaci vengano lasciati in pace nel loro quotidiano lavoro sia spirituale che materiale. Di questo abbiamo bisogno di pace e tranquillità.
(P. Giovanni Capparelli)

Ultime notizie dal fiorente Monastero romeno-ortodosso di Bivongi.

Perplessità bivongesi sulla possibilità di nuovi cambiamenti relativi alla custodia del nostro Monastero di San Giovanni Theristis.Da un mese a questa parte veniamo con frequenza interrogati, (da bivongesi e da quanti sono stati testimoni in questi ultimi anni delle sconcertanti vicende che hanno visto l’allontanamento da Bivongi dei due Eremiti Greci provenienti dalla Santa Montagna dell’Athos), sulla veridicità della notizia che, su richiesta del Patriarcato di Costantino-poli, il Patriarcato di Romania abbia manifestato disponibilità a “restituire” il Monastero di San Giovanni Theristis all’Arcidiocesi Greco-Ortodossa d'Italia e Malta.Non siamo naturalmente in grado di rispondere su possibili recenti contatti, relativi al nostro Monastero, intercorsi tra i Patriarcati di Costantinopoli e di Romania, in seguito alle note sentenze che riba-discono l’assoluta legittimità degli atti doverosamente compiuti dalla nostra Civica Amministrazione a salvaguardia del monumento. Nel merito della questione la Theristis International è però in grado di presentare ai suoi lettori le seguenti osservazioni:1) l’assegnazione della custodia del Monastero e la vigilanza sull’ef-fettiva idoneità dei custodi rientra tra le competenze del Comune di Bivongi;2) per questo motivo il TAR ha giustamente affermato, nel rigettare il ricorso presentato dal Metropolita ortodosso d'Italia (Sua Eccellen-za Zervos) contro il Comune di Bivongi, che il Comune non solo non ha compiuto abusi ma ha piuttosto adempiuto ad un suo preciso one-re nel revocare l’assegnazione della custodia del monumento alla Sa-cra Arcidiocesi Ortodossa d'Italia e Malta che in questi ultimi anni ha evidentemente dimostrato di non essere in grado di assicurare con stabilità l’adeguata custodia del nostro Monastero.L’allontanamento, per ben due volte, dei monaci greci custodi, inap-pellabilmente ordinato da Sua Eccellenza Zervos, pur privo di alme-no un successore idoneo ad assicurare l’immediata custodia del Mo-nastero, (assente, dunque, dal San Giovanni tanto alla partenza di P. Kosmas quanto a quella di P. Gennadios, malgrado l’espressa ri-chiesta presentata a Sua Eccellenza Zervos dalla Civica Amministra-zione nel maggio dell’anno scorso ), ha profondamente amareggiato bivongesi, pellegrini e visitatori ammirati dall’opera compiuta dai Pa-dri Kosmas e Gennadios.Nel 2008 Sua Eminenza Zervos non si è limitato a rinviare in Grecia il P. Gennadios ma ha esautorato anche il P. Nilos colpevole di avere richiesto insistentemente, come Vicario della Calabria, di non proce-dere all’allontanamento di P. Gennadios dal nostro Monastero.Come è noto il reato compiuto da entrambi i Padri consiste nell’ave-re sollecitato Venezia ad assicurare l’indispensabile necessario per la sussistenza e la custodia del nostro Monastero.Ma, a differenza dell’attenzione all’adeguata custodia e valorizzazio-ne del monumento, manifestata immediatamente dai rappresentanti in Italia dei Patriarcati di Russia e di Romania, il Patriarcato di Co-stantinopoli si è di fatto limitato a confermare tutte le decisioni adot-tate da Sua Eccellenza Zervos, (finanche le cause contro il Comune).Contatti diretti tra il nostro Comune e il Patriarcato di Costantinopoli, pur pazientemente riavviati dall’Esarchia Patriarcale, (la Commissione Ecclesiastica di inchiesta inviata nello scorso settembre in Calabria e in Sicilia da Sua Santità il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I), sono stati bruscamente interrotti in ottobre dello scorso anno dal rifiuto pa-triarcale di ricevere in Vaticano l’ossequio del rappresentante dell’Am-ministrazione Comunale Bivongese, ufficialmente inviato dal Sindaco, impedito di essere presente quel giorno a Roma, malgrado gli accordi presi in merito con l’Esarchia Patriarcale.Tutti questi avvenimenti hanno logorato nella nostra pubblica opinione la fiducia nei riguardi di chi ha consentito l’allontanamento da Bivongi di tutti e tre i Padri (Kosmas, Gennadios e Nilos), dei quali, forse, solo noi bivongesi conosciamo i generosi sacrifici e le tante energie spese per la rifioritura del nostro Monastero, per assicurare nuovo prestigio in Calabria al Patriarcato di Costantinopoli e per risvegliare l’abbando-nata grecità calabrese.Purtroppo i nostri Padri Aghioriti sono rimasti nell’ultimo decennio della loro permanenza al San Giovanni del tutto privi di sostegno da parte di chi invece di capirli, apprezzarli e sorreggerli, ha operato con deci-sione solo quando ha deciso di allontanarli senza neppure essere in grado di valutare le nefaste conseguenze di tali provvedimenti.Alla luce di tali eventi, non possiamo non rimanere grati a San Gio-vanni Theristis per l’imprevedibile felice conclusione della vicenda, dovuta all’arrivo di una stabile e fervente comunità monastica (mai giunta dalla Grecia in 15 anni!) appartenente alla dinamica Diocesi dei romeni ortodossi d'Italia.Da un anno l’eremo, dove hanno in precedenza operato i Padri Aghioriti, (con enormi difficoltà e solitudine, fino al loro allontana-mento voluto dalla autorità ecclesiastica greca d'Italia), è divenu-to un piccolo cenobio che, in continuità all’opera avviata dai prece-denti Padri aghioriti, accoglie tutti i visitatori.Ortodossi residenti in Calabria, insieme a pellegrini e turisti, conti-nuano ad accorrere in numero crescente, dall’Italia e dall’estero, per godere della sacralità trasmessa dal nostro Monastero.Certo non siamo in grado di conoscere il futuro. Rimane comunque importante, se vera, la notizia che responsabili ecclesiastici hanno finalmente capito il danno arrecato in Italia all’immagine della Chie-sa Ortodossa ricorrendo a vie giudiziarie avviate, in realtà, non tan-to contro il nostro Comune, quanto contro altri ortodossi rei, forse, di avere finalmente trasformato in fiorente cenobio l’eremo dove si sono sacrificati due asceti aghioriti, indimenticabili per i bivongesi che hanno avuto la sorte di essere abbandonati e infine mandati via da quella stessa autorità ecclesiastica che pretende adesso, in ogni modo, di riottenere la custodia del monumento dal quale ha ripetuta-mente allontanato quanti hanno dedicato tutte le loro forze al nostro Monastero. Comunque, al di là della veridicità della notizia (su possi-bili accordi tra greci e rumeni ortodossi relativi al futuro del nostro Monastero) rimane chiaro che l’assegnazione della custodia del Mo-nastero appartiene al nostro Comune soddisfatto della custodia assi-curata dalla comunità monastica romena subentrata a singoli Eremiti Greci.Pertanto nella male augurata ipotesi che i Padri adesso impegnati alla rifioritura del Monastero decidessero di andare via, (o fossero anche loro obbligati a lasciare il nostro Monastero, per qualunque motivo le-gale, di accordi interecclesiali o di qualunque altro genere), ricorre nell’opinione pubblica bivongese la convinzione che l’Amministrazione Comunale, (nel caso in cui dovesse procedere ad una nuova assegna-zione di custodia), non potrà di nuovo sottrarsi a vagliare anche richie-ste non provenienti da Chiese Ortodosse. Alcuni ritengono infine che il Comune debba, nell’eventualità, assumere la custodia diretta del mo-numento secondo quanto già ipotizzato all’avvio dei lavori di restauro 30 anni or sono.
Bivongi, 30 giugno 2009. Theristis International

