domenica 30 agosto 2009
venerdì 28 agosto 2009
Questione religiosa in Turchia
Visita a sorpresa del premier turco a Bartolomeo I.
Ma come altri gesti distensivi del passato,
anche questo rischia di rimanere senza seguito.
di Sandro Magister
ROMA, 27 agosto 2009 –
Samuel Huntington definì la Turchia "un Giano bifronte", non sai mai se amico o avversario dell'occidente.Il medesimo pensiero deve essersi affacciato nella mente di Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli, nell'accogliere il 15 agosto scorso il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan in visita all'orfanotrofio e al monastero di San Giorgio di Kudunas sull'Isola dei Principi, nel Mar di Marmara.Era la prima volta che un primo ministro turco si recava nell'Isola dei Principi, tradizionalmente abitata da cristiani, e in un edificio, l'orfanotrofio, la cui proprietà, requisita dalle autorità turche, è stata attribuita al patriarcato ecumenico dalla corte di Strasburgo nel giugno del 2008.Nel corso della visita Erdogan, accompagnato da quattro suoi ministri, ha pranzato con Bartolomeo I e con i rappresentanti delle minoranze religiose in Turchia – greci, armeni, ebrei, siro ortodossi e cattolici – ai quali ha assicurato garanzie contro ogni discriminazione religiosa ed etnica."Il mio prossimo va incontrato con amore perché è anch'esso creatura di Dio", ha detto Erdogan citando una massima di una confraternita sciita, quella dei mevlevi, sorta a Iconio nel XIII secolo con alcune particolarità riprese dal cristianesimo.Richiesto di un commento, Bartolomeo I ha detto ad Asia News: "La presenza di Erdogan ci ha onorato e ci è stata data l’occasione di esporre direttamente i nostri problemi, benché lui ne sia già a conoscenza. Abbiamo invitato il primo ministro alla sede del patriarcato ecumenico e a Halki, ed Erdogan ha ringraziato per l’invito":Halki è un'altra isola in cui ha sede il seminario di formazione teologica del patriarcato ecumenico, chiuso dalle autorità turche nel 1971. Lo scorso 10 giugno, a Bruxelles, Oli Rehn, responsabile per l’allargamento dell'Unione Europea e quindi per un eventuale ingresso della Turchia, ha dichiarato che tale ingresso è subordinato anche alla riapertura di Halki.Entro dicembre del 2009 Erdogan dovrà presentare alle autorità di Bruxelles un resoconto dei progressi compiuti dalla Turchia nell'adeguarsi agli standard necessari per l'ingresso nell'Unione. Per il patriarcato, questo è un motivo in più per sperare che finalmente il seminario teologico di Halki riapra e ritorni alle sue funzioni.Purtroppo, però, è avvenuto più volte che "Giano" abbia rovesciato le attese, mostrando a questa e alle altre minoranze religiose della Turchia il suo volto non amico ma ostile.Per quanto riguarda il patriarcato, ad esempio, lo Stato turco continua a non riconoscergli la sua "ecumenicità" religiosa. Lo tratta alla stregua di un ente locale adibito al culto dei greco ortodossi, retto da un capo che deve essere cittadino turco dalla nascita, privo di personalità giuridica e quindi anche di diritti di proprietà. L'annichilimento del patriarcato – che oggi in Turchia è ridotto a poco più di 3000 fedeli – non ha sinora fatto intravvedere alcuna seria inversione di marcia.Questo vale anche per le altre minoranze cristiane. La comunità più cospicua, quella degli armeni, è stata falcidiata meno di un secolo fa da un genocidio che le autorità di Ankara rifiutano di riconoscere, e oggi ne rimangono poche decine di migliaia, su una popolazione di oltre 70 milioni di abitanti quasi tutti musulmani. I cattolici sono circa 25 mila, con sei vescovi, i siro ortodossi 10 mila, i protestanti di varie denominazioni 3 mila.Come Erdogan, ma non per le stesse ragioni, tutte queste minoranze religiose confidano ardentemente in un ingresso della Turchia nell'Unione Europea. Per esse, tale ingresso comporterebbe il riconoscimento di uno spazio di libertà che in caso contrario temono continuerà ad essere assai compresso.Nella stessa Europa, però, queste loro ragioni ricevono scarsa considerazione. Vi sono governi, tra cui l'italiano e il tedesco, favorevoli all'ingresso della Turchia nell'Unione mentre altri, come quello francese, sono contrari. Sia i primi che i secondi ragionano comunque in termini di interesse nazionale. I calcoli sugli oleodotti e i gasdotti che provengono dai paesi dell'Asia centrale di lingua turca e di religione musulmana, passando dalla Turchia, hanno la preminenza rispetto a quelli riguardanti la libertà religiosa.
mercoledì 26 agosto 2009
Articolo estratto da: "Il Sussudiario.net"
Roberto Fontolan
giovedì 20 agosto 2009
Quando si attraversa la “frontiera” tra la repubblica di Cipro e il territorio settentrionale dell’isola occupato dal 1974 dalla Turchia - una frontiera fittizia ma reale - viene un colpo al cuore. D’improvviso il cristianesimo con i suoi segni visibili, le chiese, i cimiteri, i monasteri, scompare. Al suo posto, solo rovine. Muri scrostati, tombe divelte, ammassi di mattoni. Tutto è morto, una civiltà sepolta in pochi decenni. Non c’è più nemmeno il furore della distruzione pianificata, ma semplicemente l’abbandono. L’inesistenza.
Chi ti accompagna dice: ecco quella era la mia casa (vorrebbe dire “è la mia casa”, ma poi si rassegna: è perduta per sempre), qui sono stato battezzato, là era la tomba del nonno. Le “autorità” della sedicente repubblica turca di Cipro (riconosciuta solo dalla nazione-madre Turchia) affermano che il motivo per cui le chiese vanno in rovina è che non ci sono più cristiani, dunque…
Già, saranno ancora in qualche migliaio, maroniti per lo più, abbarbicati in due o tre villaggi. Erano oltre duecentomila prima del 1974, tutti fuggiti al sud nello spazio di poche ore. Da allora il tempo per i cristiani ciprioti si è fermato, anche per quelli del sud: un terzo della loro terra, terra che condividevano con la minoranza turco-cipriota, è irrimediabilmente occupato: quarantamila soldati turchi e centocinquantamila “coloni” fatti arrivare dall’Anatolia.
E così nel bel mezzo del Mediterraneo, nell’Europa dei diritti e delle libertà, si consuma nel silenzio generale (nelle nostre capitali ci sono più amici della Turchia che di Cipro) il delitto dell’assassinio del cristianesimo (e perciò dei diritti e delle libertà). Certo in tutti questi anni i greco-ciprioti hanno avuto il tempo di pensare anche a tutti i loro errori politici e strategici commessi in un periodo storico caotico e febbrile, dalla guerra per l’indipendenza dalla Gran Bretagna alla presidenza dell’arcivescovo Makarios: chi non ha errori di cui rimproverarsi?
Ma resta il fatto che nell’ultimo anno i due presidenti, quello legittimo cipriota e quello autoproclamato del nord, si sono incontrati oltre quaranta volte senza alcun risultato. Nei circoli cristiani si è anzi convinti che “quelli non molleranno mai, il tempo è dalla loro parte, non fanno più la guerra con i cannoni e le stragi ma con la demografia: prima o poi scompariremo anche da qui”.
Lo scorso anno per migliaia di persone la mostra del Meeting di Rimini sulle chiese distrutte nel nord di Cipro fu uno shock, una tragica scoperta. Quest’anno un’altra mostra documenta le opere d’arte trafugate da quelle chiese e salvate tra mille peripezie, magari venti anni dopo. Strenua testimonianza di una lotta per non morire, segnali di un grido aiuto, monito per chi volta la testa dall’altra parte.
martedì 25 agosto 2009
FESTA DELLA DORMIZIONE (28.08.2009 - calendario giuliano)
(Russia, Ucraina, Serbia, Bulgaria, ecc.) festeggeranno la Dormizione della Madre di Dio,
la sempre Vergine Maria. Festa che tutte le altre Chiese con il calendario gregoriano (tra cui molte Chiese Ortodosse, Grecia, romania ecc.) hanno festeggiato il 15 (Ferragosto).
Anche la nostra Chiesa Ortodossa Arbreshe che fa capo al Patriarcato di Mosca, celebrerà
la festa in questo giorno. Il Santo Vespro verrà officiato giovedì 27, vigilia della festa,
alle ore 17.00 presso la Cappella Ortodossa di Santa Caterina.
In greco:
En di ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en di kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.
lunedì 24 agosto 2009
Esiste “un diritto umano a essere accolti e soccorsi”
Parla il Presidente del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti
ROMA, domenica, 23 agosto 2009 (ZENIT.org).-
Esiste “un diritto umano a essere accolti e soccorsi”. E’ quanto ha detto l'Arcivescovo Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, in seguito alla tragedia verificatasi nel canale di Sicilia.
Questo diritto, ha sottolineato con forza il presule in una intervista alla Radio Vaticana, “si accentua in situazioni di estrema necessità, come per esempio l'essere in balia delle onde del mare”.
Il 20 agosto 5 eritrei sono arrivati al largo di Lampedusa dopo essere rimasti per una ventina di giorni in balia delle onde, mentre gli altri 73 inizialmente presenti sul gommone sarebbero dati per dispersi.
