Prof. Francesco Marchianò
La bandiera di Skanderbeg
(di Kristo Frashëri, trad. di Francesco Marchianò
pubblicata in “Katundi Ynë”. A. XXXIV- n° 110 - 2003/1)
Come tutti i signori del Medioevo, anche Giorgio Castriota Skanderbeg
aveva lo stemma di famiglia che, dipinto sulle bandiere o inciso sugli
scudi, simbolizzava il proprio potere. Secondo Marino Barlezio,
Skanderbeg teneva in battaglia la bandiera dei Castriota: una bandiera
rossa ricamata con un’aquila bicipite nera. Dice poi che gli Albanesi
quando vedevano “le bandiere dell’aquila” accorrevano senza chiedere per
combattere contro il nemico ottomano sotto la guida di Skanderbeg. Un
artista italiano del XVI sec. ci ha dato per mezzo di un’incisione la
rappresentazione figurativa dello stemma araldico dei Castriota: uno
scudo bianco screziato con un’aquila bicipite, mentre nella parte
superiore una stella a sei punte. A parte questo, sulle due teste
dell’aquila erano posate due corone reali. Ignoriamo dove si sia
riferito l’artista italiano nella rappresentazione di questo stemma.
Almeno le due corone reali suscitano una sorta di dubbio. Le corone,
così come sono qui raffigurate, rappresentano un elevato potere
imperiale o un duplice potere regale, come accadeva per esempio presso i
Bizantini il cui sovrano si chiamava Imperatore d’Oriente ed Occidente.
Skanderbeg fino a quando visse non si definì mai re e tanto meno
duplice monarca. Re venne definito solo tardi da alcuni scrittori
stranieri monarchici ai quali sembrava strano che una personalità tanto
grande non fosse incoronata sovrano. Dunque sembra evidente che le due
corone reali siano state aggiunte dall’artista anonimo sotto l’influenza
della letteratura del XVI sec. Lo stemma dei Castriota la troviamo
incisa in altre incisioni dedicate a Skanderbeg. Ci sono sicuramente
differenze tra loro ma in tutti i casi il motivo centrale resta l’aquila
bicipite.
La vera forma sembra che la rappresenti un libro
religioso preparato e decorato da un artista napoletano nell’epoca in
cui era vivo l’Eroe. Il libro è dedicato e regalato a Skanderbeg come è
annotato in esso. E’ un libro di preghiere, il cui valore consiste non
nel contenuto, ma nelle miniature che ricoprono e abbelliscono le sue
pagine. Ci sono molte possibilità che sia stato donato a Skanderbeg
durante gli anni 1461-1462, quando il nostro Eroe andò a Napoli per
aiutare il proprio alleato, il Re Ferdinando, nella repressione dei
feudatari dell’Italia meridionale. Il dono di un napoletano nelle mani
di Skanderbeg in questi anni è molto significativo. Come opera di valore
artistico essa assumeva il significato di sentimento di riconoscenza
dei napoletani verso Skanderbeg. C’è la probabilità che il dono sia
stato consegnato a Skanderbeg durante la visita che fece a Napoli agli
inizi del 1467. Comunque sia il libro sembra essere uscito dalle mani
dell’artista napoletano prima del 1468. Oggi esso si trova nella
collezione di manoscritti e stampe antiche che porta il nome
dell’editore inglese C. G. St. John Hornby presso la casa editrice
“Shelley House” a Chelsea (Londra).
In Albania non si è mai parlato
di questo documento. Ma a quanto si sa, di esso non si è parlato neanche
nella storiografia sul nostro eroe nazionale che è molto ricca. Nessuno
ne ha fatto qualche descrizione dettagliata.Non sappiamo, quindi,
quante pagine abbia e da quante miniature sia illustrato. Abbiamo in
mano solo una pagina fotocopiata. Il testo, che è in latino e di nessuna
importanza, è circondato da una cornice ornamentale e arricchito di
cinque miniature con soggetto religioso e non. Tra questi, il medaglione
che si trova in fondo alla pagina, ha un interesse di prima mano. Il
suo contenuto è direttamente collegato a Skanderbeg.