sabato 18 luglio 2009

E' custodita in una chiesa, può vederla solo il monaco che la protegge


ll Patriarca d'Etiopia: "Il mondo conoscerà l'Arca
dell'Alleanza"
Il Patriarca ortodosso, Abuna Pauolos vuole svelare il millenario segreto e in un'intervista esclusiva all'ADNKRONOS spiega: ''Sono maturi i tempi per dire la verità". Ad Axum sorgerà un museo per il simbolo sacro
Roma, 17 giu. (Adnkronos) - Presto il mondo potrà ammirare l'Arca dell'Alleanza descritta nella Bibbia come il contenitore delle Tavole della Legge che Dio consegnò a Mosè e al centro, nei secoli, di ricerche e studi.
Lo ha detto in un'intervista video esclusiva all'ADNKRONOS, visibile sul sito Ign, testata on line del sito Adnkronos (www.adnkronos.com), il Patriarca della Chiesa ortodossa d'Etiopia Abuna Pauolos, in questi giorni in Italia per il 'G8 delle Religioni', e che domani incontrerà il Papa Benedetto XVI per la prima volta e al quale, "se lo chiederà - ha proseguito il Patriarca - racconterò tutta la situazione attuale dell'Arca dell'Alleanza".
"L'Arca dell'Alleanza - ribadisce Pauolos - si trova in Etiopia da molti secoli. Come patriarca l'ho vista con i miei occhi e soltanto poche persone molto qualificate hanno potuto fare altrettanto, finora". Secondo il patriarca è custodita in una chiesa, ma per difendere quella autentica, una copia del simbolo religioso e' stata collocata in ogni chiesa del Paese.
L'annuncio ufficiale che l'Etopia consegnerà al mondo le chiavi del segreto millenario dell'Arca, verrà dato venerdì prossimo nel corso di una conferenza stampa alle 14 all'Hotel Aldrovandi a Roma dallo stesso Patriarca ortodosso d'Etiopia, insieme al principe Aklile Berhan Makonnen Haile Selassie, e al duca Amedeo D'Aosta, che sarà a Roma già domani mattina.
Secondo alcuni studi l'Arca venne trafugata da Gerusalemme dal figlio di re Salomone e portata ad Axum, considerata la Gerusalemme d'Etiopia. E proprio ad Axum sorgerà il Museo chiamato a ospitare l'Arca, il cui progetto è stato finanziato dalla Fondazione del principe, erede designato al trono da Haile Selassie poco prima di morire, Crhijecllu, acronimo delle iniziali dei nomi dei figli del principe: Christian, Jessica, Clarissa, Lucrezia.
Qualche settimana fa aveva fatto il giro del mondo la notizia secondo la quale sarebbe stata vista da un giornalista l'Arca autentica in una chiesa etiope. E' stato allora che il Patriarca Pauolos ha maturato la decisione di "dire una volta per tutte al mondo la verita'" sulla cassa di legno e oro con le Tavole della Legge di Dio. Il Patriarca ha giudicato maturi i tempi per chiudere definitivamente il capitolo sul quale fino ad ora nessuno storico, nessun ricercatore, nessun 'Indiana Jones', era riuscito a scrivere la parola fine.
Il Patriarca dell'antichissima Chiesa ortodossa d'Etiopia ha voluto accanto a sé in questa avventura il nipote dell'ultimo Negus, capo di una famiglia importane, il cui ruolo è riconosciuto sia in Etiopia che all'estero. Il principe erede che due anni fa riuscì a rappacificare le fazioni musulmana e cristiana al centro in Etiopia di un duro contrasto.
E' iniziato così il conto alla rovescia per svelare finalmente il mistero della sacra Arca dell'Alleanza, capace, secondo la leggenda, di sprigionare lampi di luce divini e folgori in grado di incenerire chiunque ne fosse colpito, come del resto efficacemente descritto nel cult movie 'I predatori dell'Arca perduta'. Dalla finzione cinematografica si passerà ora alla realtà.
Venerdì prossimo la conferenza stampa con l'annuncio ufficiale, un evento che è stato possibile anche grazie alla collaborazione di Paolo Salerno, collaboratore del principe e del giornalista Antonio Parisi, che da qualche anno segue le vicende storiche delle famiglie reali e di quella Etiope in particolare, e naturalmente dell'Arca dell'Alleanza.
Ma cos'è l'Arca dell'Alleanza , uno dei più grandi misteri dell'antichità sul quale fantasia, leggenda e storia hanno continuato a intrecciarsi per secoli? L'Arca, nella tradizione ebraica, contiene le Tavole della legge, cioè i Dieci comandamenti; il manufatto, in legno d'acacia, fu costruita da Mosè. All'esterno aveva decorazioni in oro ed è stata a lungo conservata dal popolo ebraico: ha accompagnato le sue vicissitudini, le battaglie e le sconfitte, le peregrinazioni e le lotte contro i filistei ed è stata conservata in diversi luoghi finché il Re Davide non l'ha collocata nella Rocca di Gerusalemme.
Ma è Salomone, figlio e successore di Davide, a far sistemare l'Arca nel Tempio di Gerusalemme da lui stesso fatto costruire. Questa narrazione s'intreccia poi con eventi storici e altre tradizioni religiose e nazionali. Di fatto l'Arca dell'Alleanza scompare nel 586 a.C. con la conquista di Gerusalemme da parte dei Babilonesi e la conseguente distruzione del tempio di Gerusalemme.
Tuttavia della sua effettiva rovina non c'è testimonianza scritta; da allora l'Arca diventa simbolo eternamente cercato dagli uomini e rintracciato in varie parti del mondo, dall'Africa al Medio Oriente. La tradizione etiope colloca l'Arca nel regno di Axum, dopo che Salomone l'aveva donata al figlio della Regina di Saba, Menelik I. Qui, sarebbe rimasta nel corso dei secoli protetta dai monaci ortodossi nella citta' santa di Lalibela nei pressi di Axum, dove si troverebbe tuttora.
L'Arca, che non è visibile a nessuno tranne un monaco che la custodisce, viene preservata nel complesso della cattedrale di Santa Maria di Sion, e' dunque nascosta a tutti e viene portata in processione una volta all'anno ma avvolta in un panno.
L'Arca ha accesso la fantasia di archeologi, scrittori, gruppi religiosi, sette di ogni tipo. Nella tradizione infatti si afferma che emana un potere particolare ma anche che chi la tocca veniva fulminato. Un oggetto che data anche la sua collocazione - Il Tempio di Gerusalemme - è stato di volta in volta al centro di storie legate alla Massoneria o ai Templari. Tuttavia va ricordato che sono molte in Etiopia le chiese nelle quali e' conservata un'''arca'', così come diversi studiosi - muovendosi spesso al limite del mistero e della leggenda - la collocano in varie parti del mondo.
Adnkronos

