Mi sono permesso di dare una risposta a quel signore, che tanto signore non è perché si è occultato nell’anonimato, il quale si è permesso di criticare una realtà storica, da scrivere e sottoscrivere negli annali storiografici delle Comunità Arbëreshe della Calabria e non.
Intanto voglio premettere che, personalmente, non accetto condizionamenti ne tantomeno critiche al mio essere arbëresh da nessuno, specialmente da chi arbëresh non lo è, anzi non lo potrà essere mai, al contrario è stato catapultato nelle nostre comunità in modo ambiguo, per contribuire a distruggere quel poco di identità storica-culturale-religiosa che ancora ci portiamo appresso.
E perché mai un arbëresh dovrebbe vergognarsi di rendere noto agli altri, se non altro, per uno sfogo intimo e personale e ad alta voce, di come l’essere asserviti alla confessione dominante, ci abbia portato sul baratro dell’estinzione, strumentalizzando la nostra Fede, la quale l’ha proposta agli altri solo come fenomeno da baraccone?
(Liturgie a destra e a manca, neanche se fossero noccioline da sgranocchiare e come se sussistesse un continuo carnevale).
Semmai sarebbe stolto e cieco non riuscire a percepire questo stato comatoso che giorno dopo giorno, visto anche l’inerzia di chi crede di detenere il “potere” culturale, continua la sua opera di erosione verso una meta che spero non arrivi mai: “La scomparsa dell’identità arbëreshe”.
Identità difesa ostinatamente da persone umili, che amano all’inverosimile la loro peculiarità, per questo amate dal popolo; che si sono dannate l’anima pur di mantenere vive nel tempo tradizioni, cultura, folclore, lingua, rito, elementi essenziali di un popolo che vuole continuare ad esistere, non farsi assoggettare e dire la sua.
Carissimi Arbëreshë, tutto questo lo abbiamo difeso in tempi non sopetti, quando le difficoltà erano insormontabili, quando non sapevamo né leggere né scrivere, quando l’amore di appartenenza era nel nostro intimo, quando l’essere diversi ci accomunava, ci preservava e ci nobilitava (il nostro eroe Skanderbeg, l’aquila bicipite, mojë e bukura Morè, kopille mojë kopille, lule lule macë e macë), quando il popolo era in piena simbiosi con la sua Chiesa (Prostasia ton kristianon .., Kristos Anesti….).
Qualcuno spudoratamente, ignorantemente e ingiustamente, potrebbe anche ribadire sostenendo: “Ma tappati la bocca, assomigli a un povero cavernicolo, ad uno che non accetta il moderno, che si rifugia nella favoletta, che vuole ritornare all’età della pietra, che odia le nuove tecnologie, il computer, la globalizzazione, una sola lingua come al tempo della Torre di Babele, ecc.”. È vero tutto questo, ma il passato coniugato con il moderno, mi devono servire solo ed esclusivamente per migliorare la mia vita in questa breve passeggiata terrestre e non per distruggere ciò che sono.
Se io parlo correttamente l’inglese, ciò non mi trasforma in un anglosassone, ed io nonostante i miei sforzi non sarò mai un suddito di Sua Maestà la Regina.
Io mi reputo, forse più italiano di qualsiasi altro italiano, ma se andiamo ad analizzare il mio sangue, ci accorgiamo che il mio DNA è affine ai cittadini della Grecia o dell’Albania e non ha nulla in comune con le popolazioni latine e indigene del luogo (Altomonte, San Donato, Cosenza, Castrovillari ecc.).
Dopo l’ escursus storico, direi di passare ad analizzare il commento di questo anonimo “Sacerdote rumeno convinto e laureato”.
Sostenevo nella precedente risposta, penso allo stesso anonimo di oggi, che la impersonalità non è che sia tanto bella; trincerarsi dietro un ‘nulla’ mette in difficoltà chi poi dovrà dare una risposta ad un quesito. Se uno si presenta anonimamente, l’altro a chi deve indirizzare la sua opinione? È come scontrarsi e discutere con un bel muro.
