Metropolita Hilarion di Volokolamsk “Essere nel mondo, ma non essere del mondo”. Lezione all’Università di Lugano. 28 ottobre 2011
Innanzitutto vorrei ringraziare di cuore il vescovo di Lugano Sua
Eccellenza Pier Giacomo Grampa, Gran cancelliere della Facoltà di
teologia, il Rettore Monsignor Azzolino Chiappini e il corpo insegnante
della Facoltà per l’onore che mi hanno fatto conferendomi il grado di
dottore di teologia. Ritengo che quest’onore non vada tanto a me e alle
mie modeste opere, ma piuttosto all’autorità spirituale della Chiesa
Ortodossa Russa, di cui cerco di essere figlio fedele.
1. La missione cristiana
La Chiesa di Cristo è inviata nel mondo a recare il lieto annunzio
del Regno di Dio. Questo ministero di annuncio è caratteristica
irrinunciabile della Chiesa, in quanto si basa sulla consegna di Cristo
Risorto ai discepoli: “Andate… e ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 28,
19). La Chiesa può far sue le parole di san Paolo: “Non è … per me un
vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non
predicassi il vangelo!” (1Cor 9, 16). Ma se il dovere di predicare, dato
alla Chiesa dallo stesso Cristo, non può essere messo in dubbio, la
questione circa i modi concreti di mettere in pratica questo dovere si
ripropone ogni volta ad ogni nuova generazione di cristiani. Qual è il
posto del cristianesimo nel mondo? Come guarda la Chiesa al mondo
esterno? Come può essa cooperare col mondo per compiere in esso la
propria missione?
Occorre qui sottolineare che il rapporto della Chiesa col mondo è un
rapporto dialettico. Da una parte, la Scrittura esprime chiaramente il
rifiuto del mondo: “Non amate né il mondo, né le cose del mondo! …
perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la
concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre,
ma dal mondo” (1Gv 2, 15-16). Il concetto di “mondo”, in san Paolo e
san Giovanni evangelista, ha in genere un’accezione negativa, come anche
nelle opere di molti degli asceti cristiani delle origini.
D’altra parte, un’autentica e radicale fuga dal mondo non solo
priverebbe la Chiesa della possibilità di compiere pienamente il proprio
dovere missionario, ma potrebbe generare fratture all’interno della
Chiesa stessa. Nella stessa prima lettera di san Giovanni apostolo che
abbiamo appena citato, troviamo la testimonianza dell’amore sacrificale
di Dio per il mondo, sua creatura [“In questo si è manifestato l'amore
di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché
noi avessimo la vita per lui”], e il comandamento dell’amore per il
prossimo [“Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un
mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può
amare Dio che non vede”] (1Gv 4; 9, 20). Nelle opere di Isacco di Ninive
troviamo l’esortazione ad avere compassione di tutto il creato,
compresi anche i demoni.
Un giusto approccio cristiano alle parole di san Giovanni apostolo
“tutto il mondo giace sotto il potere del maligno” (1Gv 5, 19), è quello
che propone il celebre pensatore russo Vladimir Solov’ev, quando dice
che occorre distinguere tra il “mondo” e il “maligno” sotto il cui
potere esso giace. Sì, il mondo è sottomesso alla forza del male, ma in
sé il mondo non si identifica col maligno (cfr. “I fondamenti della vita
spirituale”). E la missione del cristiani consiste giustamente nel
liberare il mondo dalla sua sottomissione al male.
Ai cristiani è dunque richiesta una posizione di equilibrio, lucida e
realistica. La Chiesa non può identificarsi col mondo poiché, come dice
la lettera agli Ebrei, noi cristiani “non abbiamo quaggiù una città
stabile, ma cerchiamo quella futura” (Eb 13, 14). Nello stesso tempo, la
Chiesa non può distanziarsi troppo dal mondo, essendo stata mandata nel
mondo per annunziare ad esso la Parola di salvezza. Essere nel mondo,
ma non essere del mondo: tale è la vocazione della Chiesa. Fedele alla
sua origine divina e alla sua tradizione di duemila anni, la Chiesa è
nello stesso tempo chiamata a essere sempre “con-temporanea” cioè a
condividere la cultura di un dato popolo e una data epoca. Di più, la
Chiesa è chiamata a essere apripista, a precorrere la propria epoca e
portare dietro a sé i propri contemporanei. Tale è la sua vocazione
profetica, e nel compierla, nell’annunciare le Parole di Cristo che “non
passeranno” (Mt 24, 35), la Chiesa deve tener conto delle condizioni in
cui si trova il mondo contemporaneo, deve dialogare con esso
condividendone il linguaggio, affinché esso possa accettare l’annuncio.