Vet një .......





Një gjakë...

një dhe...

një gjuhë...

një rrënjë...

një fjamurë...

një Besë !

Riposo meritato!!!

CHIESA ORTODOSSA ARBRESHE
PATRIARCATO DI MOSCA

La Parrocchia Ortodossa di
'San Giovanni di kronstadt' a Castrovillari (cs),
la Cappella Ortodossa di
'Santa Caterina Megalomartire' ad Acquaformosa (cs)
AUGURANO
a tutti i fedeli ortodossi
BUONE VACANZE !
P. Giovanni Capparelli

mercoledì 15 luglio 2009

Articolo tratto da: Articolo 21.info


Clandestini: Padre Poletti, “i leghisti non possono dirsi cristiani. Berlusconi? E’ un corruttore… scrivetelo!”


di Stefano Corradino

“Cacciare i clandestini? Io piuttosto mi faccio mettere in galera. Non ho mai chiesto né mai chiederò ad alcuno il permesso di soggiorno. Mi ispiro alla legge del Vangelo. Gesù era dalla parte dei poveri e dei diseredati, non dei potenti, e per questo è stato ucciso… Se dovessi denunciare un immigrato mi vergognerei come uomo. E come prete…” E’ proprio un sacerdote, Giorgio Poletti, padre comboniano di 67 anni, quello che con parole taglienti critica la parte del decreto sicurezza del governo sui clandestini. Padre Poletti, intervistato alcuni giorni fa sul quotidiano “Repubblica” spiegava le ragioni di una iniziativa promosso in tante città d’Italia.
“Permesso di soggiorno in nome di Dio”… Una iniziativa simbolica

Sì, ma che pone interrogativi seri: il rispetto per l’altro. Gli uomini sono “persone” o “cose”? Un operaio, una badante, un lavoratore della terra sono oggetti o soggetti? Come si fa a fare distinzioni tra gli esseri umani? E’ una questione di dignità. Dal punto di vista umano non posso non accogliere una persona che ha bisogno di aiuto.
Lei è uomo ma anche sacerdote

E la mia indignazione deriva proprio dalla Legge del Vangelo. E’ quella che mi ispira. Gesù è stato dalla parte dei poveri e per questo è stato ucciso, perché non era allineato con i potenti del tempo perchè criticava il potere teocratico. Economico, politico, religioso. Poteri che, oggi come ieri si coalizzano.
Lei lo sa che la sua posizione è piuttosto isolata nella Chiesa…

Lo so purtroppo. Il cattolicesimo oggi è malato di capitalismo. Di che dio parliamo? Il dio degli intrallazzi? Che fa contratti con chi sta al potere? Io non credo nel dio dei grandi apparati istituzionali e delle celebrazioni. Io credo nel Dio del Vangelo che accoglieva i diseredati non li cacciava.
La Chiesa ufficiale non ha più questa vocazione?