Per mons. Vegliò, “se da una parte è importante sorvegliare tratti di mare e prendere iniziative umanitarie, è legittimo il diritto degli Stati a gestire e regolare le migrazioni”.
Tuttavia, ha osservato l’Arcivescovo, si dovrebbero “armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati”.
“Certamente — ha ammesso il presule — le nostre società cosiddette civili, in realtà hanno sviluppato sentimenti di rifiuto dello straniero, originati non solo da una non conoscenza dell'altro, ma anche da un senso di egoismo per cui non si vuole condividere con lo straniero ciò che si ha”.
Purtroppo, ha fatto notare, “i numeri continuano a crescere: infatti, secondo le ultime statistiche, dal 1988 a oggi il numero di potenziali migranti naufragati o vittime alle frontiere dell'Europa ha contato oltre 14.660 morti”.
Gli immigrati sono esseri umani
Postato da Leoluca Orlando
giovedì 20 agosto 2009
Kanone Parakletico a Santa Caterina Megalomartire
Ευλογήσαντος του Ιερέως αρχόμεθα του ψαλμούΨαλμός
ΡΜΒ`. 142.
Κύριε, εισάκουσον της προσευχής μου, ενώτισαι την δέησίνμου εν τη αληθεία σου, εισάκουσόν μου εν τη δικαιοσύνη σου.Και μη εισέλθης εις κρίσιν μετά του δούλου σου, ότι ουδικαιωθήσεται ενώπιόν σου πας ζων. Ότι κατεδίωξεν ο εχθρόςτην ψυχήν μου, εταπείνωσεν εις γην την ζωήν μου. Εκάθισέ μεεν σκοτεινοίς, ως νεκρούς αιώνος, και ηκηδίασεν επ` εμέ τοπνεύμά μου, εν εμοί εταράχθη η καρδία μου. Εμνήσθην ημερώναρχαίων, εμελέτησα εν πάσι τοις έργοις σου, εν ποιήμασι τωνχειρών σου εμελέτων. Διεπέτασα προς σε τας χείρας μου, ηψυχή μου ως γη άνυδρός σοι. Ταχύ εισάκουσόν μου, Κύριε,εξέλιπε το πνεύμά μου. Μη αποστρέψης το πρόσωπόν σου απ`εμού, και ομοιωθήσομαι τοις καταβαίνουσιν εις λάκκον.Ακουστόν ποίησόν μοι το πρω`ί το έλεός σου, ότι επί σοίήλπισα. Γνώρισόν μοι, Κύριε, οδόν, εν η πορεύσομαι, ότι προςσε ήρα την ψυχήν μου. Εξελού με εκ των εχθρών μου, Κύριε,προς σε κατέφυγον. Δίδαξόν με του ποιείν το θέλημά σου, ότισυ ει ο Θεός μου. Το Πνεύμα σου το αγαθόν οδηγήσει με εν γηευθεία. Ένεκεν του ονόματός σου, Κύριε, ζήσεις με. Εν τηδικαιοσύνη σου εξάξεις εκ θλίψεως την ψυχήν μου, και εν τωελέει σου εξολοθρεύσεις τους εχθρούς μου. Και απολείς πάνταςτους θλίβοντας την ψυχήν μου, ότι εγώ δούλος σου ειμί.
Ευθύς εις ήχον δ’.
Θεός Κύριος και επέφανεν ημίν, ευλογημένος ο ερχόμενος ενονόματι Κυρίου. (τετράκις).
Είτα το Τροπάριον. Ήχος δ’.
Ο Υψωθείς εν τω Σταυρώ.Τη πολυσόφω και κλυτή Αθληφόρω, Αικατερίνη τη τουΚτίσαντος νύμφη, προσέλθωμεν οι πάσχοντες βοώντες εκψυχής. Μάρτυς αξιάγαστε, εξελού τους σους δούλους, τηςπαρούσης θλίψεως, και μελλούσης ανάγκης. Συ γαρ μεγίστηνέχεις προς Χριστόν, και παρρησίαν, σεμνή και οικείωσιν.
Θεοτοκίον.
Ου σιωπήσωμεν ποτέ Θεοτόκε, τας δυναστείας σου λαλείνοι ανάξιοι. Ειμή γαρ συ προ’ί’στασο πρεσβέύουσα, τις ημάςερρύσατο εκ τοσούτων κινδύνων; Τις δε διεφύλαξεν έως νυνελευθέρους; Ουκ αποστώμεν Δέσποινα εκ σου, σους γαρδούλους σώζεις αεί εκ παντοίων δεινών.
Είτα τον Ν’ Ψαλμόν.
Ελέησόν με ο Θεός κατά το μέγα έλεός σου, και κατά τοπλήθος των οικτιρμών σου εξάλειψον το ανόμημά μου. Επίπλείον πλύνον με από της ανομίας μου, και από της αμαρτίαςμου καθάρισόν με. Ότι την ανομίαν μου εγώ γινώσκω, και ηαμαρτία μου ενώπιόν μου εστί δια παντός. Σοι μόνω ήμαρτον,και το πονηρόν ενώπιόν σου εποίησα, όπως αν δικαιωθής εντοις λόγοις σου, και νικήσης εν τω κρίνεσθαί σε. Ιδού γαρ ενανομίαις συνελήφθην, και εν αμαρτίαις εκίσσησέ με η μήτηρμου. Ιδού γαρ αλήθειαν ηγάπησας, τα άδηλα και τα κρύφια τηςσοφίας σου εδήλωσάς μοι. Ραντιείς με υσσώπω καικαθαρισθήσομαι, πλυνείς με, και υπέρ χιόνα λευκανθήσομαι.Ακουτιείς μοι αγαλλίασιν και ευφροσύνην, αγαλλιάσονται οστέατεταπεινωμένα. Απόστρεψον το πρόσωπόν σου από τωναμαρτιών μου, και πάσας τας ανομίας μου εξάλειψον. Καρδίανκαθαράν κτίσον εν εμοί, ο Θεός, και πνεύμα ευθές εγκαίνισον εντοις εγκάτοις μου. Μη απορρίψης με από του προσώπου σου,και το πνεύμα σου το Άγιον μη αντανέλης απ’ εμού. Απόδοςμοι την αγαλλίασιν του σωτηρίου σου, και Πνεύματι ηγεμονικώστήριξόν με. Διδάξω ανόμους τας οδούς σου, και ασεβείς επί σεεπιστρέψουσι. Ρύσαι με εξ αιμάτων ο Θεός, ο Θεός τηςσωτηρίας μου, αγαλλιάσεται η γλώσσα μου την δικαιοσύνηνσου. Κύριε, τα χείλη μου ανοίξεις, και το στόμα μου αναγγελείτην αίνεσίν σου. Ότι, ει ηθέλησας θυσίαν έδωκα αν,ολοκαυτώματα ουκ ευδοκήσεις. Θυσία τω Θεώ πνεύμασυντετριμμένον, καρδίαν συντετριμμένην, και τεταπεινωμένην οΘεός ουκ εξουδενώσει. Αγάθυνον, Κύριε, εν τη ευδοκία σου τηνΣιών και οικοδομηθήτω τα τείχη Ιερουσαλήμ. Τότε ευδοκήσειςθυσίαν δικαιοσύνης, αναφοράν και ολοκαυτώματα. Τότεανοίσουσιν επί το θυσιαστήριόν σου μόσχους.
Είτα αρχόμεθα του κανόνος.Αικατερίνης σωθείημεν πρεσβείαις. Αμήν.
Ωδή α’. Ήχος πλ. δ’. Υγράν διοδεύσας.
Aκήρατε νύμφη του Ιησού, πρόσχες ουρανόθεν, και ενώτισαιτας φωνάς, των πίστει θερμή σοι προσιόντων, Αικατερίνα καιδος τα αιτήματα.
Ιλέω σου όμματι ευμενώς, ίδε καλλιμάρτυς, της ψυχής μουτην συντριβήν, και όρεξον χείρα βοηθείας, Αικατερίνα τω σοι ατενίζοντι.
Κενώσας οργίλως ο δυσμενής , τη ψυχή μου Κόρη, τηνπικρίαν των ηδονών, νεκρόν με κατέστησεν αθλίως, αλλ’ενιστάσα συ Μάρτυς με ζώωσον.
Θεοτοκίον.
Αγνείας ταμείον θεοειδές, και δικαιοσύνης, πρυτανείονφωτολαμπές, Αγνή θεοχώρητε Παρθένε, αγίασόν μου και σώμακαι έννοιαν.
Ωδή γ’. Συ ει το στερέωμα.
Τείχος οχυρώτατον, Αικατερίνα πανθαύμαστε, γενού ημίν,τοις προσδεχομένοις, την θερμήν σου αντίληψιν.
Έξαρον την θλίψιν μου, και την πικρίαν των πόνων μου, ειςαληθή, χαρμονήν μετάθες, και γλυκείαν ανάψυξιν.
Ρώσιν πολυπόθητον, τοις ασθενέσι χορήγησον, νύμφηΧριστού, και τοις τεθλιμμένοις, την τερπνήν αγαλλίασιν.
Θεοτοκίον
Ίασιν και λύτρωσιν, ευλογημένη Πανάμωμε, δίδου ημίν, τοιςυμνολογούσι, της σης δόξης το μέγεθος.
Διάσωσον Παρθενομάρτυς του ψόγου Αικατερίνα, εκποικίλων αρρωστημάτων και θλίψεων, τους εξαιτούντας τηνθείαν σου προστασίαν.
