Il patriarcato di Mosca è grande ammiratore dell'attuale pontefice. Ma è anche il più restio a riconoscerne l'autorità sulle Chiese ortodosse d'oriente. I risultati dei colloqui di Vienna
di Sandro Magister
ROMA, 6 ottobre 2010 – Mentre le Chiese d'oriente pian piano camminano verso la convocazione di quel "Grande e Santo Concilio" panortodosso che le dovrebbe finalmente riunire in un'unica assise dopo secoli di "sinodalità" incompiuta, fa passettini avanti anche l'altra marcia di avvicinamento, quella che vede l'oriente in dialogo con la Chiesa di Roma.
L'oggetto di questo dialogo riguarda l'unico vero nodo che divide il cattolicesimo dall'ortodossia, cioè il primato del papa.
L'ultima verifica si è avuta pochi giorni fa, a Vienna, dove tra il 20 e il 27 settembre si è riunita la commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme, proprio sul ruolo universale del vescovo di Roma nel primo millennio di storia cristiana, prima dello scisma.
A capo della delegazione cattolica c'era il nuovo presidente del pontificio consiglio per l'unità dei cristiani, l'arcivescovo svizzero Kurt Koch. Mentre per le Chiese d'oriente c'era il metropolita di Pergamo Joannis Zizioulas, grande ecumenista e teologo di fiducia del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, nonché amico di lunga data di Joseph Ratzinger teologo e papa (vedi foto, di Rupprecht/Kathbild).
Gli ortodossi erano rappresentati al completo, con la sola eccezione del patriarcato di Bulgaria. C'era l'arcivescovo metropolita di Cipro Crisostomo II, altro campione dell'ecumenismo incontrato quest'anno da Benedetto XVI durante il suo viaggio nell'isola. Il patriarcato di Mosca aveva mandato a Vienna il suo uomo più in vista, il metropolita Hilarion di Volokolamsk, anche lui fresco di un incontro col papa, col quale ha un rapporto di grande stima.
Tanto più importante è stata la presenza a Vienna del patriarcato di Mosca perché a Ravenna, nel 2007, quando si concordò il documento base della discussione sul ruolo universale del vescovo di Roma, la Chiesa russa non c'era, a motivo di un suo contrasto con il patriarcato di Costantinopoli.
Il contrasto fu poi appianato e il documento di Ravenna fu approvato anche dal patriarcato di Mosca, che peraltro aveva partecipato alla sua preparazione.
Quel documento afferma che "primato e conciliarità sono reciprocamente interdipendenti". E nel suo paragrafo 41 mette a fuoco così i punti di accordo e di disaccordo:
"Entrambe le parti concordano sul fatto che [...] Roma, in quanto Chiesa che 'presiede nella carità', secondo l’espressione di Sant’Ignazio d’Antiochia, occupava il primo posto nella 'taxis', e che il vescovo di Roma è pertanto il 'protos' tra i patriarchi. Tuttavia essi non sono d’accordo sull’interpretazione delle testimonianze storiche di quest’epoca per ciò che riguarda le prerogative del vescovo di Roma in quanto 'protos', questione compresa in modi diversi già nel primo millennio".
"Protos" è parola greca che significa primo. E "taxis" è l'ordinamento della Chiesa universale.
Da allora, la discussione sui punti controversi è proseguita con ritmo accelerato. E ha cominciato ad esaminare, anzitutto, come le Chiese d'Oriente e d'Occidente interpretavano il ruolo del vescovo di Roma nel primo millennio, cioè quando ancora erano unite.
La traccia della discussione è stata, fino a qui, un testo di lavoro elaborato da una sottocommissione mista all'inizio dell'autunno del 2008, in un incontro a Creta.
Nell'ottobre del 2009, a Cipro, la commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, con i russi presenti, ha esaminato e discusso la prima parte di questa traccia, su alcuni casi storici di esercizio universale del "primato" del vescovo di Roma, nei primi secoli dell'era cristiana.
A Vienna, la discussione doveva proseguire. Ma vi sono stati degli imprevisti fin dall'inizio. La delegazione russa ha elevato obiezioni contro il testo di lavoro predisposto a Creta e alla fine ha ottenuto che venga riscritto.
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La principale obiezione della Chiesa russa è quella che il metropolita Hilarion ha riassunto, poco dopo il meeting, in una nota pubblicata sul sito web del patriarcato di Mosca:
"Il 'documento di Creta' è esclusivamente storico e, parlando del ruolo del vescovo di Roma, quasi non fa menzione dei vescovi delle altre Chiese locali nel primo millennio, creando quindi una errata immagine di come i poteri erano distribuiti nella Chiesa primitiva. Inoltre il documento manca di una chiara affermazione che la giurisdizione del vescovo di Roma non si estendeva all'oriente nel primo millennio. È sperabile che questi errori e omissioni siano corretti in una revisione del testo".