Noi cristiani non possiamo idealizzare il passato, i secoli in cui la
Chiesa aveva in Europa un’autorità indiscussa, e giudicare e condannare
il presente, in cui la situazione culturale, sociale e politica sono
diverse. La nostra fede ci chiama ad agire proprio nelle condizioni in
cui ci troviamo, lasciandoci guidare dal dono di “distinguere gli
spiriti”, che ci permette di dare la giusta valutazione di tutti i
fenomeni che ci si presentano nel mondo.
2. L’epoca postmoderna
Una delle caratteristiche del mondo moderno è la globalizzazione
dovuta, prima di tutto, al grande sviluppo dei mezzi di comunicazione.
Grazie ad essi, gli angoli più lontani del mondo si sono come
riavvicinati; chiunque può avere accesso immediato a un gran numero di
informazioni. A un primo sguardo potrebbe sembrare che l’umanità diventi
sempre più un’unica famiglia che vive nello stesso “villaggio globale”.
Tuttavia, il processo della globalizzazione paradossalmente è
accompagnato da una sempre più evidente riacutizzazione dei problemi
esistenti tra diverse regioni del mondo, che non di rado portano a
conflitti internazionali e allo scontro di civiltà. Diventa più evidente
il divario tra il ricco Nord del mondo e il Sud arretrato, anche se
questa contrapposizione è naturalmente molto schematica. Questa
differenza ha non soltanto una valenza meramente socio-economica, ma
riguarda anche i modelli di civiltà. Se ad esempio sosteniamo che il
Nord del mondo, cioè l’Europa e l’America settentrionale, dal punto di
vista culturale stanno attraversando l’epoca del postmodernismo, ciò non
può essere in alcun modo detto per i paesi africani o asiatici che
vivono secondo modelli culturali del tutto diversi.
L’epoca del postmodernismo, che convenzionalmente si fa risalire alla
catastrofe umanitaria delle due guerre mondiali, ha testimoniato la
realizzazione della previsione di Friedrich Nietzsche circa la “morte di
Dio”: il processo di secolarizzazione, sviluppatosi in seguito lungo
tutto il secolo, ha fatto sì che nella coscienza quotidiana della
maggior parte degli europei Dio ha smesso di essere il principio
fondamentale della loro vita. Il filosofo e teologo americano moderno T.
Altizer ha così definito la nostra epoca, dal punto di vista religioso:
“Sono ormai passati quei tempi della nostra storia in cui si poteva
avere una chiara coscienza di Dio o una certezza morale dei piani
provvidenziali di Dio. Il nome di Dio non è più evocato al centro della
vita e della coscienza, ma viene pronunciato perifericamente, in quelle
situazioni di frontiera in cui diventano impotenti sia la coscienza che
l’esperienza. Dio per noi è diventato gradualmente e definitivamente un
nome del mistero assoluto e totale, mistero alla cui presenza non
possiamo né agire, né parlare”[1].
Tuttavia, assieme alla “morte di Dio” nella coscienza di massa,
assistiamo anche alla fine dell’antropocentrismo. Se nelle ideologie
dell’epoca moderna il posto di Dio al centro del mondo è stato occupato
dall’uomo con la sua fede ottimistica nella scienza e nel progresso,
l’esperienza tragica del XX secolo, con l’enorme numero di vittime
umane, ha posto fine a tale fede ottimistica. Come scrive Dietrich
Bonhoeffer, “L’ideale assoluto della liberazione conduce l’uomo
all’autodistruzione. Alla fine della via per la quale ci si è
incamminati con la rivoluzione francese si trova il nichilismo»[2].
Con le ideologie totalitarie, l’ultima delle quali è stato il
comunismo, l’uomo moderno rinnega ogni tentativo di spiegare il mondo,
rinnega la possibilità stessa della verità. Così l’uomo dell’era
postmoderna è un uomo deluso. Egli ha rifiutato ogni grande idea per la
quale valga la pena di dare la propria vita. E la vita così non ha più
un senso globale. Al centro dell’universo dell’uomo moderno non si
trovano che la libertà individuale e gli interessi individuali e la sua
meta finale è il consumo. Il principio del piacere, da cui si fa guidare
l’uomo dell’epoca postmoderna, ha preso il posto degli imperativi
religiosi e morali.