Il medaglione è
formato da una corona che si chiude nella parte superiore con foglie
d’alloro stilizzate che rappresentano, secondo la nostra opinione, la
gloria di Skanderbeg. Rafforzano questa supposizione i sei putti che
sorreggono la corona con le proprie mani. Dentro la corona è dipinto uno
scudo che viene tenuta altresì in mano da due putti. Lo scudo
simboleggia di nuovo Skanderbeg, il difensore della libertà e può
essere, per il pittore napoletano, il difensore dell’Italia
dall’invasione ottomana. Lo scudo, da parte sua, è divisa in due parti.
Nella parte sinistra è dipinto lo stemma di Skanderbeg, mentre a destra
non si distingue chiaramente se ci sia una pantera, un leone o altro. Si
ha a che fare quindi con un elemento molto prezioso per valore storico
perché si è davanti alla più antica rappresentazione dello stemma di
Skanderbeg, fino al periodo in cui era in vita l’eroe.
Lo stemma di
questa miniatura contiene inoltre l’aquila nera a due teste assieme alla
stella bianca con sei punte, l’Aquila, anche qui stilizzata assomiglia
molto alla copia dell’incisione del XVI sec., ma non è esattamente
quella. L’aquila qui è interamente nera. Ma quello che è importante è il
fatto che nella miniatura del XV sec. le corone regali mancano
completamente. Da ciò si evince che l’autore dell’incisione del XVI sec.
ha avuto sicuramente davanti a se il vero stemma di Skanderbeg, ma ha
dato sfogo alla propria mano, sia nella stilizzazione dell’aquila, sia
nell’abbellimento delle sue teste con corone regali. Da quanto detto si
può concludere che lo stemma della miniatura del XV sec. si può ritenere
come il documento che rappresenta in modo molto vicino il vero stemma
di Skanderbeg. Non si esclude che la consultazione del documento che si
trova nella collezione Hornby possa darci anche altre miniature con
soggetti della vita e attività di Giorgio Castriota.
* * * * * *
L’aquila ha simbolizzato, fin dai tempi più antichi nella fantasia dei
diversi popoli, la maestosità, la forza, la rapidità e l’astuzia. Dalla
letteratura popolare nel tempo è entrata anche nella letteratura
artistica. Contemporaneamente è usata fin dal principio dai maestri
artigiani anche come motivo decorativo nei diversi domini dell’arte. I
grandi condottieri militari usualmente sono paragonati all’aquila per le
loro rapide vittorie. L’aquila con le ali spiegate è entrata poi anche
negli emblemi dei reparti militari dell’ Impero Romano. Anche l’aquila
bicipite ha seguito lo stesso percorso. Naturalmente in forma stilizzata
viene rappresentata per la prima volta nell’arte popolare dell’Oriente
soprattutto nell’arte dei tappeti. L’aquila a due teste risponde ad
un’altra figura popolare – all’uomo con due cuori, all’eroe degli eroi.
Durante il Medioevo dell’aquila bicipite si sono appropriati come stemma
del proprio potere i Selgiuchidi. Poi l’hanno usata i Bizantini presso i
quali rappresentava, secondo alcuni, il dominio sull’Oriente e
l’Occidente, secondo altri, il duplice potere, temporale e clericale,
uniti nelle mani dell’Imperatore. Più tardi l’aquila monocipite o
bicipite venne usata negli stemmi di diversi imperatori, re, principi e
signori d’Europa.
Vari studiosi hanno espresso l’opinione che
l’aquila bicipite dei Castriota sia un’influenza dello stemma bizantino.
