Ortodossi in Italia , Gruppo di facebook
Domenica del pubblicano e del fariseo
La successiva domenica è chiamata “Domenica del pubblicano e
del Fariseo”. Il sabato che la precede fa la sua apparizione al vespro
il libro liturgico per la Quaresima, il “Triodion”, e brani da questo
testo vengono aggiunti ai soliti inni e preghiere propri dell’Ufficio
della Risurrezione. Essi sviluppano un altro aspetto importante della
penitenza: l’Umiltà.
Il brano Evangelico che si legge
in questa domenica (Luca 18, 10-14) ci presenta un uomo che si è sempre
compiaciuto di se stesso e che ritiene di adempiere a tutte le
disposizioni della religione. Egli è sicuro e superbo di sé. In realtà,
tuttavia, egli ha falsificato il significato della religione, in quanto
lo ha ridotto all’osservanza esterna dei suoi precetti e misura la sua
pietà secondo la somma di denaro che dà al tempio. Per quanto riguarda
il pubblicano, questi umilia se stesso e la sua umiltà lo giustifica
davanti a Dio. Se c’è una qualità morale quasi completamente trascurata
ed addirittura oggi negata, questa è l’umiltà. L’ambiente in cui viviamo
costantemente istilla in noi il senso dell’orgoglio,
dell’autoglorificazione e della propria giustizia. Esso è fondato sul
principio che si può compiere da sé ogni cosa ed addirittura rappresenta
Dio come uno che sempre dà credito per le nostre gesta e le buone
azioni. L’umiltà, sia essa individuale o di gruppo, etnica o nazionale, è
considerata come un segno di debolezza, come qualcosa che non si addice
ad una persona reale. Anche le nostre chiese non sono forse imbevute
dello stesso spirito del fariseo? Non abbiamo bisogno che ogni nostro
contributo, ogni nostra buona azione, insomma tutto ciò che facciamo
“per la chiesa” sia conosciuto, lodato e pubblicizzato?
Ma che cosa è l’umiltà? La risposta a questa domanda può sembrare
paradossale, poiché è racchiusa in una strana affermazione: “Dio stesso è
umile!”. Tuttavia per chiunque conosca Dio, che lo contempli nella sua
creazione e nei suoi atti salvifici, è evidente che l’umiltà è veramente
una qualità divina, l’autentico contenuto ed irradiazione di quella
gloria che, come cantiamo durante la divina liturgia, riempie il cielo e
la terra. Nella nostra mentalità umana tendiamo ad opporre “gloria” ad
“umiltà”, poiché quest’ultima indica per noi un difetto o una
deficienza. Per noi è la nostra ignoranza o incompetenza che ci fa o
deve farci sentire umili. È quasi impossibile far comprendere all’uomo
moderno, nutrito di pubblicità, di autoaffermazione ed orgoglio senza
fine, che tutto ciò che è genuinamente perfetto, bello e buono è nello
stesso tempo naturalmente umile. Infatti proprio a causa della sua
perfezione, non ha bisogno di “pubblicità”, di gloria esteriore o di
esibizionismo di qualsiasi genere. Dio è umile perché perfetto: la sua
umiltà è la sua gloria e la sorgente di ogni autentica bellezza,
perfezione e bontà e chiunque si avvicini a Dio e lo conosce,
immediatamente diviene partecipe della divina umiltà e ne è abbellito.
Questo è vero di Maria, la Madre di Dio, la cui umiltà l’ha resa la
gioia di tutta la creazione e la più grande rivelazione della bellezza
sulla terra, è vero per tutti i Santi e di ogni essere umano nei vari
momenti dei suoi contatti con Dio.
Come si diventa
umili? La risposta per un Cristiano è semplice: contemplando Cristo, la
divina umiltà incarnata, l’unico essere in cui Dio ha rivelato una volta
per tutte la sua gloria come umiltà e la sua umiltà come gloria. “Oggi –
disse Cristo nella notte della sua estrema umiliazione – il Figlio
dell’Uomo è glorificato e Dio è glorificato in Lui”. L’umiltà è appresa
contemplando Cristo, il quale dice: “Apprendete da me, poiché io sono
mite ed umile di cuore”. Ed infine la si apprende misurando alla sua
stregua ogni cosa, riferendo a lui ogni cosa. Infatti senza Cristo la
vera umiltà è impossibile, poiché con il Fariseo anche la religione
diventa orgoglio nelle opere umane, il che è un’altra forma di
autoglorificazione farisaica.
La Quaresima comincia
con una richiesta, con una preghiera per l’umiltà che è l’inizio di una
vera penitenza. Infatti quest’ultima, in particolar modo, è un ritorno
all’ordine naturale delle cose, il ristabilimento di una retta visione.
Perciò, essa è radicata nell’umiltà e quest’ultima – la divina e bella
umiltà – è il suo frutto e il suo fine. “Evitiamo il tronfio linguaggio
del fariseo – dice il Kondàkion di questa domenica – ed apprendiamo la
maestà delle umili parole del pubblicano…”. Siamo alle porte della
penitenza ed al più solenne momento della veglia domenicale. Dopo che è
stata annunciata la Resurrezione e l’Apparizione di Cristo, dopo che
abbiamo contemplato la Resurrezione, cantiamo per la prima volta i
Tropari che ci accompagneranno durante tutta la Quaresima:
Aprimi le porte della penitenza, o tu che dai la vita,
poiché il mio spirito si solleva presto
a pregare rivolto al tuo tempio,
portando il tempio del mio corpo contaminato;
ma per la tua comprensione purificami
con l’amabile benevolenza della tua grazia.
Guidami sui sentieri della salvezza, Madre di Dio,
poiché ho profanato la mia anima con peccati vergognosi
ed ho sprecato la mia vita nell’indolenza.
Ma per la tua intercessione liberami da ogni impurità.
Quando penso alle numerose cattive azioni da me compiute,
disgraziato che sono, tremo al pensiero del tremendo giorno del giudizio.
Ma confidando nella tua benevolenza amorevole, come David ti grido:
“Abbi pietà di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia!” .
da A. Schmemann, Great Lent, St. Vladimir’s Seminary Press 1974;
trad. A. S. in Messaggero Ortodosso, Roma 1986 n. 2-3, 8-11
Nessun commento:
Posta un commento