Il nichilismo moderno, in quanto negazione di Dio che limiterebbe la
libertà dell’uomo, e nello stesso tempo negazione dell’uomo che ha
rinnegato Dio in nome del progresso, non offre nessuna alternativa e non
costituisce altro che un vuoto. Questo vuoto può e deve essere riempito
di un contenuto positivo che si addica alla nuova epoca. Il nostro
tempo, secondo quanto afferma un sociologo contemporaneo: “lascia aperta
anche l’ipotesi di un ricupero su vasta scala dei valori religiosi… Il
vuoto di Dio può trasformarsi in vuoto per Dio” [3].
3. L’alternativa cristiana
Come mostra l’esperienza della Russia e degli altri paesi dell’Europa
orientale, a lungo sottomessi a un’ideologia totalitaria, il
cristianesimo può proporre un’autentica alternativa all’uomo
contemporaneo, deluso dai vari sistemi ideologici, e aiutarlo a scoprire
un nuovo, autentico senso della vita. Alcune persone, deluse dagli
ideali sovietici, hanno voluto seguire gli standard di vita della
società dei consumi, ma molti altri sono invece arrivati alla Chiesa,
perché hanno trovato nel Vangelo quell’ideale autentico che può riempire
il vuoto lasciato dai falsi ideali. Questa esperienza concreta, fatta
dalla Chiesa Ortodossa Russa, mostra chiaramente che il cristianesimo è
in grado di rispondere alle domande più sostanziali dell’essere umano,
senza per questo rinnegare le conquiste dei tempi moderni, come la
libertà individuale e i diritti dell’uomo, ma riportandole alle loro
radici cristiane e dando loro più alta dignità.
Al contrario, sarebbe assolutamente erroneo adattare le verità
cristiane alle mode e ai costumi mutevoli dell’epoca moderna, sotto il
falso pretesto che tale adattamento faciliterebbe la missione cristiana.
Purtroppo non possiamo non constatare che questa è la via intrapresa da
alcune denominazioni cristiane. Innestando nella vita delle loro
comunità fenomeni tipici del postmodernismo e di natura prettamente
secolare, tali denominazioni sono diventate loro stesse prodotto della
cultura relativista postmoderna, e non sono più in grado di offrire
all’uomo moderno una vera alternativa spirituale.
Vorrei ora brevemente mettere in risalto due caratteristiche
peculiari della fede cristiana di cui, a mio avviso, ha particolare
bisogno l’uomo della cultura postmoderna. I nostri contemporanei non
acccettano più le ideologie astratte. Ma il cristianesimo non è una
dottrina teorica, avulsa dalla realtà; la fede cristiana è qualcosa di
assolutamente concreto, dato che è centrata su una Persona: l’Uomo-Dio
Gesù Cristo. La sua divinità e l’umanità sono in perfetta armonia, senza
alcuna diminuzione per la natura umana. Il mistero dell’incarnazione di
Dio ci viene presentato con la sua paradossale profondità e radicalità
dai padri della Chiesa: “tutto il mistero della salvezza - insegna san
Cirillo di Alessandria – è compreso nello svuotamento e
nell’annientamento del Figlio di Dio”. E’ proprio nella kenosi di Dio
che la libertà e la dignità umana, così care all’uomo di oggi,
acquistano il più alto significato. In Cristo la volontà divina non è
più una legge esterna per l’uomo, che diventa così un libero cooperatore
di Dio nell’opera della trasfigurazione del creato. In tal modo, nella
cristologia, la dottrina dell’uomo, della sua dignità e dei suoi diritti
trova il suo massimo sviluppo. Il compito della missione cristiana oggi
nei paesi europei e in America consiste giustamente nel rendere
comprensibile a tutti questa dottrina.
La forza del cristianesimo sta nel fatto che esso non si limita a
postulare questo principio della libertà umana in Cristo come una mera
teoria, ma ne fa l’esperienza concreta nella liturgia. Nella vita
liturgica della comunità l’uomo trova l’alternativa all’individualismo
che caratterizza la vita delle nostre città. Nel sacramento
dell’Eucarestia ogni volta l’uomo vive l’esperienza dell’unione con
Cristo Risorto, fonte della nuova vita. In questa unità non immaginaria,
ma reale, l’uomo acquista la capacità non soltanto di vivere la propria
vita secondo i principi cristiani, ma di esserne portatore, di
testimoniare attivamente Cristo al mondo attorno a lui. Nel nostro
secolo ipertecnologico dei mezzi visivi di informazione, l’esempio
visibile della vita la molta più forza persuasiva delle parole per i
nostri contemporanei.
