Voijslava Nastic, il futuro vescovo Varnava, nacque nel 1914 a Gera (Indiana, USA). Quando era ancora bambino i suoi genitori ritornarono con lui in patria. Finì la scuola elementare ed il liceo a Sarajevo. Portò a termine la facoltà di teologia a Belgrado nel 1937. Insegnava, come catechista, nell’istituto magistrale e nel liceo statale a Sarajevo. Diventò monaco nel 1940 nel monastero di Milesevo, ricevendo il nome monastico di Varnava. Il martire metropolita Petar di Sarajevo, di santa memoria, lo ordinò ierodiacono.
Dopo l’occupazione della Iugoslavia e la formazione del così detto stato indipendente croato (1941), il giovane ierodiacono Varnava rimase a Sarajevo, condividendo il destino terribile del suo popolo. Infatti, si trovò davanti a grandi tentazioni. Soltanto un cuore innocente e profondamente cristiano poteva sopportare tante persecuzioni terribili, come egli sopportò, non perdendo la fede neanche per un istante. Avendo il dittatore croato Ante Pavelic fondato nel così detto stato indipendente croato la “chiesa ortodossa croata”, fece venire a Zagabria Varnava e gli offrì la dignità episcopale della nuova chiesa illegale. Il giovane ierodiacono, non temendo per la vita, dopo due lunghissime discussioni, categoricamente e senza paura rifiutò l’offerta fattagli dal “capo” del mostruoso stato degli Ustascia. Durante tutto il tempo dell’occupazione rimase a Sarajevo nel pericolo continuo di perdere la vita, condividendo con il popolo Serbo in Bosnia la temerarietà del suo tragico destino.
Il metropolita di Dabar e Bosnia Nektaridj, di santa memoria, ordinò Varnava ieromonaco, concedendogli inoltre la carica di protosingelos. Soddisfacendo le necessità spirituali del popolo Serbo ortodosso nei dintorni di Sarajevo, il dotto protosingelos prese la cura di due parrocchie vacanti. Mentre esercitava questo ufficio, fu eletto vescovo ausiliare con il titolo di “vescovo di Hvosno”. Varnava ricevette la consacrazione episcopale il 6/19 agosto 1947 a Belgrado dal patriarca Gavril (Dozic) con l’assistenza del metropolita Nektarije e del vescovo Vikentije, il futuro patriarca. Consegnando al nuovo vescovo il pastorale, il patriarca pronunciò parole calorose, indicandogli tutto il peso del servizio episcopale e la grandezza della responsabilità del vescovo davanti a Dio ed alla Chiesa. Dopo aver ricevuto il pastorale, il vescovo Varnava si rivolse al patriarca, ai vescovi ed al popolo presente con la sua prima omelia pastorale:
“La grandezza dell’onore, secondo Cristo, si concede agli uomini secondo la loro prontezza al sacrificio. Colui che poco sacrifica, piccolo onore riceverà; mentre chi molto sacrifica, grande onore otterrà. Colui che tra gli uomini ricevette il più grande onore, ha sopportato prima il maggior sacrificio. Lui, secondo le proprie parole, prima doveva soffrire il Golgota per poter dopo ciò entrare nella sua gloria. Come possono gli uomini sfuggire a questa regola quando la osservò lo stesso Dio Eterno? Quelli che sfuggono al sacrificio, sfuggono all’unico onore sotto questo sole di Dio, per il quale conviene combattere. Quando il nostro Signore Gesù Cristo mandò i suoi apostoli nel mondo stabilì il sacrificio come programma e metodo della loro vita. E soltanto la prontezza al sacrificio rese degni i pescatori di Galilea dell’onore apostolico. Questa regola, una volta messa nei fondamenti della Chiesa di Cristo, è rimasta intatta e così rimarrà in tutti i giorni fino alla fine del mondo. Il grande onore, nella Chiesa di Cristo, significa il grande sacrificio. Il Santo Concilio dei vescovi della Chiesa Serba Ortodossa, guidato da Sua Santità il Patriarca Serbo Gavril, per l’ispirazione del Santo Spirito, ha scelto la mia indegnità a vescovo della Chiesa di Cristo. Con questa elezione m’ha condannato al sacrificio del Golgota di Cristo, ma condannandomi a questo sacrificio, il più grande sacrificio, mi ha concesso il più grande onore che si può concedere ad un uomo mortale. Ed io, in questo momento e da questo posto, con le parole insufficienti della lingua umana, con tutta l’anima e con tutto il cuore, ringrazio Sua Santità il Patriarca ed i vescovi Serbi che mi hanno concesso l’onore del Golgota. Tutto quello che posso dire, ed il massimo che posso dire, è che volontariamente salirò sul mio Golgota