Il marranismo arbérèshe.
Rito o religione?
La minoranza arbérèshe più che una
minoranza linguistica, può essere forse
considerata una minoranza religiosa, che
si è stabilita nel Meridione d’Italia, in seguito alla diaspora albanese, causata
dall'invasione turca. Al pari della minoranza ebraica, la minoranza arbereshe
ha conosciuto la violenza delle conversioni forzate al rito latino e la ferita
del marranismo (marrani erano gli
Ebrei costretti ad abiurare l’Ebraismo e a convertirsi al Cattolicesimo), ma si
riconosce ancora nel suo rito
bizantino, come dimostra il caso di Falconara Albanese, ritornata al rito greco
nel 1974, dopo circa tre secoli.
Comunemente gli
Italo-albanesi vengono considerati una minoranza linguistica di rito greco bizantino, che ha costruito
la propria identità etnica attraverso tre strumenti: l’arberìsht, cioè la
lingua; l’endogamia etnica e di villaggio, cioè la pratica di sposare i
discendenti di Skanderbeg; e il rito greco
bizantino, intendendo per rito non
una religione vera e propria, ma una
prassi celebrativa diversa solo nella forma, ma non nella sostanza dalla
religione maggioritaria. In realtà i papades bizantini prendono moglie, danno
la comunione con il pane lievitato ( non con l’ostia), e celebrano i sacramenti
tutti insieme al momento del battesimo: le differenze con il rito latino non
sono solo formali.
Va detto subito
che questa è una tesi nuova: nella letteratura sulle minoranze non si parla mai
di marranismo riferito agli Arbérèshe,
anche se non sono mancati gli episodi di conversione e di latinizzazione forzata, come dimostrano i fatti avvenuti nel 1668 a Spezzano Albanese,
dove il principe Spinelli di Tarsia impose il rito latino con l’assassinio
dell’arciprete Don Nicola Basta (rinvio per questo al bellissimo articolo
“Ulteriori contributi al cambio del rito greco in Spezzano Albanese" di
Francesco Marchianò). Non si parla di marranismo perché quella arbereshe non
viene considerata una religione, ma un rito,
diverso più nella forma che nella sostanza dalla religione dei Latini.
Questa
defallance storica è stata possibile grazie al fatto che la Chiesa Cattolica Arbëreshë
non ha mai voluto determinare una rottura con Roma. Ha preferito, anzi,
assumere e mantenere sempre un atteggiamento di subordinazione rispetto alla Chiesa
e al Papato. Questo ha permesso l’ enclavizzazione della minoranza religiosa arbëreshë
e la sua stessa sopravvivenza.
D’altro canto il processo di enclavizzazione della religiosità arbérèshe
è stato lungo e difficile, né si può dire pienamente concluso con l’istituzione
dell’Eparchia di Lungro (1919) e dell’Eparchia di Piana degli Albanesi (1937). Quello
che è certo è che il tracollo rituale di numerose
comunità italo-albanesi è stato determinato dalla Bolla “Etsi pastoralis”
del 26 maggio 1742 di Benedetto XIV, che fissava la superiorità del rito latino
sul rito greco, ribadendo ed ampliando le restrizioni già imposte con la “Perbrevis
Instructio” di Papa Clemente VIII (1595), la quale stabiliva che l’ordinazione dei
sacerdoti albanesi e greci dovesse avvenire per mano di un vescovo di rito
greco, però cattolico: in pratica le
comunità italo-albanesi potevano mantenere parte della loro tradizione, ma non
una propria gerarchia. Così facendo l’Istituzione Clementina, riconobbe di
fatto la Chiesa cattolica
Italo-albanese come sui iurus, in
piena comunione con la Chiesa
di Roma e il Papa. Questa
regolamentazione, pur fortemente
restrittiva, riconobbe di fatto alla comunità religiosa arbérèshe lo status
giurico-religioso di chiesa particolare
e ne permise la sopravvivenza: gli Arbérèshe riconoscevano l’intromissione della Chiesa cattolica
nell’ordinazione dei propri sacerdoti, senza mettere in crisi il sistema gerarchico
e verticistico dei Latini; ma dall’altro canto salvavano la dottrina del pane
lievitato, l’iconostasi, il rituale
dell’incoronazione degli sposi, la liturgia della parola in arberìsht, senza
farsi imporre l’ostia e il celibato dei
preti. Questioni che non sono di forma, ma di sostanza, e che configurano
quella arbérèshe come una religione, non come un semplice rito, diverso da quello latino solo sul piano formale.