Purtroppo ha perso gran parte di questa carica profetica. E così i giovani, purtroppo, non credono più in noi preti. E si sono allineati con i poteri forti.
Quali poteri forti? Parla della politica?

Della politica e della società. Di questa società schizofrenica e ipocrita; mentre i messaggi del Vangelo sono inequivocabili.
Eppure chi ha propugnato questa Legge si dice “cristiano”Cristiano?

Chi? I leghisti? Come fanno, con questa ideologia a dirsi tali?
Anche il presidente del Consiglio

Chi? Papi? L'uomo i cui unici valori sono solo quelli legati alla competizione? Questo non è cristianesimo è l’antivangelo. Berlusconi è un corruttore della morale. Scrivetelo, non ho remore a dirlo…”
Le cita spesso il Vangelo Secondo Matteo. “Ero straniero e mi avete accolto”.

Lo straniero è l’altro, è in quanto “altro” è me stesso. Sono stato in Africa per 15 anni, in mezzo a due guerre civili e gli africani non mi hanno mai mancato di rispetto. Ho visto come le compagnie petrolifere anche italiane facevano interessi sporchi nelle raffinerie rubando il petrolio alla Nigeria. Eccola l’ipocrisia occidentale.
Un mese fa lei è stato in un centro di accoglienza temporanea a Lamezia Terme. Che impressione ha avuto?

Mi sono vergognato. Altro che accoglienza, quello è un carcere. Noi siamo solo capaci di costruire galere invece di fare politiche di inclusione.
Non è così frequente sentire un sacerdote esprimersi così. Obiettivamente è raro ascoltare parole così forti anche da esponenti politici più “radicali”

Ormai la parola d’ordine è “non disturbare il manovratore”
Se lei non denuncerà i “clandestini” denunceranno lei

Mi mettessero anche in galera. Io non manderò via nessuno e, nei limiti delle mie possibilità accoglierò tutti. Mai chiesto un permesso di soggiorno e mai lo farò. Mi vergognerei come uomo e come prete.
“Clandestini”. L’agenzia “Dire” e la rivista “Redattore Sociale” tempo fa lanciarono una campagna per non usare più questo termine.

Giustissima. Purtroppo la lingua esprime quello che siamo, la nostra visione della vita. Non esistono clandestini ma persone umane che hanno il diritto di vivere e di essere riconosciute ed aiutate. E con essi dobbiamo immaginare e progettare il futuro. E il mondo sarà migliore. Va organizzato e preparato in questo senso. Perché stiamo diventando vecchi. Rileggetevi “il Deserto di Tartari", quel grande capolavoro di Buzzati (o la trasposizione cinematografica) sulla condizione del quotidiano esistere e sulla condanna del tempo…
corradino@articolo21.info

martedì 14 luglio 2009

Dove si radunavano i primi cristiani?

Questo articolo preso da Zenit, il quotidiano online del Vaticano, spiega con accuratezza dove i primi cristiani convertiti da San Paolo si riunivano. Ma non soltanto quelli convertiti da San Paolo, probabilmente anche tutti i cristiani che abbracciavano il nuovo credo.
Quindi se noi ad Acquaformosa celebriamo la Divina Liturgia in una cucina, non avendo altro per le mani, non facciamo altro che solcare le orme di questi primi pionieri affamati della verità su Cristo. L'ortodossia nei paesi italo-albanesi, riprende a vivere dopo secoli di sonno profondo. Ma questo non per colpa del popolo, ma semplicemente perchè chi doveva dichiarare e raccontare la storia in forma di VERITA', non l'ha mai fatta. Il nostro popolo finalmente vede in lontananza uno spiraglio di luce, non bisogna far altro che seguire quasta luce e si arriverà a comprendere oltre quattro secoli di bugie. Il cammino è irto di pericoli, di fantasmi passati, di incomprensioni, di bugie ed altro, ma l'orgoglio di essere abresh, vincerà sututto e su tutti. (P. Giovanni Capparelli)

James Dunn spiega la struttura delle comunità cristiane al tempo di Paolo.

ROMA, martedì, 14 luglio 2009 (ZENIT.org).-
Riportiamo di seguito una intervista apparsa sul tredicesimo numero di Paulus (luglio 2009), dedicato al tema “Paolo l’architetto”.

