giovedì 30 maggio 2019

Dal sito del confratello e concelebrante Padre Ambrogio di Torino.

La Chiesa di Gerusalemme è la Madre di tutte le Chiese?
di Andrej Vlasov
Unione dei giornalisti ortodossi, 24 maggio 2019


il patriarca Teofilo III di Gerusalemme. Foto: Unione dei giornalisti ortodossi

Che fare dell'asserzione del patriarca Teofilo III di Gerusalemme, che la sua Chiesa è la garante dell'unità dell'intero mondo ortodosso.
Il 16 maggio 2019, il patriarca Teofilo III della Città Santa di Gerusalemme e di Tutta la Palestina ha ricevuto una delegazione della Società imperiale ortodossa di Palestina. Nel suo discorso di benvenuto, il patriarca di Gerusalemme ha detto parole che meritano attenzione alla luce degli eventi che si svolgono nel mondo ortodosso di oggi: "La Chiesa di Gerusalemme, che è la Madre di tutte le Chiese, è la garante dell'unità della Chiesa ortodossa".
Cosa potrebbe nascondersi dietro questa formulazione apparentemente innocua?
La Società imperiale ortodossa di Palestina ha tenuto un seminario internazionale a Gerusalemme per i capi delle sue filiali regionali e straniere e uffici di rappresentanza. Era dedicato al 200° anniversario del supporto diplomatico della presenza russa in Medio Oriente.
Il patriarca Teofilo III ha detto molte parole piacevoli alla delegazione della Società imperiale ortodossa di Palestina e ha pubblicato un discorso di benvenuto sul sito ufficiale del Patriarcato di Gerusalemme. "Riconosciamo soprattutto il ruolo che la Chiesa ortodossa russa ha svolto per secoli, specialmente durante il periodo ottomano, nel sostenere la Chiesa di Gerusalemme politicamente, diplomaticamente e, ovviamente, finanziariamente", ha detto il patriarca.
Tutto questo è vero. Non si sa quale sarebbe stato il destino delle Chiese ortodosse in Medio Oriente – e queste sono le più antiche Chiese di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme – senza l'aiuto della Chiesa della Rus', politico, diplomatico e finanziario. Per molti aspetti, proprio a causa di questo aiuto, esistono ancora le Chiese più antiche.
Ma tra queste parole piacevoli, c'era una frase che dovrebbe allertarci: "La Chiesa di Gerusalemme, che è la Madre di tutte le Chiese, è la garante dell'unità della Chiesa ortodossa".
Come è noto, Costantinopoli si è dichiarata Madre di tutte le Chiese. Inoltre, il Fanar afferma che la Chiesa ortodossa in quanto tale non può esistere senza il Patriarcato di Costantinopoli. Il Fanar ha anche detto che è questo patriarcato che è il garante dell'unità della Chiesa ortodossa, che tutte le Chiese ortodosse locali possono essere considerate tali solo nella misura in cui sono in comunione con il Patriarcato di Costantinopoli.
E ora il Patriarcato di Gerusalemme dichiara la stessa cosa. Quanto sono legittime tali affermazioni? Nei commenti sotto queste parole del patriarca Teofilo III, molti esprimono l'opinione che, storicamente, tali parole sono completamente legittime. Tuttavia, le cose non sono così semplici.
In effetti, la Chiesa di Cristo, che ha ricevuto la sua esistenza storica nel Cenacolo di Sion il giorno della discesa dello Spirito Santo sugli apostoli, era uguale alla comunità di Gerusalemme, nemmeno composta da cristiani (questo nome fu adottato per la prima volta nella comunità di Antiochia) ma semplicemente da discepoli. Gli apostoli lasciarono Gerusalemme per predicare in tutti gli angoli del mondo. La comunità di Gerusalemme, per la sua altezza morale, era l'ideale della comunità cristiana, che nessun'altra comunità ha mai raggiunto.
Per la risoluzione dei problemi più dificili, i cristiani dei primi decenni si rivolgevano specificamente alla comunità di Gerusalemme. In questo senso, è del tutto legittimo affermare che la Chiesa di Gerusalemme o piuttosto la prima comunità apostolica di Gerusalemme è la Madre di tutte le Chiese. Tuttavia, l'attuale Chiesa locale di Gerusalemme è collegata alla prima comunità apostolica di Gerusalemme indirettamente, anziché direttamente.
