Se state leggendo questo testo, è perché
vi interessa la pratica del matrimonio nella Chiesa Ortodossa. Forse
volete sposarvi in chiesa; forse vi hanno chiesto di fare da testimoni,
oppure di partecipare alla celebrazione di un matrimonio. Qui di seguito
troverete spiegazioni sul rito del matrimonio e sul suo significato.
MATRIMONIO, FIDANZAMENTO, INCORONAZIONE
Il rito matrimoniale ortodosso è
composto da due funzioni, un tempo separate, e oggi fuse in un’unica
celebrazione. La prima, il fidanzamento (in slavonico obručènie, in romeno logodna),
è la solennizzazione delle promesse di matrimonio; la seconda, che
potremmo definire il matrimonio vero e proprio, è chiamata nella
tradizione ortodossa incoronazione (in slavonico venčànie, in romeno cununie), un nome che viene dalle corone poste sul capo degli sposi.
In altri tempi e in altre società, i
matrimoni erano organizzati tramite accordi tra le famiglie degli sposi,
e spesso erano programmati quando i futuri sposi erano ancora in età
molto giovane (adolescenti, o addirittura preadolescenti). In tali casi
si capiva un desiderio di solennizzare le promesse di matrimonio con un
appropriato rito di fidanzamento, in modo da annunciare a tutta la
comunità dei credenti che due giovani erano promessi l’uno all’altra,
anche se ancora il loro matrimonio non era stato celebrato.
Oggi ci si sposa per lo più di propria
iniziativa e con il partner di propria scelta, e quindi non ha più senso
celebrare in chiesa un fidanzamento separato dal matrimonio: ecco
perché le funzioni del fidanzamento e dell’incoronazione sono fuse in
una sola celebrazione. Tuttavia, vale la pena ricordare come gli stessi
libri delle funzioni ancora prevedono la possibilità che il fidanzamento
e il matrimonio siano celebrati in due occasioni distinte.
UN PO’ DI TEOLOGIA DEL MATRIMONIO
Il sacramento – o per usare la
terminologia ortodossa, il santo mistero – del matrimonio non pretende
di unire legalmente un uomo e una donna. Piuttosto, è il riconoscimento
da parte della Chiesa dell’unione che Dio ha già operato nelle vite
degli sposi: è l’ingresso, in modo misterioso, dell’unione umana degli
sposi (in quanto unione terrena, soggetta al peccato, al dolore e alla
morte) nella dimensione divina del Regno di Dio.
L’unione del matrimonio cristiano riapre
la possibilità del primo progetto matrimoniale dell’Eden: attraverso la
compagnia di esseri complementari, la realizzazione nella loro vita di
un’eternità di gioia.
Per questo il matrimonio ortodosso va al
di là di un accordo legale. Nel corso del rito, gli sposi non scambiano
voti nuziali: attraverso la loro presenza (e quella dei loro testimoni a
garanzia della loro libera scelta) si realizza l’impegno tra i due e
l’apertura all’azione di Dio nella loro unione.
Anche se la Chiesa è condiscendente
verso i vedovi che si risposano perché non vogliono vivere soli, il
matrimonio non è visto come un unione degli sposi “finché la morte non
li separi”. Di fatto, dato che l’unione entra nella dimensione del Regno
di Dio, ne assume anche i caratteri di eternità. Per questo, invece di
parlare di matrimonio indissolubile come fa la teologia romano-cattolica, la teologia ortodossa parla di matrimonio unico e irripetibile:
si può anzi dire che per gli ortodossi esiste un solo vero matrimonio
sacramentale nella vita, mentre i successivi matrimoni (sia quello dei
vedovi, sia in altri casi in cui la Chiesa autorizza un secondo
matrimonio quando il primo è, dal punto di vista umano,
irrimediabilmente fallito) sono visti come una misura di indulgenza, con
una benedizione ecclesiale che reintegra i nuovi sposi nella vita della
comunità dei credenti.
