domenica 14 agosto 2011




Русская православная церковь
Московского  патриархатa

православный  христианский  приход
“св.  иоанна кронштадтского”
Кастровиллари

  Август     2011    August

19      Venerdì
Trasfigurazione di N.S.G.C.


ПРЕОБРАЖЕНИЕ ГОСПОДА БОГА
И СПАСА НАШЕГО ИИСУСА ХРИСТА


Schimbarea la Faţă a Domnului



              18:    ВЕЧЕРНЯ - Vecernia            в  17.30

19:  БОЖЕСТВЕННАЯ  ЛИТУРГИЯ    
                    SFANTA  LITURGHIE            в  10.00


sabato 13 agosto 2011

Riflessione a cura di p. Seraphim

 
Carissimi e carissime
ricordo a chi di voi segue il calendario tradizionale che domani Domenica 14 agosto (1° agosto nel calendario giuliano) inizia il digiuno in onore alla Madre di Dio in preparazione alla festa della Dormizione (Uspenie). Questo digiuno dura 15 giorni fino a sabato 27 agosto compreso. Durante questo digiuno si possono mangiare solo cibi di origine vegetale, niente carne, uova, latte e derivati, si può mangiare pesce venerdì 19 agosto (6 agosto nel calendario giuliano) per la festa della Trasfigurazione (Preobrazenie) del Signore e si può bere vino la Domenica e il giorno della Trasfigurazione, si può usare olio tutti i giorni. E' un digiuno duro ma anche molto corto e in una stagione in cui è facile trovare verdura e frutta fresche, cerchiamo di viverlo al meglio offrendolo in onore alla Santissima Nostra Madre. Ovviamente il digiuno da solo non basta, uniamo una preghiera più intensa, la tradizione della Chiesa ci insegna a recitare ogni giorno il canone alla Madre di Dio fino alla vigilia della festa (27 agosto) e dal giorno della festa (28 agosto cioè il 15 nel calendario giuliano) fino al 13 settembre l'inno akathistos.
Mentre a tutti coloro che seguono il calendario gregoriano auguro una buona Festa.
Buone cose a tutti, il Signore vi benedica.

p. Seraphim

giovedì 11 agosto 2011

Con grande entusiamo ricevo dal mio carissimo amico prof. Francesco Marchianò, ka Spixana, e pubblico.