* * *
James Dunn è attualmente uno degli esponenti di maggior spicco degli studi su san Paolo, nonché fondatore della corrente di studi detta “New Perspective”, termine da lui stesso coniato nel 1983. L’approccio alle Lettere e alla vita dell’Apostolo proposto dalla New Perspective rilegge in modo positivo il rapporto tra Paolo e il giudaismo, colto come preziosa eredità che egli non rigetta ma, anzi, ripropone, allacciandosi all’apertura universale e inclusiva tipica della tradizione profetica d’Israele. Abbiamo incontrato il professor Dunn ad Ariccia, in occasione dell’International Seminar on Saint Paul, per confrontarci in merito all’ecclesiologia dell’Apostolo.
Professor Dunn, ci aiuti a capire “l’architettura comunitaria” del cristianesimo delle origini.
«Probabilmente non è necessario far notare che, quando Paolo parla dei credenti corinzi che “si radunano in chiesa” (1Cor 11,18: en te ekklesía) non s’intendeva la “chiesa” come edificio, ma piuttosto come persone che si radunavano per essere chiesa, come chiesa [giustamente la traduzione CEI e la Nuovissima Versione traducono qui ekklesía con “assemblea”, NdR]. Considerate le connotazioni che più tardi sono venute ad accompagnarsi a “chiesa” (= “edificio”), potrebbe creare meno confusione usare parole come “adunanza”, “riunione”, “incontro”, “assemblea”. Detto ciò, è importante chiedersi: dove si radunavano i primi credenti nelle città della missione egea? E di che sistemazione facevano uso? Apriamo una parentesi: poiché la missione paolina cominciava, di solito, dalle sinagoghe della città in cui l’Apostolo era entrato, è utile notare quanto sappiamo sulle sinagoghe del I secolo nella diaspora occidentale. L’archeologia ha riportato alla luce diversi edifici sinagogali di quest’epoca in Italia, in Grecia e nell’Asia Minore, per esempio, a Ostia, il porto di Roma; a Stobi, in Macedonia; nell’isola egea di Delo; e a Priene, tra Efeso e Mileto. In molti casi, dove vi era una comunità giudaica significativa, venivano allestite come sinagoghe alcune case private».
Quindi anche i primi cristiani, quando si allontanarono dalla sinagoga, cominciarono a incontrarsi presso case private?
«L’archeologia non ha riportato alla luce alcuna struttura identificabile come “chiesa” e databile con sicurezza prima di un secolo o più dopo Paolo. Così dobbiamo supporre che i primi cristiani s’incontrassero o in case private o in locali più grandi, presi in affitto per l’occasione. Nessuna delle nostre fonti indica che la seconda alternativa sia la più realistica: il costo di una prenotazione sarebbe stato di là delle possibilità economiche dei primi piccoli gruppi di credenti. Inoltre, è difficile che le associazioni locali gradissero la presenza di “concorrenza” nei propri ambienti: difficile, ad esempio, che la proprietà di un tempio favorisse un raduno cristiano. La sola, ovvia conclusione è che i primi credenti s’incontrassero come “chiesa” nelle case l’uno dell’altro; e che il membro più ricco e la casa più grande fornissero un luogo regolare per l’incontro della “chiesa intera”, suddivisa in diverse “sotto-comunità”. Questa deduzione è confermata da vari riferimenti alle chiese domestiche presenti nelle lettere di Paolo e dal fatto che l’Apostolo si riferisce a Gaio come “ospite di tutta la comunità [ekklesía]” (Rm 16,23)».
L’archeologia fornisce qualche dato interessante in merito a queste abitazioni?
«Fortunatamente i siti di Ostia, Corinto ed Efeso ci hanno lasciato testimonianze significative, su cui si sta ancora lavorando, che ci forniscono una buona idea delle diverse tipologie di alloggi. L’attenzione degli studiosi è caduta per lo più sulle proprietà dei più agiati, che occupavano la maggior parte di un piccolo isolato all’interno di una rete di strade. Ma in alcuni luoghi – in particolare a Ostia – le rovine si estendono sopra il livello del primo piano e ci forniscono un’immagine migliore di quelli che dovevano essere piccoli appartamenti, o di una sola stanza, nei caseggiati popolari. Nicholas Purcell, nel suo articolo in The Oxford Classical Dictionary, riassume così la situazione: “Nel periodo imperiale, i caseggiati popolari a più piani, che solitamente erano conosciuti con il nome di insulae, davano alloggio a tutta la popolazione, eccettuata una minuscola frazione da Roma e da altre grandi città. Non tutte queste sistemazioni erano di bassa qualità; alcune erano situate in aree piacevoli, alcuni cenacula (appartamenti) erano sufficientemente grandi, quelli ai piani inferiori non erano scomodi... e molte persone di uno status sociale abbastanza elevato non potevano permettersi di meglio”».