Una religione di
nicchia.
Il rito greco bizantino non è sopravvissuto semplicemente
ai continui e reiterati tentativi di latinizzazione e conversione forzata, ma
anche a Riforma e Controriforma (sec. XVI), Concilio di Trento (1545-1563)
e Questione romana, Patti Lateranensi e Leggi Razziali, quasi mimetizzandosi
all’interno del Meridione d’Italia, e rimanendo sempre una religione di nicchia, formalmente subalterna alla religione
maggioritaria, da cui però è riuscita a non farsi omologare totalmente nonostante
la forte diversità sul piano dottrinale delle due Chiese, professandosi sempre Cattolici ma di rito ortodosso, e
dicendo: Come religione siamo Cristiani,
come fede siamo Ortodossi. Né la Chiesa Italo-albanese
può essere considerata uniate, perché non ha mai rinnegato la propria origine
per passare alla Chiesa Romana. Ma forse è più giusto dire che “de iure” gli Arbëreshë
non sono uniati, ma “de facto” lo sono, rimandando il lettore agli Appunti di
P. Clementi “Psicopatologia dell’Uniatismo”: La Chiesa cattolica ha preferito impiegare e
perfezionare – per il suo compélle intráre – il Metodo Uniata, una tecnica per
“disinfettare” il rito bizantino dalla fede ortodossa, per produrre una schiera
di zombi (corpi privi dell’anima ortodossa). Cattolici vestiti da ortodossi (http://www.italiaortodossa.it/index.php?Dialogo_e_Confronto%26nbsp%3B:Psicopatologia_dell%92Uniatismo).
Gli Arbérèshe, sono
arrivati in Italia, in un momento caratterizzato da un vuoto di potere per le
lotte fra Aragonesi ed Angioini, dalla profonda crisi della Chiesa per la Riforma protestante e la Controriforma e dalla
repressione del rito greco degli Italo-greci della Calabria e del Salento, dalla espulsione degli
Ebrei dal Regno di Napoli (decreto di Pedro di Toledo, 1542), dalla persecuzione dei
Valdesi di Calabria (1561). Arrivati come soldati, in seguito sono
diventati mercenari, esuli, ospiti e
contadini, ma sono sempre rimasti ortodossi,
cioè custodi del messaggio originario di Gesù Cristo trasmesso dagli Apostoli, senza aggiunte, amputazioni e mutazioni.
Come ortodossi hanno punti di vista
divergenti riguardo al primato e all’infallibilità
del Papa, alla dottrina del Purgatorio e del Filioque (cioè la processione
dello Spirito Santo dal Figlio), ai nuovi dogmi mariani e alla questione del
divorzio.
In realtà le
differenze sul piano dottrinali sono più che significative: la Chiesa Italo-albanese
pratica il battesimo
per immersione e la cresima viene conferita nella stessa cerimonia del battesimo;
offre l'Eucarestia
ai fedeli con pane lievitato e vino e non con l’ostia; non contempla il celibato ecclesiastico per i sacerdoti.
Senza entrare troppo
in questioni dottrinali, bisogna menzionare che il titolo di Papa nasce nel
610, quando l'imperatore Foca prese il potere facendo assassinare il suo
predecessore. Per tale atto criminale, il vescovo Ciriaco di Costantinopoli lo
scomunicò, ma Foca, per ritorsione, proclamò "papa" (ossia capo di
tutti i vescovi) il vescovo di Roma Gregorio I,
che rifiutò un simile titolo per fedeltà alla tradizione episcopale
della Chiesa. Tuttavia, il vescovo di Roma successivo, cioè Bonifacio III,
accettò di avvalersi del titolo di "Papa". Nel 1870, l’anno della Presa di Roma e della
fine del Potere temporale (nato con la Donazione di Sutri nel
750), Papa Pio IX stabilirà anche il dogma dell’infallibilità del Papa.