LA FINE DI UN’ETNIA IN SEI EPISODI
di Francesco Marchianò
Questi brevi racconti sono il frutto di circa un decennio di attività che ho prestato, come docente e come operatore culturale, in vari centri calabresi e albanofoni della vasta provincia di Cosenza.  Le vicende che mi sono realmente accadute, dal 1996 a tutto il febbraio 2006, hanno come filo conduttore il piccolo mondo arbëresh che sta per scomparire, a mio avviso senza possibilità di rinascita, inghiottito dal vortice della globalizzazione, dall’indifferenza delle istituzioni e dalla cronica rassegnazione caratterizzante le popolazioni meridionali, di cui noi Arbëreshë facciamo pienamente parte!
Isolamento, decremento demografico, mancanza di stimoli culturali e, soprattutto, mancanza di lavoro, con conseguente nuova emigrazione, stanno prostrando e spopolando tutti i centri albanofoni ed in modo particolare i paesini di montagna e alta collina, già penalizzati dall’infelice posizione geografica in cui si trovano. 
Alla luce di quanto detto, penso che oggi la priorità assoluta sia quella di salvare l’Uomo in queste realtà garantendogli la dignità di un lavoro, motore primario dell’esistenza, più che a litigare, per esempio, se insegnare o usare l’arbërisht o lo shqip nelle scuole, nelle riviste o conferenze! (F.M.)
1) Una mattina, in una scuola media di un popoloso centro della provincia di Cosenza, mi tocca sostituire un collega. Durante l’appello mi soffermo davanti ad un nominativo albanese, Gj. Ervin:
-         A jeni shqiptar? – chiedo, spinto dal richiamo di sangue.
-         Cc’ha rittu?- mi risponde in dialetto calabrese.
-         Flitni shqip?- insisto, stupito.
-         Nun ti capisciu – Lui, di rimando.
Incollerito da tanta insolenza, invito perentoriamente il giovane albanese a rispondere in lingua italiana per poi avviare un colloquio amichevole con lui e scoprire che è arrivato pochi anni fa da Tirana con la famiglia.
Dal dialogo è emerso che Ervin ignora completamente la presenza degli  Arbëreshë (Albanesi d’Italia) nella provincia di Cosenza, ma il fatto più grave è che anche i suoi compagni di classe calabresi nulla sanno dell’esistenza di paesi albanofoni, a pochi chilometri dalla loro città, ed inoltre alcuni di loro non sanno di avere cognomi denotanti  origini albanesi perché i nonni ed i genitori non gli hanno mai raccontato di provenire da Lungro, S.Giorgio, Cerzeto, …..
Se per l’alunno albanese Ervin il termine Arbëresh non riveste alcun significato, anche il termine Ghiegghiu, con cui una volta le popolazioni locali apostrofavano gli Arbëreshë e che rimandava anche ad un famigerato motto, ai giovani calabresi, ormai non parlanti più il proprio dialetto, non dice proprio nulla!
2) Tempo fa un amico artista, che doveva partecipare ad un concorso di pittura, invitò me e Pino A. per fargli compagnia a S. Cosmo Albanese, paese da lui scelto per schizzare qualche antica gjitonia (vicinato).
Nonostante fosse un bel pomeriggio di luglio, il paesino sembrava completamente spopolato, così come lo erano i suoi due o tre bar del centro storico. Questo senso di vuoto si acuiva man mano che ci addentravamo nei vicoli e diventava ancora più angosciante per la mancanza di negozi ed altri esercizi (barbiere, lavanderia, edicola,…), e in me ancor di più nel vedere chiuso anche il negozietto del carissimo amico Tuturo, una specie di bazar dove si poteva trovare di tutto.
Scelto il posto, il pittore piazzò il cavalletto e cominciò ad abbozzare qualche schizzo.
Dopo alcuni minuti arrivarono quattro o cinque monelli che, dopo aver curiosato attorno al cavalletto, cominciarono a giocare al pallone.
Durante una pausa si avvicinarono:
-         Si ju e thonë? – chiedemmo loro, ottenendo il silenzio come risposta!
-         Si ju e thonë? E kini o ‘ng e kini nj’ëmër? – insistemmo.
Con i loro occhietti vispi ed intelligenti si guardavano fra loro facendo spallucce e ridendo.
- Nëng mund ju përgjigjen se nëng fjasën arbërisht. Dica janë edhe të ghuaj ç’vinjën ka malet e Akrës e tjerët nëng i mësuan të fjasën gjughën tone! - intervenne un’anziana donna intenta a sferruzzare dietro l’uscio, dopo aver sentito le nostre domande.
Ella continuò sconsolata a raccontare che Tuturo era scomparso da qualche tempo e che i giovani erano andati a lavorare al Nord o all’estero mentre altri si erano stabilmente trasferiti a Cantinella o Corigliano, per cui a Strighàr erano rimasti soltanto i vecchi.
La gentilezza dell’anziana donna fu tale che colsi l’occasione per chiedere di alcuni miei ex alunni che avevano studiato al Liceo di S. Demetrio Corone e nella scuola media di Vaccarizzo: seppi così che alcuni si erano laureati, altri sistemati diversamente ma nessuno di loro sarebbe tornato nel paese se non per il periodo estivo.
La sera ce ne andammo dopo aver visitato lo stupendo Santuario dei SS. Cosma e Damiano ed aver reso omaggio al busto del grande poeta arbëresh Zef Serembe (1844-1900).
3) Con la mia compagna Mariella una mattina di maggio decidemmo di andare a Macchia Albanese, paese di nascita di mio nonno.
Lasciata S. Demetrio percorremmo la strada, che la collega alla citata frazione, in mezzo ad un’esplosione di fiori e tripudio di profumi della lussureggiante macchia mediterranea che la lambisce da ambo i lati.
Dopo aver parcheggiato l’auto all’ingresso del paese non abbiamo potuto visitare la chiesa di S. Maria di Costantinopoli, dove riposano le spoglie del nostro vate Girolamo De Rada (1814-1903), perché inagibile per il terremoto del 1997.
Con Mariella mi avviai verso la via principale indicandole la casa di De Rada, la famosa pietra che il Vate usava per salire sul mulo, la casa del letterato Michele Marchianò e poi tante targhette di citofono stampigliate col mio cognome.
Nonostante fosse domenica, la stretta strada principale che attraversa tutto il paese era vuota mentre solamente l’unico negozietto di generi alimentari dava segni di vita: qualche anziana donna faceva tardivi acquisti prima di mezzogiorno.  
Qualcuno si affacciava distrattamente dalla porta mentre qualcun altro ci chiedeva:
-         Kush jini? Ka jin’e vini? Ç’erdhit e bëtë këtu ç’nëng qindroi mosnjeri?