Επίβλεψον εν ευμενεία Πανύμνητε Θεοτόκε, επί την εμήνχαλεπήν του σώματος κάκωσιν, και ίασαι της ψυχής μου το άλγος.
Είτα μνημονεύει ο Ιερεύς, δι’ ους η παράκλησις γίνεται, και ψάλλομεν το,
Κύριε ελέησον, ιε’.
Ο Ιερεύς. Ότι ελεήμων. Και ευθύς λέγομεν.
Κάθισμα. Ήχος β’. Τα άνω ζητών.
Παρθένε σοφή, και Αθληφόρε ένδοξε, και νύμφη Χριστού,Αικατερίνα πάνσεμνε, κακών την απολύτρωσιν, και παντοίωνπταισμάτων την άφεσιν, και τον σον νυμφίον δυσώπειπαρασχείν, τοις πόθω γεραίρουσι τους άθλους σου.
Ωδή δ’. Εισακήκοα Κύριε.
Νοσημάτων απάλλαξον, και οδυνηρών συντριμμάτωνανόρθωσον, τους προστρέχοντας τη σκέπη σου, ω Κατερίνα πολυδόξαστε.
Η πρεσβεία σου γένοιτο, δρόσος θυμηδίας καιπαρακλήσεως, τοις παλαίουσιν εν θλίψεσι, και εταζομένοιςδεινοίς μάστιξοι.
Σεσωσμένους προσάγαγε, τω τερπνώ νυμφίω σουΚαλλιπάρθενε, τους εκ χώρας παραβάσεων, τεταπεινωμένους επανήκοντας.
Στεναγμοίς τε και δάκρυσιν, επικαμπτομένη τοις τωνπροσφύγων σου, τας οδύνας τούτων κούφισον, ω Αικατερίνα τηση χάριτι.
Θεοτοκίον.
Ωραιώθης κυήσασα, τον ωραίον κάλλει Χριστόν, Πανάμωμε,ου καμού τοις ωραιότησι, θέλξον πανολβίως την διάνοιαν.
Ωδή ε’. Φώτισον ημάς.
Θραύσον την ισχύν του δολίου πολεμήτορος, τουεπιτιθεμένου καθ’ ημών, μανικώς Αικατερίνα καλλιπάρθενε.
Έκχεον ημίν, πρεσβειών σου την χρηστότητα, και υγίασονημάς ολοτελώς, τους κατ’ άμφω ασθενούντας σεμνοπάρθενε.
Ίδοιμι σεμνή, εν καιρώ των περιστάσεων, την θερμήν σουκαι ταχείαν αρωγήν, μεταβάλλουσαν των πόνων την τραχύτητα.
Θεοτοκίον.
Η τον αγαθόν, σωματώσασα δι’ έλεος, την αθλίαν μουοικτείρησον ψυχήν, και αγάθυνον αυτήν θεοχαρίτωτε.
Ωδή στ’. Ιλάσθητι μοι Σωτήρ.
Μαρτύρων περιφανές, ως αληθώς σεμνολόγημα, Αικατερίνασοφή, ημάς καθοδήγησον, προς τρίβον σωτήριον, θείωνμαρτυρίων, του λαμπρώς σε μεγαλύναντος.
Εκ πλήθους αμαρτιών, εις πλήθος θλίψεων έφθασα καικαταιγίδες κακών, νυν περιδονούσι με, αλλά συ προφθάσασα, ωΜεγαλομάρτυς, της ορμής με λύτρωσαι.
Νεκρώσασα αληθώς, ταις ζωηφόροις πρεσβείαις σου,σαρκός μου τας εκτροπάς, την ψυχήν μου ζώωσον, και ταύτηνκαρδίωσον, προς ζωής αρίστης, αναβάσεις μεγαλώνυμε.
Θεοτοκίον.
Ποικίλοις περισπασμοίς, και πειρασμοίς περιπέπτωκα, τουψεύδους τας απαρχάς, ο τάλας δρεπόμενος, αλλ’ ω Αειπάρθενε,συ επάκουσόν μου, και ειρήνευσον τον βίον μου.
Διάσωσον Παρθενομάρτυς του ψόγου Αικατερίνα, εκποικίλων αρρωστημάτων και θλίψεων, τους εκζητούντας τηνθείαν σου προστασίαν.
Άχραντε, η δια λόγου τον Λόγον ανερμηνεύτως, επ’ εσχάτωντων ημερών τεκούσα δυσώπησον, ως έχουσα μητρικήν παρρησίαν.
Ο Ιερεύς μνημονεύει ως δεδήλωται. Και μετά την εκφώνησιν ψάλλεται.
Κοντάκιον. Ήχος β’. Ευσπλαχνίας υπάρχουσα.
Ευσπλαχνία χρωμένη ω σεμνή, ευμενώς τας ικεσίας ημώνενωτίζου, όρεξον ημίν την σην αντίληψιν, βλύσον των χαρίτωνσου τα ρεύματα, τοις σοι καταφεύγουσιν, εκ πόθου εκάστοτε,Αικατερίνα Μαρτύρων αγαλλίαμα.
Προκείμενον.
Υπομένων υπέμεινα τον Κύριον, και προσέσχε μοι, καιεισήκουσε της δεήσεώς μου.
Στίχος: Και έστησεν επί πέτραν τους πόδας μου, και κατηύθυνε τα διαβήματά μου.
Ευαγγέλιον. Εκ του κατά Μάρκον. (Ε’. 4-34).
Τω καιρώ εκείνω ηκολούθει τω Ιησού όχλος πολύς, καισυνέθλιβον αυτόν. Και γυνή τις, ούσα εν ρύσει αίματος έτηδώδεκα, και πολλά παθούσα υπό πολλών ιατρών, καιδαπανήσασα τα παρ` εαυτής πάντα, και μηδέν ωφεληθείσα,αλλά μάλλον εις το χείρον ελθούσα, ακούσασα περί του Ιησού,ελθούσα εν τω όχλω όπισθεν, ήψατο του ιματίου αυτού, έλεγεγαρ. Ότι, καν των ιματίων αυτού άψωμαι, σωθήσομαι. Καιευθέως εξηράνθη η πηγή του αίματος αυτής, και έγνω τωσώματι ότι ίαται από της μάστιγος. Και ευθέως ο Ιησούςεπιγνούς εν εαυτώ την εξ αυτού δύναμιν εξελθούσαν,επιστραφείς εν τω όχλω έλεγε: Τις μου ήψατο των ιματίων; Καιέλεγον αυτώ οι μαθηταί αυτού. Βλέπεις τον όχλον συνθλίβοντάσε, και λέγεις, τις μου ήψατο; Και περιεβλέπετο ιδείν την τούτοποιήσασαν. Η δε γυνή, φοβηθείσα και τρέμουσα, ειδυία όγέγονεν επ` αυτή, ήλθε, και προσέπεσεν αυτώ, και είπεν αυτώπάσαν την αλήθειαν. Ο δε είπεν αυτή. Θύγατερ, η πίστις σουσέσωκέ σε, ύπαγε εις ειρήνην, και ίσθι υγιής από της μάστιγόςσου.
Δόξα.
Ταις της Αθληφόρου…
Και νυν.
Ταις της Θεοτόκου…
Προσόμοιον.
Ήχος πλ. β`. Όλην αποθέμενοι…
Στίχος. Ελέησόν με ο Θεός…
Μάρτυς καλλιπάρθενε, Αικατερίνα Θεόφρον, άνθος καθαρότητοςκαι σοφίας όργανον, παναρμόνιον, των δεινών ρύσαι με, καισκολιωτάτην, σοφισμάτων του αλάστορος, και εν σεμνότητι, καιδικαιοσύνη πορεύεσθαι, αξίωσόν με δέομαι, εν τω βίω τούτω τωρέοντι, ως αν θεαρέστως, βιώσας των αγήρων αγαθών, μέτοχοςγένωμαι ένδοξε, τη θερμή δεήσει σου.
Ωδή Ζ`. Παίδες Εβραίων.
Ρείθροις πηγών εκ σωτηρίου, καταπρά`υ`νον παθών μου ταςκαμίνους, και προς ύδωρ τερπνόν, ζωής και απαθείας, Αικατερίνα πάνσοφε, ίθυνόν με ταις ευχαίς σου.
Έχουσα Μάρτυς παρρησίαν, τω νυμφίω σου Χριστώ τω Ζωοδότη, μη ελλίπης αεί, θερμώς καθικετεύειν, Αικατερίναπάνσοφε, υπέρ των σοι προσιόντων.
Σύναψον Μάρτυς τη αγάπη, και απλότητι και τη φιλαδελφία,τους την σήν ευλαβώς, αιτούντας μεσιτείαν, και των σκανδάλωνκόπασον, άπασαν οχλαγωγίαν.Βλέμματι Μάρτυς φιλευσπλάχνω, κατοικτείρησον ημάςχειμαζομένους, και ειρήνην στερράν, και ψυχικήν γαλήνην,Αικατερίνα βράβευσον, τοις πιστώς σε ευφημούσι.
Θεοτοκίον.
Έλαιον θείων οικτιρμών σου, και χρηστότητος τον γλυκερόνχειμάρρουν, τοις εν πόνοις πολλοίς, δεινώς οδυνωμένοις,επόμβρησον Πανάμωμε, ως κρουνός της ευσπλαχνίας.
