mercoledì 27 novembre 2013

 

 Chiesa Ortodossa 
 Patriarcato di Mosca
Parrocchia
San Giovanni di Kronstadt

Palazzo Gallo - P.zza Vittorio Em. II 
Castrovillari (cs)
 
 
Русская Православная Церковь 
Московского Патриархата 
Biserica Ortodoxă Rusă
 Patriarhia Moscovei  


   DOMENICA 01 dicembre 2013
 
  Memoria dei santi
Platone e Romano
 

Tono   VI

 
UFFICIATURE:

       Sabato 30: ore 17.30 -  Vespro  (Vecernie)

Domenica  01: ore 9.30 - Divina Liturgia

                                           

 
 Carissimi Fedeli Ortodossi di 
Castrovillari e del circondario, 
 come sempre vi aspetto numerosissimi,
ogni Domenica con inizio alle ore 9.30,
 per celebrare con Voi la Divina Liturgia 
nella Nostra Chiesa e della Nostra
 Santa Tradizione Ortodossa.
Per qualsiasi informazione chiamate
il Parroco al:  328 0140556
                 347 3400419

 

martedì 26 novembre 2013

Una fotografia scritta dal nostro P. Ambrogio sulla situazione nel Kossovo e spiegata senza campanilismi, ma con una obbiettività sincera e amorevole.

Diario dal Kossovo – 26 novembre 2013


Non è la prima volta nella vita che mi sveglio all’annuncio della preghiera islamica, ma l’effetto dell’annuncio (registrato) diffuso dai minareti di Prizren è forte. Quando mi avvio verso la chiesa di san Giorgio per la Divina Liturgia ortodossa, immagino che vedrò la grande moschea di Sinan Pascià, se non frequentata, per lo meno aperta. Ma non è così. Questo mi porta a pensare quanto l’islam, da queste parti, possa essere visto più che altro come un mero fatto di identificazione sociale di persone e di gruppi. Ma non c’è da sopravvalutare l’ingresso sempre più intenso (e intensamente finanziato) del wahabismo saudita nel paese.
Entro nella chiesa di san Giorgio, fatta saltare con il tritolo nel 2004, e oggi ricostruita più robusta di prima (a qualcosa servono pure, i finanzamenti della comunità internazionale), e concelebro alla Liturgia in greco, serbo, slavonico ecclesiastico e. . . italiano. I seminaristi mi riempiono di una certa ammirazione: questa ”cucciolata” di futuri sacerdoti non rappresenta solo la sopravvivenza di un numero di parrocchie, ma anche il tessuto connettivo di un organismo sociale che dimostra un’incredibile capacità di rigenerarsi.
Al termine della funzione, ammiro i locali del complesso del seminario: dopo essere stati ampliati – a partire dalle costruzioni del tardo XIX secolo – nel 1996, hanno subito bombardamenti, abbandono, devastazioni. Ora completamente rinato dal poco rimasto dopo gli incendi del 2004, il seminario ospita 36 seminaristi dai 13 ai 20 anni, divisi in tre classi annuali. Li rivedrò domattina, per tenere loro una lezione. Vedremo pure che cosa possono fare gli ortodossi italiani per facilitare il loro cammino.
Al rientro a Decani, trovo il monastero sotto il primo manto di neve (osservate la foto dal blog del 22 novembre...). Lo spettacolo è affascinante, se visto da un solido edificio monastico riscaldato; un pò meno se visto da un’abitazione di fortuna in un’enclave: i monaci dovranno iniziare da oggi stesso le loro visite ai più bisognosi dei dintorni.
A Decani ho anche la notizia che è finalmente disponibile su YouTube il video realizzato dagli amici italiani del monastero, a proposito della recente festa, che comprende anche una mia piccola comparsa personale:








 
Oggi ho avuto per la prima volta l'occasione di vedere il Kossovo in tutta la sua estensione geografica e sociale, dal nord al sud. Cerco di focalizzarmi su quattro punti del mio viaggio:
1 - Gracanica
In confronto alla frenetica, moderna e sfacciatamente ricca vita di Pristina, la nuova capitale, l'enclave serba di Gracanica (pron. Graciànitsa) sembra bloccata nel passato e nei ricordi, con un gioiello di monastero (patrimonio dell'umanità tutelato dall'UNESCO), una sede episcopale un po' forzata (la vera sede del vescovo del Kossovo era a Prizren, nel sud) e un conglomerato di alcune migliaia di abitanti che nel momento del maggiore bisogno non hanno trovato un punto migliore del monastero per agglomerarsi e per difendere la propria identità e i propri diritti. I lavori pubblici sono frutto degli sforzi della diocesi, che qui deve occuparsi anche di far costruire strade, di far funzionare un ospedale, di offrire speranza a decine di famiglie di profughi che hanno perso tutto e vivono in container... ci sarebbe molto da dire, troppo per una visita tanto breve.
Voglio ricordare un momento curioso della visita all'antica chiesa... tra i cartelli di vari divieti (di abbigliamento scollato, etc.), che capita di vedere in molte chiese, ne spicca uno di divieto di ingresso con armi da fuoco. Chissà come reagirebbero, in Italia, a un simile divieto in evidenza di fronte a una chiesa).
2 - Gazimestan
Anche la torre-ricordo della battaglia di Kosovo Polje fa parte degli edifici vandalizzati nei pogrom del 2004. Qui neppure quattro mura del genere sono indenni dalla furia distruttiva. Mentre guardo l'antica zona della battaglia dalla cima della torre, mi chiedo quanto tempo dovrà ancora passare per vedere la pace dopo secoli di lotta impari, che hanno visto i cristiani sempre in minoranza, sempre costretti a battaglie già perse, sempre disposti a sacrificarsi volontariamente. Anche quando tutto sembra far sperare per il meglio... nelle foto della celebrazione del 1989, si vede un impressionante milione di persone radunato attorno alla torre di Gazimestan (il "luogo degli eroi"). Dove sarà ora, quel milione di persone? Che cosa starà pensando? Mentre osservo e rifletto, turbini di vento portano i primi fiocchi di neve di questa stagione invernale. Speriamo che la neve, che qui cade abbondante, non porti isolamento e disperazione a tanti tra i più poveri e diseredati, privati di un futuro dignitoso da giochi di potere molto più grandi di loro.
3 - Kosovska Mitrovica
Molto più che nelle enclavi nel resto del paese, la situazione del nord del Kossovo riflette i paradossi, i vicoli ciechi dell'umanità e del buon senso che hanno martoriato questa terra. Mitrovica (pron. Mìtrovitsa), come perfetto esempio di "città divisa in se stessa", vede contrapposte, sulle rive del fiume Ibar, la parte sud albanese e musulmana (con l'antico cimitero cristiano ortodosso), e la parte nord serba e cristiana ortodossa (con l'antico cimitero musulmano). La stupidità sembra equamente divisa su entrambe le rive, con bande giovanili che si affrontano quotidianamente a insulti e sassate (e raccontano tutto un mondo di mancanza di visione del futuro da parte dei giovani locali), ma le attitudini generali di rispetto non sono le stesse: il cimitero cristiano al sud subisce profanazioni su base praticamente quotidiana, esaurendo la pazienza dei carabinieri italiani che devono presidiarlo; il cimitero musulmano al nord non ha mai avuto danni.
Si potrebbe aggiungere molto sulla situazione di Mitrovica, e sull'inadeguatezza generale di ogni tentativo di soluzione. Passeggio sul "ponte della discordia", con le sue barricate di sassi e terra erette per bloccare i blindati, le sue postazioni di cecchini da entrambe le parti, il suo posto di guardia di carabinieri stanchi, che ormai intervengono solo nei casi di estrema tensione. Come prevedibile, vengo salutato da una parte e guardato con disprezzo dall'altra: chissà cosa direbbero se sapessero che non faccio parte di nessuno dei due schieramenti, ma ironicamente sono proprio un connazionale di quei carabinieri nel mezzo... o forse chi deve saperlo lo sa, e non spreca tempo e parole con uno straniero che non cambierà nulla della loro situazione. Penso a Belfast, a Gerusalemme, a Nicosia, a tante città divise in due: pittosto che "uno spaccato di una società", qui vedo "una società spaccata". Non sono tanto cretino da pretendere di avere una soluzione in tasca, ma neppure tanto insensibile da dire che non mi compete fare qualcosa. Le impressioni di questa visita - e la ricerca di un'uscita da questo caos - mi accompagneranno a lungo.
4 - Prizren
Sono atteso per il vespro e per la cena al seminario di Prizren, dove padre Andrej, il monaco di Decani da anni è noto in tutte le chiese ortodosse in Italia, ha assunto per il terzo anno il ruolo di pro-rettore del seminario recentemente restaurato e rinato a nuova vita. Domani mi riprometto di parlare più diffusamente dei miracoli che hanno circondato questa rinascita, e spero di iniziare la giornata con la Liturgia del giorno di festa di san Giovanni Crisostomo: in una concelebrazione tra preti del Kossovo, di Cipro e dell'Italia dovrei essere l'unico che non proviene da una terra divisa a metà... a tutti buona festa del santo più di tutti legato alla Divina Liturgia, e restate in ascolto!