e che questo onore non scambierò mai con nessun altro onore sotto questo sole di Dio. Il servizio episcopale è il sacrificio del Golgota, perché il servizio episcopale è il servizio apostolico ed agli apostoli il Signore disse: Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete[1]. Il calice che il Signore ha bevuto ed il battesimo con il quale si battezzò cosa era se non il calice del Golgota ed il battesimo di sangue con il suo proprio sangue? Ogni giorno in questo mondo fu per il Figlio di Dio un Golgota tremendo ed il suo bicchiere di miele completamente sparì nell’immenso calice di amarezza il quale bevve volontariamente. E le sue parole si realizzarono. Il calice, che ha bevuto Lui, hanno bevuto anche i suoi apostoli e così si sono battezzati con lo stesso battesimo con il quale si battezzò Lui stesso. Tra i dodici, undici hanno sparso il loro sangue. Come per il loro Maestro ogni giorno, e non soltanto l’ultimo, della sua vita era un terribile Golgota, così fu anche per i discepoli, cominciando da quel giorno quando, impauriti dai Giudei, s’erano radunati in una stanza oscura a Gerusalemme fino al momento in cui con il loro sangue segnarono i loro giorni. Quello che è successo agli apostoli, è successo anche ai vescovi. Chi può numerare i cimiteri in cui riposano le ossa dei vescovi martirizzati, sparsi sulla terra dal tempo degli apostoli al XX secolo barbarico? Chi può misurare il profondo mare del sangue dei vescovi, nel quale sono affondate innumerevoli vite dei pastori della Chiesa di Cristo? Come per il Figlio di Dio il Venerdì Santo fu soltanto l’ultima e più tremenda tra le sofferenze quotidiane e come gli apostoli con il loro ultimo sacrificio nel sangue, soltanto conclusero il numero di tutti gli innumerevoli sacrifici della loro vita apostolica, così, nella stessa maniera, il vescovo è condannato ad essere pronto in ogni momento non soltanto all’ultimo ed al più grande sacrificio, ma a tutti quei grandi e piccoli sacrifici ed a tutte quelle grandi e piccole agonie dalle quali è fatto il tessuto dei suoi giorni. E così, perché i vescovi sono quelli che hanno, come al tempo loro gli apostoli, lasciato il proprio padre e la propria madre e la moglie ed i figli e la casa e le ricchezze proprie, hanno rinunciato a se stessi, presero la loro croce e seguirono il Cristo. Questa è la formula fondamentale della vita episcopale. Da questa formula sgorgano, come il fiume dalla sua sorgente, le agonie quotidiane del vescovo ed i suoi sacrifici quotidiani.
Il vescovo non ha una propria gioia, né una propria angoscia. La gioia della Chiesa è la sua gioia e l’angoscia della Chiesa è la sua angoscia propria. Il danno della Chiesa è il suo danno, ma la vittoria della Chiesa è il suo trionfo. Ogni bestemmia contro Dio cade sul vescovo come un’umiliazione propria ed ogni motteggio contro il Figlio di Dio come un motteggio contro di lui. Ogni ingiustizia deve toccare la sua anima ed ogni violenza deve provocare la sua giusta ira. Ogni lacrima dei poveri deve scendere per il suo viso ed ogni cuore ferito emettere un gemito dalla sua bocca. Come il vescovo può non essere triste se qualcuno fa del male? Il vescovo vive il Golgota quando guarda come gli uomini seguono i loro simili mortali e voltano le loro teste da Dio immortale. Lui vive il Golgota quando guarda come il seme dell’Evangelo cade sulla strada e gli uccelli lo divorano, e come cade nel rovo e questo lo strozza. Sì, l’episcopato è il Golgota, perché il vescovo deve mettere la verità sopra la vita; ma noi sappiamo che tante volte nella storia dire la verità significa perdere la vita. È necessario che io vi passi in rassegna quegli splendidi esempi del sacrificio episcopale? Numerarvi tutti quei martiri immortali della Chiesa, i quali, con il loro sangue, hanno fortificato i suoi fondamenti ed hanno costruito i suoi tetti con il marmo delle loro ossa martirizzate? Andrei troppo lontano e vi tratterrei per lungo tempo. È necessario fare questo a noi grati figli della diocesi serba ortodossa di Dabro-Bosna? È necessario, per mostrare la figura del vescovo martire, vagare attraverso spazio e tempo, quando una tale figura ha mostrato il suo splendore davanti agli occhi nostri ed ai giorni nostri? Questa è la figura del nostro metropolita Petar Zimonjic.
