La Chiesa di Gerusalemme è la Madre di tutte le Chiese?
di Andrej VlasovUnione dei giornalisti ortodossi, 24 maggio 2019
il patriarca Teofilo III di Gerusalemme. Foto: Unione dei giornalisti ortodossi
Che fare dell'asserzione del
patriarca Teofilo III di Gerusalemme, che la sua Chiesa è la garante
dell'unità dell'intero mondo ortodosso.
Il 16 maggio 2019, il patriarca Teofilo
III della Città Santa di Gerusalemme e di Tutta la Palestina ha ricevuto
una delegazione della Società imperiale ortodossa di Palestina. Nel suo
discorso di benvenuto, il patriarca di Gerusalemme ha detto parole che
meritano attenzione alla luce degli eventi che si svolgono nel mondo
ortodosso di oggi: "La Chiesa di Gerusalemme, che è la Madre di tutte le
Chiese, è la garante dell'unità della Chiesa ortodossa".
Cosa potrebbe nascondersi dietro questa formulazione apparentemente innocua?
La Società imperiale ortodossa di
Palestina ha tenuto un seminario internazionale a Gerusalemme per i capi
delle sue filiali regionali e straniere e uffici di rappresentanza. Era
dedicato al 200° anniversario del supporto diplomatico della presenza
russa in Medio Oriente.
Il patriarca Teofilo III ha detto molte
parole piacevoli alla delegazione della Società imperiale ortodossa di
Palestina e ha pubblicato un discorso di benvenuto sul sito ufficiale
del Patriarcato di Gerusalemme. "Riconosciamo soprattutto il ruolo che
la Chiesa ortodossa russa ha svolto per secoli, specialmente durante il
periodo ottomano, nel sostenere la Chiesa di Gerusalemme politicamente,
diplomaticamente e, ovviamente, finanziariamente", ha detto il
patriarca.
Tutto questo è vero. Non si sa quale
sarebbe stato il destino delle Chiese ortodosse in Medio Oriente – e
queste sono le più antiche Chiese di Costantinopoli, Alessandria,
Antiochia e Gerusalemme – senza l'aiuto della Chiesa della Rus',
politico, diplomatico e finanziario. Per molti aspetti, proprio a causa
di questo aiuto, esistono ancora le Chiese più antiche.
Ma tra queste parole piacevoli, c'era una
frase che dovrebbe allertarci: "La Chiesa di Gerusalemme, che è la
Madre di tutte le Chiese, è la garante dell'unità della Chiesa
ortodossa".
Come è noto, Costantinopoli si è
dichiarata Madre di tutte le Chiese. Inoltre, il Fanar afferma che la
Chiesa ortodossa in quanto tale non può esistere senza il Patriarcato di
Costantinopoli. Il Fanar ha anche detto che è questo patriarcato che è
il garante dell'unità della Chiesa ortodossa, che tutte le Chiese
ortodosse locali possono essere considerate tali solo nella misura in
cui sono in comunione con il Patriarcato di Costantinopoli.
E ora il Patriarcato di Gerusalemme
dichiara la stessa cosa. Quanto sono legittime tali affermazioni? Nei
commenti sotto queste parole del patriarca Teofilo III, molti esprimono
l'opinione che, storicamente, tali parole sono completamente legittime.
Tuttavia, le cose non sono così semplici.
In effetti, la Chiesa di Cristo, che ha
ricevuto la sua esistenza storica nel Cenacolo di Sion il giorno della
discesa dello Spirito Santo sugli apostoli, era uguale alla comunità di
Gerusalemme, nemmeno composta da cristiani (questo nome fu adottato per
la prima volta nella comunità di Antiochia) ma semplicemente da
discepoli. Gli apostoli lasciarono Gerusalemme per predicare in tutti
gli angoli del mondo. La comunità di Gerusalemme, per la sua altezza
morale, era l'ideale della comunità cristiana, che nessun'altra comunità
ha mai raggiunto.
Per la risoluzione dei problemi più
dificili, i cristiani dei primi decenni si rivolgevano specificamente
alla comunità di Gerusalemme. In questo senso, è del tutto legittimo
affermare che la Chiesa di Gerusalemme o piuttosto la prima comunità
apostolica di Gerusalemme è la Madre di tutte le Chiese. Tuttavia,
l'attuale Chiesa locale di Gerusalemme è collegata alla prima comunità
apostolica di Gerusalemme indirettamente, anziché direttamente.