 

domenica 24 novembre 2013

Terzo giorno di P. Ambrogio a Deciani (Kossovo)

Diario dal Kossovo – 24 novembre 2013

È terminata la celebrazione della festa del santo re Stefano di Decani, che è anche la Slava del monastero. Il patriarca Irinej è da poco partito assieme al vescovo Teodosije, con un vero commiato di un padre dai suoi figli, lasciando la solita quantità di ricordi che ci vorrà tempo per incasellare nella nostra memoria.
Ricorderemo a lungo nella nostra parrocchia una Liturgia patriarcale nella quale il parroco ha avuto l’onore di essere il secondo prete concelebrante, come si può vedere nella seguente foto, appena caricata sulla pagina Facebook del seminario teologico di Prizren:
Il nuovo konak (edificio monastico) è stato ufficialmente inaugurato, e il regno di Norvegia, che ne ha finanziato la costruzione, ha avuto le massime onorificenze di gratitudine da parte della Chiesa ortodossa serba.
Mi accompagnano le molte impressioni raccolte (almeno per il giorno della festa, tutte positive!) tra i rappresentanti del corpo diplomatico, i militari, i pellegrini (di cui un gruppo dall’Italia) e gli amici del monastero. Spero di riuscire a raccogliere nel corso dei giorni che verranno alcune di queste testimonianze (è in preparazione un filmato in cui sono stati inclusi anche alcuni secondi di una mia intervista personale) e di metterle a vostra disposizione: restate in ascolto…
 

sabato 23 novembre 2013

Secondo Giorno presso il Monastero di Decani nel Kossovo.

Diario dal Kossovo – 23 novembre 2013

Il resoconto di oggi da Decani deve essere più breve, perché resta poco tempo prima della Veglia della festa patronale. Gli ospiti importanti stanno iniziando ad arrivare; da poco è giunto sua Santità il Patriarca Irinej, che dopo la dossologia di benvenuto nella chiesa sta visitando il nuovo konak (edificio di abitazione dei monaci), offerto in parte grazie a una generosa donazione del governo norvegese, ma frutto degli sforzi di tutti. C’è ancora un embargo sulle immagini dei nuovi quartieri monastici, che dovrebbe durare fino alla loro benedizione da parte del patriarca e all’inaugurazione ufficiale, ma credo di poter già condividere alcune delle impressioni della visita che mi hanno concesso di fare ieri ai locali. In parte la nuova costruzione monastica riesce a offrire un poco d’isolamento all’interno del complesso di Decani, ormai visitato da sempre più persone: tutto, in questo “monastero all’interno del monastero”, parla di serietà e di mentalità monastica autentica: costruzioni sobrie ma solide, fatte per durare, realizzate con cura ma senza sprecare nulla, nella consapevolezza che tutti quelli che hanno donato qualcosa per il monastero lo hanno fatto a grande costo personale. I nuovi quartieri danno anche testimonianza della devozione espressa dalla comunità, che per oltre due decenni ha dovuto vivere piuttosto allo stretto.
Le notizie non si fermano, purtroppo, al momento di gioia della festa: questa mattina ho avuto la prima occasione di fare una visita - che mi era stata impossibile dieci anni fa - alle poche enclave serbe ancora rimaste in Metohija. Le sensazioni sono troppo complesse per essere descritte in breve: in particolare, le continue notizie di violazioni di diritti umani (che farebbero inorridire chiunque in Italia) meriteranno qualche ulteriore approfondimento. Per ora, affidiamo al santo re Stefano (che da sovrano secolare era molto sensibile al grido di dolore del suo popolo) le speranze che ancora portiamo nel cuore.

https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjXNQcxyrDLKLhzS4xihPF8DGu_Vyy3QWfwpDUQ03D_UlSlR_xTDdFvT5xmSFy9mQ7UqcraMF7OWjOd1kNScxzMeDcrZ7ZTlUzuERvknnZgmcihMAxDhKViECgDOZXy3Ri8dWcio_aq994/s1600/canzoni_di_natale_1.gif


Il nostro Confratello P. Ambrogio si trova nella martoriata terra del Kossovo. Da qui ogni giorno presenta a noi un diario con le sue impressioni sulla vita nel Monastero di Decani, dove è ospite, e nei territori vicino al Monastero. Caro Padre, da parte della Parrocchie di Castrovillari e di Acquaformosa....Buona permanenza ed un presto ritorno.