Ωδή Η`. Τον Βασιλέα.
Ισχύν και ρώμην, κατά παθών ολεθρίων, τη πρεσβεία σουΑικατερίνα δίδου, τοις υπερυψούσι, τον σε ενισχυκότα.
Άνωθεν σκέπεις, τους ατενίζοντας Μάρτυς, προς την ένθερμονκαι κραταιάν σου σκέπην, τούτους λυτρουμένη, πολυειδών κινδύνων.
Ίλεων Μάρτυς, και ευμενή τοις σοίς δούλοις, τον νυμφίον σουθες ω Αθληφόρε, ως πολλά προς τούτον, ισχύουσα θεόφρον.
Θεοτοκίον
Σωτηριώδη καταφυγήν εύ ειδώς σε, την ελπίδα μου τηςσωτηρίας Κόρη, τη σή δυναστεία, ανέθηκα εις τέλος.
Ωδή Θ`. Κυρίως Θεοτόκον
Αγγέλων συμπολίτις, Αικατερίνα ούσα, μη διαλίπης ημάςεποπτεύουσα, τους ακλινεί διανοία σοι προσανέχοντας.
Μαστίγων ψυχοφθόρων, και πάσης επηρείας, αμεταπτώτουςημάς διαφύλαττε, Αικατερίνα Θεόφρον αξιοθαύμαστε.
Ηλίου του αδύτου, την αίγλην δεχομένη, Αικατερίνα ΠαρθένωνωράΪσμα, την της ψυχής μου σκοτόμαιναν αποδίωξον.
Θεοτοκίον.
Ναόν με φωτοφόρον, της θείας επιπνοίας, δι` εναρέτου ζωήςΚόρη έργασαι, τον αληθή Θεοτόκον ομολογούντά σε.
Και ευθύς ψάλλομεν το.
Άξιόν έστιν ως αληθώς, μακαρίζειν σε την Θεοτόκον, τηνΑειμακάριστον, και Παναμώμητον, και Μητέρα του Θεού ημών.Την Τιμιωτέραν των Χερουβείμ, και Ενδοξοτέραν ασυγκρίτωςτων Σεραφείμ, την αδιαφθόρως Θεόν Λόγον τεκούσαν, τηνόντως Θεοτόκον σε μεγαλύνωμεν.
Ο Ιερεύς θυμιά το Άγιον Θυσιαστήριον, τας Αγίας Εικόνας, και τον Λαόν, ή τον οίκον όπου ψάλλεται η παράκλησις και ημείς ψάλλομεν τα παρόντα
μεγαλυνάρια.
Χαίρε της σοφίας μύστις λαμπρά, και της ευσεβείας δημηγόροςπεριφανής. Χαίροις παρθενίας, η εύπνους μυροθήκη, ΑικατερίναΜάρτυς, αξιοθαύμαστε.
Σώματος εμπρέπουσα καλλονή, καλή και ωραία, αναδείχθης καιτην ψυχήν, τω ωραίω κάλλει, υπέρ υιούς ανθρώπων, και τούτωενυμφεύθης αφθόρως ένδοξε.
Χαίροις καλλιπάρθενε ευκλεής,χαίροις των Παρθένων, καιΜαρτύρων η κορωνίς. Χαίροις του Σωτήρος, η πανολβία νύμφη,σεμνή Αικατερίνα ημών βοήθεια.
Της Αλεξανδρείας ώφθης βλαστός, και Σιναίου όρους,αντιλήπτωρ και αρωγή, και πάσης Εκκλησίας, λαμπάςτηλαυγεστάτη, Αικατερίνα άνθος αγνείας εύοσμον.
Πρόσωπον προς πρόσωπον τον Χριστόν, αγλαώς ορώσα, τοννυμφίον σου τον σεπτόν, αυτόν εκδυσώπει, σοφή Αικατερίνα,ημίν παρασχεθήναι, πταισμάτων άφεσιν.
Σκέπη και αντίληψις και φρουρός, έσο Αθληφόρε, τοις τιμώσί σεευλαβώς, νόσων και κινδύνων, και πάσης άλλης βλάβης, ημάςεκρυομένη, ταις ικεσίαις σου.
Πάσαι των Αγγέλων…
Τρισάγιον.
Το τροπάριον. Ήχος πλ. α`.Τον Συνάναρχον Λόγον.
Την Πανεύφημον νύμφην Χριστού υμνήσωμεν, Αικατερίναν τηνθείαν και πολιούχον Σινά, την βοήθειαν ημών και αντίληψιν, ότιεφίμωσε λαμπρώς, τους κομψούς των ασεβών του Πνεύματοςτη δυνάμει. Και νυν ως Μάρτυς στεφθείσα, αιτείται πάσι το μέγα έλεος.
Είτα Προσόμοιον. Ήχος Β`, Ότε εκ του ξύλου.
Μάρτυς καλλιπάρθενε Χριστού, νύμφη ευκλεής του Σωτήρος,Αικατερίνα σοφή, σώζε τους ικέτας σου, εκ πάσης θλίψεως, καιδεινών περιστάσεων, και νόσων και πόνων, και πάσηςφαυλότητος του κοσμοκράτορος. Σού γαρ η πρεσβεία μεγίστην,κέκτηται ισχύν Αθληφόρε. Μη ουν υπερίδης τους τιμώντας σε.
Preghiera inviataci dal nostro caro fratello Gabrijele, come sempre...... Grazie!
mercoledì 19 agosto 2009
martedì 18 agosto 2009
Evanghelia zilei - Marţi, 18 August 2009
pr. Dumitru PĂDURARU
Marţi, 18 August 2009
Iisus a spus: „Vai vouă, cărturarilor şi fariseilor făţarnici! Că daţi zeciuială din izmă, din mărar şi din chimen, dar aţi lăsat părţile mai grele ale Legii: judecata, mila şi credinţa; pe acestea trebuia să le faceţi şi pe acelea să nu le lăsaţi. Călăuze oarbe care strecuraţi ţânţarul şi înghiţiţi cămila! Vai vouă, cărturarilor şi fariseilor făţarnici! Că voi curăţiţi partea din afară a paharului şi a blidului, iar înăuntru sunt pline de răpire şi de lăcomie. Fariseule orb! Curăţă întâi partea dinăuntru a paharului şi a blidului, ca să fie curată şi cea din afară. Vai vouă, cărturarilor şi fariseilor făţarnici! Că semănaţi cu mormintele cele văruite, care pe din afară se arată frumoase, înăuntru însă sunt pline de oase de morţi şi de toată necurăţia. Aşa şi voi, pe din afară vă arătaţi drepţi oamenilor, înăuntru însă sunteţi plini de făţărnicie şi de fărădelege“. (Matei 23, 23-28)
***
Să nu avem impresia că asprele cuvinte din fragmentul evanghelic de astăzi au fost adresate de Domnul Iisus Hristos doar fariseilor şi cărturarilor din vremea activităţii Sale publice. În egală măsură ne privesc şi pe noi sau, mai precis, ne sunt adresate în special nouă. Uneori ne autoevaluăm la superlativ, avem păreri foarte bune despre viaţa şi faptele noastre, suntem mulţumiţi de credinţa noastră. Când postim câteva zile avem impresia că am devenit sfinţi. Vedem că Mântuitorul i-a mustrat pe farisei pentru superficialitatea şi autosuficienţa lor. Se străduiau să arate lumii cât de credincioşi sunt ei şi ce fapte deosebite săvârşesc. În realitate, erau asemenea blidului ce era curat pe dinafară, însă înăuntru era plin de răpire şi lăcomie. Găsim şi printre noi mulţi care „strecoară ţânţarul şi înghit cămila“, aşa cum spune Mântuitorul. Sunt foarte atenţi la detaliile nesemnificative, pierzând din vedere esenţialul. Sunt foarte scrupuloşi în a judeca pe alţii, însă foarte îngăduitori cu propriile păcate. Ne regăsim şi noi în acest fel de a fi al fariseilor şi cărturarilor? Dacă da, să ne străduim să ne îndreptăm. Toate să le facem de la înălţimea Crucii şi prin smerita nădejde.
27.08.2009 - Vespro della Dormizione - Cappella ad Acquaformosa
27 Agosto 2009
Vigilia della Dormizione della Theotokos
(Calendario Giuliano)
Cari Fedeli:
vi comunico che questa sera verso
le ore 17.00 presso la nostra Cappella
celebreremo il Vespro della Dormizione della
Madre di Dio la sempre vergine Maria.
venerdì 14 agosto 2009
E mail inviataci dal CONNA - Roma
"
giovedì 13 agosto 2009
Una mia riflessione su Contessa Entellina (PA)
Posto la mia riflessione senza velleità."