Dopo aver fatto presente che ero originario del luogo, chiedevo se conoscessero miei amici ed alunni. Ed anche qui la stessa litania di S. Cosmo: Luciana, Anna, Ariosto, Domenica, … erano tutti andati a lavorare al Nord.
Ce ne andammo mentre nella piazzetta davanti alla chiesa due vecchietti godevano il tepore del sole primaverile e quattro bambine osservavano curiose ed impazienti un marocchino che allestiva una misera bancarella.
4) Giungo davanti alla scuola media di S. Caterina Albanese (Picilìa) un bel pomeriggio di giugno con un amico dopo aver percorso una strada a tratti disagevole.
La mia presenza in questo piccolo centro era dovuta ad un progetto del C. T. P. di Malvito che affidava dei corsi di alfabetizzazione arbëreshe, da tenere a Spezzano Albanese e S. Caterina Albanese, rispettivamente a me ed al caro amico Ernesto Tocci. La programmazione prevedeva uno scambio di sei ore dei docenti nelle due sedi.
Nella scuola ad attendermi c’era il personale di turno, poi man mano cominciarono ad arrivare i corsisti che, per la maggior parte, si rivelarono essere insegnanti. Dopo le dovute presentazioni cominciai a parlare del mio paese, delle tradizioni, di rituali, storia, etc… suscitando l’interesse dei corsisti e dei curiosi, che nelle due ore aumentarono di numero.
Il secondo giorno, dedicato alla storia e costumanze di S. Caterina, ho constato con amarezza che nel paese che aveva dato i natali al primo drammaturgo albanese, p. Francesco Antonio Santori (1819-1894), la lingua è parlata solo da un ristrettissimo numero di anziani mentre le giovani generazioni ormai si esprimono solo negli idiomi calabrese ed italiano.
 A causa dell’isolamento e della mancanza di lavoro, anche questo paesino di montagna va man mano spopolandosi a vantaggio dei grossi centri vicini o delle frazioni, non isolate, dove esistono piccole realtà economiche più prospere, come Pianette.
L’ultimo giorno si verificò il pienone, con corsisti e curiosi, forse perché avevo anticipato che avremmo letto e commentato insieme le bellissime rapsodie di Kostandini e Jurëndina e di Kostandini vogëlith.
La lettura, da me effettuata, in alcuni presenti suscitò delle emozioni in quanto richiamava alla memoria di tanti anziani e meno giovani termini desueti ed espressioni scomparse e, soprattutto, note di colore che appartengono ormai ad un lontanissimo passato.
Terminato il corso gli amici di Picilìa mi salutarono con caloroso affetto mentre uno sparuto, rumoroso ed indifferente gruppo di giovani giocava a calcetto.
5) Quando esco dall’abitazione dei miei genitori per rincasare volgo sempre uno sguardo nel vicoletto che mi ha visto crescere assieme ad una quarantina di compagni della gjitonia che, fino a qualche lustro fa, risuonava ancora delle voci di tanti bambini.
Ora in questa strada alcune case sono disabitate, altre sono abitate da anziani o meno giovani, mentre i giovanissimi si contano sulle punta delle dita. Ed i bambini? Beh, ora c’è solo una mia cuginetta, una vispa bambolina di circa tre anni nata da genitori che parlano l’arbërisht.
Spesso la nonna la porta nel nostro vicinato per farle fare una passeggiata e quando ogni tanto cerca di sfuggire alla vigilanza:
- Dove vai? Stai attenta! – le grida con apprensione la nonna.
- Cjè Marì, pse vajzën ’ng e mbësuat t’ fjas si na? - chiedo con un tono volutamente provocatorio, nonostante io conosca la risposta.
- E jore! Ç’i bizënjarën kjo gjuhë? - risponde lei infastidita e convinta dell’affermazione.
Dato che i miei genitori sono avanti con gli anni, spesso sono oggetto di visita di parenti. Fra questi c’è una giovane cugina con due figli frequentanti le scuole elementari ed ai quali si rivolge rigorosamente in italiano, mentre al marito ed ai conoscenti in arbërisht!
-         Marì, thuajëm, pse i fjet lëtisht këtire?
-         Pse kështu gjënden më mirë te skolla, però vajza vete te korsi di albaneze!
E mentre lei così pontifica, penso a quei pochi validi, e spero motivati, colleghi che insegnano questa bistrattata lingua albanese, nelle scuole elementari e medie, e non so perché mi vengono in mente Don Chisciotte con i suoi mulini a vento!
6) Qualche sera fa siedo con Mariella davanti ad un bar a Rende. Da un negozio esce una ragazza che, appena mi nota, viene a salutarmi. È stata mia alunna in un paese arbëresh, si è laureata da pochi anni in lettere albanesi ed ora è operatrice in uno sportello linguistico.
- Beh, che si dice di questi sportelli linguistici? – le chiedo con curiosità.
- E che si deve dire, professò. C’è una confusione! Non esiste un progetto comune a tutti e quindi uno sportello allestisce un sito internet, un altro realizza un calendario, altri ancora catalogano libri, svolgono ricerche di archivio,…Ma la nota più dolente è la totale mancanza contatti con gli abitanti del posto, scambi con gli esperti, i circoli culturali esistenti. Per certi aspetti alla gente del posto sembriamo dei marziani tanto che ci chiedono che cosa facciamo noi al comune! – risponde, ridendo su quest’ultima battuta.
- Ma non dovevate tutelare la minoranza con scritte bilingui, traduzioni, raccolta del patrimonio orale e materiale delle comunità albanofone? – insisto.
- Professò, secondo me la legge è nata sbagliata e gli enti continuano a sbagliare. Nessuno controlla le attività degli sportelli! Ma c’è di più! Piano piano il governo sta tagliando i fondi e l’anno prossimo non solo alcuni di noi non avranno più la riconferma dell’incarico, quando nel futuro sarà ancora peggio! Inoltre ci sarebbe da ridire anche sui criteri di reclutamento di alcuni sportellisti che non parlano, o non conoscono affatto, né l’arbërisht e né lo shqip! Basta leggere i madornali e spesso esilaranti errori che si possono riscontrare in quel poco che è stato prodotto!
- Guarda, sinceramente ignoro la realtà degli sportelli linguistici e di altri organismi sorti in base alla legge 482/1999! Però quello che mi riferisci mi sembra tutto così strano! – rispondo palesemente stupito.
- Professò, per alcuni s’è aperto lo sportello per altri, invece, si è aperta la porta! Rrini mirë!
Ci accomiatammo con un velo di tristezza perché se questa giovane e volenterosa laureata non avrà la riconferma in questo posto precario sarà costretta a raggiungere i genitori all’estero … proprio come un’emigrante di mezzo secolo fa!