Noi, anche adesso, sentiamo più volte ripetere le modeste parole pastorali del metropolita Petar: Il fratello è caro, senza guardare quale fede professa. Lui così parlava e così faceva. Offriva il suo amore a destra ed a sinistra. E i fratelli? Cosa hanno fatto? Come lo ringraziarono? Quale dono gli offrirono? Per l’amore gli donarono il campo di concentramento e per fraternità e l’unità lo mandarono nella terra nera! Sii felice, beata anima del metropolita Petar! Tu assomigli al Cristo ed ai suoi apostoli. In questo mondo tu hai sopportato il massimo sacrificio per ottenere nell’aldilà il massimo onore. E perciò malgrado che conosca le debolezze della mia anima, non ho paura che le mie gambe tremeranno sulla via spinosa del Golgota sulla quale mi sono incamminato oggi. Anche se volessero tremare, la luce ed il calore di questi innumerevoli eroi di Cristo restituirebbero loro la sicurezza e la forza.
Nella mia prima omelia pastorale, fratelli e sorelle, voglio dire qualche parola a voi, in Cristo amabili figli di quella Chiesa, della quale sono diventato vescovo oggi. Armatevi, fratelli e sorelle, con le armi spirituali, perché la Chiesa di Cristo combatte oggi in tutto il mondo una guerra tremenda. Questa guerra della Chiesa non è la guerra per il potere e la potenza terrena, ma la guerra per la salvezza delle anime umane, la lotta per la loro sottrazione dall’abbraccio oscuro e mortale di Satana e la loro restituzione nelle braccia beate del Padre Celeste. Questa lotta non è né da oggi né da ieri. Essa dura da quando esiste il genere umano. Ma, questa lotta non fu mai così forte come nei giorni nostri, perché oggi la ricchezza ed il potere hanno scandalizzato le anime umane. Sì, questa guerra con gli spiriti del male è l’impegno della Chiesa oggi e non la guerra con i partiti e gruppi politici di questo mondo. Alla Chiesa di Cristo poco importa quale partito dominerà nel mondo, ma le importa moltissimo che nel mondo regnino Amore, Verità e Giustizia. Finché non domineranno Amore, Verità e Giustizia, neanche la pace sarà presente. Io spero, fratelli, nel vostro amore verso il Salvatore e nella vostra fede in Dio. Spero che questa lotta non perderete voi, ma il vostro nemico, il diavolo. Non dimenticate, che questa lotta vincerete solamente con l’arma del sacrificio. Sacrifici grandi e piccoli… Non dimenticate che siete i discendenti di quel Principe di Kossovo, il quale sacrificò il terreno per ottenere il celeste. Non dimenticate ancora che siete i figli di un popolo, il quale non possiede niente di importante che non abbia pagato con un sacrificio grande. E perciò, se in qualcuno di voi vive il desiderio di sfuggire al sacrificio, bisogna che trasfiguri questo desiderio, oggi nel giorno della Trasfigurazione del Signore, nel desiderio di ottenere l’aureola evangelica della vittoria con il sacrificio evangelico.
Ringrazio voi, fratelli e sorelle, perché oggi avete offerto a Dio il sacrificio della preghiera per la benedizione del mio futuro lavoro. Ringrazio i miei fratelli sacerdoti, i quali oggi insieme con me, hanno offerto al Signore l’Eucaristia e lo hanno pregato di darmi nuove forze per le nuove responsabilità . Ed il nostro Signore, il quale attraverso il più grande sacrificio ci donò la più grande vittoria, doni la vittoria al nostro Patriarca ed all’unica guida della nostra santa Chiesa, la quale guida nell’unico Cristo ha un unico desiderio e la quale nell’unico Dio conduce ad un unico pensiero, la vittoria a tutta la Chiesa Ortodossa, una vittoria grande e gloriosa, la vittoria sopra tutti i suoi nemici. Amìn”.