Diario dal Kossovo – 22 novembre 2013

Di ritorno in Kossovo e al monastero di Decani dopo dieci anni, ho molto lavoro da fare per metabolizzare i cambiamenti di questa terra, con la quale mi sono tenuto peraltro in stretto contatto in tutto questo periodo. Il monastero sfida il passaggio dei tempi e dei regimi politici ed economici, continuando a essere un faro d’ispirazione spirituale; il santo re Stefano continua a proteggere il suo popolo, e sotto molti aspetti il monastero è ancora quello che ho visto per la prima volta, arrivando sotto scorta militare una notte di fine novembre di dieci anni fa.
Non immaginavo, invece, di vedere un altro aspetto sostanzialmente immutato: la precarietà.
C’è una preoccupante mancanza di visione per quanto riguarda il futuro dei cristiani ortodossi marginalizzati e sofferenti. Questa mancanza di visione è ben visibile nel risultato delle recenti elezioni. I serbi del Kossovo hanno appena perso la possibilità di esprimere candidati propri a livello amministrativo locale (l’unico campo in cui la loro voce può contare qualcosa in questo paese), suddivisi tra l’oltranzismo nazionalista dei boicottaggi (e della deplorevole demonizzazione di quanti hanno voluto comunque esprimere un voto), e la polverizzazione dei voti validi tra diversi candidati in concorrenza tra loro. Non ho potuto far altro che annuire (amaramente) quando mi è stato detto che la sopravvivenza dell’Ortodossia serba in Kossovo, in queste circostanze autolesioniste, è la più evidente prova dell’esistenza di Dio.
Ora fervono i preparativi per la celebrazione della festa patronale del monastero, con l’attesa di ospiti davvero importanti. Restate in ascolto… intanto, ecco alcune foto dalla recente Liturgia della festa dei santi Arcangeli al monastero:
 

 

venerdì 22 novembre 2013

 
MISSIONE ORTODOSSA
SAN NICOLA DI MIRA, IL TAUMATURGO
CAPPELLA SAN FRANCESCO
LAUROPOLI (CS)
 Chiesa Ortodossa 
 Patriarcato di Mosca
Parrocchia
San Giovanni di Kronstadt

Palazzo Gallo - P.zza Vittorio Em. II 
Castrovillari (cs)
 
Русская Православная Церковь 
Московского Патриархата 
Biserica Ortodoxă Rusă
 Patriarhia Moscovei  


 
   DOMENICA 24 novembre 2013  
 
 
 
Tono   V
 

 
 
UFFICIATURE:

       Sabato 23: ore 17.30 -  Vespro  (Vecernie)
         Presso la Chiesa Parrocchiale a Castrovillari

Domenica  24: ore 10.00 - Divina Liturgia
a Lauropoli
                                           

 
 Carissimi Fedeli Ortodossi del circondario, 
di Cassano Jonio, Sibari, Lauropoli, Doria
  vi aspetto numerosissimi,
  Domenica con inizio alle ore 10.00,
presso la Cappella di San Francesco a Lauropoli
 per celebrare con Voi la Divina Liturgia 
nella Nostra Chiesa e della Nostra
 Santa Tradizione Ortodossa.
Per qualsiasi informazione chiamate
il Parroco al:  328 0140556
                 347 3400419

mercoledì 20 novembre 2013

Chiesa Ortodossa di Torino: http://www.ortodossiatorino.net

40° anniversario della parrocchia del Patriarcato di Mosca a Bologna

 http://www.stcaterina.org/ru/news/full.php?nid=758
Il 17 novembre a Bologna, l'arcivescovo Mark di Egor'evsk ha presieduto alla celebrazione del 40° anniversario della parrocchia di san Basilio il Grande. La comunità della Chiesa ortodossa russa nella capitale della regione Emilia-Romagna - una delle più grandi in Italia - è stata fondata con gli sforzi dell'archimandrita Marco (Davitti) e riunisce credenti ortodossi di diverse nazionalità sotto l'omoforio del Patriarca di Mosca e di tutta la Rus'.
Alla liturgia festiva hanno concelebrato con l'arcivescovo Mark gli archimandriti Antoniy (Sevryuk) e Dimitri (Fantini), il rettore della parrocchia padre Serafino (Valeriani), il rettore della parrocchia moldava di Bologna padre Trifon Bulat e altri sacerdoti in pellegrinaggio. All'inizio della funzione nella chiesa è stato portato dalla cattedrale il reliquiario dei primi martiri di Bologna, patroni della città - i santi Vitale e Agricola.
Prima dell'inizio della Liturgia Vladyka ha tonsurato lettori due parrocchiani a Bologna - Andrea Della Lena Guidiccioni e Aleksandr Gusljakov. Al Piccolo Ingresso, in considerazione della sua assidua fatica pastorale, al chierico della parrocchia, il sacerdote Sergij Averin, è stato assegnato il diritto di indossare la kamilavka. Dopo il Grande Ingresso, l'arcivescovo Mark ha ordinato al sacerdozio il chierico della parrocchia dei santi Sergio, Serafino e Vincenzo a Milano, lo ierodiacono Siluan (Yaroslavtsev). Durante la funzione è stata celebrata la preghiera funebre per il sempre memorabile archimandrita Marco (Davitti).
Al termine della Liturgia è stata celebrata la venerazione dell'arca con le sacre reliquie, dopo di che Vladyka si è congratulato il clero e i parrocchiani per la festa. In ricordo di preghiera l'arcivescovo ha donato alla parrocchia un'icona dei santi martiri imperiali. Vladyka ha inoltre accolto con favore alla funzione il rettore della cattedrale cattolica di Bologna, ringraziando il sacerdote per aver portato le reliquie dei santi martiri di Bologna per la venerazione dei fedeli ortodossi.
L'incontro dell'arcivescovo con il clero e i parrocchiani è continuato al pasto festivo.
 