martedì 9 agosto 2011

Dalla Chiesa Ortodossa Russa

Dichiarazione del Servizio di comunicazione del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca sulla profanazione della chiesa ortodossa del paese di Samodreza in Kosovo


La chiesa dedicata alla decollazione di s. Giovanni battista del paesino di Samodreza in Kosovo sorge sul luogo in cui, secondo la tradizione, i soldati del santi principe Lazar avrebbero ricevuto la comunione prima della celebre battaglia del Kosovo ed in essa sono sepolte le salme di quanti persero la vita in quella storica battaglia. Perciò la chiesa è sempre stata oggetto di devozione da parte degli ortodossi che vivevano in Kosovo.
All’esodo forzato dei serbi locali durante la crisi jugoslava è seguito l’abbandono della chiesa. Nel 1998 alcuni abitanti locali fortemente avversi all’Ortodossia hanno demolito il tetto della chiesa, che l’anno successivo è stata saccheggiata e incendiata. Dopo la partenza degli ultimi serbi da Samodreza, nel 1999 il recinto in muratura che difendeva la chiesa è stato abbattuto e i locali della chiesa sono stati riempiti di rifiuti e escrementi. Nel marzo 2004 l’edificio della chiesa è stato fortemente danneggiato durante gli attacchi anti-serbi.
Nel 2010, dopo insistenti richieste da parte della diocesi locale della Chiesa serba, le forze della presenza internazionale in Kosovo sono stati intrapresi lavori di pulizia della chiesa ed è stata montata una porta blindata che impediva l’accesso di vandali.
La comunità albanese locale è stata informata del progetto di restauro della chiesa e dell’offerta di un sussidio materiale alla scuola albanese situata in prossimità della chiesa. L’amministrazione comunale di Samodreza, forse per timore delle reazioni dei fondamentalisti, nel marzo 2011 ha respinto questi progetti,
Nel giungo 2011 la porta blindata è stata sfondata e la chiesa nuovamente profanata. Immediatamente il vescovo serbo della diocesi locale ha chiesto ufficialmente alle autorità del Kosovo e ai rappresentanti locali delle organizzazioni internazionali di adottare misure per evitare nuove profanazioni della chiesa, che rischia di ridiventare un immondezzaio.
La situazione della chiesa di Samodreza, la distruzione del tetto dell’antica chiesa della Madonna a Prizren nonostante il servizio di guardia, la ripresa illegale dei lavori di costruzione di una strada accanto al monastero di Zocishte e all’attiguo cimitero serbo e diversi altri episodi concernenti i luoghi di culto serbi nel territorio del Kosovo e della Metochia mette in questione la capacità delle autorità del Kosovo di garantire l’incolumità dei monumenti della cultura serba nel paese.