Le parole del vescovo Varnava furono profetiche. La sua tragica fine le conferma.
Il vescovo Varnava è stato confessore della fede sotto il regime del dittatore Tito, ed è venerato quale santo della Chiesa di Serbia.
Dopo l’occupazione della Iugoslavia e la formazione del così detto stato indipendente croato (1941), il giovane ierodiacono Varnava rimase a Sarajevo, condividendo il destino terribile del suo popolo. Infatti, si trovò davanti a grandi tentazioni. Soltanto un cuore innocente e profondamente cristiano poteva sopportare tante persecuzioni terribili, come egli sopportò, non perdendo la fede neanche per un istante. Avendo il dittatore croato Ante Pavelic fondato nel così detto stato indipendente croato la “chiesa ortodossa croata”, fece venire a Zagabria Varnava e gli offrì la dignità episcopale della nuova chiesa illegale. Il giovane ierodiacono, non temendo per la vita, dopo due lunghissime discussioni, categoricamente e senza paura rifiutò l’offerta fattagli dal “capo” del mostruoso stato degli Ustascia. Durante tutto il tempo dell’occupazione rimase a Sarajevo nel pericolo continuo di perdere la vita, condividendo con il popolo Serbo in Bosnia la temerarietà del suo tragico destino.
Il metropolita di Dabar e Bosnia Nektaridj, di santa memoria, ordinò Varnava ieromonaco, concedendogli inoltre la carica di protosingelos. Soddisfacendo le necessità spirituali del popolo Serbo ortodosso nei dintorni di Sarajevo, il dotto protosingelos prese la cura di due parrocchie vacanti. Mentre esercitava questo ufficio, fu eletto vescovo ausiliare con il titolo di “vescovo di Hvosno”. Varnava ricevette la consacrazione episcopale il 6/19 agosto 1947 a Belgrado dal patriarca Gavril (Dozic) con l’assistenza del metropolita Nektarije e del vescovo Vikentije, il futuro patriarca. Consegnando al nuovo vescovo il pastorale, il patriarca pronunciò parole calorose, indicandogli tutto il peso del servizio episcopale e la grandezza della responsabilità del vescovo davanti a Dio ed alla Chiesa. Dopo aver ricevuto il pastorale, il vescovo Varnava si rivolse al patriarca, ai vescovi ed al popolo presente con la sua prima omelia pastorale:
“La grandezza dell’onore, secondo Cristo, si concede agli uomini secondo la loro prontezza al sacrificio. Colui che poco sacrifica, piccolo onore riceverà; mentre chi molto sacrifica, grande onore otterrà. Colui che tra gli uomini ricevette il più grande onore, ha sopportato prima il maggior sacrificio. Lui, secondo le proprie parole, prima doveva soffrire il Golgota per poter dopo ciò entrare nella sua gloria. Come possono gli uomini sfuggire a questa regola quando la osservò lo stesso Dio Eterno? Quelli che sfuggono al sacrificio, sfuggono all’unico onore sotto questo sole di Dio, per il quale conviene combattere. Quando il nostro Signore Gesù Cristo mandò i suoi apostoli nel mondo stabilì il sacrificio come programma e metodo della loro vita. E soltanto la prontezza al sacrificio rese degni i pescatori di Galilea dell’onore apostolico. Questa regola, una volta messa nei fondamenti della Chiesa di Cristo, è rimasta intatta e così rimarrà in tutti i giorni fino alla fine del mondo. Il grande onore, nella Chiesa di Cristo, significa il grande sacrificio. Il Santo Concilio dei vescovi della Chiesa Serba Ortodossa, guidato da Sua Santità il Patriarca Serbo Gavril, per l’ispirazione del Santo Spirito, ha scelto la mia indegnità a vescovo della Chiesa di Cristo. Con questa elezione m’ha condannato al sacrificio del Golgota di Cristo, ma condannandomi a questo sacrificio, il più grande sacrificio, mi ha concesso il più grande onore che si può concedere ad un uomo mortale. Ed io, in questo momento e da questo posto, con le parole insufficienti della lingua umana, con tutta l’anima e con tutto il cuore, ringrazio Sua Santità il Patriarca ed i vescovi Serbi che mi hanno concesso l’onore del Golgota. Tutto quello che posso dire, ed il massimo che posso dire, è che volontariamente salirò sul mio Golgota e che questo onore non scambierò mai con nessun altro onore sotto questo sole di Dio. Il servizio episcopale è il sacrificio del Golgota, perché il