 

martedì 19 novembre 2013

Dal sito del Confratello P. Ambrogio di Torino: http://www.ortodossiatorino.net/

 
  Assemblea generale del clero delle parrocchie del patriarcato di Mosca in Italia













 http://www.stcaterina.org/ru/news/full.php?nid=755
Sabato 16 novembre, a Milano, sotto la presidenza dell'arcivescovo Mark di Egor'evsk si è tenuta un'assemblea generale del clero che serve nelle parrocchie del Patriarcato di Mosca in Italia.
L'incontro si è aperto con la preghiera, "Re celeste" e quindi l'amministratore delle parrocchie si è rivolto ai partecipanti all'incontro con un discorso di apertura. Vladyka ha dato alcune statistiche sulle comunità della Chiesa ortodossa russa in Italia, annunciando i più importanti eventi del periodo dopo l'ultima riunione. L'arcipastore ha anche parlato del suo incontro, nel settembre di quest'anno, con il clero moldavo che serve nel paese.
Nel suo intervento , l'arcivescovo Mark ha toccato una serie di questioni pratiche. In particolare, è stato preparato un modello di un certificato per i chierici dell'Amministrazione delle parrocchie del Patriarcato di Mosca in Italia. Il certificato in russo e italiano, con una fotografia del chierico e la firma del vescovo ordinario, timbrato, servirà come documento principale per identificare un sacerdote appartenente alla struttura canonica della Chiesa ortodossa russa nella Repubblica italiana.
Vladyka ha anche annunciato l'imminente lancio della versione pilota del sito dell'Amministrazione. La rappresentanza delle parrocchie in Italia su internet conterrà informazioni di carattere generale sull'amministrazione, la gestione e le attività quotidiane, una banca dati regolarmente aggiornata delle parrocchie, e racconterà la vita delle comunità. Per decisione dell'assemblea è stato nominato responsabile del funzionamento del sito l'arciprete Alexey Yastrebov. La versione in lingua italiana sarà supervisionata dall'igumeno Ambrogio (Cassinasco) e dal monaco Teofilo (Barbieri), quella moldava dall'arciprete Sergiu Popescu e dall'arciprete Ioann Grebanosu. Responsabile per il dipartimento "Pellegrinaggi" è stato nominato l'igumeno Alexey (Nikonorov). La gestione complessiva del sito sarà effettuata dalla segreteria dell'Amministrazione .
I partecipanti alla riunione hanno anche ascoltato le relazioni dei respondabili per l'opera sociale e la catechesi, e hanno poi discusso varie questioni pratiche. In particolare, si è deciso di sviluppare un formulario comune dei certificati di battesimo e di matrimonio in russo, italiano e moldavo, e preparare opuscoli che raccontano questi sacramenti.
L'incontro, che è durato più di tre ore, si è concluso con una lista di istruzioni e con il canto della preghiera "Dostojno est'".
Nella stessa serata, l'arcivescovo Mark è arrivato a Bologna, dove ha ha officiato il Grande Vespro presso la parrocchia di san Basilio il Grande.
 
          



U jam arbëreshë !!!
 
U jam arbëreshë e ortodoksë si prindëtë

ton kur edhëtin ndë Kallavrit.

domenica 17 novembre 2013

Divina Liturgia del17.11.2013

 La nostra fantastica Ikonostasi


 I fedeli rimasti dopo la Divina Liturgia posano
per una foto ricordo.

Ci prepariamo ad un convivio per 
festeggiare il compleanno dei fedeli
Elena e Giovanni e l'onomastico della piccola Elisabetta.

sabato 16 novembre 2013

Dal sito del Confratello Padre Ambrogio di Torino.

  Padre Ioannis Romanidis come storico
dal blog Mystagogy12 novembre 2013
Di Anastasios Philippides
B.A., Yale University, M.A., Georgetown University
 