Di conseguenza, la delegazione russa ha chiesto e ottenuto che il testo di Creta – reso pubblico da www.chiesa lo scorso gennaio – non sia assunto tra i documenti ufficiali della commissione, non porti la firma di nessuno dei suoi membri e sia semplicemente utilizzato come materiale di lavoro per una nuova riscrittura della traccia di lavoro. Una riscrittura più attenta alle dimensioni teologiche della questione.
In effetti, al termine dei colloqui di Vienna, i partecipanti hanno concordato di costituire "una sottocommissione incaricata di esaminare gli aspetti teologici ed ecclesiologici del primato in relazione alla sinodalità".
La sottocommissione presenterà l'anno prossimo il nuovo testo al comitato di coordinamento della commissione per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. Così che l'anno successivo, il 2012, la commissione potrà riprendere e proseguire – sulla base della nuova traccia – la discussione iniziata a Cipro e a Vienna.
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I due co-presidenti della commissione, l'arcivescovo Koch per la parte cattolica e il metropolita Joannis per gli ortodossi, in una conferenza stampa del 24 settembre, hanno espresso una valutazione positiva dei colloqui in corso.
Koch ha riconosciuto la diversità di visione tra cattolici e ortodossi: mentre la Chiesa cattolica ha un forte primato e una debole sinodalità, per le Chiese ortodosse accade il contrario. Quindi occorre "che ci scambiamo i rispettivi doni come fa, ad esempio, Benedetto XVI quando accoglie nella Chiesa cattolica gli anglicani con tutte le loro tradizioni e liturgie".
Joannis si è detto d'accordo: gli ortodossi devono chiarire la loro concezione del primato così come i cattolici devono rafforzare la sinodalità. Ha osservato che la storia del primo millennio mostra che alla Chiesa di Roma era riconosciuto universalmente un ruolo speciale, ma il papa lo esercitava consultandosi con gli altri vescovi.
Quanto al prosieguo dei colloqui, il metropolita di Pergamo ha detto che si procederà a "una leggera variazione dell'oggetto, con una più marcata attenzione agli aspetti teologici".
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In realtà il cammino non sarà facile, se si guarda ai giudizi molto restrittivi che il patriarcato di Mosca, per la penna del metropolita Hilarion, dà del ruolo del papa nel primo millennio:
"Per gli ortodossi è chiaro che nel primo millennio la giurisdizione del vescovo di Roma fu esercitata solo in occidente, mentre in oriente i territori erano divisi tra quattro patriarchi: quelli di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Il vescovo di Roma non esercitava alcuna diretta giurisdizione in oriente, nonostante il fatto che in alcuni casi le gerarchie orientali facessero appello a lui come arbitro in controversie teologiche. Questi appelli non erano sistematici e in nessun modo potrebbero essere interpretati nel senso che il vescovo di Roma fosse visto in oriente come l'autorità suprema nell'intera Chiesa universale. Si spera che, nei prossimi incontri della commissione, la parte cattolica concordi con questa posizione che è confermata da numerose prove storiche".
A questo proposito, né il patriarcato di Mosca né la Chiesa ortodossa nel suo insieme dimenticano che Benedetto XVI, in uno dei primi atti del suo pontificato, cancellò tra gli attributi del papa riportati nell'Annuario pontificio proprio quello di "patriarca d'occidente".
Quando divenne nota, tale decisione sollevò le proteste di molti esponenti delle Chiese orientali. Alcuni vi videro "una prova delle pretese del vescovo di Roma al primato universale".
Il 22 marzo 2006 il pontificio consiglio per l'unità dei cristiani pubblicò un comunicato giustificativo.
L'8 giugno di quello stesso anno, una nota del patriarcato ecumenico di Costantinopoli affermò che, caso mai, il papa avrebbe fatto meglio a rinunciare a qualificarsi come "sommo pontefice della Chiesa universale", poiché "gli ortodossi non hanno mai accettato una sua giurisdizione su tutta la Chiesa".
Dopo di che le polemiche si acquietarono e le due parti iniziarono quell'esame diretto della questione che, iniziato a Ravenna e proseguito a Cipro e a Vienna, promette ulteriori passi avanti.
Ma la questione, come si vede, è sicuramente impervia, di non vicina soluzione.