CERCO L’ITALIA COME PATRIA (1)
di Salvatore Mongiardo
“Quando è necessario, bisogna prendere la vita
nelle proprie mani senza paura: è il solo modo per salvarsi.”
(mio padre)
II pomeriggio seguente tornai alla casa di riposo a
Catanzaro e bussai alla porta di don Ciccio. Venne lui stesso ad aprirmi
e mi condusse fino al tavolo sul quale c’era
il fascio dei miei appunti. (…)
In questo libro la Calabria giudica il mondo e lo trova malvagio e traditore –
Poi si mise a sedere, prese la testa fra le mani e rimase silenzioso. Cominciai a temere che stesse male e chiesi:
– Vi sentite bene? –
– Come può sentirsi uno che ha viva in sé l’itala radice e
vede la criminalità dilagare tra la sua gente? Perché non sono nato nei
tempi antichi, quando su queste
terre regnavano bellezza e armonia? –
Poi lasciò cadere le mani lungo i fianchi sconsolato e quasi gridò:
– Devi capire che la delinquenza è l’inevitabile risposta
a tant’anni di pubblicità che ostenta ricchezza e approva solo chi ha
successo, consuma e possiede le cose
alla moda. I calabresi si sono visti poveri davanti al televisore e
hanno provato profonda vergogna per la loro povertà. Allora alcuni si
sono buttati allo sbaraglio con coraggio disperato,
decisi a uscire dalla miseria a qualunque costo. Nelle molte
chiacchiere che si fanno a proposito di criminalità, tutti si
dimenticano di dire che i malviventi vivono male e muoiono peggio. Il
dolore che il malvivente arreca alla società è solo una scheggia del
dolore mostruoso nel quale lui stesso vive e muore. Del resto tutti
cercano quello che vogliono i criminali: l’arricchimento.
Il fine è identico, solo i mezzi cambiano –
Don Ciccio fece una pausa e poi disse:
– La chiesa ha le sue colpe nel degrado della Calabria.
Si è sempre alleata col potere per dargli non una, ma tutte e due le
mani. Papa e re sono come i due ladri
di Pisa, che di giorno bisticciano e di notte vanno a rubare insieme
–
Quell’affermazione mi sembrò strana e volli saperne di più:
– Cosa ha da fare la chiesa con il degrado del Sud? –
– Con il Regno d’Italia la chiesa pensò bene di
appoggiare la politica sabauda mandandoci vescovi del Nord,
culturalmente retrogradi rispetto al clero calabrese
–
Uno sparo di bombarda così forte non l’avevo mai sentito. Mi venne da ridere e don Ciccio si adirò:
– C’è poco da ridere! Cosa ha insegnato alla Calabria
Giovanni Ferro, vescovo di Reggio? La dottrina del Beato Taulero, un
mistico tedesco così oscuro che nessuno
ha mai capito cosa volesse dire. In ogni predica, fosse una festa o
un funerale, Beato Taulero di qua e Beato Taulero di là. Cosa ci ha
insegnato Eugenio Tosi, vescovo di Squillace prima di
essere nominato cardinale di Milano? Tosi ha composto la più
terrificante preghiera al Crocefisso, chiedendo dolore, insuccesso,
malattie! E cosa ha scritto nel rapporto alla Santa Sede quel
visitatore apostolico che si chiamava Ildefonso Schuster? Ha scritto
che il clero della diocesi di Squillace non si curava troppo di
dottrina e aveva urgente bisogno di formazione teologica!
Quando Schuster diventò cardinale di Milano, la sua teologia gli
fece dire nel Duomo queste parole blasfeme: Lodiamo la volontà del Duce,
che a prezzo di sangue apre le porte di Etiopia alla fede
cattolica e alla civiltà romana, che abolisce la schiavitù,
rischiara le tenebre della barbarie, dona Dio ai popoli, inonda il mondo
di vero bene – (…)
– Ricordi quando ti spiegai tanti anni fa che la Calabria
è come un secchio pieno di immondizie? Adesso ascoltami bene ancora una
volta. Il nostro Meridione è stato
culla della civiltà ai tempi di re Italo, della Magna Grecia, di
Cassiodoro, nel Rinascimento e ancora adesso –
– Nel Rinascimento e adesso? – ribattei sorpreso.
– Il Rinascimento italiano è inconcepibile senza il
contributo di Telesio, il quale affermò che la natura andava studiata
secondo le proprie leggi, non quelle
scritte da teologi e filosofi: natura iuxta propria principia.
Telesio fu il primo esponente del naturalismo che aprì le porte a Bruno,
a Galileo e al nostro Campanella, il quale capì che
l’utopia della Città del Sole era necessaria al mondo per
sopravvivere. L’utopia difatti non è destinata a realizzarsi, ma è un
faro che indica la rotta. Cosa ne è stato di questi calabresi?
Telesio fu messo all’Indice e Campanella subì decenni di carcere.
(…) La Calabria ha sempre cercato di aprire le porte del nuovo e del
bello, ma le culture nordiche hanno soffocato quegli sforzi.
II nucleo di una civiltà non è una tecnica né una forma espressiva,
non è pittura né letteratura né musica. In Germania, mentre nella città
si eseguivano i concerti di Bach, milioni di ebrei
venivano annientati nei lager. La vera civiltà è quanto aiuta a
vivere. È un cuore, un amore. È la coscienza che ognuno è compagno di
viaggio su questa terra e bisogna accettarlo, anzi volerlo
accanto. La vera civiltà è quando i calabresi dicono: Statti qua!
Stiamo insieme! E non chiedono nulla in cambio se non di vivere in
armonia con il prossimo. Il Nord, nel grembo del suo
progresso, nasconde forze di distruzione e morte. Il Sud, sotto le
rovine della sua decadenza, nasconde tesori di sapientia cordis
(sapienza del cuore). Per questo è giunta l’ora di riprendere il
posto che la storia ci ha assegnato per il rinnovamento dell’Italia,
della quale la Calabria è madre perché le ha dato nome, sogni di
bellezza e destino di grandezza: Italiam quaero patriam
(cerco l’Italia come patria), come diceva l’esule Enea –
Il tempo era passato veloce. Dalla finestra vedevo già
l’imbrunire, ma don Ciccio non aveva ancora risposto alla domanda che
più mi premeva. Cosa pensava dei miei
appunti? Mi feci coraggio e glielo chiesi.
– Per quanto male si può dire dei preti, bisogna
ammettere che a te hanno insegnato a scrivere bene e a non fermarti
all’apparenza delle cose. Ma vedi, il problema
non è il libro
– E qual è allora? – chiesi rincuorato.
– La vita, vivere! – (…)
NOTA
(1) In Salvatore Mongiardo, Ritorno in Calabria, cap. 30 - pagg. 187/190 – Luigi Pellegrini editore – 1994
Nessun commento:
Posta un commento