Il libro degli Atti degli Apostoli ci dà un colpo d'occhio sulla prima comunità cristiana. Etnicamente, consisteva di ebrei, che erano condizionatamente divisi in due gruppi: ebrei ed ellenisti, e quest'ultimo non significa greci, ma ebrei della dispersione, che vivevano in altri paesi e parlavano greco. Come eccezione, la Sacra Scrittura menziona il pagano Nicola d'Antiochia.
Nonostante la decisione del Concilio apostolico del 49 d.C., che i pagani convertiti al cristianesimo non sarebbero stati tenuti a osservare i comandamenti della Legge di Mosè, i membri della comunità di Gerusalemme tra di loro rispettavano questa legge in modo piuttosto scrupoloso. Le prove del cronista cristiano del II secolo Egesippo suggeriscono che i discendenti dei parenti di sangue del Signore Gesù Cristo, il primo dei quali fu Giacomo, il fratello del Signore, furono successivamente i vescovi di Gerusalemme.
Durante la prima rivolta ebraica contro i Romani (66-70 d.C.), i cristiani di Gerusalemme fuggirono nella città di Pella e così evitarono gli orrori dell'assedio di Gerusalemme e la sua successiva devastazione. Dopo il 70 d.C alcuni cristiani ritornarono a Gerusalemme e la comunità cristiana di questa città riprese vira. Tuttavia, la sua influenza su altre comunità, specialmente a Roma, ad Alessandria e ad Antiochia, cessò praticamente del tutto.
Ma durante la Seconda rivolta ebraica sotto la guida di Bar-Kochba (132-135 d.C.), questa comunità cristiana di Gerusalemme fu completamente distrutta e cessò di esistere. Inoltre, fu colpita da due parti. Gli ebrei ribelli sterminavano i membri della comunità in quanto cristiani, e i romani – in quanto ebrei. La repressione della rivolta di Bar Kochba da parte dei Romani fu molto crudele. Gerusalemme fu distrutta e la popolazione sopravvissuta fu venduta in schiavitù o fuggita. L'imperatore romano Adriano proibì agli ebrei sotto pena di morte non solo di vivere a Gerusalemme, ma anche di avvicinarsi.
Una città pagana completamente nuova, Aelia Capitolina, fu costruita sul sito della Gerusalemme distrutta. Fu colonizzata da veterani delle legioni romane e da greci etnici. Non c'era nulla in Aelia Capitolina che fosse collegato né con l'ex comunità cristiana né con la storia di Gerusalemme, la Palestina, la cultura e le tradizioni ebraiche.
Lo storico ecclesiastico Eusebio di Cesarea indica che la comunità cristiana riapparve presto in Aelia Capitolina, ma era già greca per composizione etnica e in nessun modo connessa con la primitiva comunità di Gerusalemme. Il ruolo di questa comunità e, di conseguenza, della sua sede episcopale, fu insignificante per diversi secoli. Un ruolo molto più grande fu svolto da un'altra sede in Palestina – quella di Cesarea.
L'ascesa della sede di Gerusalemme avvenne già nel IV secolo sotto l'imperatore san Costantino il Grande. Fu il risultato dell'acquisizione dei principali santuari cristiani da parte della regina Elena – il Santo Sepolcro, la Croce vivifica e altri – e l'inizio di un pellegrinaggio di cristiani su larga scala verso questi santuari.
Nel 451 d.C., con la decisione del quarto Concilio ecumenico, la sede di Gerusalemme ricevette lo status di patriarcato, con la subordinazione delle comunità cristiane in Palestina. Tuttavia, tenendo conto della dispersione della prima comunità cristiana a Gerusalemme nel 132-135 d.C., così come dell'insignificante posizione politica di Gerusalemme, il Concilio ecumenico determinò che la Chiesa di Gerusalemme non fosse al primo posto nel dittico, come sarebbe sembrato giusto, ma solo al quinto, dopo quelle di Roma, Costantinopoli, Alessandria e Antiochia.