Il Purgatorio, nasce
nel 593 per merito di Gregorio Magno e diventerà dogma solo nel 1439, con il Concilio di Firenze.
L’idea che il potere della chiesa arrivi anche nell’aldilà favorirà la vendita
delle indulgenze, che partirà già dal 1190 e porterà, in seguito, alla denuncia
di Lutero e alla Riforma protestante.
Anche la
celebrazione dell’Eucarestia, che nelle comunità arbérèshe di Rito greco
bizantino avviene con il pane e il vino, invece che con l’ostia dei Latini,
sembra solo una questione di forma,
ma così non è. Il pane lievitato del Rito greco bizantino simbolizza la piena
umanità di Cristo. I Latini, invece, credono nella Transustazione e nel corpo carnale di Cristo materializzato
nell’ostia, cioè nel pane non lievitato (o azimo). E’ Innocenzo III a
proclamare nel 1215 il dogma della Transustazione, e da quel momento
l’Eucarestia, che in seguito diventerà ostia, cesserà di essere simbolo della
Comunione e diventerà “vero corpo e sangue” di Gesù. A Monte Sant’Angelo, il
paese della Grotta di San Michele, che è stato feudo di Skanderbeg, l’ostia è
un dolce tipico, che viene preparato con le mandorle e il miele…
Il Concilio di
Trento, che durò con varie interruzioni dal 1545-1563, ribadisce nella sua XIII sessione la presenza
reale di Cristo
nell'eucarestia
e la dottrina della transustanziazione, affermando le pratiche di
culto e di adorazione ad esso collegate, come l'adorazione dell’eucaristica e la festa del
Corpus Domini.
Nelle sessioni successive riaffermò poi l'importanza dei sacramenti della penitenza (o confessione) e dell'unzione degli infermi, rifiutati da Lutero ma
considerati dalla Chiesa cattolica istituiti direttamente da
Cristo.
Il celibato dei
preti è stato introdotto invece da Gregorio VII nel 1079 ed imposto con i primi
due Concili Lateranensi (1123 e 1139). Nel Nuovo Testamento (
prima Epistola a Timoteo, cap.3) si dice l’esatto contrario, “perché se uno non
sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?"
.
Anche fatti
apparentemente estetici, come le lunghe barbe dei papades, in realtà
costituiscono un istintivo richiamo all’immagine di Cristo e degli Apostoli. Per
quanto riguarda i luoghi di culto, invece, le differenze fra le due Chiese sono
date dalla mancanza di statue e di strumenti musicali (le Costituzioni
Apostoliche del IV sec. vietano espressamente l’uso di strumenti musicali nella
chiesa), considerati una disobbedienza allo spirito dei Padri. Le bellissime
icone delle chiese bizantine manifestano la presenza
invisibile di Cristo e riflettono l’insegnamento ortodosso della grazia increata (la statua riflette la
teoria latina della grazia creata). Nella confessione, il papàs e il penitente
sono entrambi di fronte all’icona del Salvatore, mentre i Latini si comunicano
nel confessionale a grata. Il papàs è testimone
di fronte al Salvatore della confessione di un altro peccatore, mentre il prete
è colui che assolve secondo il giuridismo dei Latini.
Le differenze
fra Rito greco bizantino e la religione dei Latini, non sono quindi solo
apparenti e formali, ma la Chiesa cattolica
Italo-albanese non ha mai esasperato la diversità dottrinale: l’ha piuttosto
taciuta. Quello che però ha mantenuto sul piano dottrinale, lo ha concesso sul
piano gerarchico, anche se l’Eparchia di
Lungro ha aspettato quasi due anni per
avere un successore.
