Trasferire un parroco. Il diritto canonico è garantista
Trasferire un sacerdote, un parroco, dal suo ufficio non è poi così semplice come potrebbe apparire. Papas Nicola sappiamo che ha accettato il trasferimento a Palazzo Adriano ed il sedici agosto scorso si è, in forma quasi ufficiale, presentato davanti alla sua nuova comunità.
Non sappiamo cosa intenda fare Padre Mario Bellanca in relazione al suo trasferimento presso la Curia.
Esistono comunque norme precise e puntuali di diritto canonico che in minuziosi dettagli fissano la procedura da seguire per il trasferimento, e per l’opposizione al trasferimento.
Il decreto di trasferimento deve contenere una indicazione sommaria dei motivi della decisione assunta (c. 51) dal Vescovo (da noi, dai due Vescovi) in modo che l’interessato possa avere cognizione sulla sua ‘ragionevolezza’.
Il parroco infatti alo stesso modo del Vescovo gode della stabilità nel suo ufficio; stabilità che non significa né perpetuità né irremovibilità. In buona sostanza il parroco può essere rimosso solo per cause e procedure previste dal diritto.
1) Il trasferimento normalmente, in via ordinaria, è ammesso per un parroco nominato “ad tempus”.
Ove sussista , come abbiamo riferito per il caso di Papas Nicola Cuccia, l’accordo dell’interessato il trasferimento può avvenire per qualsiasi ragione risulti negli atti, contrariamente deve sussistere una “causa grave”.
Normalmente se il trasferimento è imposto dal Vescovo (c. 1748) reca sempre come motivazione “il bene delle anime”, o la necessità o l’utilità della “chiesa locale”. La proposta, fin dall’origine, deve tendere a convincere il parroco e pertanto il Vescovo è tenuto a presentare la “grave ragione” che giustifichi la richiesta di trasferimento (c. 190, par. 2).
Il parroco ha diritto di replica.
2) Se il Vescovo intende insistere deve compiere una “consultazione”. Essendo stato istituito un fascicolo con la documentazione a supporto della decisione del Vescovo e della procedura promossa in esso confluirà anche il verbale dell’incontro. Al termine della consultazione, obbligatoria come abbiamo ricordato, il Vescovo deve ripetere l’invito al trasferimento.
3) Ultimata la procedura il Vescovo può imporre il trasferimento con un decreto.
4) Il canone 1734 ammette un ricorso immediato al Vescovo perché ritiri il decreto o lo modifichi. Generalmente avendo già il Vescovo sentito l’interessato, come riportato al punto 2), è improbabile che accolga il ricorso.
5) Esiste comunque per il parroco la possibilità di impugnare il decreto presso la Congregazione per il Clero “propter quodlibet iustum motivum” avvalendosi dell’assistenza di un avvocato o procuratore. Il ricorrente ha tempi brevi, brevissimi, per ricorrere (10 giorni davanti al Vescovo, 15 giorni davanti alla Congregazione).
Il Vescovo nei confronti della Congregazione deve solo mostrare di avere osservato correttamente la procedura e che questa fosse sostenuta da una valida giustificazione.
Non esiste in pratica un dibattito fra le due parti: Vescovo-Parroco.
La Congregazione ha l’obbligo di esitare la questione entro tre mesi.
6) Il Parroco ha ancora la possibilità di proporre ulteriore ricorso contro la decisione assunta dalla Congregazione entro il termine di trenta giorni al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, ma per soli motivi di legittimità.
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