Il libro degli Atti degli Apostoli ci dà
un colpo d'occhio sulla prima comunità cristiana. Etnicamente,
consisteva di ebrei, che erano condizionatamente divisi in due gruppi:
ebrei ed ellenisti, e quest'ultimo non significa greci, ma ebrei della
dispersione, che vivevano in altri paesi e parlavano greco. Come
eccezione, la Sacra Scrittura menziona il pagano Nicola d'Antiochia.
Nonostante la decisione del Concilio
apostolico del 49 d.C., che i pagani convertiti al cristianesimo non
sarebbero stati tenuti a osservare i comandamenti della Legge di Mosè, i
membri della comunità di Gerusalemme tra di loro rispettavano questa
legge in modo piuttosto scrupoloso. Le prove del cronista cristiano del
II secolo Egesippo suggeriscono che i discendenti dei parenti di sangue
del Signore Gesù Cristo, il primo dei quali fu Giacomo, il fratello del
Signore, furono successivamente i vescovi di Gerusalemme.
Durante la prima rivolta ebraica contro i
Romani (66-70 d.C.), i cristiani di Gerusalemme fuggirono nella città
di Pella e così evitarono gli orrori dell'assedio di Gerusalemme e la
sua successiva devastazione. Dopo il 70 d.C alcuni cristiani ritornarono
a Gerusalemme e la comunità cristiana di questa città riprese vira.
Tuttavia, la sua influenza su altre comunità, specialmente a Roma, ad
Alessandria e ad Antiochia, cessò praticamente del tutto.
Ma durante la Seconda rivolta ebraica
sotto la guida di Bar-Kochba (132-135 d.C.), questa comunità cristiana
di Gerusalemme fu completamente distrutta e cessò di esistere. Inoltre,
fu colpita da due parti. Gli ebrei ribelli sterminavano i membri della
comunità in quanto cristiani, e i romani – in quanto ebrei. La
repressione della rivolta di Bar Kochba da parte dei Romani fu molto
crudele. Gerusalemme fu distrutta e la popolazione sopravvissuta fu
venduta in schiavitù o fuggita. L'imperatore romano Adriano proibì agli
ebrei sotto pena di morte non solo di vivere a Gerusalemme, ma anche di
avvicinarsi.
Una città pagana completamente nuova,
Aelia Capitolina, fu costruita sul sito della Gerusalemme distrutta. Fu
colonizzata da veterani delle legioni romane e da greci etnici. Non
c'era nulla in Aelia Capitolina che fosse collegato né con l'ex comunità
cristiana né con la storia di Gerusalemme, la Palestina, la cultura e
le tradizioni ebraiche.
Lo storico ecclesiastico Eusebio di
Cesarea indica che la comunità cristiana riapparve presto in Aelia
Capitolina, ma era già greca per composizione etnica e in nessun modo
connessa con la primitiva comunità di Gerusalemme. Il ruolo di questa
comunità e, di conseguenza, della sua sede episcopale, fu insignificante
per diversi secoli. Un ruolo molto più grande fu svolto da un'altra
sede in Palestina – quella di Cesarea.
L'ascesa della sede di Gerusalemme
avvenne già nel IV secolo sotto l'imperatore san Costantino il Grande.
Fu il risultato dell'acquisizione dei principali santuari cristiani da
parte della regina Elena – il Santo Sepolcro, la Croce vivifica e altri –
e l'inizio di un pellegrinaggio di cristiani su larga scala verso
questi santuari.
Nel 451 d.C., con la decisione del quarto
Concilio ecumenico, la sede di Gerusalemme ricevette lo status di
patriarcato, con la subordinazione delle comunità cristiane in
Palestina. Tuttavia, tenendo conto della dispersione della prima
comunità cristiana a Gerusalemme nel 132-135 d.C., così come
dell'insignificante posizione politica di Gerusalemme, il Concilio
ecumenico determinò che la Chiesa di Gerusalemme non fosse al primo
posto nel dittico, come sarebbe sembrato giusto, ma solo al quinto, dopo
quelle di Roma, Costantinopoli, Alessandria e Antiochia.