L’efficacia dell’esempio dipende da tutti i cristiani, chiamati oggi a
unire gli sforzi, affinché gli abitanti del continente europeo e di
quello americano possano riscoprire la verità eterna della fede
cristiana.
4. Dialogo intercristiano
Alla luce delle sfide dell’annuncio cristiano nel mondo moderno, la
mancanza di unità tra i cristiani costituisce uno scandalo per tutto il
mondo e per le nostre stesse Chiese. Dobbiamo tuttavia notare il
fenomeno positivo dello sviluppo del dialogo intercristiano a diversi
livelli e in diversi campi. Vorrei qui innanzitutto sottolineare le
prospettive del dialogo ortodosso-cattolico. Esso ha ricevuto un nuovo
impulso con l’elezione al soglio pontificio di Benedetto sedicesimo,
teologo acuto e profondo che conosce bene la tradizione ortodossa ed è
aperto al dialogo con le Chiese ortodosse. Il Papa ha fatto molto e
continua a fare molto per l’unità dei cristiani.
I nostri rapporti con la Chiesa Cattolica Romana si sviluppano
contemporaneamente in diverse direzioni. Prima di tutto si tratta del
dialogo teologico, iniziato già da alcuni decenni, nel quadro del quale
analizziamo insieme le questioni che ci dividono, tra cui l’uniatismo e
il primato del vescovo di Roma. Speriamo che questa discussione possa
aiutare entrambe le parti a capire che il cammino per la piena
ricostituzione dell’unità passa attraverso il ritorno alla fede della
Chiesa del primo millennio. Anche allora esistevano differenze di ordine
teologico o ecclesiologico, diversi riti, ma nonostante ciò i cristiani
riuscivano a salvaguardare l’unità.
Ci piacerebbe non limitarci alle discussioni teologiche, ma poter
collaborare anche in quei campi che toccano più direttamente la vita dei
nostri fedeli. Per tanti, infatti, il dialogo teologico non significa
altro che dispute accademiche. Ma se ci limitiamo a discutere
all’infinito gli argomenti teologici che ci dividono e che abbiamo
ereditato dal passato, non arriveremo mai alla piena comprensione.
Esistono ampie possibilità di collaborazione in quelle sfere in cui
siamo già uniti. Se consideriamo gli ortodossi e i cattolici non
possiamo non notare che abbiamo pressoché la stessa dottrina sociale e
la nostra etica è sostanzialmente identica. Possiamo quindi già dire e
fare molte cose insieme, senza dover aspettare il momento in cui le
divisioni tra noi saranno definitivamente superate. Possiamo, per
esempio, proporre insieme al mondo secolarizzato la nostra visione della
morale, della famiglia cristiana, testimoniare insieme il valore
inestimabile della vita umana e la nostra convinzione che a nessuno sia
consentito porle fine, dal momento del concepimento nel ventre della
madre e fino all’ultimo respiro.
Oggi per la Chiesa Ortodossa diventa sempre più difficile portare
avanti la collaborazione con diverse denominazioni protestanti. Devo
dire con grande tristezza che il dialogo col mondo della Riforma che
abbiamo portato avanti per diversi decenni, oggi è messo a repentaglio
dai cambiamenti in corso in varie comunità protestanti, specialmente in
Europa e in America. Mi riferisco alla crescente liberalizzazione nei
campi della teologia, dell’ecclesiologia e soprattutto della morale.
Siamo tutti ormai stanchi delle belle parole e delle dichiarazioni
altisonanti. Occorre parlare apertamente tra di noi dei problemi che ci
preoccupano. Non dobbiamo dimenticare il nostro grande dovere,
l’improrogabilità dell’unità dei cristiani. Perché questo dovere è così
impellente? Perché finché siamo divisi, ogni giorno perdiamo quelle
immense possibilità che potremmo avere se fossimo uniti. Oggi migliaia
di giovani perdono la vita perché non hanno capito perché vivono, e noi
non glielo abbiamo suggerito. Muoiono per la droga, l’alcol, l’AIDS.
Insieme, potremmo fare molto di più per la nostra gente. Dobbiamo
preoccuparci di più delle reali necessità della gente. Tra i problemi
connessi all’aggressiva secolarizzazione nei paesi europei e in America,
sempre più urgente è quello della persecuzione dei cristiani in diverse
regioni del mondo.