A seguito dell'invasione araba nel VII secolo, il cristianesimo in Palestina in generale e il Patriarcato di Gerusalemme in particolare andarono in declino. Questo si intensificò ancora di più dopo la conquista della Palestina da parte dei crociati nel 1099, quando i latini presero le chiese ortodosse e le trasferirono a loro. Dopo la conquista della Palestina da parte dei turchi nel 1599, la posizione del Patriarcato di Gerusalemme migliorò notevolmente.
Per quanto riguarda la composizione etnica della comunità di Gerusalemme e dei suoi primati, come abbiamo detto, è stata greca dalla prima metà del II secolo. Nell'era del dominio arabo, la comunità divenne prevalentemente araba. E dopo l'ultimo vescovo arabo di Gerusalemme, Doroteo II (XVI secolo) e fino ad oggi, il Patriarcato di Gerusalemme è così composto: l'episcopato e una parte significativa del clero sono greci, e il gregge è per lo più arabo.
Questo stato di cose ha causato e causa ancora molti conflitti tra la congregazione e l'episcopato. Oggi, il patriarca di Gerusalemme appartiene al gruppo nozionale delle Chiese locali greche, che nella loro politica si concentrano tradizionalmente su Costantinopoli.
Sulla base di questa piccola panoramica storica, lasciamo decidere a tutti, a propria discrezione, se sia storicamente corretto chiamare il Patriarcato di Gerusalemme di oggi la Madre di tutte le Chiese. E non è così importante se ci siano o meno motivi storici per riconoscere qualsiasi Patriarcato come "Madre di tutte le Chiese", quanto la questione se tale riconoscimento comporta qualche privilegio per un tale Patriarcato nella vita moderna delle Chiese locali.
Molto più importante e ambigua è l'affermazione del Patriarca Teofilo III secondo cui la Chiesa di Gerusalemme "è la garante dell'unità ortodossa".
La dottrina dell'unità della Chiesa è una delle verità dogmatiche fondamentali incluse nel Credo niceno-costantinopolitano: "Credo nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica". Pertanto, se iniziamo a dire che qualcuno, qualche Chiesa locale – Gerusalemme, Costantinopoli o qualche altro – è il garante dell'unità ortodossa, la domanda logica è: chi sarà allora il garante della dottrina della santissima Trinità o dell'incarnazione di Gesù Cristo?
Il prossimo passo logico in tale ragionamento sarà la domanda: chi è il garante della purezza del dogma in generale? Chi ha l'autorità nella Chiesa per determinare dove è la verità e dov'è la sua distorsione? Questa domanda è sorta molti secoli fa. E si decise in modi diversi nel Cattolicesimo e nell'Ortodossia.
Per i latini, il pontefice romano è il garante di tutto l'insegnamento morale e spirituale, senza eccezioni. È il criterio visibile e tangibile per determinare la purezza della fede. Il dogma dell'infallibilità papale è formulato dai latini come segue: "Insegniamo e definiamo che è un dogma divinamente rivelato che il romano pontefice quando parla ex cathedra, cioè quando è investito dell'ufficio di pastore e dottore di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica, definisce una dottrina riguardante la fede o la morale che deve essere esercitata dalla Chiesa universale, per l'assistenza divina a lui promessa nel beato Pietro, è in possesso di quell'infallibilità con cui il dvino Redentore ha voluto che la sua Chiesa fosse dotata nel definire la dottrina riguardante la fede o la morale, e che quindi tali definizioni del romano pontefice sono irreformabili di per sé e non per il consenso della Chiesa. Quindi, se qualcuno, che Dio non voglia, avrà la temerarietà di respingere questa nostra definizione: sia anatema".
Nel cristianesimo ortodosso, non esiste un dogma simile chiaramente definito e documentato su chi sia infallibile e, quindi, possa essere il garante e il custode del dogma e della moralità. Tuttavia, nella tradizione ortodossa, c'è la comprensione che solo la pienezza della Chiesa di Cristo può essere una tale guardiana e garante. Si dice della Chiesa che è "il pilastro e il fondamento della verità" (1 Timoteo 3,15). Della Chiesa, il Signore ha promesso che "le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa" (Matteo 16,18).