Sto seguendo con una certa trepidazione questa vicenda della comunità italo-albanese (o almeno quello che resta di albanese) di Contessa Entellina. Un paese in cui ho avuto l'onore di dimorare ospite della famiglia di P. Luciano Aricò, con il quale abbiamo in passato condiviso momenti di amicizia religiosa fino a quando le nostre strade si sono divise: io sono entrato nel Patriarcato di Mosca e lui è riuscito a coronare il suo sogno di ritornare nella Chiesa "bizantina (???)" come la chiama. Qualcosa anchio ho inserito sul mio blog: http://arberiaortodossa.blogspot.com/ circa questa triste vicenda che va avanti oramai da anni ed anni, senza che si sia arrivato ad una conclusione unilaterale. Dagli interventi che ho letto su questo problema, emerge ancora la disputa tra greci e italiani ovvero tra "Arbresh e Litinj". La disputa si presenta oramai da diverso tempo ogni anno in questo periodo, e se non erro, l'anno scorso mi trovavo più o meno in questo periodo a Contessa sempre ospite gradito della Carissima Mamma di P. Luciano, il popolo di contessa era arrabiato, insieme al suo parroco, perchè avevano trovato chiusa la porta del campanile. Però a distanza di un anno tutto è rimasto come prima: nessuna novità in merito!A questo punto, leggendo gli interventi, si è posto il problema dell'appartenenza a questa benedetta minoranza linguistica, però sembra che molti arbresh non disdegnino di frequentare con orgoglio la chiesa latina. Sembra una guerra, anzi lo è, una guerra fratricida (nel senso buono delle parole). Arbresh contro arbresh. Perchè quanti sono i contessioti proprio italiani? E' questa una situazione di difficile soluzione a mio parere, qui non si tratta di guerra di religione: tra islamici e cristiani. No signori, qui si tratta di una guerra e meglio di una lite tra cattolici stessi. Perchè sia greci che latini sono sotto lo stesso Omoforio, quello del Vescovo di Roma. Due gruppi di cattolici, e non basta essere di un rito diverso per sottolineare una diversità di appartenenza confessionale, si nessuno lo mette in dubbio, ma la diversità del rito non ti dice che sei di un'altra giurisdizione. No fratelli di Contessa, scusate, ma voi siete semplicemente Cattolici e vi state bisticciando per una appartenenza immaginaria. Fate parte della stessa famiglia, fate parte della stessa Chiesa, siete sotto la giurisdizione dello stesso Vescovo, nella Liturgia nominate lo stesso Papa. Allora: inutile proclamare passeremo con gli ortodossi, perchè parliamoci chiaro, gli ortodossi non vi vogliono, anzi vi dicono state dovre siete, abbiamo già troppe gatte da pelare per conto nostro.
Scusate se mi sono intromesso, l'avrei potuto fare sul mio blog, ma ho voluto entrare nel vivo, come fratello italo albanese.
P. Giovanni Capparelli
Arbresh dalla Calabria - Prete Ortodosso
mercoledì 12 agosto 2009
Corsi e ricorsi della storia: Gabrijele commenta in termini storiografici i fatti accaduti a Contessa Entellina (PA)
La storia si ripete per cui:..... nulla di nuovo sotto il sole. La cosa che mi stupisce è la debole e tiepida reazioni dei fedeli di rito greco, che come al solito mostra il loro animo succube al potere. Gli arbëreshë di Piana li conosco, certo di un'erba non si fa un fascio,ma permettetemelo, molti ci sguazzano in questo situazione ambigua........Loro dicono: siamo un ponte tra oriente ed occidente.....Ma mi facciano il piacere. Quale ponte.
Per gli ortodossi , e scusatemi i toni forti, sono apostati de facto ( non basta celebrare i santi misteri in greco e seguire il Santo Crisostomo, e commemorare il vescovo di roma questo è fumo per gli occhi), per i latini sono cattolici di serie zeta, da mostrare nelle riunioni irenico-ecumenche tipo festival Sanremo, come pupi appesi alle pareti, ieromonaci e ed episcopi con esotici camilafkion e le loro barbacce nere o grigie . Chissà cosa ne pensa Demetrio Reres.
Cordialmente
Gabrijele,
felicemente ortodosso sikeliota dell'ecumenico patriarcato
12 agosto 2009 - 1.02
A cosa credono gli uniati?
Pio IX
Pastor aeternus
Il Pastore eterno e Vescovo delle nostre anime, per rendere perenne la salutare opera della Redenzione, decise di istituire la santa Chiesa, nella quale, come nella casa del Dio vivente, tutti i fedeli si ritrovassero uniti nel vincolo di una sola fede e della carità. Per questo, prima di essere glorificato, pregò il Padre non solo per gli Apostoli, ma anche per tutti coloro che avrebbero creduto in Lui attraverso la loro parola, affinché fossero tutti una cosa sola, come lo stesso Figlio e il Padre sono una cosa sola. Così dunque inviò gli Apostoli, che aveva scelto dal mondo, nello stesso modo in cui Egli stesso era stato inviato dal Padre: volle quindi che nella sua Chiesa i Pastori e i Dottori fossero presenti fino alla fine dei secoli.
Perché poi lo stesso Episcopato fosse uno ed indiviso e l’intera moltitudine dei credenti, per mezzo dei sacerdoti strettamente uniti fra di loro, si conservasse nell’unità della fede e della comunione, anteponendo agli altri Apostoli il Beato Pietro, in lui volle fondato l’intramontabile principio e il visibile fondamento della duplice unità: sulla sua forza doveva essere innalzato il tempio eterno, e la grandezza della Chiesa, nell’immutabilità della fede, avrebbe potuto ergersi fino al cielo [S. LEO M., Serm. IV al. III, cap. 2 in diem Natalis sui].
II parte del Pastor
E poiché le porte dell’inferno si accaniscono sempre più contro il suo fondamento, voluto da Dio, quasi volessero, se fosse possibile, distruggere la Chiesa, Noi riteniamo necessario, per la custodia, l’incolumità e la crescita del gregge cattolico, con l’approvazione del Sacro Concilio, proporre la dottrina relativa all’istituzione, alla perennità e alla natura del sacro Primato Apostolico, sul quale si fondano la forza e la solidità di tutta la Chiesa, come verità di fede da abbracciare e da difendere da parte di tutti i fedeli, secondo l’antica e costante credenza della Chiesa universale, e respingere e condannare gli errori contrari, tanto pericolosi per il gregge del Signore.
III parte del pastor aeternus
Capitolo I - Istituzione del Primato Apostolico nel Beato Pietro
Proclamiamo dunque ed affermiamo, sulla scorta delle testimonianze del Vangelo, che il primato di giurisdizione sull’intera Chiesa di Dio è stato promesso e conferito al beato Apostolo Pietro da Cristo Signore in modo immediato e diretto. Solamente a Simone, infatti, al quale già si era rivolto: "Tu sarai chiamato Cefa" (Gv 1,42), dopo che ebbe pronunciata quella sua confessione: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo", il Signore indirizzò queste solenni parole: "Beato sei tu, Simone Bariona; perché non la carne e il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli: e io ti dico che tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: qualunque cosa avrai legato sulla terra, sarà legata anche nei cieli, e qualunque cosa avrai sciolto sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli" (Mt 16,16-19). E al solo Simon Pietro, dopo la sua risurrezione, Gesù conferì la giurisdizione di sommo pastore e di guida su tutto il suo ovile con le parole: "Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore" (Gv 21,15-17)
IV parte del pastor aeternus
A questa chiara dottrina delle sacre Scritture, come è sempre stata interpretata dalla Chiesa cattolica, si oppongono senza mezzi termini le malvagie opinioni di coloro che, stravolgendo la forma di governo decisa da Cristo Signore nella sua Chiesa, negano che Cristo abbia investito il solo Pietro del vero e proprio primato di giurisdizione che lo antepone agli altri Apostoli, sia presi individualmente, sia nel loro insieme, o di coloro che sostengono un primato non affidato in modo diretto e immediato al beato Pietro, ma alla Chiesa e, tramite questa, all’Apostolo come ministro della stessa Chiesa.
Se qualcuno dunque affermerà che il beato Pietro Apostolo non è stato costituito da Cristo Signore Principe di tutti gli Apostoli e capo visibile di tutta la Chiesa militante, o che non abbia ricevuto dallo stesso Signore Nostro Gesù Cristo un vero e proprio primato di giurisdizione, ma soltanto di onore: sia anatema.
Capitolo II - Perpetuità del Primato del Beato Pietro nei Romani Pontefici
IV parte del pastor
Ciò che dunque il Principe dei pastori, e grande pastore di tutte le pecore, il Signore Gesù Cristo, ha istituito nel beato Apostolo Pietro per rendere continua la salvezza e perenne il bene della Chiesa, è necessario, per volere di chi l’ha istituita, che duri per sempre nella Chiesa la quale, fondata sulla pietra, si manterrà salda fino alla fine dei secoli. Nessuno può nutrire dubbi, anzi è cosa risaputa in tutte le epoche, che il santo e beatissimo Pietro, Principe e capo degli Apostoli, colonna della fede e fondamento della Chiesa cattolica, ricevette le chiavi del regno da Nostro Signore Gesù Cristo, Salvatore e Redentore del genere umano: Egli, fino al presente e sempre, vive, presiede e giudica nei suoi successori, i vescovi della santa Sede Romana, da lui fondata e consacrata con il suo sangue [Cf. EPHESINI CONCILII, Act. III]. Ne consegue che chiunque succede a Pietro in questa Cattedra, in forza dell’istituzione dello stesso Cristo, ottiene il Primato di Pietro su tutta la Chiesa. Non tramonta dunque ciò che la verità ha disposto, e il beato Pietro, perseverando nella forza che ha ricevuto, di pietra inoppugnabile, non ha mai distolto la sua mano dal timone della Chiesa [S. LEO M., Serm. III al. II, cap. 3]. È questo dunque il motivo per cui le altre Chiese, cioè tutti i fedeli di ogni parte del mondo, dovevano far capo alla Chiesa di Roma, per la sua posizione di autorevole preminenza, affinché in tale Sede, dalla quale si riversano su tutti i diritti della divina comunione, si articolassero, come membra raccordate alla testa, in un unico corpo [S. IREN., Adv. haer., I, III, c. 3 et CONC. AQUILEI. a. 381 inter epp. S. Ambros., ep. XI] .