5. La persecuzione dei cristiani e la cristianofobia
Negli ultimi tempi si impone il fenomeno preoccupante della continua
crescita delle persecuzioni per motivi religiosi, in primo luogo rivolte
ai cristiani. Questo fenomeno della nostra epoca ha ormai il carattere
di una sfida lanciata non solo alla cristianità ma a tutto il mondo
civile. I cristiani sono quotidianamente oppressi in Egitto, Irak,
India, Pakistan, Indonesia e diversi altri paesi in Asia e in Africa.
Oltre all’esodo di massa dei cristiani da questi paesi, continuamente
riportato dai giornali, questa situazione provoca anche un altro
problema, di cui quasi non si parla: la degradazione della società che
ritorna alla barbarie, all’odio e all’autodistruzione.
Il Consiglio d’Europa in gennaio ha adottato una risoluzione sulla
cristianofobia, e il suo esempio è stato seguito da diversi stati
europei; ma che influenza hanno avuto queste dichiarazioni sulla
situazione dei cristiani in quei paesi? Nonostante la crescita senza
precedenti degli episodi di violenza contro i cristiani in Egitto
all’inizio di ottobre, nessun paese dell’Europa occidentale ha fatto
alcuna seria pressione sull’autorità militare provvisoria egiziana,
nessuno ha intrapreso sanzioni economiche serie. Le scene che hanno
scioccato il mondo intero, in cui i militari hanno represso coi mezzi
blindati una manifestazione pacifica dei copti al Cairo, sparando su
persone disarmate, non entrano nel campo visivo dei politici. Non ha
avuto un’adeguata valutazione, a livello internazionale, neanche il
discorso del ministro egiziano della sicurezza nazionale, che ha
pubblicamente negato il fatto dell’uso delle armi contro i manifestanti
copti, né le informazioni diffuse dal governo che falsificavano il
numero delle vittime e la gravità delle ferite. Le nostre Chiese hanno
pieno diritto di esigere spiegazioni dai governi dei loro paesi: perché
gli interessi economici in gioco in questi paesi sono più importanti
della vita di migliaia di innocenti, uccisi solo a motivo della propria
fede in Cristo?
La cristianità intera oggi, nonostante le nostre divisioni, deve
essere unita per la difesa dei nostri fratelli e delle nostre sorelle
che soffrono in diverse regioni del mondo. Se questo non avverrà,
perderemo ancora in credibilità agli occhi del mondo. Al contrario,
difendendo i nostri compagni di fede, testimonieremo le nostre posizioni
comuni e ci ritroveremo più vicini tra noi, più uniti.
A questo è collegato anche un altro fenomeno dei nostri giorni, che
ormai viene definito cristianofobia. Il secolarismo occidentale,
nonostante le sue dichiarazioni di pluralismo e tolleranza, si rivela in
realtà intollerante nei confronti del cristianesimo. Alimentato da
notevoli risorse economiche, il secolarismo militante fa di tutto per
discreditare la Chiesa, per cancellare il nome di Cristo dalla memoria
stessa dai popoli, per ridurre a niente i principi della moralità e i
fondamenti della cultura formati dal cristianesimo.
Il secolarismo militante mira a tutte le Chiese, senza preoccuparsi
delle loro differenze teologiche o liturgiche, poiché esso si prende
gioco della coscienza religiosa in quanto tale, deride la moralità e
propaganda un’etica basata sulla relatività e l’indifferenza. E’ per
questo che noi cristiani, oggi come non mai, dobbiamo essere solidali e
uniti, dobbiamo agire insieme e sostenerci a vicenda.
6. Prospettive e sfide
Come possono i cristiani oggi opporsi a tali fenomeni e al prevalere
del secolarismo? La Sacra Scrittura ci parla della “apostasia… che dovrà
avvenire” (cfr. 2 Tes 2, 3), ma ci dice anche che “prima è necessario
che il vangelo sia proclamato a tutte le genti” (Mc 13, 10). Viviamo
senza dubbio in un’epoca di apostasia, in cui la gente sta perdendo la
fede e l’amore, perché il loro cuore è più attaccato ai beni di quaggiù:
all’abbondanza, la comodità, i piaceri di ogni genere. Che cosa
possiamo fare in tale situazione?
La Chiesa non appartiene a questo mondo e la sua missione di annuncio
del Vangelo non può essere valutata secondo i criteri del mondo, cioè
in termini di successo o insuccesso. Se il numero dei cristiani in
Europa occidentale è in diminuzione, esso è invece in crescita in
Africa, Asia, America latina, in diversi paesi dell’Europa dell’est.