Ma non sembra esatto. L’aquila non è stata l’emblema solo dei Castriota
ma anche di altri signori feudali albanesi del Medioevo. Nello stemma
dei Muzaka l’aquila si presentava altresì nella forma bicipite con la
stella, mentre nello stemma dei Dukagjini l’aquila era monocefala
bianca. Dalle conoscenze in nostro possesso è evidente che esse non si
assomigliavano. La diffusione di questo emblema nelle forme e colori
vari si può spiegare meglio con l’influenza della tradizione popolare
più che lo stemma bizantino.
Secondo le parole che lo stesso
Skanderbeg scriveva al principe italiano J.A. de Ursinis, gli Albanesi
erano consapevoli di essere i discendenti degli antichi Epiroti e
pronipoti del famoso Pirro. L’antico scrittore greco, Plutarco, narra
che dopo la clamorosa vittoria che Pirro ottenne sui Macedoni, gli
Epiroti lo salutarono con il sopranome di “aquila”. Pirro rispose: “ E’
merito vostro se sono un’aquila, e come non esserlo quando voi con le
vostre armi mi avete innalzato come se avessi rapide ali?”. Secondo le
parole di Pirro l’aquila con le ali spiegate simboleggia lo stretto
legame del condottiero con la massa. L’aquila è sempre vissuta nelle
montagne d’Albania: sempre ha volato sulle terre albanesi. In un simile
posto, la figura letteraria, i motivi artistici ed i simboli storici
essa ispira si trasmettono in modo ininterrotto da una generazione
all’altra.
Il fatto che i Balsha avessero nel loro stemma il lupo,
al quale è collegata la leggenda della città illirica di Ulqin
(Dulcigno in Montenegro, N.d.T.), testimonia come nel Medioevo fossero
vivi gli antichi racconti popolari. Naturalmente nel corso dei secoli le
piccolezze svaniscono ma il soggetto centrale rimane. Quando giunge il
momento l’artista lo raffigura in forme diverse. Questo sembra il motivo
per cui nel XV sec. l’aquila viene rappresentata in forme diverse negli
stemmi dei Castriota, Muzaka e Dukagjini. Così accadde più tardi anche
con l’aquila di Skadnerbeg. La bandiera dell’Eroe non giunse nella
forma originale nel XIX sec. Pervennero solo la tradizione popolare e
letteraria. Senza un preciso modello davanti, i patrioti della Rilindja
(la Rinascita politica e culturale dell’Albania dal XIX sec. al 1912,
anno dell’Indipendenza, N.d. T.) l’hanno rappresentata in forme diverse
fino a quando non ha preso la forma che ha attualmente la nostra
bandiera nazionale.
Dopo l’insediamento del dominio ottomano, gli
stemmi dei vari signori albanesi caddero quasi completamente nell’oblio
della memoria popolare. Solo la bandiera con lo stemma di Skanderbeg ha
fatto fronte ai secoli. Era la bandiera ricopertasi della gloria delle
battaglie leggendarie del XV sec., la bandiera che simboleggiava la
libertà e l’indipendenza della patria. Per questo motivo l’aquila di
Skanderbeg è diventata la bandiera dei patrioti della Rilindja, la
bandiera dell’unione degli Albanesi in lotta per la liberazione
nazionale dal giogo straniero.
I patrioti della Rilindja erano
orgogliosi della bandiera di Skanderbeg non solo perché era rossa del
sangue dei loro avi durante l’epopea del XV sec., ma anche perché era
una bandiera pura, onorata, non macchiata di offese verso altri paesi.
Essi la consideravano una bandiera popolare perché non aveva tolto a
nessuno la libertà. Essa è, come dice F.S. Noli, “una grande bandiera
per il popolo minuto”. Come tale essa ha ispirato i patrioti della
Rilindja nella sacra guerra per la liberazione della Patria contro gli
occupatori ottomani.
(Relazione scelta e tradotta da Francesco Marchianò, tratta da :
Kristo Frashëri: Flamuri i Skënderbeut in “Studime për epokën e
Skënderbeut”, Akademia e Shkencave e RPS të Shqipërisë, Inst. i
Historisë, Shtypshkronja “8 Nëntori”, Tirana, 1989).
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