Proprio perché propone con il matrimonio
una nuova “dimensione divina” alla vita della coppia, la Chiesa
Ortodossa non condanna le unioni umane. Il suo compito non è di
determinare se le coppie che non sono sposate in chiesa vivano più o
meno “nel peccato” (in senso lato, si può dire che chiunque non vive
secondo la grazia e la volontà di Dio vive nel peccato, che sia sposato
con rito religioso oppure no); piuttosto, il suo compito è chiamare
tutte le coppie a passare dall’unione umana alla partecipazione alla
vita divina offerta attraverso il mistero del matrimonio.
I TESTIMONI
Gli sposi sono accompagnati al
matrimonio da due amici (nella terminologia greca, i paraninfi, che
potremmo tradurre come “amici degli sposi”), che hanno un compito molto
importante nel rito: quello di testimoniare, con la loro presenza, la
libertà del legame matrimoniale, sia per la libera scelta personale
(assenza di costrizioni, minacce o altre condizioni che rendono nullo il
matrimonio), sia per la mancanza di altri legami (matrimoni o
fidanzamenti precedenti il cui effetto non sia stato riconosciuto come
terminato dalla Chiesa). Per questo, è importante che i testimoni
conoscano bene gli sposi.
Nel corso del tempo si sono stabiliti
diversi costumi locali, e i testimoni sono venuti sempre di più a
somigliare ai padrini del battesimo (in lingua romena, si usa lo stesso
termine, nănaş, per indicare entrambi i ruoli): oggi i
testimoni sono quasi sempre un uomo e una donna, per consuetudine marito
e moglie. In tal modo, la coppia dei testimoni prende il compito di
guidare la coppia più giovane nella loro vita matrimoniale.
Per quanto questa usanza sia bella e nobile, bisogna sottolineare che i testimoni NON hanno il ruolo di padrini o di guide;
il loro compito è, appunto, quello di testimoniare la libertà del
matrimonio, e tutto ciò che vogliono essere o fare in più per gli sposi non è un compito richiesto dalla Chiesa.
Per questo, ricordiamo quanto segue:
1. Non è obbligatorio che i testimoni siano sposati.
Non è neppure obbligatorio che siano un uomo e una donna: per la Chiesa
sono regolari i matrimoni che hanno due uomini, oppure due donne, come
testimoni.
2. Non è obbligatorio che i testimoni siano cristiani ortodossi.
Non è la fede o l’appartenenza dei testimoni alla Chiesa che è
richiesta nel matrimonio (come invece è richiesta per i padrini di
battesimo), ma la loro sincera conoscenza degli sposi. In altre parole,
meglio un vero amico non ortodosso (o in caso estremo, addirittura non
cristiano) piuttosto che un membro della Chiesa che non conosce gli
sposi. Oggi c’è chi insiste che i testimoni siano cristiani ortodossi,
ma chi sostiene queste cose dovrà spiegare perché la Chiesa, che
permette che uno degli sposi sia un cristiano non ortodosso, dovrebbe
essere più rigorosa con i testimoni che non con gli sposi stessi!
3. La Chiesa non chiede niente ai testimoni, dopo che hanno fatto il loro dovere al matrimonio. I testimoni non
sono obbligati a fare da padrini di battesimo ai figli della coppia
(anche se questo succede spesso nella pratica), né hanno altri doveri
specifici: ogni vicinanza o aiuto agli sposi viene dalla libertà del
loro ruolo di amici.
I MATRIMONI MISTI
Fino a un certo punto, nella storia
cristiana, la Chiesa si è rifiutata di benedire i matrimoni in cui uno
dei due coniugi non apparteneva, per fede e battesimo, ai propri fedeli.
Con la mobilità sociale degli ultimi
secoli, tuttavia, sono aumentate sempre di più le coppie miste, e anche
la Chiesa ha esteso gradualmente l’unione del matrimonio a queste
coppie, anche se con una certa prudenza.
