Arbërishtja e Shqjpja
Cinque secoli e mezzo fa, la storia degli Arbresh si separa daquella Albanese. Il Ramo arbresh si stacca dal Tronco albanese. Il Ramo fuori dalla Patria si sparpaglia per l’Italia straniera; il tronco resta in Patria, ma oppressa dal turco straniero. Due popoli si allontanano l’uno dall’altro non solo fisicamente, ma col tempo anche linguisticamente. Ognuno si misura con lo straniero: l’arbresh ce l’ha intorno, ma fuori casa; l’albanese ce l’ha addosso, e dentro casa. Linguisticamente, oggi l’Arberia non solo ha una lingua diversa da quella albanese, ma ogni paese arbresh, rispetto a ciascun altro paese arbresh, ha un parlata diversa. Nel cuore degli Arbresh vive, acceso, l’amore verso la Patria albanese al di là del mare, ma la lingua albanese resta una montagna troppo alta da scalare. Non si capisce. Dopo cinque secoli e mezzo di lontananza, l’oggi linguistico dei paesi arbresh impastata nelle parlate e nelle loro tradizioni: il solo pane mangiabile, per loro. Chi pensa il contrario – e lavora per cambiare questa realtà – non onora l’Arberia nè gli Arbresh. Le parlate arbreshe non le salva la lingua albanese: le strade linguistiche dei due popoli si sono allontanate. Tuttavia, gli intellettuali arbresh che hanno studiato, o studiano, l’albanese nei corsi regolari universitari o l’hanno imparata/approfondita nei Seminari di Prishtina o di Tirana, hanno aggiunto alle loro conoscenze linguistiche, e culturali ingenerale, un tesoro prezioso. Una ricchezza che resta personale e ognuno usa come vuole; ma quantomeno aumenta l’amore per la Madreatria, verso i fratelli albanesi. Ma gli Arbresh semplici vivono da arbresh non perchè glielo dice qualcuno, non perchè riconosciuti dall’art.6 dellaCostituzione Italiana o perchè difesi dalla Legge 482/99; non perchè su di essi si fanno Convegni o Congressi o perchè si scrivono libri; non perchè la loro lingua si insegna a scuola o all’università o perchè si scrive su riviste arbreshe. L’”albanesità” dei paesi arbresh vive anche senza tutti questi “aiuti”. A dire la verità vive anche meglio senza questi aiuti. Perchè ogni “aiuto”, l’arbresh lo vede come una forzatura, una intromissione, non richieste: da qualsiasi parte provenga, arbreshe o italiana. La lingua arbreshe degli Arbresh semplici non ha bisogno della lingua albanese. Bastano le parole che hanno: brevi, dolci o aspre. Impastate di versi e di lacrime, di sudori e di vento. Il tempo queste parole le ha indurite, e le ha murate una ad una intorno ai cuori arbresh. Fortezze più alte di Kruja. Le parlate arbreshe – soprattutto quelle più danneggiate dal tempo – possono essere aiutate solo dalle parlate sorelle arbreshe. Solo questa è la strada per salvare le parlate arbreshe dai danni del tempo. Un aiuto che non provoca nè terremoti psicologici nè linguistici. Un aiuto che resta all’interno dei confini arbresh dentro la casa arbreshe. Dalla “lingua-madre” albanese dobbiamo prendere in prestito solo quelle parole che mancano alle parlate arbreshe. Se poi - come si è fatto in Albania, ma senza “paraocchi” localistici - anche in Arberia facciamo linguisticamente un passo in avanti e cominciamo a costruire l’“arbresh standard”, dovè sta lo scandalo? Il protopapas Emanuele Giordano, col “Vangelo” tradotto in arbresh, ha già aperto questa strada.
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