sabato 6 agosto 2011

Senza parole........ovvero quando il così detto ecumenismo serve agli uni come agli altri. Dal sito: Oriente cristiano.

La chiesa va agli ortodossi, ma il prete non lo sa

chiesa reggio emiliaAndrea Zambrano - © www.bussolaquotidiana.it - 1 agosto 2011

E’ entrato nella chiesa dove celebra messa da 40 anni e ha trovato un pope ortodosso che smantellava le statue dei santi. Alla richiesta di spiegazioni, il religioso rumeno non ha fatto altro che allargare le braccia e invitarlo a rivolgersi in curia. Succede a Reggio Emilia nella chiesa del Cristo, piccolo santuario dove da 40 anni tutte le mattine il rettore don Luigi Veratti celebra la messa delle 9.30 di fronte ad un nutrito gruppo, circa 50, di fedeli. 

Il tempio, il 7 luglio scorso, è passato agli ortodossi secondo il principio raccomandato dalla Cei di concedere in uso alle altre confessioni cristiane, edifici religiosi. Ma qualcuno in curia, evidentemente, si è dimenticato di parlarne con il rettore del santuario, e soprattutto di spiegare ai popolo di Dio le ragioni del cambio e le alternative disponibili. La numerosa comunità rumena a Reggio era già ospitata in quella chiesa per la Divina Liturgia della domenica. “I nostri santi e i loro santi insieme, mai un problema di convivenza”, ha raccontato il sacerdote. Ma la convivenza è stata rotta da una decisione che assume i contorni di una fredda pratica burocratica da sbrigare. “Il fatto è che ho dovuto chiedere il permesso al pope di poter celebrare l’ultima messa e avvertire così i fedeli che la celebrazione era stata soppressa”, ha raccontato alGiornale di Reggio il sacerdote, visibilmente commosso per il trattamento ricevuto dai suoi superiori. 
Per diversi giorni don Veratti, che è stato fino a pochi anni fa cappellano del carcere di Reggio, si è trovato così nella spiacevole situazione di non sapere dove andare a celebrare la messa quotidiana. “Tornerò in galera”, ha detto tra il serio e il faceto. Ora probabilmente troverà “ospitalità” in un’altra chiesa. Peggio invece è andata ai fedeli, molti dei quali pensionati o frequentatori di passaggio (il tempio è nelle vicinanze della fermata dell’autobus e molto comodo per chi arriva a Reggio da fuori per commissioni), che si sono visti cancellare la messa, ma non hanno avuto dalla curia nessuna comunicazione a riguardo. “Considerata la facilità per i reggiani di accedere alla Messa in altre chiese...”. 
Così recitava lo scarno comunicato della diocesi, emesso però a giochi già fatti, quando il sacerdote e i fedeli erano già stati sfrattati. Ora per il nutrito gruppo interparrocchiale non resta da fare altro che scrivere al vescovo titolare della diocesi di Reggio e Guastalla, Adriano Caprioli, per chiedere la ratio di un provvedimento che sembra assurdo e spiegazioni in merito ad una mancanza di rispetto, che ha portato, senza che ne venissero a conoscenza, alla soppressione con una facilità disarmante di una messa radicata nel sentito religioso di molti. Tanto più se si considera che nella città del Tricolore sono già diverse le chiese chiuse al culto, ma perfettamente agibili e spesso utilizzate per concerti o mostre, e che si potevano concedere senza problemi ai fedeli ortodossi. 
In fatto di spiegazioni poi, notevole è stato l’imbarazzo del responsabile diocesano per l’ecumenismo, monsignor Giancarlo Gozzi, che alle richieste di chiarimenti sulla natura e le ragioni della soluzione, ha replicato ad un giornale locale con un più che esaustivo: “Non so”. Il risultato è che l’enfasi ecumenica ha prodotto, secondo la solita eterogenesi dei fini, l’effetto spiacevole di aprire le porte di casa alle altre confessioni, e di chiuderle ai cattolici. Alla faccia dell’unità dei cristiani. 