Per quanto riguarda la Chiesa russa, i
primi casi di matrimoni ortodossi per coppie miste furono concessi nel
XVIII secolo ai prigionieri di guerra svedesi, che avevano preso mogli
russe ed erano sprovvisti dei propri pastori.
Oggi è possibile un matrimonio misto di
fedeli della Chiesa Ortodossa con fedeli battezzati di chiese cristiane
non ortodosse (incluse le denominazioni più recenti, come avventisti e
pentecostali, ma esclusi i nuovi movimenti di matrice cristiana come
mormoni e testimoni di Geova). Non si può invece celebrare un matrimonio
misto con non battezzati (atei o di altre religioni): il principio di
tale esclusione è che è inverosimile che una persona che non crede in
Cristo e non appartiene alla sua Chiesa (nemmeno in una forma
eterodossa) possa onestamente assumersi il compito di vivere la vita di
un coniuge cristiano secondo la fede della Chiesa.
Anche se i matrimoni misti sono
possibili, la Chiesa incoraggia sempre i propri membri a cercare coniugi
della loro stessa fede, soprattutto se entrambi sono credenti
impegnati. L’impegno dei cristiani ortodossi non è semplice, e passare
la propria vita accanto a una persona che non condivide questo cammino
aggiunge complessità a uno sforzo non indifferente.
A seconda dei casi, soprattutto quando i
coniugi non sono al primo matrimonio, può essere necessaria la
benedizione del vescovo prima di procedere a un matrimonio misto.
IL RITO DEL FIDANZAMENTO
Vediamo dunque come si svolge un rito
nuziale in una Chiesa Ortodossa di oggi. La prima parte, il rito del
fidanzamento, si svolge nel nartece (vestibolo) della chiesa: se la
chiesa non ha un nartece o un portico interno, è consuetudine fare il
fidanzamento alle porte della chiesa, per indicare l’ingresso nella vita
matrimoniale (anche nel rito del battesimo, le preghiere esorcistiche e
le dichiarazioni di fede si fanno nel nartece, per la stessa ragione).
Gli sposi avanzano affiancati dai testimoni, lo sposo si tiene sulla
destra e la sposa sulla sinistra: sono le posizioni tenute per
consuetudine dagli uomini e dalle donne nella chiesa, che si possono
ricordare facilmente guardando la disposizione delle icone centrali di
Cristo e della Madre di Dio.
Il prete che celebra il matrimonio
benedice gli sposi, consegna loro ceri accesi, e li incensa. Inizia
quindi il rito del fidanzamento, composto da preghiere, litanie e dallo
scambio degli anelli, che simbolizza lo scambio delle promesse di
fedeltà.
Gli anelli erano anticamente d’oro (per
lo sposo) e d’argento (per la sposa), ma oggi sono più usate le coppie
di anelli fatte dello stesso materiale (talvolta anche meno prezioso).
Prima del rito del fidanzamento, gli anelli sono benedetti con
l’aspersione di acqua santa, e poggiati sopra la tavola dell’altare.
Volendo, si possono portare gli anelli in chiesa un certo tempo prima
della funzione nuziale, e tenerli sulla tavola dell’altare durante la
celebrazione della Divina Liturgia.
Il simbolismo degli anelli (un cerchio
che non ha fine, così come le promesse degli sposi non hanno termine né
condizioni) è spiegato nelle preghiere del rito, quando si ricordano gli
anelli donati in vari episodi biblici come segni di fedeltà, di
fiducia, di responsabilità e di misericordia divina.
La formula del fidanzamento, che secondo alcuni usi si ripete per tre volte, è la seguente: Il servo di Dio (nome) riceve per fidanzata la serva di Dio (nome), nel nome del Padre, del Figlio e del santo Spirito, amen. Allo stesso modo, la formula si ripete per la sposa: La serva di Dio (nome) riceve per fidanzato il servo di Dio (nome), nel nome del Padre, del Figlio e del santo Spirito, amen.
