Il parere del Consiglio di Stato italiano sul crocefisso
Precisazioni che contraddicono il parere della Corte di Strasburgo
La VI sezione del Consiglio di Stato, con la decisione n. 556 del 13 febbraio 2006, respinse il ricorso della signora Lautsi che chiedeva la rimozione del crocefisso nelle aule della scuola media di Abano Terme (Padova), frequentate dai figli.
Entrando nel merito della questione, il Consiglio di Stato ha scritto che "È evidente che il crocefisso è esso stesso un simbolo che può assumere diversi significati e servire per intenti diversi; innanzitutto per il luogo ove è posto. In un luogo di culto il crocefisso è propriamente ed esclusivamente un 'simbolo religioso', in quanto mira a sollecitare l'adesione riverente verso il fondatore della religione cristiana”.
“In una sede non religiosa, come la scuola, destinata all'educazione dei giovani – si legge di seguito – , il crocefisso potrà ancora rivestire per i credenti i suaccennati valori religiosi, ma per credenti e non credenti la sua esposizione sarà giustificata ed assumerà un significato non discriminatorio sotto il profilo religioso, se esso è in grado di rappresentare e di richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile ed intuibile (al pari di ogni simbolo) valori civilmente rilevanti, e segnatamente quei valori che soggiacciono ed ispirano il nostro ordine costituzionale, fondamento del nostro convivere civile”.
“In tal senso il crocefisso potrà svolgere, anche in un orizzonte 'laico', diverso da quello religioso che gli è proprio, una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni".
In particolare la sentenza del Consiglio di Stato afferma: “In Italia, il crocefisso è atto ad esprimere, appunto in chiave simbolica ma in modo adeguato, l'origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà, di autonomia della coscienza morale nei confronti dell'autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione, che connotano la civiltà italiana”.
“Questi valori, che hanno impregnato di sé tradizioni, modo di vivere, cultura del popolo italiano, soggiacciono ed emergono dalle norme fondamentali della nostra Carta costituzionale, accolte tra i 'Principi fondamentali' e la Parte I della stessa, e, specificamente, da quelle richiamate dalla Corte costituzionale, delineanti la laicità propria dello Stato italiano”.
“Il richiamo, attraverso il crocefisso, dell'origine religiosa di tali valori e della loro piena e radicale consonanza con gli insegnamenti cristiani - continua il Consiglio di Stato -, serve dunque a porre in evidenza la loro trascendente fondazione, senza mettere in discussione, anzi ribadendo, l'autonomia (non la contrapposizione, sottesa a una interpretazione ideologica della laicità che non trova riscontro alcuno nella nostra Carta fondamentale) dell'ordine temporale rispetto all'ordine spirituale, e senza sminuire la loro specifica 'laicità', confacente al contesto culturale fatto proprio e manifestato dall'ordinamento fondamentale dello Stato italiano”.
In conclusione: "Si deve pensare al crocefisso come ad un simbolo idoneo ad esprimere l'elevato fondamento dei valori civili sopra richiamati, che sono poi i valori che delineano la laicità nell'attuale ordinamento dello Stato. Nel contesto culturale italiano, appare difficile trovare un altro simbolo, in verità, che si presti, più di esso, a farlo".
La prescrizione del crocefisso tra gli arredi delle aule scolastiche risale alla cosidetta legge Casati del 1859, una disposizione che trovava il suo fondamento nel principio della religione cattolica come sola religione di Stato, contenuto nell'art. 1 dello Statuto albertino del 1848.
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