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Complimenti a questi confratelli che appena arrivati in Italia, neanche hanno aperto bocca per far sentire il loro tono di voce, si sono trovati con Chiese e Cappelle dove poter celebrare la Divina Liturgia.
Anchio ho scritto e riscritto ai vari Vescovi della zona, citando i decreti vaticani per la concessione in comodato di Chiese o Cappelle non ufficiate, ma non ho ricevuto neanche una risposta........ di diniego; no per essere giusti ed esatti e non dire bugie qualcosa l'avevo ottenuto nella cittadina di Diamante (cs). Dal Vescovo mi era stato concesso ed ho ancora la lettera, per  una volta al mese, la Chiesetta dedicata a San Giuseppe. Ancora la gioia dei fedeli ortodossi del Patriarcato di Mosca e mio non era scemata, che arriva un'altra lettera (nel giro di pochi giorni) in cui mi si comunicava che per motivi statici della volta della Chiesa, la concessione veniva revocata. Se questa è la causa.....ho pensato: sia fatta la volontà del Signore !!!!
Solo che poi capitando da quelle parti e chiedendo a qualche amico di Diamante la situazione della Chiesa la risposta è stata lapidaria: "No, padre, la messa viene celebrata regolarmente ".
Tutto questo, poi ho capito perchè è avvenuto, ma non mi permetto di spiegarlo..................è troppo meschino. Comunque io personalmente la causa del diniego l'ho addossato ai miei tantissimi peccati ..........
Ora leggendo questo articolo mi chiedo: "Ma cosa hanno loro più dei nostri fedeli, forse quelli del nostro Patriarcato sono fedeli della Lega Pro (serie C)? " Forse, ancora, non ci concedono Chiese perchè siamo preti ortodossi italiani? Ma cosa centra il luogo di nascita? Quindi si fanno due pesi e due misure? 
Comunque per concludere io prego il Signore e dico: " Signore non guardare ai miei peccati, tu sai che siamo come canne al vento, ma non dimenticare i tuoi tanti fedeli ed accudiscili secondo i tuoi disegni; io sono il tuo umile servo....sia fatta la tua volontà e non la mia. Amìn "

venerdì 5 agosto 2011

Dal sito: oriente-cristiano

CONVEGNO SAE: ZELINSKY (ORTODOSSO), 
“MODO DIVERSO DI VIVERE LA FEDE”
Padre Vladimir

Vladimir Zelinsky, prete ortodosso russo, docente all’Università di Brescia, ha evidenziato come “le significative differenze che ci sono tra il mondo ortodosso e le Chiese occidentali, ad esempio su temi specifici come il campo sessuale, si radichino in una diversa impostazione teologica”. Nell’ortodossia c’è “il primato dell’accentuazione teocentrica”, in Occidente invece c’è “uno sguardo più attento alla centralità del soggetto umano”. Mentre “l’ortodossia privilegia una visione dell’uomo spirituale”, l’Occidente “rischia sempre di accentuare di più la dimensione etica nella sua autonomia”, che talvolta sconfina un po’ “nel giuridico”. Zelinsky ha citato alcuni temi in cui c’è grande distanza tra ortodossia e mondo protestante come l’omosessualità. In generale, il prete ortodosso russo ha sottolineato “la difficoltà dell’ortodossia a rapportarsi con l’Occidente per questo modo diverso di vivere la fede”. La pastora valdese Letizia Tomassone di La Spezia ha rivendicato al mondo protestante “uno stile di discernimento diverso da quello delle altre comunità, ma pur sempre cristiano” con “un’attenzione per la dimensione comunitaria, il discernimento morale, il suo radicamento biblico, la contestualità delle decisioni prese”.
 A tutte le Fedeli, a tutti i Fedeli,
a tutte le amiche,
a tutti gli amici che stanno 
usufruendo delle sospirate ferie

BUONE VACANZE

buon divertimento, buon riposo
ovunque voi siate !!!!!!