Da quanto ci dice, si deve ipotizzare un contesto non particolarmente agiato e nemmeno molto ampio. Questa deduzione è corretta?
«Sì. Poiché la maggior parte dei gruppi di convertiti erano – probabilmente – di bassa estrazione sociale, privi d’istruzione e quindi d’influenza (cfr. 1Cor 1,26), dobbiamo supporre che si trovassero all’estremità inferiore della scala sociale. In altre parole, se le osservazioni di Purcell sono corrette, la maggior parte di loro viveva in caseggiati popolari, forse di diversi piani sopra il terreno. Possiamo presumere che alcuni raduni avessero luogo in questi “appartamenti”, o almeno in quelli più grandi, e vicini al livello della strada. Una “chiesa”, in una simile “casa”, era un piccolo gruppo composto fino a un massimo di dodici persone. Tuttavia, poiché la parola “casa” porta inevitabilmente con sé la connotazione di una proprietà più grande, sarebbe meglio fare riferimento a questi gruppi-cellule come a “chiese- appartamento”. Di nuovo, se Purcell ha ragione, anche i relativamente agiati Aquila e Priscilla non avrebbero potuto permettersi più di un appartamento abbastanza grande, al piano terra, all’interno di un isolato ampio. E la casa di Filemone a Colosse poteva ospitare un certo numero di ospiti, oltre ad alcuni schiavi. Forse, in alcuni casi, è possibile immaginare i cristiani che si radunano dentro abitazioni più spaziose, complete di atrium e sala da pranzo (triclinium), ipotizzando assemblee più grandi, ma “quanto” più grandi è questione dibattuta: le stime migliori arrivano a cinquanta persone».
In questo caso, come potevano radunarsi tutti insieme in una abitazione privata?
«S’ipotizza che, quando la chiesa si radunava per il pasto comune, non tutti fossero ospitati nel triclinium: un fatto che ci aiuterebbe a capire la sistemazione insoddisfacente che Paolo lamenta alla chiesa di Corinto (cfr. 1Cor 11,17-22.33s.). Comunque, le chiese domestiche più antiche dovevano essere abbastanza piccole... potevano ospitare dodici o venti persone. E anche quando “tutta la comunità-chiesa” presente in una città o in un quartiere riusciva a incontrarsi in un solo luogo, il numero dei presenti non doveva superare i quaranta-cinquanta, radunati non necessariamente in una singola stanza. Le dinamiche della vita ecclesiale, quindi, erano determinate anche dallo spazio fisico nel quale i cristiani potevano incontrarsi come chiesa. Ricordiamo che le dinamiche sociali dei piccoli gruppi sono molto diverse da quelle di assemblee con centinaia o persino migliaia di partecipanti come avviene oggi. Pertanto anche la teologia che li accompagna tiene conto di questi fattori molto più di quanto non avvenga di solito. Oggi ci dovremmo preoccupare non tanto che le nostre chiese-comunità sono troppo piccole, ma che sono troppo grandi!».
Colpisce il fatto che Paolo, parlando della Chiesa, utilizzi un’immagine significativa come quella del “corpo” di Cristo (Rm 12,5; 1Cor 12,12.27): dunque qualcosa di vivo, non solo un tempio o un edificio. Secondo lei qual è la portata di questa metafora?
«La metafora del corpo è l’espressione vitale dell’unità di una comunità, nonostante la diversità dei suoi membri. L’immagine della città o dello Stato come un corpo – noi inglesi usiamo ancora l’espressione body politic – era già familiare alla filosofia politica del tempo. L’esempio più conosciuto è il famoso apologo di Menenio Agrippa, a noi riportato da Livio e da Epitteto: il punto essenziale affermatovi è che plebe e patrizi non possono smettere di cooperare gli uni con gli altri. Sarebbe come se gli arti di un corpo rifiutassero di cooperare con l’insieme... i risultati sarebbero disastrosi per entrambi! L’esposizione di Paolo in 1Cor 12,14-26 rievoca le preoccupazioni di quell’apologo. Anche l’assemblea cristiana è un corpo, come lo Stato: funziona solo se i diversi membri agiscono in armoniosa interdipendenza. C’è, però, una significativa differenza rispetto allo Stato: il suo tratto distintivo e identificativo è il fatto di essere corpo di Cristo. Paolo, in altri termini, sposta l’accento all’interno della metafora: l’immagine corporativa della comunità cristiana non è più lo Stato nazionale (l’Israele storico), ma l’assemblea cittadina. L’identità dell’assemblea cristiana come “corpo” non è data dalla collocazione geografica o dalla lealtà politica né da razza, posizione sociale o genere. Essa si fonda nella comune fedeltà a Cristo, espressa visibilmente – non da ultimo – dal battesimo nel suo nome e dalla condivisione sacramentale del suo corpo».
Giacomo Perego