La Chiesa non è qualcosa di visibile (o più precisamente, qualcosa di solo visibile), né ancor più si tratta dell'unica istituzione. Non esiste una procedura d'azione ben definita, a seguito della quale la Chiesa può mostrare la sua infallibilità nel definire i dogmi della fede e proteggerli dalle false dottrine. Non esiste una procedura chiaramente definita per la convocazione dei Concili ecumenici, né di chi abbia il diritto di convocarli, né quanti vescovi di ogni Chiesa locale dovrebbero parteciparvi, né come questi delegati dovrebbero essere nominati al Concilio. Non esiste una procedura per l'attuazione delle decisioni del Concilio. Non esiste un organo esecutivo responsabile del Concilio, e così via.
Ma nonostante tutte queste difficoltà, la Chiesa è sempre stata consapevole di sé come unico garante della preservazione della Verità. Ecco come questa consapevolezza è espressa nell'Enciclica dei patriarchi orientali (1848) (indirizzata "a tutti i veri figli ortodossi dell'unica, santa, cattolica e apostolica Chiesa"): "Né i patriarchi né i concili avrebbero potuto introdurre novità tra noi perché il guardiano della nostra pietà (iperaspistis tis thriskias) è il corpo stesso della Chiesa, le persone stesse, che desiderano che il loro culto religioso rimanga immutato e simile a quello dei loro padri".
Persino i concili non sempre garantiscono la verità delle decisioni prese nei loro confronti. Nella storia della Chiesa, ci sono stati diversi casi in cui dei concili in possesso di tutte le caratteristiche di quelli ecumenici sono stati, in effetti, sinodi di briganti e sono stati riconosciuti come tali dopo periodi di tempo più o meno lunghi.
Immaginiamo la situazione in cui si sono trovati i cristiani quando un simile concilio predatorio non era stato ancora riconosciuto come predatorio. Dopo tutto, i sostenitori di tale pseudo-concilio sostenevano davanti a tutti di avere ragione e che il loro concilio aveva preso decisioni particolari vincolanti per tutti. Immaginiamo quanto sia stato difficile per gli ortodossi dimostrare e difendere la loro fede ortodossa in quel momento. Tutti questi problemi e difficoltà sembrano avere spinto i cristiani a una decisione piuttosto semplice: stabilire che una persona o un corpo collegiale nella Chiesa con dei poteri e un procedura decisionale chiaramente definiti sarebbe stato il garante visibile della purezza dell'insegnamento morale e spirituale.
I Latini hanno ceduto a tale tentazione e hanno trasferito facilmente questa funzione al papa. È molto semplice e conveniente – avere un garante visibile e porre su di lui tutte le responsabilità di prendere decisioni.
Ma gli ortodossi hanno sempre respinto tale tentazione e hanno fermamente difeso l'affermazione che la Chiesa nella sua pienezza è governata dallo Spirito Santo, che crea da sé forme e procedure. Più di una volta nella storia della Chiesa le decisioni dei Concili ecumenici sono state respinte, per trionfare in seguito dopo decenni o addirittura secoli di lotta per la purezza della fede ortodossa. Più di una volta nella storia della Chiesa ci sono stati casi in cui la verità è stata difesa da un solo vescovo, per esempio Marco di Efeso al Concilio di Ferrara-Firenze. Ma alla fine, la verità ha vinto. Lo Spirito Santo ha guidato la Chiesa attraverso difficoltà apparentemente insormontabili e barriere fino alla Verità, per vie che solo lui conosceva.
Riconoscere l'esistenza di un garante visibile di verità dogmatiche significa rifiutare questa guida dello Spirito Santo. E la seconda domanda è: chi dovrebbe essere nominato tale "garante": il pontefice di Roma, il Patriarcato di Costantinopoli, Gerusalemme o la Russia?
Io voglio davvero pensare che le parole del patriarca Teofilo III di Gerusalemme, che il Patriarcato di Gerusalemme "è il garante dell'unità della Chiesa ortodossa", siano solo parole che non saranno tradotte in azione. Altrimenti, le rivendicazioni del Patriarcato di Gerusalemme su ciò che appartiene alla pienezza della Chiesa di Cristo devono essere respinte, così come devono essere respinte le odierne pretese di primato del Patriarcato di Costantinopoli.

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