Erdogan e i cristiani. Poche promesse, zero fatti
Visita a sorpresa del premier turco a Bartolomeo I.
Ma come altri gesti distensivi del passato,
anche questo rischia di rimanere senza seguito.
di Sandro Magister
ROMA, 27 agosto 2009 –
Samuel Huntington definì la Turchia "un Giano bifronte", non sai mai se amico o avversario dell'occidente.Il medesimo pensiero deve essersi affacciato nella mente di Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli, nell'accogliere il 15 agosto scorso il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan in visita all'orfanotrofio e al monastero di San Giorgio di Kudunas sull'Isola dei Principi, nel Mar di Marmara.Era la prima volta che un primo ministro turco si recava nell'Isola dei Principi, tradizionalmente abitata da cristiani, e in un edificio, l'orfanotrofio, la cui proprietà, requisita dalle autorità turche, è stata attribuita al patriarcato ecumenico dalla corte di Strasburgo nel giugno del 2008.Nel corso della visita Erdogan, accompagnato da quattro suoi ministri, ha pranzato con Bartolomeo I e con i rappresentanti delle minoranze religiose in Turchia – greci, armeni, ebrei, siro ortodossi e cattolici – ai quali ha assicurato garanzie contro ogni discriminazione religiosa ed etnica."Il mio prossimo va incontrato con amore perché è anch'esso creatura di Dio", ha detto Erdogan citando una massima di una confraternita sciita, quella dei mevlevi, sorta a Iconio nel XIII secolo con alcune particolarità riprese dal cristianesimo.Richiesto di un commento, Bartolomeo I ha detto ad Asia News: "La presenza di Erdogan ci ha onorato e ci è stata data l’occasione di esporre direttamente i nostri problemi, benché lui ne sia già a conoscenza. Abbiamo invitato il primo ministro alla sede del patriarcato ecumenico e a Halki, ed Erdogan ha ringraziato per l’invito":Halki è un'altra isola in cui ha sede il seminario di formazione teologica del patriarcato ecumenico, chiuso dalle autorità turche nel 1971. Lo scorso 10 giugno, a Bruxelles, Oli Rehn, responsabile per l’allargamento dell'Unione Europea e quindi per un eventuale ingresso della Turchia, ha dichiarato che tale ingresso è subordinato anche alla riapertura di Halki.Entro dicembre del 2009 Erdogan dovrà presentare alle autorità di Bruxelles un resoconto dei progressi compiuti dalla Turchia nell'adeguarsi agli standard necessari per l'ingresso nell'Unione. Per il patriarcato, questo è un motivo in più per sperare che finalmente il seminario teologico di Halki riapra e ritorni alle sue funzioni.Purtroppo, però, è avvenuto più volte che "Giano" abbia rovesciato le attese, mostrando a questa e alle altre minoranze religiose della Turchia il suo volto non amico ma ostile.Per quanto riguarda il patriarcato, ad esempio, lo Stato turco continua a non riconoscergli la sua "ecumenicità" religiosa. Lo tratta alla stregua di un ente locale adibito al culto dei greco ortodossi, retto da un capo che deve essere cittadino turco dalla nascita, privo di personalità giuridica e quindi anche di diritti di proprietà. L'annichilimento del patriarcato – che oggi in Turchia è ridotto a poco più di 3000 fedeli – non ha sinora fatto intravvedere alcuna seria inversione di marcia.Questo vale anche per le altre minoranze cristiane. La comunità più cospicua, quella degli armeni, è stata falcidiata meno di un secolo fa da un genocidio che le autorità di Ankara rifiutano di riconoscere, e oggi ne rimangono poche decine di migliaia, su una popolazione di oltre 70 milioni di abitanti quasi tutti musulmani. I cattolici sono circa 25 mila, con sei vescovi, i siro ortodossi 10 mila, i protestanti di varie denominazioni 3 mila.Come Erdogan, ma non per le stesse ragioni, tutte queste minoranze religiose confidano ardentemente in un ingresso della Turchia nell'Unione Europea. Per esse, tale ingresso comporterebbe il riconoscimento di uno spazio di libertà che in caso contrario temono continuerà ad essere assai compresso.Nella stessa Europa, però, queste loro ragioni ricevono scarsa considerazione. Vi sono governi, tra cui l'italiano e il tedesco, favorevoli all'ingresso della Turchia nell'Unione mentre altri, come quello francese, sono contrari. Sia i primi che i secondi ragionano comunque in termini di interesse nazionale. I calcoli sugli oleodotti e i gasdotti che provengono dai paesi dell'Asia centrale di lingua turca e di religione musulmana, passando dalla Turchia, hanno la preminenza rispetto a quelli riguardanti la libertà religiosa.
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