Il prete mette l’anello al dito anulare
della mano destra degli sposi. La mano destra (con cui un cristiano fa
il segno della croce) è usata come sede degli anelli nella tradizione
cristiana più antica, e anche in quella ebraica, da cui provengono molti
usi del matrimonio ortodosso. La pratica del cattolicesimo romano, che
ha differenziato gli anelli di fidanzamento da quelli di matrimonio
(mentre nella Chiesa Ortodossa non c’è questa distinzione), ha portato
in alcuni usi a passare gli anelli alla mano sinistra. Se gli sposi, per
costume locale, desiderano portare i loro anelli alla mano sinistra dopo la fine del rito nuziale, non c’è alcun serio problema.
Gli anelli, appena messi al dito degli
sposi, sono scambiati per tre volte (dal prete stesso o dai testimoni, a
seconda degli usi). Lo scambio degli anelli esprime il continuo scambio
tra gli sposi, che come figure complementari si arricchiscono a
vicenda.
Se al rito del fidanzamento segue subito
l’incoronazione (vale a dire, oggi, nella stragrande maggioranza dei
casi), sposi e testimoni procedono verso il centro della chiesa, dove è
preparato un tavolo con le corone nuziali. Durante l’ingresso della
coppia, il coro canta i versi del Salmo 127, intervallati dal ritornello
“Gloria a te, Dio nostro, gloria a te”.
IL RITO DELL’INCORONAZIONE
Entrati al centro della chiesa, gli
sposi vanno a stare sopra un tappeto preparato appositamente per loro
(può essere un telo ricamato con motivi matrimoniali, come si usa
preparare in Russia, oppure un semplice tappetino largo abbastanza per
accomodare i due sposi). Questo tappeto, il cui uso proviene dall’antico
matrimonio ebraico, simbolizza la dimensione sulla quale gli sposi
hanno un dominio riconosciuto dalla Chiesa: la gestione della loro vita
comune, la crescita dei figli, la dimora familiare.
Il prete inizia il rito
dell’incoronazione con tre preghiere nelle quali si chiede la grazia di
Dio per gli sposi: la grazia che trasforma la loro unione umana in
un’unione guidata dallo Spirito santo (proprio come nella Divina
Liturgia il prete prega per la discesa dello Spirito santo sul pane e
sul vino, perché si trasformino nel corpo e nel sangue di Cristo).
Le mani degli sposi sono unite dal
prete, e secondo gli usi sono legate assieme con un nastro o con un
velo. Quindi il prete pone sul capo degli sposi le corone, segno di
regalità (la Chiesa concede agli sposi di essere i sovrani della loro
vita familiare, come compartecipi della regalità di Cristo stesso), e
anche di perfezionamento: gli sposi diventano “corona” l’uno dell’altra,
un completamento dell’immagine divina, uno strumento potenziale di
salvezza l’uno per l’altra, come ricordato anche da san Paolo nel
capitolo 7 della prima Lettera ai Corinzi. La corona è pure segno di
martirio, ovvero di testimonianza di fede “nella buona e nella cattiva
sorte”, che giunge fino al sacrificio della vita. Il mistero del
matrimonio richiede la volontà di morire a se stessi, al proprio
tornaconto personale, per sapersi donare all’altro per tutta la vita.
La formula dell’incoronazione, che secondo alcuni usi si ripete per tre volte, è la seguente: Il servo di Dio (nome) riceve come corona la serva di Dio (nome), nel nome del Padre, del Figlio e del santo Spirito, amen. Allo stesso modo, la formula si ripete per la sposa: La serva di Dio (nome) riceve come corona il servo di Dio (nome), nel nome del Padre, del Figlio e del santo Spirito, amen.
Le corone, appena poste sul capo degli
sposi, sono scambiate per tre volte (dal prete stesso o dai testimoni, a
seconda degli usi), mentre il coro canta: Signore Dio nostro, coronali
di gloria e d'onore.