lunedì 13 luglio 2009

Dalla Chiesa Ortodossa Bulgara


Bulgaria - Il Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa
Sofia - Il sito ufficiale della Chiesa Ortodossa Bulgara, citato da Bogoslov.ru, ha annunciato che il Santo Sinodo ha rifiutato di inviare delegati alla prossima sessione plenaria della Commissione mista internazionale cattolica-ortodossa per il dialogo teologico, che si terrà a Cipro dal 16 al 23 ottobre 2009. Il Santo Sinodo della Chiesa bulgara, l’8 luglio ha esaminato l'invito a partecipare a questa sessione del dialogo inviato dal Patriarcato di Costantinopoli, e ha dato una risposta negativa. La partecipazione della Chiesa bulgara ai lavori della Commissione mista internazionale è stata ritenuta "inappropriata". Nell'ultima riunione a Ravenna, nel mese di ottobre 2007, la delegazione della Chiesa ortodossa russa è stata costretta ad abbandonare le riunioni a causa di controversie con i rappresentanti del Patriarcato di Costantinopoli sulla composizione delle delegazioni ortodosse. (fonte: www.egliserusse.eu)

Dal sito amico:Eleousa.net

sabato 11 luglio 2009

COME COMPORTARSI CON RISPETTO IN UNA CHIESA ORTODOSSA

L'interno di un tempio ortodosso, accuratamente predisposto per riflettere il cielo sulla terra, richiama tutti coloro che vi entrano (siano essi fedeli assidui o semplici visitatori) a un comportamento riverente e adeguato alla santità del luogo.
Quelle che seguono non sono norme fisse e vincolanti, ma una guida per promuovere l'ordine e il decoro nella chiesa. Poiché i suggerimenti provengono per la maggior parte da chiese di tradizione russa, è opportuno notare come in altre tradizioni locali vi siano usanze leggermente differenti.
I consigli sono rivolti a una persona che entra in una chiesa ortodossa alla ricerca di un punto di rifugio dalle intemperie della vita: idealmente, si tratta di ciascuno di noi. _________________
Atteggiamento interiore ed esteriore
Entra nel tempio con un senso di gioia spirituale. Sei di fronte a Colui che promise di dare conforto agli afflitti: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò." (Matteo 11:28). Entra con mitezza, nello spirito del pubblicano del Vangelo, che uscì dal tempio giustificato. Mentre contempli il Volto del Signore e dei santi nelle icone, ricorda come allo stesso tempo essi ti stanno guardando.
Partecipazione
Anche se sei solo in visita occasionale, prega nel tempio come un pieno partecipante, e non come un mero spettatore. Così le preghiere che vengono lette e cantate proverranno anche dal tuo cuore. Segui con attenzione le funzioni, e la tua preghiera non sarà solo personale, ma si unirà alla grande preghiera dell'intera Chiesa di Cristo. Ricorda che le funzioni non sono un tempo per la preghiera privata, ma per la condivisione della grande preghiera della Chiesa.
Orario di arrivo
Cerca di arrivare sempre in tempo, prima dell'inizio delle funzioni. Arrivare in ritardo può capitare e talvolta capita, ma non è certo qualcosa di cui andare fieri. Se, per qualche ragione di forza maggiore, sei in ritardo, abbi cura di non interferire con le preghiere di chi è entrato prima di te. Se arrivi proprio durante la lettura dell'Epistola o del Vangelo, è bene attendere fino alla fine della lettura per entrare o muoverti. Se arrivi prima della funzione, puoi passare il tempo a prepararti interiormente per la funzione: a un certo punto della Divina Liturgia, durante l'Inno dei Cherubini, ti verrà chiesto di "deporre ogni affanno della vita."
Entrando nel tempio
All'ingresso nel tempio, fatti il segno della croce per tre volte, accompagnando ogni volta il segno di croce con un inchino fino alla cintola. Esistono diverse formule che accompagnano i tre segni di croce, basate sulla preghiera del pubblicano del Vangelo, accompagnate da richieste di intercessione alla Madre di Dio e ai Santi: queste ti ricordano che ti stai preparando essenzialmente a un incontro.
Dopo l'ingresso
Non fermarti di fronte all'entrata, per non bloccare la strada degli altri che entrano per pregare. Muoviti con tranquillità e naturalezza: in un tempio ortodosso puoi andare a occupare il posto che desideri, e se lo vuoi puoi anche cambiare posto nel corso della funzione. Ricorda soltanto che, se passi di fronte alle Porte Sante dell'iconostasi, è bene fermarti un attimo e fare il segno della croce.
Incontri e conversazioni
Quando arrivi, saluta gli amici in silenzio, con un sorriso, un cenno del capo o un inchino. Nella chiesa, evita le strette di mano o gesti simili, anche con amici o parenti stretti, e non metterti a conversare con loro. Vi sono alcuni gesti permissibili in società, che in chiesa diventano quanto mai equivoci: un esempio è baciare la mano alle donne, che si confonde con i gesti di venerazione degli oggetti sacri, e che si dovrebbe assolutamente evitare. Se è necessario parlare (per esempio per chiedere informazioni o assistenza), cerca di farlo con il minimo di disturbo.
Uomini e donne
Secondo un antico costume, uomini e donne occupano nel tempio posti separati. A seconda della disposizione architettonica del tempio, e di usi locali, potrai trovare le donne sulla sinistra e gli uomini sulla destra, oppure le donne sul retro e gli uomini di fronte. Cerca di adeguarti anche tu a questa disposizione.
Vestiti
La Chiesa ortodossa è solitamente piuttosto severa in tema di abbigliamento dei fedeli. Oltre alle comprensibili raccomandazioni sulla modestia e decenza del vestiario (in chiesa non si va per suscitare curiosità e attrattiva fisica), ci sono due importanti regole bibliche da seguire: - Le donne non dovrebbero vestirsi con indumenti maschili, e viceversa (Deuteronomio 22,5): questa è una ragione per cui in molte chiese ortodosse, anche in Occidente, una donna che porta i calzoni si considera vestita in modo sconveniente. - Le donne dovrebbero coprirsi il capo in chiesa, e gli uomini dovrebbero restare a capo scoperto (I Corinzi 11,5). Fanno eccezione i copricapi dei monaci e del clero: questi hanno significati simbolici, e quanti li indossano devono ricevere speciali benedizioni.
Postura
Nel tempio dovresti di norma stare in piedi. In caso di malattia o di stanchezza, ti è permesso sedere. I posti per le persone malate o anziane sono talvolta limitati, per cui abbi cura che ne possa usufruire anche chi ne ha più bisogno di te. Se ti siedi, abbi cura di rimanere in una posizione composta, ed evita di incrociare le gambe. Non passare il tempo a osservare o scrutare cosa fanno gli altri. Oltre che a evitare di farti esprimere giudizi, questa disciplina ti aiuterà a concentrarti sulle funzioni, e con tutta la complessità dei riti e dell'iconografia non avrai certo tempo di annoiarti.
Bambini