Sarebbe opportuno che i due interlocutori si guardassero metaforicamente in faccia, così da potersi scambiare le personali opinioni alla luce del sole e senza fraintendimenti. Credo, così si comportano le persone civili ed educate; secondo me è scostumatezza non rivelare il proprio nome, a meno che, per qualcosa o di qualcuno, si ha paura e terrore di identificarsi; è come se, questa persona, avesse terrore di manifestarsi, come se volesse nascondersi da eventuali sguardi indiscreti, ma non dell’interlocutore, bensì di chi (probabilmente) sta sopra di lui e potrebbe riprenderlo o addirittura rimandarlo al suo paese di provenienza. Anche perché non saprei poi come la mia persona potrebbe incutere un certo timore io mi reputo un povero prete di montagna e sulla mia mano non brandisco nessuno scettro.
Qui stiamo relazionando di opinioni di cui uno conosce la loro realtà perché la vive quotidianamente e perché fanno parte della sua stessa vita; l’altro per ribadire le sue posizioni, o le deve studiare e quindi deve convenire con la realtà che in definitiva è quella che noi, nuove generazioni di italo-albanesi andiamo a sostenere, oppure deve ripetere in modo pappagallesco ciò che altri gli suggeriscono, ma di cui ignora la base essenziale e quindi non essendo una questione della sua realtà nazionale o locale, si trova a difendere argomenti, uno che non lo riguardano e l’altro che li vive in modo marginale.
Carissimo preot, scusami sacerdote, dove abbia studiato il nostro Marchianò, non mi interessa, probabilmente sarà lui, se vorrà, a darti risposte esaurienti in merito; una risposta te la vorrei dare sul fatto che mi chiedi dove sono i giovani arbëreshë: ovunque tu ti giri: in tutte le piazze, in tutte le manifestazioni, in ogni occasione, in ogni famiglia, in ogni strada, in ogni coro, in ogni gruppo folk, in ogni ‘buco’ in cui si tramandano le nostre peculiarità, li ci sono i giovani arbëreshë. Mi sembra strampalato che tu non ne abbia ancora visto nessuno, io ovunque mi muova ne vedo a frotte e tutti belli, alti, forti, gagliardi, svegli, giulivi, in poche parole ARBËRESHË fino al midollo. Forse stai troppo rintanato nella tua casa ed esci soltanto per recarti a fare le funzioni quando manca il titolare o quando non vai nei paesi limitrofi, latini, a officiare per i connazionali ortodossi emigranti come te! Se nei nostri paesi non ci fossero questi giovani (maschi e femmine), che tu non vedi mai, poveri noi, dovremmo importali dai paesi dell’est-europa. Se continui così né conosci e né mai potrai conoscere qualcuno.
Ci chiedi perché non sono venuti sacerdoti albanesi. Ma scusa, per fare cosa? Questa comunque è una tua richiesta legittima, ma certamente hai sbagliato l’indirizzo a cui inviarla. Perché chi ha fatto venire te, non ha richiesto la presenza di preti albanesi? Bella domanda!!! Non so risponderti, non saprei che pesci pigliare e dove abbarbicarmi, chiedi ai tuoi superiori …. Se lo crederanno opportuno ti risponderanno. Ma una cosa è ovvia, se la tua attuale diocesi, avesse optato per gli albanesi, tu saresti ancora in Romania a fare non so cosa. Poi perché in Albania ci sono solo musulmani, questo lo dici tu: l’attuale Albania, prima della conquista turca, ricordati, era cristiana e il suo territorio era per il 90% di fede ortodossa e apparteneva all’Impero Romano d’Oriente, con capitale Costantinopoli.
Ancora, vai sragionando che i giovani arbëreshë non parlano questa lingua. Ma quello che più mi fa ‘ incavolare ’, che più mi fa saltare le coronarie, che più mi sostiene nel mio apostolato ortodosso nei paesi italo-albanesi, che più mi ripete che ho operato bene a ritornare alla fede dei Padri, è il fatto che un emigrante a cui la mia gente ha dato il benvenuto, viene a casa mia e mi da lezioni di vita, viene a casa mia e mi offende in quello che di più sacro ho, che mi insulta in ciò in cui io credo fermamente: rrënjëtë arbëreshë. Spero energicamente che i miei fratelli italo-albanesi, si sveglino da questo loro letargo, e aprendo gli occhi si accorgano in quale specie di baratro stanno per sprofondare, allora ripresa la spada e l’elmo di Skanderbeg ritornino a combattere per la loro libertà, messa in pericolo dai nuovi conquistatori.
Padre Giovanni Capparelli ….. ARBËRESH e ortodosso …..!!!!!
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