LE LETTURE
Le due letture bibliche associate al matrimonio sono prese dalla Lettera di san Paolo agli Efesini e dal Vangelo di Giovanni.
San Paolo ricorda ai primi cristiani di
Efeso (ma anche ai cristiani di tutti i tempi e luoghi) i doveri
reciproci degli sposi, facendo un parallelo tra l’amore del marito e
della moglie con quello di Cristo e della sua Chiesa. Come Cristo ama la
sua Chiesa al punto di donarsi totalmente per lei, fino al sacrificio
supremo, così il marito deve donarsi totalmente alla moglie. Come la
Chiesa, a sua volta, è sottomessa a Cristo, così la moglie deve
sottomettersi al marito. Se in ogni momento della vita matrimoniale si
segue questo modello, i matrimoni non falliscono! La moglie, lasciando
l’ultima parola al marito, impara a dominare il suo desiderio istintivo
di protezione della famiglia nei momenti di conflitto di volontà (che di
solito non hanno molto a che fare con l’immediata sopravvivenza dei
figli e della famiglia); il marito, ricordando la necessità di
sacrificarsi per il bene della moglie e dei figli, fa sì che l’ultima
decisione a lui lasciata non sia per i propri interessi personali, ma
per quelli del nucleo familiare.
Il Vangelo di Giovanni parla del primo
segno miracoloso fatto da Gesù alle nozze di Cana, dove l’acqua
trasformata in vino (e in vino di qualità!) è il modello della
trasformazione dell’unione umana in un’unione divina, attraverso la
grazia del Signore. La coppia non è più una semplice istituzione umana,
ma un segno, come la Chiesa stessa, del Regno di Dio già presente in
mezzo a noi.
CONCLUSIONE DEL RITO
Dopo ulteriori preghiere e litanie, il
prete benedice una coppa di vino: da questa coppa bevono gli sposi, in
segno della loro partecipazione comune di tutta la vita, in ogni suo
aspetto di gioia o di dolore. La coppa di vino viene direttamente
dall’uso del matrimonio ebraico, e non ha alcuna connessione con il vino
del mistero eucaristico.
Il prete conduce quindi gli sposi in una
triplice processione attorno al centro della chiesa, mentre il coro
canta alcuni tropari (inni della tradizione ortodossa) che parlano di
temi collegati simbolicamente al matrimonio. Durante il canto dei
tropari, è uso che i testimoni seguano gli sposi, eventualmente reggendo
le corone sul loro capo.
Il canto dei tropari proviene
dall’antico uso di accompagnare gli sposi in processione con canti, dopo
il matrimonio, dalla porta della chiesa alla porta di casa della nuova
coppia. Nel tempo questa usanza pubblica è stata abbandonata, i canti
ecclesiali sono stati trasferiti a questo punto della fine della
celebrazione, e la processione è divenuta un episodio interno del rito
matrimoniale.
Al termine della processione il prete
scioglie le mani degli sposi, e ripone le corone sul tavolo. Nelle
preghiere finali che seguono, il prete chiede a Dio di custodire le
corone senza macchia nel suo regno: un segno dell’eredita che attende
gli sposi cresciuti nell’amore e nella fedeltà, che hanno portato frutti
spirituali nel loro matrimonio.
Dopo la benedizione finale, seguono
secondo gli usi una serie di segni e di auguri: la venerazione delle
icone in centro alla chiesa (oppure sull’iconostasi), l’augurio di molti
anni alla nuova coppia, un’esortazione del prete agli sposi a mantenere
nella propria vita la grazia ricevuta da Dio. Nel caso di matrimoni
misti, anche un ministro di culto non ortodosso può avere a questo punto
uno spazio per rivolgersi agli sposi e offrire loro una parola di
incoraggiamento e di istruzione.