L'enorme contributo di padre Ioannis Romanidis alla teologia si è basato su solide conoscenze empiriche, esperienziali, acquisite dal suo ambiente familiare, specialmente da sua madre Evlampia. Allo stesso modo, il suo contributo alla scienza storica si è basato anche su esperienze personali da lui avute, che lo hanno portato a un pensiero originale e a conclusioni radicali, ovviamente, dopo una ricerca esaustiva. Iniziò il suo primo libro di storia, Romiosini (1975), raccontando di un incidente da lui sperimentato nel 1951 in qualità di giovane parroco in America. Gli fu chiesto di andare a casa di un malato, e bussò alla porta sbagliata, dove rispose un greco. Allo stesso tempo, entrò nel soggiorno il fratello di questo greco, che Romanidis riconobbe come il leader degli albanesi della città! Né i due fratelli né Romanidis furono in grado di spiegare questo paradosso. La chiave di lettura si trova nelle pagine che seguirono, nel libro Romiosini.
Inoltre, naturalmente, non è un caso che Romiosini sia stato scritto dopo l'incontro di Romanidis con il Libano e la Siria, presso la scuola teologica di Balamand. Là si rese conto che migliaia di fedeli appartenenti al Patriarcato di Antiochia si identificavano come "Romani ortodossi", senza essere greci, e senza nemmeno parlare greco. Anche questo paradosso fu risolto nel libro Romiosini.
A livello accademico, deve essere riconosciuto il debito di Romanidis a Florovskij, con il quale aveva un rapporto particolarmente stretto, come risulta dalla loro corrispondenza finora pubblicata. Florovskij era particolarmente interessato all'interazione tra la teologia e la storia e Romanidis era ispirato dallo stesso spirito.
L'opera storica di Romanidis consiste principalmente di tre studi: 1) Romiosini (1975), 2) Franchi, Romani, Feudalesimo e Dogma (1982), e 3) il prologo alla seconda edizione di Peccato Ancestrale (1989). Inoltre, numerosi elementi storici sono inclusi nella introduzione estesa de I Padri romani della Chiesa: Volume 1 (1984), dove la sintesi del discorso teologico e storico diventa evidente. Eppure, in quasi tutti i suoi studi dopo il 1975, gli elementi storici si intromettono in quelli teologici.
1. Le posizioni storiche di base di padre Ioannis Romanidis
Le posizioni storiche di Romanidis, a partire dal 1975 quando si udirono per la prima volta, sono ora diventate ben note e non c'è bisogno di ripeterle qui se non brevemente:
A) La civiltà romana è in realtà greca. Roma era una città greca, e molti scrittori antichi romani scrivevano in greco o erano bilingui, e la lingua greca era una delle due lingue ufficiali del Senato, dove la posizione del traduttore fu abolita dal I secolo a.C. Questo è il motivo per cui l'apostolo Paolo scrisse la sua lettera ai cristiani di Roma in greco. Anche il culto nella città di Roma era condotto in greco fino all'inizio del IV secolo a.C. In tutto l'Impero, la maggioranza della popolazione parlava greco.
B) La principale divisione culturale dell'Europa non è venuta dalla diversificazione greco-romana, ma per la diversificazione franco-romana, che si è verificata dopo la conquista della parte occidentale dell'impero da parte della tribù barbarica nota come i franchi. I franchi soggiogarono i romani e li trasformarono in servi della gleba, mentre essi rimanevano in una struttura feudale, chiusi in torri protette. L'acquisizione fu completata da Carlo Magno e fu accompagnata dall'indipendenza teologica del sinodo di Francoforte nel 794 (che ha respinto il settimo concilio ecumenico), dal Sinodo di Aquisgrana nell'809 (che ha introdotto il filioque nel Simbolo della Fede) e dall'occupazione graduale del trono papale tra il 983 e il 1046. Tappe importanti in quest'opera sono il 1009 (la cacciata dell'ultimo papa ortodosso) e il 1014 (l'introduzione ufficiale del filioque nella Chiesa di Roma). I discendenti dei romani in Occidente sono rimasti schiavi fino al 1789, quando si ribellarono e furono liberati in Francia, ignari tuttavia della Romiosini dei loro antenati e della loro identificazione con i romani d'Oriente.
C) Lo scisma non si è verificato tra le Chiese bizantina e romana, ma tra i romani ortodossi (dell'Est e dell'Ovest) e i conquistatori franchi del trono papale. Poiché i romani della vecchia Roma avevano resistito per decenni alle aspirazioni dei franchi, fu richiesta dai franchi un'occupazione diretta del trono papale (completata nel 1046) e fu proclamata subito dopo lo scisma. Le cause dello scisma sono legate principalmente alle aspirazioni politiche dei Franchi e non a qualche mitico inevitabile contrasto tra la teologia greca e quella romana.
D) Come conquistatori dell'Europa occidentale, i franchi imposero la loro versione fuorviante della storia, chiamando "greci" i romani liberi per differenziarli dai romani di Francia e Italia che avevano conquistato. Poi, dopo la caduta di Costantinopoli, quando non c'erano più romani liberi, ribattezzato l'Impero con il nome di "Bisanzio", per tagliar fuori tutti i romani schiavi dalla loro continuità storica e prevenire qualsiasi ricostituzione dell'impero. In realtà non c'è mai stato un "Impero bizantino". Il termine fu usato per la prima volta nel 1562 da Hieronymus Wolf nella sua pubblicazione di una raccolta di fonti storiche.
E) Nonostante tutto questo, però, i romani d'Oriente schiavi de i Turchi conservarono il ricordo del loro Impero, e c'era sempre il rischio che lo rivendicassero di nuovo. Le grandi potenze, con l'aiuto dei moderni intellettuali greci come Koraes, si impegnarono a convincere la popolazione di essere solo i discendenti degli antichi greci che negli ultimi 2000 anni erano stati resi schiavi dai romani e dai turchi. Queste stesse potenze passarono a un sostegno positivo della rivoluzione del 1821 solo dopo aver assicurato il loro orientamento verso la loro antichità. Questo problema non si è risolto neanche un centinaio di anni dopo Koraes, come dimostra la polemica scoppiata con la pubblicazione di Storia della Romiosini di Argyres Eftaliotis nel 1901, quando Kostes Palamas difese Eftaliotis, mentre studiosi come Nicholas Polites e Sotiriades lo insultavano.
L'opera storica di Romanidis si concentra sul periodo medioevale, come è ragionevole, dal momento che questo è il periodo che è stato contraffatto dall'ultima storiografia ufficiale. Tuttavia, non finisce qui. Egli si estende sia alla storia antica sia a quella moderna. Questa espansione è venuta per un bisogno di chiarire le zone oscure o di rispondere alle critiche. Ad esempio, la visione di Romanidis riguardante la grecità dell'antica Roma sembrava scomoda a molti. Così Romanidis dovette rispondere accuratamente in uno dei suoi ultimi studi scritti prima della sua morte. Esso porta il titolo "Esempi della scienza della pulizia etnica della storia romana e una visione dei futuri Stati Uniti di Franco-Romania" (una conferenza tenuta presso l'Hellenic College di Brookline, Massachusetts, il 17 ottobre 1998). Lì si riferisce ampiamente a storici antichi come Dionigi di Alicarnasso, che ha scritto sui primi anni della città di Roma.