Se qualcuno dunque affermerà che non è per disposizione dello stesso Cristo Signore, cioè per diritto divino, che il beato Pietro abbia per sempre successori nel Primato sulla Chiesa universale, o che il Romano Pontefice non sia il successore del beato Pietro nello stesso Primato: sia anatema.
….semplicemente un compito ispettivo o direttivo, e non il pieno e supremo potere di giurisdizione su tutta la Chiesa, non solo per quanto riguarda la fede e i costumi, ma anche per ciò che concerne la disciplina e il governo della Chiesa diffusa su tutta la terra; o che è investito soltanto del ruolo principale e non di tutta la pienezza di questo supremo potere; o che questo suo potere non è ordinario e diretto sia su tutte e singole le Chiese, sia su tutti e su ciascun fedele e pastore: sia anatema.
Capitolo IV - Del Magistero Infallibile del Romano Ponteficea Santa Sede ha sempre ritenuto che nello stesso Primato Apostolico, posseduto dal Romano Pontefice come successore del beato Pietro Principe degli Apostoli, è contenuto anche il supremo potere di magistero. Lo conferma la costante tradizione della Chiesa; lo dichiararono gli stessi Concili Ecumenici e, in modo particolare, quelli nei quali l’Oriente si accordava con l’Occidente nel vincolo della fede e della carità. Proprio i Padri del quarto Concilio di Costantinopoli, ricalcando le orme dei loro antenati, emanarono questa solenne professione: "La salvezza consiste anzitutto nel custodire le norme della retta fede. E poiché non è possibile ignorare la volontà di nostro Signore Gesù Cristo che proclama: "Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa", queste parole trovano conferma nella realtà delle cose, perché nella Sede Apostolica è sempre stata conservata pura la religione cattolica, e professata la santa dottrina. Non volendo quindi, in alcun modo, essere separati da questa fede e da questa dottrina, nutriamo la speranza di poterci mantenere nell’unica comunione predicata dalla Sede Apostolica, perché in lei si trova tutta la vera solidità della religione cristiana" [Ex formula S. Hormisdae Papae, prout ab Hadriano II Patribus Concilii Oecumenici VIII, Constantinopolitani IV, proposita et ab iisdem subscripta est]. Nel momento in cui si approvava il secondo Concilio di Lione, i Greci dichiararono: "La Santa Chiesa Romana è insignita del pieno e sommo Primato e Principato sull’intera Chiesa Cattolica e, con tutta sincerità ed umiltà, si riconosce che lo ha ricevuto, con la pienezza del potere, dallo stesso Signore nella persona del beato Pietro, Principe e capo degli Apostoli, di cui il Romano Pontefice è successore, e poiché spetta a lei, prima di ogni altra, il compito di difendere la verità della fede, qualora sorgessero questioni in materia di fede, tocca a lei definirle con una sua sentenza". Da ultimo il Concilio Fiorentino emanò questa definizione: "Il Pontefice Romano, vero Vicario di Cristo, è il capo di tutta la Chiesa, il padre e il maestro di tutti i Cristiani: a lui, nella persona del beato Pietro, è stato affidato, da nostro Signore Gesù Cristo, il supremo potere di reggere e di governare tutta la Chiesa".
ultima parte
Allo scopo di adempiere questo compito pastorale, i Nostri Predecessori rivolsero sempre ogni loro preoccupazione a diffondere la salutare dottrina di Cristo fra tutti i popoli della terra, e con pari dedizione vigilarono perché si mantenesse genuina e pura come era stata loro affidata. È per questo che i Vescovi di tutto il mondo, ora singolarmente ora riuniti in Sinodo, tenendo fede alla lunga consuetudine delle Chiese e salvaguardando l’iter dell’antica regola, specie quando si affacciavano pericoli in ordine alla fede, ricorrevano a questa Sede Apostolica, dove la fede non può venir meno, perché procedesse in prima persona a riparare i danni [Cf. S. BERN. Epist. CXC]. Gli stessi Romani Pontefici, come richiedeva la situazione del momento, ora con la convocazione di Concili Ecumenici o con un sondaggio per accertarsi del pensiero della Chiesa sparsa nel mondo, ora con Sinodi particolari o con altri mezzi messi a disposizione dalla divina Provvidenza, definirono che doveva essere mantenuto ciò che, con l’aiuto di Dio, avevano riconosciuto conforme alle sacre Scritture e alle tradizioni Apostoliche. Lo Spirito Santo infatti, non è stato promesso ai successori di Pietro per rivelare, con la sua ispirazione, una nuova dottrina, ma per custodire con scrupolo e per far conoscere con fedeltà, con la sua assistenza, la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede. Fu proprio questa dottrina apostolica che tutti i venerabili Padri abbracciarono e i santi Dottori ortodossi venerarono e seguirono, ben sapendo che questa Sede di San Pietro si mantiene sempre immune da ogni errore in forza della divina promessa fatta dal Signore, nostro Salvatore, al Principe dei suoi discepoli: "Io ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede, e tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli".
Questo indefettibile carisma di verità e di fede fu dunque divinamente conferito a Pietro e ai suoi successori in questa Cattedra, perché esercitassero il loro eccelso ufficio per la salvezza di tutti, perché l’intero gregge di Cristo, distolto dai velenosi pascoli dell’errore, si alimentasse con il cibo della celeste dottrina e perché, dopo aver eliminato ciò che porta allo scisma, tutta la Chiesa si mantenesse una e, appoggiata sul suo fondamento, resistesse incrollabile contro le porte dell’inferno.
Ma poiché proprio in questo tempo, nel quale si sente particolarmente il bisogno della salutare presenza del ministero Apostolico, si trovano parecchie persone che si oppongono al suo potere, riteniamo veramente necessario proclamare, in modo solenne, la prerogativa che l’unigenito Figlio di Dio si è degnato di legare al supremo ufficio pastorale.
Perciò Noi, mantenendoci fedeli alla tradizione ricevuta dai primordi della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del sacro Concilio proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono immutabili per se stesse, e non per il consenso della Chiesa.
Se qualcuno quindi avrà la presunzione di opporsi a questa Nostra definizione, Dio non voglia!: sia anatema.
Dato a Roma, nella pubblica sessione celebrata solennemente nella Basilica Vaticana, nell’anno 1870 dell’Incarnazione del Signore, il 18 luglio, venticinquesimo anno del Nostro Pontificato.
"Ognuno è libero di commentare i fatti, ma con questi documenti in mano, è difficile confutare o ribaltare la storia di un popolo prima martirizzato dai turchi islamici e poi venuto in Italia dai Latini romani. La storia se raccontata nella sua genuina verità la maggior parte delle volte ribalta certe prerogative di cui il popolo è e sarà sempre all'oscuro. N.D.R."
martedì 11 agosto 2009
Celebrazione ad Acquaformosa
Carissimi: Domenica 9 agosto, come stabilito nel nostro calendario, abbiamo celebrato presso
Per la verità, ero convintissimo, che essendo in piena estate ed il popolo di Dio godersi le sospirate vacanze, chi al mare, chi in montagna e chi in giro per il mondo, escludendo i pochissimi affezionati, pochissimi sarebbero venuti per cantare le lodi al Signore in questo giorno torrido, soffocante ed afoso. Già venerdì 7 essendo salito in paese per affiggere i manifesti di invito, (come se ce ne fosse bisogno!!), circa una decina di fedeli, incontrati per strada, mi avevano già prospettato che per
Da qui la mia paura che per domenica
Con questi pensieri domenica mattina alle ore 09.00 apro la porta della Cappella chiedendo al Signore: “Sia fatta la tua volontà”.
Preparo l’altare, accendo le candele ed il carboncino per l’incensiere ed inizio le preghiere preliminari, per poi vestirmi dei paramenti sacri ed iniziare la preparazione della proscomidia.
Mancavano dieci minuti all’inizio della Liturgia, ancora intento a preparare i Santi Doni, che i miei occhi iniziano a riempirsi di gioia. Piano piano mi accorgo che il Signore Dio stava compiendo il miracolo. Il suo popolo affluiva costantemente e prendeva posto nella cappella. Buongiorno Zo, Zo si rrini, sa bellu e bëre; non credevo ai miei occhi. La nostra Cappella catacomba si era riempita di popolo di Dio all’inverosimile e quindi rispettando i tempi tecnici abbiamo intonato il Vasile uranie tradizionale, come veniva cantato dai nostri avi fino a poco tempo addietro.
Il caldo e chi lo ha più sentito, l’afa opprimente nulla di nulla, solo i canti della Divina Liturgia che si innalzavano giulivamente verso il cielo.
Terminata
Cosa dire Carissimi, sono contento ed un pizzico orgoglioso, se anche gli assenti oggi avessero preso parte alla Liturgia, sicuramente qualcuno sarebbe rimasto anche fuori, visto che la nostra piccola Cappella non sarebbe riuscita a contenere tanto popolo di Dio.