Dobbiamo sforzarci di capire che cosa del cristianesimo attira le
persone in queste regioni e confrontarlo con le motivazioni di quegli
europei che oggi si allontanano dalla fede. Dobbiamo avere il coraggio
di riconoscere che la civiltà occidentale nel suo sviluppo
storico-culturale si trova in un vicolo cieco proprio per via del suo
allontanamento dai valori cristiani, per la sua apostasia. Non siamo più
capaci di gioire per le piccole cose e ci sentiamo infelici per il
fatto che il vettore dei nostri interessi è rivolto esclusivamente verso
i beni materiali che, per la loro transitorietà non possono dare
all’uomo né felicità, né gioia, né piacere.
Per noi europei può essere di lezione l’esempio dei cristiani
dell’Egitto o dell’Irak, pronti a versare il sangue per la propria fede e
continuamente sottoposti a oppressione. Alcuni di essi occupavano posti
di prima importanza nei loro paesi, alcuni vivevano, o vivono,
nell’abbondanza. Tuttavia, non temono di perdere anche tutto, la loro
fede e identità cristiana sono per loro più importanti dei beni
materiali e perfino della vita. Molti di noi, alla fine degli anni ’80
del secolo scorso, non avrebbero creduto che nei paesi dell’ex Unione
Sovietica di lì a poco ci sarebbe stato un ritorno di massa della gente
alla fede dei padri. eppure ciò è avvenuto. Perché? Sono convinto che la
radice di queste conversioni è la testimonianza dei neomartiri e
confessori russi, che sono rimasti fedeli a Cristo fino all’ultimo.
La civiltà moderna occidentale continua a percorrere il suo vicolo
cieco, dal quale né la scienza, né la più avanzata tecnologia, né il più
efficiente management potrà mai farla uscire. La crisi della società
non è dovuta a cause materiali: alla sua radice c’è la crisi spirituale
della persona, rimasta senza Dio con i propri problemi e la proprie
domande irrisolte. E la crisi della persona sta nell’aver ridotto
l’immagine di Dio alla mera individualità che ha privato l’uomo del
proprio volto e ne ha fatto un’unità astratta della società con un
bagaglio di esigenze. La parola cristiana potrebbe far breccia, come un
raggio di luce, tra gli spessi strati delle concrezioni intellettuali
delle ultime epoche, facendosi annuncio dell’uomo-persona,
dell’irripetibilità di ognuno; riportando l’uomo a quella dignità a cui
lo ha elevato il grande mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio.
Oggi ai cristiani si pone un compito urgente e apparentemente
irrealizzabile: far uscire dalla crisi la civiltà moderna, cosiddetta
“postcristiana”. La storia ci insegna che tutte le civiltà si sono
formate organicamente, col contributo creativo e la collaborazione di
personalità concrete. Ogni civiltà è stata determinata in modo diretto
dalla sua religione: l’anelito mistico di un determinato popolo che ha
influenzato tutte le sfere della vita sociale. La storia universale non
conosce civiltà non religiose. L’impulso morale può avere
un’incarnazione concreta solo nella sfera religiosa, poiché in essa
trova la propria fonte.
Le Chiese cristiane, prima di tutto la Chiesa Ortodossa e la Chiesa
Cattolica, ma anche le antiche Chiese Orientali, devono oggi unirsi e
agire di comune intento. E’ urgente costituire una comunità delle Chiese
di tradizione apostolica dove poter insieme discutere dei problemi e
delle sfide del mondo moderno. Occorre inoltre costituire delle
strutture informative comuni non formali, che forniscano informazioni
obiettive e sicure sui fatti che hanno importanza per la Chiesa e per il
mondo. Oggi le forme tradizionali di collaborazione tra le Chiese non
sono più sufficienti; abbiamo vitale bisogno di maggior compattezza,
dobbiamo serrare le fila, e dobbiamo cominciare dalla cosa più urgente:
dall’impegno comune per la difesa dei cristiani in tutte le regioni del
mondo.
[1] T. J. J. Altizer, The Descent into Hell. A Study of the Radical Reversal of the Christian Consciousness, The Seabury Press, N.-Y. 1979, р. 98.
[2] D. Bonhoeffer, Etica, Milano 1969, p. 86.
[3] G. Morra, Il quarto uomo. Postmodernità o crisi della modernità? Roma 1996, p. 127.
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