servizio episcopale è il servizio apostolico ed agli apostoli il Signore disse: Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete[1]. Il calice che il Signore ha bevuto ed il battesimo con il quale si battezzò cosa era se non il calice del Golgota ed il battesimo di sangue con il suo proprio sangue? Ogni giorno in questo mondo fu per il Figlio di Dio un Golgota tremendo ed il suo bicchiere di miele completamente sparì nell’immenso calice di amarezza il quale bevve volontariamente. E le sue parole si realizzarono. Il calice, che ha bevuto Lui, hanno bevuto anche i suoi apostoli e così si sono battezzati con lo stesso battesimo con il quale si battezzò Lui stesso. Tra i dodici, undici hanno sparso il loro sangue. Come per il loro Maestro ogni giorno, e non soltanto l’ultimo, della sua vita era un terribile Golgota, così fu anche per i discepoli, cominciando da quel giorno quando, impauriti dai Giudei, s’erano radunati in una stanza oscura a Gerusalemme fino al momento in cui con il loro sangue segnarono i loro giorni. Quello che è successo agli apostoli, è successo anche ai vescovi. Chi può numerare i cimiteri in cui riposano le ossa dei vescovi martirizzati, sparsi sulla terra dal tempo degli apostoli al XX secolo barbarico? Chi può misurare il profondo mare del sangue dei vescovi, nel quale sono affondate innumerevoli vite dei pastori della Chiesa di Cristo? Come per il Figlio di Dio il Venerdì Santo fu soltanto l’ultima e più tremenda tra le sofferenze quotidiane e come gli apostoli con il loro ultimo sacrificio nel sangue, soltanto conclusero il numero di tutti gli innumerevoli sacrifici della loro vita apostolica, così, nella stessa maniera, il vescovo è condannato ad essere pronto in ogni momento non soltanto all’ultimo ed al più grande sacrificio, ma a tutti quei grandi e piccoli sacrifici ed a tutte quelle grandi e piccole agonie dalle quali è fatto il tessuto dei suoi giorni. E così, perché i vescovi sono quelli che hanno, come al tempo loro gli apostoli, lasciato il proprio padre e la propria madre e la moglie ed i figli e la casa e le ricchezze proprie, hanno rinunciato a se stessi, presero la loro croce e seguirono il Cristo. Questa è la formula fondamentale della vita episcopale. Da questa formula sgorgano, come il fiume dalla sua sorgente, le agonie quotidiane del vescovo ed i suoi sacrifici quotidiani.
Il vescovo non ha una propria gioia, né una propria angoscia. La gioia della Chiesa è la sua gioia e l’angoscia della Chiesa è la sua angoscia propria. Il danno della Chiesa è il suo danno, ma la vittoria della Chiesa è il suo trionfo. Ogni bestemmia contro Dio cade sul vescovo come un’umiliazione propria ed ogni motteggio contro il Figlio di Dio come un motteggio contro di lui. Ogni ingiustizia deve toccare la sua anima ed ogni violenza deve provocare la sua giusta ira. Ogni lacrima dei poveri deve scendere per il suo viso ed ogni cuore ferito emettere un gemito dalla sua bocca. Come il vescovo può non essere triste se qualcuno fa del male? Il vescovo vive il Golgota quando guarda come gli uomini seguono i loro simili mortali e voltano le loro teste da Dio immortale. Lui vive il Golgota quando guarda come il seme dell’Evangelo cade sulla strada e gli uccelli lo divorano, e come cade nel rovo e questo lo strozza. Sì, l’episcopato è il Golgota, perché il vescovo deve mettere la verità sopra la vita; ma noi sappiamo che tante volte nella storia dire la verità significa perdere la vita. È necessario che io vi passi in rassegna quegli splendidi esempi del sacrificio episcopale? Numerarvi tutti quei martiri immortali della Chiesa, i quali, con il loro sangue, hanno fortificato i suoi fondamenti ed hanno costruito i suoi tetti con il marmo delle loro ossa martirizzate? Andrei troppo lontano e vi tratterrei per lungo tempo. È necessario fare questo a noi grati figli della diocesi serba ortodossa di Dabro-Bosna? È necessario, per mostrare la figura del vescovo martire, vagare attraverso spazio e tempo, quando una tale figura ha mostrato il suo splendore davanti agli occhi nostri ed ai giorni nostri? Questa è la figura del nostro metropolita Petar Zimonjic.