A seguito dell'invasione araba nel VII
secolo, il cristianesimo in Palestina in generale e il Patriarcato di
Gerusalemme in particolare andarono in declino. Questo si intensificò
ancora di più dopo la conquista della Palestina da parte dei crociati
nel 1099, quando i latini presero le chiese ortodosse e le trasferirono a
loro. Dopo la conquista della Palestina da parte dei turchi nel 1599,
la posizione del Patriarcato di Gerusalemme migliorò notevolmente.
Per quanto riguarda la composizione
etnica della comunità di Gerusalemme e dei suoi primati, come abbiamo
detto, è stata greca dalla prima metà del II secolo. Nell'era del
dominio arabo, la comunità divenne prevalentemente araba. E dopo
l'ultimo vescovo arabo di Gerusalemme, Doroteo II (XVI secolo) e fino ad
oggi, il Patriarcato di Gerusalemme è così composto: l'episcopato e una
parte significativa del clero sono greci, e il gregge è per lo più
arabo.
Questo stato di cose ha causato e causa
ancora molti conflitti tra la congregazione e l'episcopato. Oggi, il
patriarca di Gerusalemme appartiene al gruppo nozionale delle Chiese
locali greche, che nella loro politica si concentrano tradizionalmente
su Costantinopoli.
Sulla base di questa piccola panoramica
storica, lasciamo decidere a tutti, a propria discrezione, se sia
storicamente corretto chiamare il Patriarcato di Gerusalemme di oggi la
Madre di tutte le Chiese. E non è così importante se ci siano o meno
motivi storici per riconoscere qualsiasi Patriarcato come "Madre di
tutte le Chiese", quanto la questione se tale riconoscimento comporta
qualche privilegio per un tale Patriarcato nella vita moderna delle
Chiese locali.
Molto più importante e ambigua è
l'affermazione del Patriarca Teofilo III secondo cui la Chiesa di
Gerusalemme "è la garante dell'unità ortodossa".
La dottrina dell'unità della Chiesa è una
delle verità dogmatiche fondamentali incluse nel Credo
niceno-costantinopolitano: "Credo nella Chiesa una, santa, cattolica e
apostolica". Pertanto, se iniziamo a dire che qualcuno, qualche Chiesa
locale – Gerusalemme, Costantinopoli o qualche altro – è il garante
dell'unità ortodossa, la domanda logica è: chi sarà allora il garante
della dottrina della santissima Trinità o dell'incarnazione di Gesù
Cristo?
Il prossimo passo logico in tale
ragionamento sarà la domanda: chi è il garante della purezza del dogma
in generale? Chi ha l'autorità nella Chiesa per determinare dove è la
verità e dov'è la sua distorsione? Questa domanda è sorta molti secoli
fa. E si decise in modi diversi nel Cattolicesimo e nell'Ortodossia.
Per i latini, il pontefice romano è il
garante di tutto l'insegnamento morale e spirituale, senza eccezioni. È
il criterio visibile e tangibile per determinare la purezza della fede.
Il dogma dell'infallibilità papale è formulato dai latini come segue:
"Insegniamo e definiamo che è un dogma divinamente rivelato che il
romano pontefice quando parla ex cathedra, cioè quando è
investito dell'ufficio di pastore e dottore di tutti i cristiani, in
virtù della sua suprema autorità apostolica, definisce una dottrina
riguardante la fede o la morale che deve essere esercitata dalla Chiesa
universale, per l'assistenza divina a lui promessa nel beato Pietro, è
in possesso di quell'infallibilità con cui il dvino Redentore ha voluto
che la sua Chiesa fosse dotata nel definire la dottrina riguardante la
fede o la morale, e che quindi tali definizioni del romano pontefice
sono irreformabili di per sé e non per il consenso della Chiesa. Quindi,
se qualcuno, che Dio non voglia, avrà la temerarietà di respingere
questa nostra definizione: sia anatema".
Nel cristianesimo ortodosso, non esiste
un dogma simile chiaramente definito e documentato su chi sia
infallibile e, quindi, possa essere il garante e il custode del dogma e
della moralità. Tuttavia, nella tradizione ortodossa, c'è la
comprensione che solo la pienezza della Chiesa di Cristo può essere una
tale guardiana e garante. Si dice della Chiesa che è "il pilastro e il
fondamento della verità" (1 Timoteo 3,15). Della Chiesa, il Signore ha
promesso che "le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa"
(Matteo 16,18).
