Fermiamo questo fraticidio
Fermi, anzi basta: mi sembra che si sta superando il fraterno e amichevole gusto del dialogo anche tra persone che non la pensano allo stesso modo. Bene Isodora sei una ortodossa, brava, simpatica, greca, vivi a Roma (infatti non è arrivata nessuna segnalazione di un tuo collegamento con il Blog dalla Grecia), cosa dire su di te, complimenti e sette più, non posso darti un voto più alto. L'Arbresh sente il bisogno di difendere la mia ortodossia e la mia onorabilità ed il sangue fraterno, io al centro faccio da arbitro e dico: "Stiamo andando oltre la siepe e non sapendo poi cosa riusciremo a trovare dall'altra parte e se riusciremo a fermarci in tempo, pregherei ai contendenti di chiudere subito il contenzioso" . Io non ho bisogno di nessuno che si azzardi a disquisire sulla mia ortodossia; se uno è ortodosso, a prescindere dalla nazionalità o dalla giurisdizione ecclesiastica di appartenenza, resta ortodosso per sempre. Per quanto riguarda il Patriarcato di Mosca, devo dire francamente alla Signorina Isidora, che non fa altro, (come lo fa d'altronde il Patriarcato di Costantinopoli, il Patriarcato di Romania ecc.), che dare conforto spirituale a tutti i russi emigrati, sparsi per l'Italia e quindi anche in Calabria, e devo dirti che ce ne sono a migliaia. Per questi motivi si è reso doveroso mandare un prete del Patriarcato incontro a queste prospettive ecclesiali.
Circa il mio o altrui uniatismo, devo ancora ribadire, che con tutto il rispetto che posso avere per la tua persona, non conosci la storia reale del povero popolo martoriato Arbëreshë o Italo-albanese, perché se tu minimamente avessi cognizione di ciò che abbiamo subito dalla venuta in Italia dal 1450 circa, fino ad oggi, non parleresti in questi termini dispregiativi.
La storia del popolo Arbëreshë o Arvanita o Arberore è costellata di patimenti, di persone maltrattate, di un popolo che ha dovuto lavorare e con il sudore del proprio sangue arrivare a mantenere certe peculiarità che, grazie a Dio, ancora resistono nei nostri oramai poveri villaggi.
Eravamo ortodossi, eccome, le nostre sono state migrazioni con al seguito i Papàs greci, che si portavano appresso la Fede Ortodossa, il Tipikon di Costantinopoli, Le Ufficiature Ortodosse, l’orgoglio orientale, la mentalità bizantina ed anche le mogli con tanto di figli.
Come dicevo al Prof. Giorgio Dorangricchia e come Lui stesso ha sostenuto, non c’è un minimo straccio di scritto in cui si può confermare il passaggio del popolo greco-albanese sotto il Papa di Roma Antica. Nel corso dei secoli a iniziare dal Concilio di Trento, o Controriforma, sono iniziati i patimenti religiosi di noi arbresh. Mentre prima l’Arcivescovato di Ocrida aveva mandato diversi Vescovi che avevano giurisdizione da Ancona ad Agrigento circa l’ordinazione presbiterale per i greco-albanesi, dopo questo concilio tutto è passato sotto i Vescovi latini e chi si azzardava ad andare i Grecia, dei nostri preti albanesi, per farsi ordinare, tornato in Italia, era additato come eretico e scismatico. Molti di questi non sono più tornati o perché morti durante l’attraversamento del mare, o perché catturati e uccisi dai turchi.
Ora considerato che tra le due sponde del Mediterraneo, era quasi impossibile dialogare a causa dei Turchi islamici, anche noi avendo perso la strada maestra che ci avrebbe fatto da battistrada per un continuo colloquio sacramentale, grazie a Dio e grazie alla nostra caparbietà abbiamo salvato il salvabile, intanto la liturgia, la lingua, le tradizioni e la cultura. E se a te tutto questo sembra poco, non saprei più cosa dirti.
Per ciò che riguarda chi ritorna in piena libertà alla Fede dei Suoi Padri, da te è considerato un ortodosso si scarso valore, devo, mi perdoni, considerarti una negligente in comportamento fraterno. Magari domani tutti gli albanesi potessero ritornare alla Fede dei nostri Avi, sarebbe una grande festa e non è escluso che ciò potrà accadere, con l’aiuto del Signore e di poveri presbiteri come me, i quali faticano non poco a spiegare ai propri fratelli la loro reale e giusta storia.
Il mio cognome è Capparelli, vicino la città greca di Tebe, c’è un paese che io ho visitato e ci sono le foto che possono testimoniare quanto sto sostenendo, il cui nome greco è Kaparelli. Un paese dove ancora si parla l’arvanita e dove io personalmente ho dialogato con gli anziani in Arvanita. Probabilmente noi che portiamo questo cognome proveniamo da quelle zone, ecco perché io mi sento un greco-albanese che la storia ed il fato hanno deciso, non per colpa mia, diversamente.
Per ciò che riguarda la Divina Liturgia in una stanza dove in effetti si vede che c’è la cucina, io non trovo nulla di strano, molti amici preti di tutte le giurisdizioni ecclesiastiche, anche amici della grecia, con cui mantengo rapporti fraterni, incoraggiandomi mi dicono: “Lei Padre, sta celebrando come i primi cristiani, in una catacomba”. E la catacomba non era altro che un cimitero, figuriamoci in una stanza bella, pulita e assolata. Non è da poco, mi creda sorella Isidora. E se in tutti i paesi italo-albanesi ci sarebbe una cappella così fatta, sarebbe per l’ortodossia un vanto. Molti monaci del Sacro Monte dell’Athos, con cui sono in ottimi rapporti e con cui ci telefoniamo spesso e volentieri, mi hanno detto: “Grazie Padre Giovanni, con lei è ritornata a fiorire l’ortodossia nei paesi greco-albanesi”. Non mi hanno detto perché celebri in quel tugurio, offendi la Liturgia ecc. ecc., non hanno detto questo, hanno parlato del rifiorire della Fede Ortodossa.
Sai io personalmente non ho la possibilità economica di affittare una stanza libera da mobili, per fare questo ci vogliono i “piccioli” come dicono in Sicilia, se Lei riesce a trovare un benefattore che ci finanzi l’operazione, che il Signore la benedica.
Chiudiamo questo ping pong di brutture e armiamoci di santa pazienza per lavorare tutti quanti affinchè l’Ortodossia, ovvero la Retta Fede, possa trionfare.
Padre Giovanni Capparelli
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