Se porti bambini alle funzioni, assicurati che si comportino con tranquillità, e senza fare rumore (il miglior modo è offrire loro un buon esempio: ricorda che i bambini imitano istintivamente l'atteggiamento degli adulti che li accompagnano). Se i bambini si mettono a piangere o non riescono a stare in silenzio, accompagnali tranquillamente fuori. Insegna loro a rispettare il tempio, segnandosi all'ingresso e all'uscita, e istruiscili nella pratica della preghiera. Non permettere ai bambini di mangiare o bere qualcosa all'interno del tempio: l'eccezione è costituita ovviamente dalla Santa Comunione e dal pane benedetto distribuito dopo la Liturgia. Questa regola non vale solo per i bambini, e va rispettata per sottolineare l'importanza del nutrimento dello spirito.
Icone
Dopo i segni della croce all'ingresso, puoi andare a venerare le icone. Tipicamente l'icona viene venerata con un bacio, anche se tra alcuni popoli è consuetudine anche appoggiare la fronte all'icona dopo averla baciata. Per ovvie ragioni, è opportuno che nel tempio le donne non portino rossetto sulle labbra! Il punto preciso del bacio dipende dal tipo di icona, ma preferibilmente dovrebbe coincidere con il luogo dove ci si aspetta un bacio rituale (la mano di Cristo, un libro dei Vangeli, l'orlo di una veste); per questa ragione, nelle icone non si baciano di solito i volti. Di solito, si venera l'icona del Santo patrono o della festa del giorno, posta su di un analoghio (leggìo) nel mezzo del tempio, e quindi le icone di Cristo e della Madre di Dio. Nulla ti vieta, comunque, di andare a venerare icone di tua scelta. Se al momento del tuo arrivo la funzione è già iniziata, può essere meglio che tu ti astenga dall'andare a venerare le icone, perché a questo punto il tuo passaggio in mezzo agli altri fedeli può disturbare la loro preghiera. Dopo aver venerato le icone, puoi seguire l'antico costume di chiedere perdono ai presenti, inclusi gli angeli che sono già tra loro. Anche senza chiedere esplicitamente perdono, è sufficiente fare un inchino fino alla cintola, portando la mano destra a terra. Se sei nella congregazione mentre qualcuno si inchina a chiederti perdono, inchinati a tua volta, ripetendo il suo gesto: è il modo in cui i fedeli accolgono la richiesta di perdono, rivolgendosi a Dio come alla fonte di ogni perdono.
Candele
Prepara prima di arrivare alla funzione il denaro che offrirai per le candele: eviterai di fare rumore e di causare distrazioni. Dopo avere lasciato l'offerta, prendi le candele, che potrai accendere di fronte all'icona che desideri. Abbi cura, se vedi tante candele già accese in un certo punto, di non accumularne troppe una vicino all'altra (il calore le farebbe fondere e piegare tutte assieme, con scarso effetto estetico e un reale pericolo di incendio).
Offerte
Come per le candele, è bene preparare in anticipo il denaro per tutto quanto è d'uso offrire nella chiesa (per le liste dei viventi e dei defunti da commemorare, per le piccole prosfore che si accompagnano alle liste dei nomi nell'uso russo, per la questua, etc.). Mettersi a contrattare per cambiare denaro nel tempio del Signore non è proprio un comportamento adatto ai cristiani... Se hai altre questioni monetarie in sospeso con la chiesa (pagamento di quote parrocchiali, offerte per speciali intenzioni, e così via), cerca di non risolverle in alcun modo durante le funzioni.
Gesti rituali
Segui le funzioni con il tuo corpo non meno che con la tua mente. La pietà ortodossa è ricca di azioni che coinvolgono nel culto tutta la persona. Segnati ogni volta che senti il nome della Santa Trinità o qualche preghiera che ti coinvolge in modo personale. Agli incensamenti e nelle benedizioni che il prete fa con la mano, la risposta appropriata è inchinarsi al prete: in questi casi, segnarsi non è necessario. Ci si segna invece quando il prete benedice con qualche oggetto (la croce, il libro dei Vangeli, il calice con i Santi Doni, etc.). Se servi come lettore o corista, non hai l'obbligo di segnarti se tale azione ti può causare disturbo alla lettura o al canto.
Errori
Non condannare gli errori fatti dai celebranti o dagli altri fedeli, anche se ti capita di notare un atteggiamento sconveniente (se entriamo nel tempio per chiedere a Dio di perdonare i nostri peccati, non è salutare fissarci su quelli altrui). Se proprio devi cercare di porre rimedio a una situazione di grande inadempienza, cerca di farlo dopo la fine delle funzioni, e in modo quanto più riservato possibile.
Momenti di particolare riverenza
Vi sono alcune parti delle funzioni in cui è bene evitare del tutto i movimenti che possono creare intralcio o distrazione: bisogna cercare di non entrare o uscire dal tempio, muoversi, accendere o spegnere candele o venerare icone durante i seguenti momenti: Grande Veglia 1. Piccolo ingresso (con il turibolo) 2. Lettura dell'Esapsalmo 3. Ingresso con il Vangelo e lettura del Vangelo Aurorale 4. Canto del Magnificat ("Più insigne dei Cherubini..." ) e della Grande Dossologia Divina Liturgia 1. Piccolo Ingresso (con il Vangelo) 2. Lettura dell'Apostolo e del Vangelo 3. Canto dei Cherubini e Grande Ingresso (con i Santi Doni) 4. Canto del Credo e Canone Eucaristico (che inizia con Misericordia di Pace..." e termina con la benedizione del prete "E siano le misericordie..."). 5. Canto del Padre Nostro. 6. Lettura della preghiera prima della comunione: "Credo, Signore, e confesso..."
La Santa Comunione
Accostati con grande rispetto alla Santa Comunione, nell'atteggiamento richiesto nella chiesa dove ti comunichi (nelle chiese di tradizione russa, tieni le mani incrociate sul petto). Se, dopo aver ricevuto la comunione, ti viene chiesto di baciare il calice, fallo senza segnarti, per non rischiare di capovolgerlo incidentalmente. Coloro che si comunicano dovrebbero rimanere nel tempio mentre vengono lette le preghiere di ringraziamento per la comunione, dopo la Liturgia. Se per ragioni di forza maggiore non possono restare, sono comunque tenuti a recitare in privato le preghiere di ringraziamento.
L'antidoro
Quando ricevi l'antidoro (il pane benedetto) dopo la Liturgia, abbi cura di non spargerne a terra delle briciole, e se accompagni dei bambini a ricevere l'antidoro, presta particolare attenzione a che non lo facciano cadere. Puoi chiedere di portare a casa uno o più pezzi di antidoro, per dividerli con la tua famiglia: in tal caso cerca di avere un fazzoletto pulito o un altro recipiente adatto a contenere l'antidoro, e se puoi aspetta che tutti abbiano ricevuto il proprio pezzo (soprattutto quando i fedeli sono tanti), in modo da non privare qualcuno della propria parte.
Dopo la funzione
Se non c'è una necessità estrema, non lasciare il tempio prima della fine della funzione. Il silenzio che dovrebbe accompagnare lo svolgimento di una funzione dovrebbe essere mantenuto anche dopo la conclusione, per lo meno finché i fedeli vanno in fila a venerare la croce e, nel caso della Liturgia, a ricevere l'Antidoro. Durante questo momento, è stabilito che un lettore legga le preghiere di ringraziamento dopo la comunione: siccome queste preghiere sono recitate e non cantate, il rumore di una conversazione è in tale occasione ancora più fastidioso. Spesso le funzioni ortodosse prevedono, dopo il termine della preghiera, un momento di aggregazione sociale: rimanda a tale momento tutte le tue necessità di incontri e conversazioni mondane.
Dal sito del nostro Ieromonaco P. Ambrogio di Torino