Noi, anche adesso, sentiamo più volte ripetere le modeste parole pastorali del metropolita Petar: Il fratello è caro, senza guardare quale fede professa. Lui così parlava e così faceva. Offriva il suo amore a destra ed a sinistra. E i fratelli? Cosa hanno fatto? Come lo ringraziarono? Quale dono gli offrirono? Per l’amore gli donarono il campo di concentramento e per fraternità e l’unità lo mandarono nella terra nera! Sii felice, beata anima del metropolita Petar! Tu assomigli al Cristo ed ai suoi apostoli. In questo mondo tu hai sopportato il massimo sacrificio per ottenere nell’aldilà il massimo onore. E perciò malgrado che conosca le debolezze della mia anima, non ho paura che le mie gambe tremeranno sulla via spinosa del Golgota sulla quale mi sono incamminato oggi. Anche se volessero tremare, la luce ed il calore di questi innumerevoli eroi di Cristo restituirebbero loro la sicurezza e la forza.
Nella mia prima omelia pastorale, fratelli e sorelle, voglio dire qualche parola a voi, in Cristo amabili figli di quella Chiesa, della quale sono diventato vescovo oggi. Armatevi, fratelli e sorelle, con le armi spirituali, perché la Chiesa di Cristo combatte oggi in tutto il mondo una guerra tremenda. Questa guerra della Chiesa non è la guerra per il potere e la potenza terrena, ma la guerra per la salvezza delle anime umane, la lotta per la loro sottrazione dall’abbraccio oscuro e mortale di Satana e la loro restituzione nelle braccia beate del Padre Celeste. Questa lotta non è né da oggi né da ieri. Essa dura da quando esiste il genere umano. Ma, questa lotta non fu mai così forte come nei giorni nostri, perché oggi la ricchezza ed il potere hanno scandalizzato le anime umane. Sì, questa guerra con gli spiriti del male è l’impegno della Chiesa oggi e non la guerra con i partiti e gruppi politici di questo mondo. Alla Chiesa di Cristo poco importa quale partito dominerà nel mondo, ma le importa moltissimo che nel mondo regnino Amore, Verità e Giustizia. Finché non domineranno Amore, Verità e Giustizia, neanche la pace sarà presente. Io spero, fratelli, nel vostro amore verso il Salvatore e nella vostra fede in Dio. Spero che questa lotta non perderete voi, ma il vostro nemico, il diavolo. Non dimenticate, che questa lotta vincerete solamente con l’arma del sacrificio. Sacrifici grandi e piccoli… Non dimenticate che siete i discendenti di quel Principe di Kossovo, il quale sacrificò il terreno per ottenere il celeste. Non dimenticate ancora che siete i figli di un popolo, il quale non possiede niente di importante che non abbia pagato con un sacrificio grande. E perciò, se in qualcuno di voi vive il desiderio di sfuggire al sacrificio, bisogna che trasfiguri questo desiderio, oggi nel giorno della Trasfigurazione del Signore, nel desiderio di ottenere l’aureola evangelica della vittoria con il sacrificio evangelico.
Ringrazio voi, fratelli e sorelle, perché oggi avete offerto a Dio il sacrificio della preghiera per la benedizione del mio futuro lavoro. Ringrazio i miei fratelli sacerdoti, i quali oggi insieme con me, hanno offerto al Signore l’Eucaristia e lo hanno pregato di darmi nuove forze per le nuove responsabilità . Ed il nostro Signore, il quale attraverso il più grande sacrificio ci donò la più grande vittoria, doni la vittoria al nostro Patriarca ed all’unica guida della nostra santa Chiesa, la quale guida nell’unico Cristo ha un unico desiderio e la quale nell’unico Dio conduce ad un unico pensiero, la vittoria a tutta la Chiesa Ortodossa, una vittoria grande e gloriosa, la vittoria sopra tutti i suoi nemici. Amìn”.
Le parole del vescovo Varnava furono profetiche. La sua tragica fine le conferma.
Il vescovo Varnava è stato confessore della fede sotto il regime del dittatore Tito, ed è venerato quale santo della Chiesa di Serbia.
Nessun commento:
Posta un commento