Signore: grazie e come sempre sia fatta
www.ziarullumina.ro/articole
Pavel Florenski - o conştiinţă credincioasă şi lucidă, într-un veac tulbure
protos. Veniamin GOREANU
Duminică, 09 August 2009
În pragul secolului trecut, Rusia imperială era o considerabilă putere, un stat absolutist în căutarea unei societăţi moderne şi a unei identităţi culturale proprii. Depăşirea feudalismului, crearea unei civilizaţii europene şi a unei culturi originale în dialog creator cu Tradiţia ortodoxă şi cu Occidentul erau imperativele fundamentale ale epocii. Ca reprezentant de frunte al „filosofiei religioase ruse“ din a doua jumătate a secolului al XIX-lea şi prima jumătate a secolului al XX-lea, Pavel Florenski se impune drept figura ei cea mai profundă şi actuală; gândirea sa e încă fragmentar cunoscută până astăzi, în absenţa unei ediţii a operei complete.
Secolele al XVI-lea şi al XVII-lea marcaseră deja „criza bizantismului rus“. Secolul al XVIII-lea avea să aducă o eclipsă de proporţii pentru tradiţia patristică autentică. Pe fundalul religiozităţii populare ritualiste, invadate de literatura apocaliptică şi apocrifă, cultura religioasă a elitelor va fi marcată, în absenţa unei gândiri ortodoxe constituite, de influenţele modelelor teologice şi eclesiale occidentale: romano-catolice, în secolul al XVII-lea şi, respectiv, iluministe şi protestante, în secolul al XVIII-lea. Biserica oficială suferea o gravă pierdere de autoritate în urma reformelor lui Petru cel Mare. Sinodul devine un corp de funcţionari civili şi eclesiastici. Viaţa religioasă era influenţată de impulsuri venite din exterior.
Şcolile ruse de teologie, influenţate de filosofia occidentală
Abandonarea teologiei bizantine, a vieţii ascetice şi dogmatice, a autenticei spiritualităţi bizantine a condus, după preotul G. Florovski, la un adevărat „obscurantism“ şi la o funciară „neîncredere faţă de cultură, la o suspiciune încăpăţânată faţă de ştiinţa teologică“, la o „gnosiomahie“, în ultimă instanţă la o veritabilă „afazie teologică“. Locul gol al teologiei desconsiderate a fost luat de ritual şi tradiţie sau de „sufletul poporului rus“, ceea ce a condus inevitabil la un „populism religios iresponsabil“ sau la un pietism psihologist ori moralism utilitarist simplificator.
Academiile teologice vor sta, în prima jumătate a secolului al XIX-lea, sub influenţa filosofiei idealiste germane (Schelling, Kant, Jacobi), promovând o dogmatică speculativă. Acesteia i-a urmat arida dogmatică, scolastică şi istorică, a lui Macarie Bulgakov.
În a doua jumătate a secolului al XIX-lea se vor dezvolta două tipuri de şcoli principale: cea istorică, cu remarcabile rezultate în recuperarea şi valorificarea Tradiţiei ortodoxe autentice, şi, respectiv şcoala morală. Deci, se dezvoltă un tip de teologie cu accent pe realitatea „vie“ a istoriei şi a psihologiei. Acum se observă o dezvoltare a dogmelor mai mult psihologic şi moral, iar ca urmare a acestui fapt, chiar şi ascetismul s-a psihologizat. Ca notă caracteristică a teologiei de la sfârşitul secolului trecut şi începutul secolului nostru, putem vorbi de transformarea creştinismului într-o „religie a conştiinţei“, de monismul moral.
Aceste transformări de la sfârşitul secolului au dus la revoluţia mentală din sânul „intelighenţiei ruse“, care avea să fie fatală întregii Rusii, revoluţie ce a avut loc pe tărâmul cultural, religios şi politic.
Slavofilismul a împrumutat idei din romantismul german şi francez
Un alt curent care s-a dezvoltat în secolul XIX este slavofilismul ce promova idei preluate din romantismul german şi francez. Prin acest curent se dezvoltă un „creştinism“ romantic, sentimental, spiritualist, naţionalist şi socialist, care vehicula inconştient o mentalitate antinomistă şi o schemă de gândire dualistă de tip gnostic, înveşmântată „printr-un contrasens de proporţii“ - în haina Tradiţiei patristice ortodoxe.
Din slavofilism apar şi se dezvoltă o serie de alte curente ideologice utopice: pietismul, moralismul, teosofia, conservatorismul, revoluţionismul, unele chiar spunându-şi, în cele din urmă, cuvântul prin revoluţia bolşevică, ce voia să construiască o nouă societate de tip comunist.
În ciuda acestor transformări sociale, culturale şi religioase, Rusia a cunoscut, în perioada secolului al XVIII-lea-al XIX-lea, o serie de mari trăitori mistici, unii din ei calificaţi drept „nebuni pentru Hristos“, datorită intensei şi puternicei lor trăiri spirituale, ei au depăşit individualismul antropocentric, fiind copleşiţi de iubirea lui Hristos. E cazul Sfântului Serafim de Sarov (1759-1833), al lui Ignatie Briancianinov (1807-1867), Tihon de Zadonsk (1724-1783), a stareţului Ambrozie de la Optina, a Sfântului Teofan Zăvorâtul, a stareţului Isidor, care au trăit „idealul evanghelic de desăvârşire, propus tuturor creştinilor: rugăciunea neîncetată, privegherea, cumpătarea, sărăcia“.
Iată cadrul social, religios şi cultural în care apar acei gânditori, filosofi şi teologi ruşi ca Hamiakov, Soloviov, Berdiaev, Florenski, Bulgakov.
„Savantul popă“
Dintre cei amintiţi, ne vom opri asupra personalităţii marcante a preotului Pavel Florenski. Figura strălucitului poet, fizician, istoric al filosofiei, teolog, filolog, poliglot, estetician, istoric al artelor, filosof, profesor şi preot a fascinat pe contemporanii săi. Cultura preotului Pavel Florenski îl arată ca pe unul din cele mai universale şi profunde spirite recente, ca un adevărat „Leonardo da Vinci rus“ şi „Pascal ortodox“, considerat în cercurile literare, alături de M. Bohtin şi A. Losev, cel mai original şi creator filosof rus al veacului trecut.
„Savantul popă“, cum era numit în cercul intelectualilor anilor â20, s-a născut la 9/21 ianuarie 1882 lângă Evlah, în familia inginerului Alexandr Ivanovici Florenski, ce lucra la construcţia căii ferate transcaucaziene Tiflis-Batum. Mama sa, Olga Pavlovna, născută Saparian, provenea dintr-o veche familie armeană stabilită în Gruzia de la care Pavel a moştenit fizionomia orientală tipică. Situaţia sa familială a fost modestă, datorită faptului că „duceau o viaţă retrasă în care distracţiile, ca şi musafirii, erau rare. În schimb, preocupările culturale erau intense şi multilaterale, fapt oglindit în realizarea profesională ulterioară a copiilor“. Atmosfera religioasă din casa familiei Florenski era imprimată de atitudinea de indiferenţă sceptică şi relativistă, tolerantă şi neagresivă, ca şi de „religia umanităţii de inspiraţie pozitivistă (Auguste Comte) a tatălui (fapt care va influenţa într-un mod specific evoluţia spirituală şi formarea gândirii tânărului Pavel, al cărui nerv va fi lupta împotriva scepticismului şi a reprimării relativiste a chestiunii Adevărului absolut).
Deşi erau botezaţi şi educaţi în spiritul unei dragoste necondiţionate de adevăr, copiii erau crescuţi într-o izolare aproape totală de reprezentările şi chestiunile religioase considerate tabu în casa părintească: „În casa noastră nu se vorbea niciodată despre religie - nici pentru, nici împotriva ei, nici măcar la modul informativ, ca despre un fenomen al vieţii sociale; foarte rar se strecura, întâmplător, vreun cuvânt despre cultele arhaice sau despre cele ale egiptenilor, dar şi acesta foarte pe scurt. Cu cât o noţiune era mai apropiată de Biserică, cu atât avea mai puţine motive de a fi pomenită la noi în casă; era tolerată, dar şi aceasta abia-abia, doar arheologia religioasă“.
Află răspunsul frământărilor în tainele ortodoxe
Copilăria şi-a petrecut-o la Batum şi Tiflis, cu un interes pasionat pentru studiul naturii, al varietăţii formelor şi matematicii. Şi-a format un sistem de lectură propriu în stil autodidact, orientat încă de la început şi în întreaga sa viaţă de acum înainte cu precădere nu spre abstract, ci spre concret şi real. Tânărul Pavel urmează, între 1892-1899, cursurile gimnaziului clasic din Tiflis, având colegi pe viitorii filosofi religioşi: pe Alexandr Elceaninov (1831-1934) şi Vladimir Ern (1881-1917). Termină primul cursurile gimnaziale obţinând „medalia de aur“. La terminarea studiilor gimnaziale, în vara anului 1899, Florenski trece însă printr-o adâncă criză sufletească şi spirituală determinată de descoperirea caracterului limitat al ştiinţei fizice. De aceea, „caută să-şi îmbogăţească cunoştinţele cu formarea unei viziuni generale asupra lumii care să reveleze Adevărul necondiţionat al existenţei“. Din această criză a apărut interesul pentru filosofie, teologie şi religie. Rezultatul acestei perioade a fost îmbrăţişarea credinţei în Dumnezeu ca Adevăr integru şi absolut, pe care trebuie construită întreaga viaţă.