Il marranismo arbérèshe.
Quindi più che di rito si dovrebbe
parlare di religione, ma cosa c’entra il marranismo?
I Marrani (o Conversos) sono gli Ebrei convertiti forzatamente al Cristianesimo
e che hanno abiurato l’Ebraismo per motivi di sopravvivenza, pur mantenendo
vivo nel cuore il loro spirito di Ebrei. Nel XV secolo i figli di Davide
vengono espulsi prima dalla Spagna (dove appunto vengono definiti Marrani, dal
castigliano porco) e poi dal
Portogallo. E’ in questo periodo che nasce la figura dell’Ebreo errante, disprezzato tanto dai Cristiani
quanto dai suoi stessi fratelli. Dopo la conquista del Regno di Napoli da parte
degli Aragonesi (1504), gli Ebrei sono costretti a scegliere fra l’esilio e
marranismo, cioè la conversione al
Cristianesimo. In realtà molti mantennero la propria fede di nascosto.
Quanti Arbérèshe sono stati latinizzati forzatamente e ora vorrebbero
tornare alla religione dei padri e dell’eroe Skanderbeg, il difensore della
Cristianità? Sappiamo che il Rito greco bizantino oggi viene mantenuto solo
nelle Eparchie di Lungro e di Piana degli Albanesi, laddove più forte è stata
la resistenza all’omologazione, ma quanti Arbérèshe del Molise, delle Puglie e
della Basilicata vorrebbero il ritorno alla religione degli avi? O vorrebbero
la propria chiesetta bizantina come la sub-colonia di Chieri? Quanti vorrebbero
seguire il caso di Acquaformosa, dove è nata, o forse sarebbe meglio dire rinata, sotto il Patriarcato di Mosca, la Chiesa Ortodossa Arbëreshe?
Officia Zoti Giovanni Capparelli, uno dei tre preti ortodossi (Arbëreshë) d’Italia,
insieme a P. Athanasio , che officia a Schiavonea di Corigliano e Cosenza, e a Padre Arsenio Aghiarsenita (Monaco), che officia
nelle Chiese parrocchiali Greco- Ortodosse di Brindisi e di Lecce.
Il Rito greco bizantino consente
una adesione spirituale vicina al Cristianesimo delle origini e al proprio
passato mitico: quello dell’arrivo in Italia in seguito alla Diaspora
dall’Albania, conquistata dai Turchi. Come tale gli Arbérèshe non si
riconoscono nei riti, nei dogmi e nell’organizzazione gerarchica e verticistica
della Chiesa dei Latini. Professano, invece, una religione di nicchia, che conserva la propria
impostazione dottrinale, perché sono riusciti a
mimetizzarsi all’interno della Chiesa dei Latini, subordinandosi volutamente e supinamente ad
essa. Quello che è importante è riattualizzare continuamente il proprio passato
mitico, attraverso la celebrazione del rito greco, con la messa cantata nella
lingua che conoscono solo gli Arbérèshe, quella dei padri e del papàs.
Ma il marranismo, può dare
frutti inaspettati, come dimostra i casi già citato di Falconara Albanese e di
Acquaformosa, e come dimostra il caso quasi sconosciuto dei marrani di Riesi
(Caltanissetta), che hanno mantenuto il culto dell’Ebraismo di nascosto, per secoli,
sposandosi fra di loro. Dice Grazia Gualano, rappresentante della piccola comunità
ebraica di Sannicandro: “Se con l’Olocausto fossero morti tutti gli Ebrei, noi
comunque saremmo sopravvissuti”. E sicuramente
anche i marrani di Riesi e gli Arbëreshë.
Link:
http://costruendo.lindro.it/2011/01/27/il-piccolo-mose-del-gargano/
(Ebrei di Sannicandro)
http://www.italiaortodossa.it/index.php?Dialogo_e_Confronto%26nbsp%3B:Psicopatologia_dell%92Uniatismo
(Psicopatologia dell’Uniatismo)
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