Pubblicata da Ieromonaco Isidoro

Preghiera degli ultimi starzy del Monastero di Optino

Signore, concedimi di andare incontro con animo sereno a tutto ciò che mi apporterà il giorno che viene. Concedimi di affidarmi completamente alla Tua Santa Volontà. In ogni ora di questa giornata istruiscimi e sostienimi in tutto.
Qualsiasi notizia abbia a ricevere nel corso di questo giorno, insegnami ad accoglierla con animo sereno e con la ferma convinzione che tutto accade secondo la tua Santa Volontà.
In tutte le mie azioni e parole, guida i miei pensieri e i miei sentimenti. In tutti i casi imprevisti fa' che non dimentichi che tutto è mandato da Te.
Insegnami ad agire in modo retto e ragionevole con ogni membro della mia famiglia, senza amareggiare né turbare nessuno.
Signore, dammi la forza di sopportare la fatica del giorno che viene e tutto ciò che mi accadrà. Guida la mia volontà e insegnami a pregare, a sperare, a credere, ad amare, a sopportare e a perdonare. Amìn.

giovedì 4 agosto 2011

Dal sito: http://www.castrovillari.info/

ACQUAFORMOSA - DAL LIVELLO PRAGMATICO AL LIVELLO DEI VALORI AFFERMANDO QUELLO DELL' ACCOGLIENZA, QUESTO IN ESTREMA SINTESI IL MESSAGGIO CHE VIENE DALLA GIORNATA DEL RIFUGIATO TENUTASI LO SCORSO 29 LUGLIO at: 04/08/2011



SI CONCLUDE CON UN BREVE DIBATTITO LA GIORNATA DEL RIFUGIATO CHE SI E' TENUTA LO SCORSO 29 LUGLIO AD ACQUAFORMOSA. PIOVONO CRITICHE TRASVERSALI, DAL SINDACO DEL COMUNE ARBËRESHË IN PRIMIS E CON ARGOMENTAZIONI SEMPRE DIVERSE ANCHE DAI SUOI OSPITI, ALLA GESTIONE NAZIONALE E REGIONALE DELL’EMERGENZA IMMIGRATI PROVENIENTE DAL NORD AFRICA. ACQUAFORMOSA OSPITA DA CIRCA CINQUE MESI TRE FAMIGLIE DI RIFUGIATI POLITICI, UNA DI PROVENIENZA ARMENA, L’ALTRA CURDO-ARMENA E L’ALTRA NIGERIANA. QUESTE FAMIGLIE SONO OSPITATE IN APPARTAMENTI E SEGUITE DA VOLONTARI E COOPERATIVE SECONDO LA LOGICA DEL PIANO SPRAR. PER ORA, MA SI È SOLO ALL’INIZIO, I RISULTATI SONO POSITIVI, MA LE ASPETTATIVE E I PROGETTI DEL VULCANICO SINDACO, ORMAI NOTO ALLE CRONACHE ANCHE PER LA SUA STRAVAGANZA NELLE BATTAGLIE CIVILI, HA BEN ALTRE IDEE E PROGETTI. MA PARTIAMO DAL PIANO POLITICO. GIOVANNI MANOCCIO RITIENE CHE I CIRCA 20000 MIGRANTI SBARCATI IN ITALIA IN QUESTO PERIODO AVREBBERO POTUTO ESSERE ACCOLTI IN SENO ALLO SPRAR CHE COSTA ALLO STATO MOLTO MENO E GARANTISCE UN’ACCOGLIENZA CHE RISPETTA LA DIGNITÀ DEI RIFUGIATI PIUTTOSTO CHE ACCALCARLI NEI CIE E NEI CARA CON I RISULTATI PESSIMI CHE ANCHE LE PIÙ RECENTI CRONACHE BARESI PORTANO ALLA RIBALTA. IL DUBBIO POLITICO, O MEGLIO LA CRITICA VERA, È CHE L’AVER LASCIATO IL COMPITO DI SMISTAMENTO DEI MIGRANTI ALLA PROTEZIONE CIVILE COME FOSSE UN PROBLEMA DI “ORDINE PUBBLICO” SIA DIPESO DALL’ESIGENZA DEL GOVERNO CENTRALE DI SOTTOSTARE AI DIKTAT DELLA LEGA NORD. ATTEGGIAMENTO QUESTO CONFERMATO DALL’ON. DORIS LO MORO MEMBRO DELLA COMMISSIONE PERMANENTE AFFARI COSTITUZIONALI E PRESENTE AL DIBATTITO. NON SOLO, NOTA POLEMICA CORAGGIOSA DEL SINDACO QUELLA DI AFFERMARE CHE LO SMISTAMENTO AVVIENE SECONDO UNA POLITICA DEL DOPPIO VOLTO CHE SPOSTA AL NORD LE FAMIGLIE DI RIFUGIATI CHE SONO EVIDENTEMENTE PIÙ GESTIBILI E LASCIA AL SUD GIOVANI SOLI, O COMUNQUE SITUAZIONI PIÙ COMPLESSE, IN UN QUADRO GIÀ STORICAMENTE PIÙ DIFFICILE. TUTTO CIÒ SU UN PIANO POLITICO CONDIVISO DAI PRESENTI: GIANLUCA GALLO (UDC), MIMMO TALARICO (IDV), GIANPAOLO CHIAPPETTA (PDL), TUTTI ESPONENTI POLITICI CALABRESI. MOLTO MODERATO NEL SUO INTERVENTO GALLO E VIVACE TALARICO NELLA SUA BREVE ESPOSIZIONE STORICA SULLA EMIGRAZIONE DEI MERIDIONALI VERSO IL NORD ITALIA. IMBARAZZATO CHIAPPETTA CHE PUR CERCANDO DI AGGIRARE IL FRONTE POLITICO OPPOSTO NON PUÒ NON AMMETTERE LA DIFFERENZA DEL PDL CALABRESE IN TEMA DI IMMIGRAZIONE DALLA POSIZIONE AMBIGUA DEL GOVERNO CENTRALE. AMMISSIONE COMUNQUE DIGNITOSA E DI VALORE. LE ASPETTATIVE DELLA COMUNITÀ ARBËRESHË E DEL SUO SINDACO SULLA CRESCITA CULTURALE, MA NON SOLO, CHE DERIVEREBBE DALL’ACCOGLIENZA DEI RIFUGIATI, SAREBBERO NOTEVOLI SE GESTITE CON INTELLIGENZA. INSOMMA UN RECIPROCO AIUTO CHE VEDREBBE RIVITALIZZARE IL PICCOLO CENTRO ED UN AIUTO CONCRETO ALL’EMERGENZA UMANITARIA MEDITERRANEA. UN PRAGMATISMO MIRABILE CHE LA LO MORO SPOSTA, CON GUSTO GIURIDICO NOTEVOLE, DAL PIANO PRAGMATICO AL PIANO DEI VALORI AFFERMANDO IL VALORE DELL’ACCOGLIENZA A PRESCINDERE DA QUALSIASI RECIPROCITÀ. ACQUAFORMOSA È PRONTA AD ACCOGLIERE LA SFIDA.
ANNA MARIA CAPPARELLI