Se înscrie la Facultatea de matematică şi fizică la Universitatea din Moscova, unde îi are ca profesori pe N. V. Bugaev (1837-1903), L. K. Lahtin şi pe N. E. Jukovski. E preocupat de ideea discontinuităţii: teoria funcţiilor şi aritmologie, ca şi de matematica infinitului a lui G. Cantor. Acestea îl conduc la recunoaşterea posibilităţii formale a întemeierii matematice a unei viziuni generale religios întemeiată asupra lumii.
În urma acestor frământări şi cercetări ştiinţifice, află viziunea integrală a lumii în credinţa şi în Tainele Bisericii Ortodoxe, singura în stare să depăşească platitudinea, finitudinea şi relativitatea iremediabilă a adevărurilor ştiinţifice în practică şi în înţelesul pozitivist - materialist al ştiinţei, dominant în epocă.
O lucrare de doctorat atipică
La absolvirea facultăţii, spre surprinderea colegilor şi a profesorilor, se decide să urmeze studiile Academiei Teologice din Lavra Sfintei Treimi, ascultând îndemnul duhovnicului său episcopul Antonie (Florensov), „având intenţia de a se uni în chip desăvârşit şi fără nici un compromis cu Biserica, de a-şi însuşi întreaga doctrină a Bisericii, ca şi viziunea ştiinţifică şi filosofică asupra lumii, inclusiv arta“. Dorea să marcheze unirea sa cu Biserica devenind monah, lucru ce îi este interzis de duhovnic. La Academie, continuând să se ocupe de logica simbolică şi teoria cunoaşterii, aprofundează, pe lângă teologia propriu-zisă, arheologia, ebraica, istoria religiilor şi istoria filosofiei, organizând chiar un cerc filosofic. În timpul studiilor, nu rupe legătura cu lumea intelectuală, ci menţine contacte, fiind marcat în dezvoltarea sa teologică de „stareţismul rus“ în persoana stareţului Isidor Gruzinski, de la Schitul Gheţimani, a cărui viaţă o va publica după decesul acestuia, în 1908. O influenţă decisivă în constituirea nemijlocită a gândirii şi a viziunii filosofico-religioase asupra lumii a lui Pavel Florenski, aşa cum apare ea în teza de doctorat, a avut-o, după propria mărturie, din schiţa inedită de sistem filosofico-religios elaborată de arhimandritul de la Optina, Serapion Maşchin, intitulată: „Sistem de viziune creştină asupra lumii“.
Sub îndrumarea profesorului S. Glagolev îşi redactează teza de licenţă „Despre Adevărul religios“, ce reprezintă o schiţă pentru viitoarea teză de doctorat intitulată: „Stâlpul şi temelia Adevărului“ - în 12 scrisori. Prin felul întocmirii diferă de lucrările tradiţionale, iar inedita documentare şi tratare a Adevărului într-o viziune personală a făcut ca unii să-i conteste valoarea teologică, iar alţii să o considere o adevărată „teodicee“ ortodoxă.
Tematica abordată a făcut ca de-a lungul timpului cartea să aibă o relevanţă deosebită în rândul contemporanilor, chiar abordarea personalistă ştiinţifică determinând pe unii dintre filosofii ruşi să primească preoţia (cazul Bulgakov).
P. Florenski, în urma căsătoriei, primeşte hirotonia şi slujeşte ca diacon, apoi ca preot, din 1911, iar din 1912 este numit preot la capela surorilor de Cruce Roşie din Sergheev Posad.
După absolvirea Academiei, deţine mai multe funcţii în învăţământul teologic, între 1908-1919, ţinând cursuri de istoria filosofiei; a fost numit chiar profesor după susţinerea lucrării de doctorat, „Stâlpul şi temelia Adevărului“, în 1914.
Împuşcat de NKVD
Prin această lucrare, după părerea mai multor comentatori, Florenski „nu aduce o credinţă nouă“, ci face o încercare originală de a apropia credinţa părinţilor de conştiinţa omului modern. Prin ea, inima vieţii bisericeşti a fost efectiv apropiată de gândirea omului, de cultura modernă, şi în aceasta constă meritul ei principal, spunea prinţul Trubeţkoi. În discursurile sale pune accentul pe Platon şi Kant, ceea ce-l va influenţa în formarea sa.
În 1933 Florenski a fost arestat şi condamnat la zece ani închisoare. A fost deportat în Siberia, apoi la Solovki, unde îşi găseşte sfârşitul, fiind condamnat, de „troica“ NKVD, la moarte prin împuşcare, la 8 decembrie 1937.
„Sarcina vieţii nu e aceea de a o petrece în linişte, ci de a o trăi demn şi de a nu fi inutil“
Serghei Bulgakov îl descrie pe părintele Florenski ca pe cel mai mare filosof şi savant preot pe care l-a martirizat regimul stalinist, dintre persoanele de cultură. N-a refuzat să-şi poarte haina preoţească, chiar pentru preţul dobândirii libertăţii. Florenski spune că: „toată viaţa mi-am consacrat-o muncii ştiinţifice şi filosofice; nu am cunoscut niciodată nici odihna, nici distracţiile, nici plăcerile. Acestei slujiri a umanităţii îi reveneau nu numai întregul meu timp şi toate puterile mele, ci şi modestul meu salariu, folosit pentru cumpărarea cărţilor, pentru fotografii şi corespondenţă“.
Se observă înclinaţia sa de om de cultură, care n-a făcut decât să muncească pentru folosul umanităţii: „sarcina vieţii nu e aceea de a-ţi petrece viaţa în linişte, ci de a o trăi demn şi de a nu fi inutil şi un balast pentru ţara ta. Când intri într-o fază tumultoasă a vieţii istorice a ţării tale sau chiar a lumii întregi, când se decid probleme mondiale, fireşte că e greu, e nevoie de suferinţe, de eforturi, dar tocmai aici trebuie să te arăţi om şi să-ţi dovedeşti demnitatea…“, iar în retrospectivă, privindu-şi viaţa, spune: „totuşi, când privesc mediul înconjurător, istoric al vieţii mele, nu simt nici o remuşcare în conştiinţa mea pentru viaţa mea, dimpotrivă“ (4 ianuarie 1937). Era, de altfel, conştient că nu trebuie să întrerupă munca: „am totuşi ferma convingere că în lume nimic bun sau rău nu se pierde şi, chiar dacă rămâne ascuns mai mult sau mai puţin, el va ieşi la iveală mai curând sau mai târziu“ (23 februarie 1937).
După trecerea regimului stalinist mai multe tribunale îl reabilitează pe Florenski, iar în 1958, anulează sentinţa din 1933.
El rămâne unul dintre reprezentanţii de seamă ai filosofilor ruşi existenţialişti sau sofiologi. Intrând în contact cu filosofia lui Soloviov, preia de la acesta ideea panunităţii lumii şi cea sofiologică pe care Soloviov o preluase de la pr. prof. de filosofie de la Academia duhovnicească Fiodor Golubinski, în anii 1873-1874, pe când era student. Florenski a încercat să o fundamenteze în unul din capitolele lucrării sale „Stâlpul şi temelia Adevărului“, folosindu-se de materialul liturgic iconografic şi patristic existent. Alături de Bulgakov, M. A. Novoselov, V. F. Ern, prof. M. D. Muretor şi Vl. A. Kojenikov a luat atitudine fermă în favoarea recunoaşterii dogmatice a divinităţii numelui lui Iisus Hristos în disputa teologică iscată în Rusia, ca urmare a controversei apărute între anii 1900-1913 la Athos între adepţii cinstirii numelui lui Iisus (onomatodocşi, imioslovţi) şi adversarii lor (imiaborţi), care-i acuzau de onomatolatie susţinuţi teologic în Rusia de mitropolitul Antoni Hrapoviţki şi prof. Serghie V. Troţki. Chestiunea ce urma să fie pusă în discuţia sinodului local al Bisericii Ortodoxe Ruse din 1917, în baza referatului redactat de secretarul subcomisiei respective, Serghei Bulgakov, n-a mai putut fi abordată datorită izbucnirii Revoluţiei bolşevice, în noiembrie 1917.
„Unde nu e antinomie, nu e credinţă“
În urma unui studiu asupra operei lui Florenski, părintele diacon Ioan I. Ică jr. afirmă că: „Florenski se singularizează în peisajul filosofiei religioase ruse, prin ontologia sa trinitară, homoousiană, sofiologică şi antinomică în acelaşi timp, diferit de Soloviov sau Bulgakov, care au încercat să concilieze metafizica eternităţii, preluată prin intermediul noilor sisteme ale idealismului german (Schelling şi Hegel) cu dogma divino-umanităţii interpretată în cheie sofiologică. Diferenţa esenţială stă în refuzul lui Florenski de a accepta modelul dialectic al reconcilierii, în locul căruia afirmă riguros menţinerea şi chiar radicalizarea antinomiilor în toate planurile cunoaşterii şi existenţei, şi în primul rând în religie „unde dacă nu e antinomie, nu e credinţă“. Antinomia nu este rezolvată logic sau dialectic, ci trăită practic printr-o viaţă spirituală alcătuită din „antinomii exasperante“.
În operele sale, ideea matematică a discontinuităţii, ideea filosofică a antinomiei şi ideea teologică a homousiei sunt coloanele ce susţin edificiul „teodiceei ortodoxe“ florenskiene.