I SECONDI MATRIMONI
La Chiesa Ortodossa mantiene uno
standard molto elevato nel modello di vita di coppia, ma riconosce che i
legami matrimoniali hanno termine, o per ragioni di forza maggiore
(come la morte di uno dei coniugi) o per diversi livelli di colpa umana
(abbandono, infedeltà e altre cause che riducono il matrimonio a una
mera finzione). In questi casi, la Chiesa permette (nel caso di
vedovanza, sempre, e negli altri casi, con la benedizione scritta del
vescovo nella cui diocesi è stato celebrato il matrimonio) di fare un
secondo matrimonio religioso. Ne tollera anche un terzo (seppur
vivamente sconsigliato), mentre ne vieta assolutamente un quarto.
Esiste un rito delle seconde nozze, di
carattere penitenziale, nel quale si vede chiaramente come la Chiesa
permette i secondi matrimoni come un rimedio a situazioni personali
ancora più sconvenienti. Oggi si usa il rito delle seconde nozze solo se
entrambi gli sposi sono già stati incoronati in precedenza: è una forma
di rispetto per un coniuge che sia invece alla sua prima esperienza di
matrimonio. Di conseguenza, può essere raro veder celebrare questa forma
di rito nuziale.
LA PREGHIERA DEL RIENTRO DEGLI SPOSI
Una preghiera annessa al rito
matrimoniale, oggi raramente usata, li accoglie al loro rientro in
chiesa dopo i festeggiamenti nuziali. Non è male continuare a proporre
questa preghiera, che può essere un adeguato “rito di passaggio” dopo un
viaggio di nozze, per far ritornare la coppia appena sposata a un ruolo
attivo nella comunità locale dei fedeli.
PROBLEMI E DIFFICOLTÀ
Spesso un matrimonio in chiesa comporta
diverse difficoltà pratiche, sia in relazione al matrimonio civile, sia
alla presenza di precedenti legami matrimoniali. Questa guida non può
pretendere di dare una risposta generale a tutti i problemi, ma qui di
seguito offriamo alcuni elementi di riflessione.
Se gli sposi non sono uniti in
matrimonio civile, bisogna che questo sia fatto o prima del matrimonio
in chiesa, o contestualmente al matrimonio religioso. È possibile fare
un matrimonio ortodosso con effetto civile, ma solo se il prete che lo
celebra è un ministro di culto riconosciuto dallo stato. Per questo,
bisogna informarsi bene presso la chiesa in cui ci si vuole sposare
(meglio ancora, si dovrebbe frequentare assiduamente quella chiesa!)
Se c’è stato un precedente matrimonio in
chiesa di un coniuge ortodosso, occorre la benedizione del vescovo
nella cui diocesi è stato celebrato il matrimonio precedente. Se invece
il precedente matrimonio religioso lo ha contratto un coniuge non
ortodosso, allora questa persona deve essere dichiarata libera di
risposarsi secondo le regole della sua Chiesa di
appartenenza. Se detta Chiesa non lo ritiene libero, la Chiesa Ortodossa
non può intervenire a riguardo. Le conversioni alla Chiesa Ortodossa
per aggirare questo ostacolo – ancorché possibili – non sono viste con favore.
Se ci sono stati precedenti matrimoni
civili, non ci sono obiezioni a un matrimonio in chiesa, ma tutti i
legami di un precedente matrimonio civile devono essere sciolti, così
come deve essere risolta qualsiasi disputa (affidamento dei figli, e
così via) legata a tale matrimonio.
Il matrimonio non preclude una scelta
futura del marito o della moglie di abbracciare la vita monastica, ma
una simile scelta può essere fatta solo con il consenso di entrambi i
coniugi, e può essere accettata solo se i genitori non hanno (o non
hanno più) la responsabilità della crescita di figli minorenni. In tali
casi il matrimonio è sospeso dalle autorità della Chiesa, e il marito o
la moglie (o ancor meglio, entrambi) possono ricevere la tonsura
monastica.
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