Allo stesso modo, nel tentativo di spiegare l'accettazione della versione occidentalizzata della storia da parte dei greci moderni, Romanidis indagò sui meccanismi e sulle persone che imposero la visione occidentale sulla Grecia moderna. Rivelò quindi il ruolo di Koraes e Napoleone, come esposto nel prologo alla seconda edizione di Peccato Ancestrale. Egli indica Napoleone come il responsabile della morte di Rigas Feraios, al fine di prevenire la ricostituzione dell'Impero romano, come viene presentata nella sezione europea nella famosa Carta di Rigas. Romanidis procedette a studiare anche l'inizio del XX secolo, esaminando i due scontri intorno al nome di etnia greca o romana, nel suo studio "Kostes Palamas e la Romiosini" (1976).
Ciò che deve essere sottolineato è che Romanidis arrivò ​​al punto di occuparsi di storia come una continuazione, e non come una pausa, del suo lavoro teologico. Inoltre, durante il periodo dei suoi scritti storici, che ebbe inizio nel 1974, non cessò di produrre testi teologici. I due erano inseparabili. Per esempio, la sua comprensione delle differenze con le confessioni occidentali lo portò all'esame della successione apostolica e alla scoperta chiave della rottura di questa successione nell'Occidente franco. Questo è il motivo per cui ha profondamente studiato l'oscuro e poco noto periodo greco, dei secoli VII e VIII, quando il regno merovingio collassò e i carolingi giunsero sul trono. Nel suo studio "Sinodi e civiltà della Chiesa", scrive nel 1995: "I vescovi franchi incontrati da san Bonifacio comprendevano la successione apostolica come un potere magico che permetteva loro di farne la proprietà della loro razza e di usarla come mezzo primario di mantenere le popolazioni da loro soggiogate pacificate dalla paura dei loro poteri religiosi e militari. Le teorie di Agostino sul peccato originale e la predestinazione li aiutavano in questa direzione ".
Come scoprì Romanidis, all'inizio i Franchi merovingi usurparono il diritto di veto nelle elezioni dei vescovi. Poi usurparono il diritto di nominare i vescovi e iniziarono a vendere le cariche al miglio offerente. Alla fine, i Franchi carolingi espulsero i vescovi romani e imposero solo vescovi franchi in carica.
Un secondo esempio è il suo studio storico del filioque, pubblicato nel 1975 con una versione riveduta nel 1982. Per comprendere l'origine del filioque, Romanidis dovette procedere in un'approfondita ricerca storica, in cui l'interazione tra la teologia e la storia politica diventa sempre più evidente. Infine, gli sviluppi del pensiero teologico dell'Occidente sono stati spesso prodotti dall'opportunità politica, sia il rifiuto del settimo sinodo ecumenico nel 794, o lo scisma nel 1054, o l'adozione della dottrina della "soddisfazione di Dio" di Anselmo di Canterbury, che era una imitazione della giustizia feudale.
2. Una valutazione dell'opera storica di Romanidis
Nonostante il fatto che le opinioni di Romanidis erano basate su fonti pubblicate conosciute, non erano state presentate in questo modo da alcun investigatore precedente. La composizione è esclusivamente opera di Romanidis. I bizantinisti sapevano che non era mai esistito uno stato chiamato "Bisanzio", ma usavano questo termine senza spiegare le implicazioni politiche di questa scelta. Fino a oggi, le posizioni storiche di Romanidis non sono diventate ampiamente accettate, né hanno penetrato i libri di testo, anche se sono state ampiamente discusse, in particolare su Internet. Si potrebbe credere che siano opinioni del tutto banali a cui non vale la pena rispondere, o che le abbiano considerate opinioni palesemente sbagliate e facilmente confutate da ogni laureato in storia, e così ancora una volta opinioni a cui non vale la pena di rispondere. Tuttavia, esse non sono né l'una né l'altra cosa.
Nei suoi studi, il frutto di molti anni e di faticoso sforzo, Romanidis utilizzò innumerevoli fonti di nota affidabilità conosciuto. È difficile sostenere che egli non abbia tenuto conto di una qualsiasi fonte significativa che potrebbe alterare le sue conclusioni. Invece, è riuscito a trarre l'attenzione su piccoli dettagli che possono essere sfuggiti all'attenzione di altri ricercatori. Un esempio tipico è la sua originale pretesa che a metà dell'VIII secolo i romani schiavi sotto i franchi in quella che oggi è la Francia si allearono con gli arabi per liberarsi dal giogo dei Franchi. Questa informazione è realmente contenuta nelle Continuazioni della Cronaca di Fredegario, citate da Romanidis, ma è stata ignorata fino ad ora. La sua scoperta è indicativa dell'attento studio delle fonti da parte di Romanidis.
Un altro esempio di scoperta di dettagli che erano sfuggiti all'attenzione di altri ricercatori è il Protocollo di Londra del 31 gennaio 1836, che determina il diritto di emigrazione dall'Impero Ottomano alla Grecia. Romanidis ha esaminato il testo originale in francese, che cita nel suo studio "Esempi della scienza della pulizia etnica della storia romana e una visione dei futuri Stati Uniti di Franco-Romania". Come sappiamo, da allora in tutte le lingue occidentali, i nostri antenati sono stati chiamati "greci" (Γραικοί). Il testo del Protocollo di Londra introdusse per la prima volta la distinzione tra "elleni" (gli abitanti del Regno di Hellas o Grecia) e "greci" (tutti quelli chiamati Greci che a quel tempo abitavano nell'Impero Ottomano). Qui è pienamente rivelata la propaganda occidentale che ha distorto i nostri nomi nazionali nel corso dei secoli. Nel tentativo di diversificare i romani liberi dai romani schiavi sotto i turchi, le grandi potenze distinsero tra elleni e greci, una differenza che causerebbe sicuramente risate se tradotta in greco.
Con la sua dettagliata ricerca, Romanidis risolse una questione storica, la cui risposta era sconosciuta al grande pubblico. La domanda era: perché tutti i re della Grecia, a partire dal secondo re (Giorgio I, 1863), portano il titolo "Re degli Elleni", mentre il primo re (Ottone), portava il titolo di "Re di Grecia"? Si sapeva che le grandi potenze avevano impedito a Ottone di portare il titolo di "Re degli Elleni". Ma perché lo permisero a Giorgio I? Grazie a Romanidis sappiamo la spiegazione: Ottone arrivò nel 1833, vale a dire prima del protocollo del 1836, quando anche le grandi potenze non distinguevano tra "Elleni" e "Greci". Se avessero chiamato Ottone "Re degli Elleni" (Roi des Grecs), avrebbero dichiarato che Otto era il re di tutti coloro che gli occidentali chiamavano Grecs (greci), cioè gli abitanti del Regno di Grecia e i romani schiavi dell'Impero Ottomano. Nemmeno le grandi potenze lo volevano, né, ovviamente, lo voleva la Turchia. Invece, nel momento in cui Giorgio I salì al trono nel 1863, ci fu una distinzione tra "Elleni" e "Greci", grazie al Protocollo del 1836. Così Giorgio fu chiamato Re degli Elleni (Roi des Elleni) e tutti furono contenti.
Pertanto, non si può sostenere che Romanidis ignorasse le fonti. È altrettanto difficile sostenere che abbia frainteso le sue fonti. Ad esempio, il punto di vista che l'Impero Romano, prima dell'invasione delle tribù barbariche, fosse bilingue, non è più una conclusione accettabile per i ricercatori moderni. Per essere esatti, la maggior parte della popolazione parlava greco, come è stato convincentemente sostenuto dal principale studioso contemporaneo della tarda antichità, Peter Brown (Il mondo della tarda antichità e altre opere). Il motivo era semplice: tutti i maggiori centri urbani, situati nella parte orientale dello stato, erano già stati ellenizzati sin dai tempi dei successori di Alessandro Magno. Oltre a Roma, non c'era una grande città nella parte occidentale dell'Impero.