La Chiesa non è qualcosa di visibile (o
più precisamente, qualcosa di solo visibile), né ancor più si tratta
dell'unica istituzione. Non esiste una procedura d'azione ben definita, a
seguito della quale la Chiesa può mostrare la sua infallibilità nel
definire i dogmi della fede e proteggerli dalle false dottrine. Non
esiste una procedura chiaramente definita per la convocazione dei
Concili ecumenici, né di chi abbia il diritto di convocarli, né quanti
vescovi di ogni Chiesa locale dovrebbero parteciparvi, né come questi
delegati dovrebbero essere nominati al Concilio. Non esiste una
procedura per l'attuazione delle decisioni del Concilio. Non esiste un
organo esecutivo responsabile del Concilio, e così via.
Ma nonostante tutte queste difficoltà, la
Chiesa è sempre stata consapevole di sé come unico garante della
preservazione della Verità. Ecco come questa consapevolezza è espressa
nell'Enciclica dei patriarchi orientali (1848) (indirizzata "a tutti i
veri figli ortodossi dell'unica, santa, cattolica e apostolica Chiesa"):
"Né i patriarchi né i concili avrebbero potuto introdurre novità tra
noi perché il guardiano della nostra pietà (iperaspistis tis thriskias)
è il corpo stesso della Chiesa, le persone stesse, che desiderano che
il loro culto religioso rimanga immutato e simile a quello dei loro
padri".
Persino i concili non sempre garantiscono
la verità delle decisioni prese nei loro confronti. Nella storia della
Chiesa, ci sono stati diversi casi in cui dei concili in possesso di
tutte le caratteristiche di quelli ecumenici sono stati, in effetti,
sinodi di briganti e sono stati riconosciuti come tali dopo periodi di
tempo più o meno lunghi.
Immaginiamo la situazione in cui si sono
trovati i cristiani quando un simile concilio predatorio non era stato
ancora riconosciuto come predatorio. Dopo tutto, i sostenitori di tale
pseudo-concilio sostenevano davanti a tutti di avere ragione e che il
loro concilio aveva preso decisioni particolari vincolanti per tutti.
Immaginiamo quanto sia stato difficile per gli ortodossi dimostrare e
difendere la loro fede ortodossa in quel momento. Tutti questi problemi e
difficoltà sembrano avere spinto i cristiani a una decisione piuttosto
semplice: stabilire che una persona o un corpo collegiale nella Chiesa
con dei poteri e un procedura decisionale chiaramente definiti sarebbe
stato il garante visibile della purezza dell'insegnamento morale e
spirituale.
I Latini hanno ceduto a tale tentazione e
hanno trasferito facilmente questa funzione al papa. È molto semplice e
conveniente – avere un garante visibile e porre su di lui tutte le
responsabilità di prendere decisioni.
Ma gli ortodossi hanno sempre respinto
tale tentazione e hanno fermamente difeso l'affermazione che la Chiesa
nella sua pienezza è governata dallo Spirito Santo, che crea da sé forme
e procedure. Più di una volta nella storia della Chiesa le decisioni
dei Concili ecumenici sono state respinte, per trionfare in seguito dopo
decenni o addirittura secoli di lotta per la purezza della fede
ortodossa. Più di una volta nella storia della Chiesa ci sono stati casi
in cui la verità è stata difesa da un solo vescovo, per esempio Marco
di Efeso al Concilio di Ferrara-Firenze. Ma alla fine, la verità ha
vinto. Lo Spirito Santo ha guidato la Chiesa attraverso difficoltà
apparentemente insormontabili e barriere fino alla Verità, per vie che
solo lui conosceva.
Riconoscere l'esistenza di un garante
visibile di verità dogmatiche significa rifiutare questa guida dello
Spirito Santo. E la seconda domanda è: chi dovrebbe essere nominato tale
"garante": il pontefice di Roma, il Patriarcato di Costantinopoli,
Gerusalemme o la Russia?
Io voglio davvero pensare che le parole
del patriarca Teofilo III di Gerusalemme, che il Patriarcato di
Gerusalemme "è il garante dell'unità della Chiesa ortodossa", siano solo
parole che non saranno tradotte in azione. Altrimenti, le
rivendicazioni del Patriarcato di Gerusalemme su ciò che appartiene alla
pienezza della Chiesa di Cristo devono essere respinte, così come
devono essere respinte le odierne pretese di primato del Patriarcato di
Costantinopoli.
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