martedì 2 agosto 2011

Dal sito: http://www.lexpress.fr/

Turquie: des archéologues auraient

découvert la tombe de l'apôtre Philippe

publié le 27/07/2011 à 11:27
Turquie: des archéologues auraient découvert la tombe de l'apôtre Philippe
Pamukkale, l'antique Hiérapolis
afp.com/Mustafa Ozer

ANKARA - Une équipe d'archéologues dirigée par l'Italien Francesco d'Andria a affirmé avoir retrouvé à Pamukkale, l'antique Hiérapolis, dans l'ouest de la Turquie, la tombe de Saint Philippe, l'un des douze apôtres de Jésus Christ, rapporte l'agence Anatolie.

"Nous tentons de retrouver depuis des années la tombe de Saint Philippe (...) Nous l'avons finalement trouvée dans les décombres d'une église (de la zone) que nous avons mis au jour il y a un mois", a souligné l'archéologue qui travaille depuis plusieurs années en Turquie, cité par l'agence.
Il a précisé que la tombe n'avait pas encore été ouverte.
"Un jour elle le sera sans doute. Cette découverte est d'importance majeure pour l'archéologie et le monde chrétien", s'est félicité l'archéologue.
Originaire de Galilée, l'actuel Israël, Philippe fut l'un des disciples du Christ. Il serait parti évangéliser des régions d'Asie Mineure et aurait été lapidé puis crucifié par les Romains à Hiérapolis, en Phrygie.
L'actuelle Pamukkale est un site touristique connu surtout pour ses eaux thermales et ses roches sédimentaires, les travertins blancs, d'où son nom qui signifie "château de coton" en turc.
Par AFP