Un professore universitario, il protopresbitero padre George Metallinos, ha studiato le fonti storiche per decenni, in primo luogo quelle dell'occupazione turca e del XIX secolo, ma non solo, e questo lo ha portato a conclusioni identiche a quelle prodotte da Romanidis. Le estese opere pubblicate di padre George confermano i risultati di Romanidis.
Gli stessi risultati sono stati ottenuti da ricerche personali indipendenti su fonti di storia medievale. Tra le altre fonti sono state esaminate la Storia dei Franchi di Gregorio di Tours, la Storia dei Goti di Giordane, la Cronaca di Fredegario, la Storia dei Longobardi di Paolo Diacono, le Leggi dei Longobardi, a cura di Drew K. Fischer, la Biografia di Carlo Magno (Vita Caroli) di Eginardo, il Rapporto dell'Ambasciata di Costantinopoli (Relatio de legatione Constantinopolitana) di Liutprando di Cremona, la Cronografia di Teofane, le epistole del patriarca Nicola Mystikos, Per il suo figlio Romano di Costantino Porfirogenito e le sue epiche Digenis Akritas. Nessuna delle conclusioni di Romanidis è in contrasto con le fonti che abbiamo esaminato.
Finora non abbiamo in mente una confutazione coerente delle posizioni di Romanidis. Tuttavia, di seguito presentiamo cinque critiche a volte sollevate per quanto riguarda le sue opinioni.
A) Forse il più grande critica complessiva del lavoro di Romanidis viene da Vladimir Moss nel suo studio Against Romanides -- A Critical Examination of the Theology of Fr. John Romanides (2012). Per quanto riguarda la parte storica, Moss non è d'accordo con Romanidis sostenendo che:
a) I franchi erano gli unici ortodossi fin dall'inizio tra tutti i popoli barbari, che si stabilirono nel territorio dell'impero romano (gli altri si erano convertiti all'arianesimo). Pertanto, la "conquista" dei franchi, di Clodoveo per esempio, intorno al 510, era stata celebrata dai romani d'Occidente come una "liberazione", piuttosto che come una conquista. (pag. 73)
Per sostenere la sua tesi, Moss si riferisce alla Catholic Encyclopedia del 1917, dove si legge di Clodoveo: "Ovunque introdusse buone leggi". Questo certamente non può essere considerato come una confutazione credibile. Inoltre, il trattamento favorevole dei Franchi dalla Catholic Encyclopedia conferma, piuttosto che minare, la pretesa di Romanidis.
Inoltre, Moss si riferisce alla Storia dei Franchi di Gregorio di Tours, scrivendo che "in nessun luogo egli contesta la legittimità del potere dei franchi" (p.74). Romanidis legge Gregorio di Tours in modo diverso, dicendo che "ha scritto la storia dei franchi fino al 591, cioè 1) prima che i franchi infiltrassero completamente la gerarchia e 2) durante il periodo in cui vi era una certa cooperazione tra franchi e romani di fronte ai problemi comuni. Tuttavia, anche se Gregorio era ispirato dal tanto sperato sogno che i romani avrebbero finito per influenzare i franchi per il bene, e che i romani sarebbero riusciti a continuare, soprattutto attraverso i vescovi, l'amministrazione dei numerosi romani conquistati dai franchi, egli non nasconde anche il più piccolo dettaglio per quanto riguarda la ferocia e la brutalità dei franchi "(Romiosini, pag. 137).
b) La distanza dell'Europa occidentale dall'Ortodossia, scrive Moss, non può essere attribuita a una sola tribù tedesca che ha cercato di distruggere la romanità (p. 76). I romani d'Occidente hanno partecipato al conflitto con Costantinopoli: papa Stefano II chiese aiuto al re franco Pipino nel 754 e insultò i "greci" nelle sue epistole. Papa Adriano I rivelò nel 785 le Decretali pseudo-isidoriane che divennero la base per la pretesa dell'assolutismo papale nei secoli successivi (p. 79). Papa Leone III fu il vincitore principale dell'incoronazione di Carlo Magno nel 800, perché "ottenne un imperatore 'tascabile' al posto dell'imperatore d'Oriente" (p. 81).
Moss fa ampio riferimento a un libro di un certo abate francese del XIX secolo (Guettée) al fine di raccontare il rapporto tra il papato e Carlo Magno. Il lettore si chiede come sia possibile che un libro convenzionale pubblicato 150 anni fa, che ribadisce la posizione consolidata, possa essere considerato una confutazione di Romanidis. In ogni caso, Romanidis aveva risposto a tutte le domande specifiche riguardanti le Decretali pseudo-isidoriane, che riteneva formate come una linea di difesa dei papi romani contro l'attacco dei franchi. Inoltre, è difficile convincere qualcuno che Papa Leone abbia vinto qualche cosa contro Carlo Magno, a parte la soppressione temporanea di un sovrano militarista. Inoltre, come Moss scrive immediatamente dopo, Carlo Magno ignorò il papa quando avrebbe dovuto incoronare il figlio, l'imperatore Ludovico (p. 81).
Nonostante le semplificazioni manichee dei suoi critici, Romanidis ha mostrato una rappresentazione molto più complessa di questo periodo. Non ha nulla a che fare con la "teoria razziale" criticata da Moss (p. 96), e Romanidis non considera tutti i romani occidentali come i "buoni" della storia. In un momento di enorme pressione e di occupazione straniera, molti si adeguarono ai Franchi per ragioni tattiche o per motivi di fede. Le modifiche successive nel papato, soprattutto nel X secolo, riflettono i cambiamenti nel rapporto di forza tra franchi e romani a Roma. Tuttavia, anche nelle più difficili condizioni di pressione dei franchi, i papi rimasero ortodossi nel dogma, motivo per cui i loro nomi sono iscritti nei dittici di Costantinopoli fino al 1009. L'esempio tipico è lo stesso Leone III, il papa che incoronò Carlo Magno nell'800. Quando i franchi proclamato come dogma l'aggiunta del filioque al Simbolo della Fede (Sinodo di Aquisgrana, 809), Leone rispose facendo apporre il Credo senza il filioque su due tavole d'argento nella Chiesa di San Pietro con la scritta: "queste ha posto Leone per l' amore e la protezione della fede ortodossa " (Romiosini, pag. 59). Fu una mossa di sommo coraggio, quando gli eserciti imbattuti di Carlo Magno erano ancora in Italia.
c) Come la maggior parte dei lettori di Romanidis, Moss rifiuta la visione radicale che la Rivoluzione francese sia stata una ribellione dei servi della gleba gallo-romani contro i loro governanti franchi. Si limita a chiamarlo "nonsense" e ritiene che da questo punto Romanidis sia "partito dalla storia verso il regno della fantasia" (p. 94). Tuttavia, i ricercatori stranieri più giovani hanno identificato prove a sostegno di Romanidis. Nel suo interessante studio intitolato I Franchi, Edward James cita un brano da una lettera di Caterina la Grande, nel corso della Rivoluzione francese, dove la zarina scrive: "Non vedete che cosa sta accadendo in Francia? I galli stanno scacciando i franchi". Pertanto, nelle grandi corti d'Europa si sapeva quello che stava succedendo, anche se i ribelli erano chiamati "Galli" invece di "Romani".
B) A parte la critica generale di Moss, gli altri singoli commenti che sono stati pubblicati sono molto più snelli. Aidan Nichols, un sacerdote cattolico e professore universitario, in una revisione approfondita dei principali teologi ortodossi del XX secolo, caratterizza Romiosini come "un'opera strana", ma le uniche confutazioni offerte sono le seguenti: "Il problema principale di questa tesi storica è che i barbari occidentali, invece di voler ricostruire l'Impero Romano d'Occidente a loro immagine, e quindi liberarsi dalle catene d'Oriente, sono stati un po' troppo felici di accettare qualsiasi parte del suo patrimonio, sia essa culturale, linguistica o religiosa, che il mondo greco-romano nel suo complesso avrebbe potuto offrire".
Le osservazioni di Nichols avrebbero potuto essere vere, in parte, per i conquistatori iniziali di Italia, gli ostrogoti, che adottarono molti attributi esteriori del governo romano. Non furono però loro a lasciare il loro segno indelebile sull'Europa occidentale. Dopo la loro sconfitta da parte di Giustiniano, sono scomparsi dalla scena della storia e l'evoluzione dell'Europa occidentale è stata guidata dai franchi. I franchi scelsero il conflitto con l'impero romano, non solo politicamente, ma anche culturalmente e teologicamente. Pertanto, essi non erano "troppo felici di accettare qualsiasi parte del suo patrimonio". Tuttavia, è notevole che Nichols, nonostante il commento di cui sopra, considera Romanidis come uno dei principali teologi nel mondo del ventesimo secolo.
C) Una critica che sembra essere alla base di molti commenti da parte di greci, relativi alla posizione di Romanidis, è che la sua preoccupazione riguardo ai nostri nomi storici nazionali è anacronistica e che la questione dei nomi nazionali non è essenziale oggi. Tuttavia, come dimostra l' esperienza degli ultimi venti anni, in cui la Grecia si è impegnata in una controversia diplomatica irrisolta con il nome di uno Stato vicino, i nomi nazionali non sono scelte innocenti. Invece, portano con loro una complessa simbologia, e includono dispute territoriali, ridefinendo le scelte storiche e alimentando le conquiste culturali del futuro. È quindi assolutamente indispensabile avere una conoscenza adeguata dei nostri nomi nazionali e del peso simbolico che essi portano.
D) Una lettura superficiale del lavoro di Romanidis può portare l'impressione che la conclusione dei suoi punti di vista portino a un nazionalismo peculiare. Invece di un moderno nazionalismo greco sorge un nazionalismo "romanistico", dicono. I romani identificati con i cristiani ortodossi a esclusione di altri popoli dalla fede corretta, spiegano. "Un cinese non può diventare ortodosso? Perché la Romiosini deve essere identificata con l'Ortodossia?", mettono in discussione.
Di fatto, Romanidis vedeva la Romiosini come qualcosa di molto più ampio rispetto ai confini di una nazione, anche se non era romana - supponendo che si possa parlare di una "nazione romana". Romiosini è una cultura universale che comprende l'ellenismo nella sua dimensione ecumenica. La cristianesimo si è espanso con la terminologia della lingua greca, ma tutti possono incorporare il patrimonio cristiano greco-romano nella propria tradizione. In effetti, nemmeno i Greci moderni hanno un trattamento preferenziale di origine etnica. Invece, nella misura in cui ignorano la storia della Romiosini, hanno accettato la propaganda dell'Europa occidentale e si sono trasformati in graeculi.
Nonostante le affermazioni di alcuni critici, Romiosini ha dimostrato nel corso dei secoli di essere eminentemente al di sopra del nazionalismo. Ha iscritto e assimilato diversi popoli di diverse origini linguistiche, non dando importanza al luogo della loro origine o al loro status sociale. Lo scopo è sempre stato quello di salvare il metodo terapeutico per le persone che erano stati perse ad altre culture, e condurle alla theosis. Questo scopo non ha alcuna relazione con la proprietà dei popoli, le aristocrazie elette o le lingue sacre.
Romanidis stesso ha costantemente sottolineato la differenza tra Romiosini e nazionalismo:. ». "Anche se un romano ha una convinzione assoluta nella propria Romiosini, non sono né fanatici né intolleranti, né hanno alcun xenofobia. Al contrario amano gli stranieri anche se non ingenuamente. Questo perché sanno che Dio ama tutti gli uomini e tutte le tribù e tutte le nazioni, senza discriminazioni e senza preferenze". E continua poi: "Perciò la Romiosini è fiducia, umiltà e lealtà, e non fiducia fasulla, sfrontatezza ed egoismo. L'eroismo della romanità è una vera e duratura condizione dello spirito e non crudeltà, barbarie e rapacità".
E) Infine, una critica più generale e abbastanza convincente sottolinea come le conclusioni della ricerca di Romanidis abbiano caratteristiche utopiche. Quando concludono lo studio delle sue opere, molti lettori sono portati a pensare che l'autore solleciti una ricostituzione dell'Impero romano oggi. In effetti, le ultime pagine di Romiosini, nell'Epilogo, sembrano un ambizioso manifesto politico per il ritorno dell'Europa "di formazione teutonica" alla "cultura greca dei romani":
"I discendenti occidentali dei romani non solo hanno invertito la nobiltà di classe e la teologia del feudalesimo dei conquistatori, ma sono pronti a tornare alla Romiosini dei loro antenati, che i romani d'Oriente preservano fino ad oggi con le loro numerose manifestazioni culturali che una volta esistevano nella Romiosini occidentale " (p. 273).
E continua:
"Una Romiosini non di formazione teutonica, anche se fino a un certo punto distorta, di voce romana e celtica è stata conservata in Europa occidentale, e sta tornando alla sua unità nazionale, religiosa e politica dal momento in cui respinge lo spirito teutonico che suddivide i discendenti dei Romani in piccoli stati egocentrici e egoisti" (p. 275).
Forse è un'utopia. Si tratta di un'utopia proprio come la proclamazione degli ebrei della Diaspora, nel 1897, quando hanno cercato di tornare alla Terra Promessa, con la loro capitale a Gerusalemme, dopo essere stati dispersi per 2000 anni. Tuttavia, non sono stati sufficienti nemmeno 50 anni perché questo fosse realizzato.
Romanidis riconosce che la sua visione è un'utopia, ma si affretta ad aggiungere che è meno utopica rispetto alla visione attuale di un'Unione Europea: "Nella misura in cui gli europei di oggi stanno già cercando di fare qualcosa di simile, perché gli antenati dei Romani non possono cercare un'unità meno utopistica e storicamente vera?"
La visione di un'Unione Europea è più utopica perché: "Così com'è attualmente, l'Europa di formazione teutonica non sarà mai unita in quanto è dominata dallo spirito razzista, sessista, settario, eudemonistico e di sfruttamento dei teutoni che cercano la sottomissione e lo sfruttamento delle persone sotto piccoli gruppi mercenari "(Romiosini, pag. 275).
Nell'era dei memorandum legali, mentre i cittadini europei sono sempre più allontanati gli uni dagli altri e si insultano l'un l'altro lanciandosi slogan razzisti, le parole di Romanidis suonano, ancora una volta, come profetiche.
Concludendo questa breve relazione, possiamo riassumere quanto, oltre a essere uno dei teologi leader nel mondo, padre Ioannis Romanidis era anche un pioniere della storiografia. Ha usato frammenti di informazione oscuri che sfuggivano all'attenzione di altri ricercatori e ha composto un concetto completamente nuovo, che ha resistito al tempo e alla critica. Questa sintesi ambiziosa unisce la ricerca storica con una proposta teologica ed è solidamente radicata nella tradizione della Chiesa e del popolo ortodosso. Questo è il motivo per cui rimarrà un bene prezioso per le future generazioni di tutta l'umanità.

Fonte: Ekklesiastiki Paremvasi, "O π. Ιωάννης Ρωμανίδης ως ιστορικός", settembre 2013 Tradotto da John Sanidopoulos.