Serbia: il “nodo Stepinac” e il no a Benedetto XVI
La memoria di Costantino e le polemiche sul mancato viaggio del Papa
Raffaele GuerraRoma
Dietro il recente rifiuto opposto alla visita di Benedetto XVI
ferve una realtà molto complessa. Già da molti mesi, infatti, il Santo
Sinodo di Belgrado aveva escluso con fermezza la possibilità di invitare
il Papa alle celebrazioni che si terranno il prossimo anno a Nis, in
memoria dei 1700 anni trascorsi dalla promulgazione dell’editto di
Milano.
Il pomo della discordia è l’annunciata preghiera che il pontefice romano aveva in programma di fare sulla tomba del cardinale Alojzije Stepinac
(1898-1960), considerato dai serbi un collaborazionista del regime
degli ustascia. “Il Papa”, ha commentato un anonimo esponente del Santo
Sinodo serbo, “avrebbe potuto ricevere l’invito se avesse visitato l’ex
campo di concentramento di Jasenovac, onorando i circa 700 mila serbi e i
quasi 100 mila ebrei e rom uccisi”.
A spiegare il “nodo Stepinac” è invece Nikola Knezevic, presidente
del Centro per gli studi religiosi interdisciplinari di Novi Sad: “Gran
parte degli storici serbi vede Stepinac come un collaborazionista degli
ustascia, non un difensore di ebrei e serbi come viene descritto dagli
omologhi croati. Pio XII e la Chiesa croata non si sono mai
ufficialmente opposti al regime nazista durante la guerra. Stepinac era
informato sulle atrocità compiute a Jasenovac e fece poco per fermarle.
La Chiesa cattolica non ha mai chiesto scusa per Jasenovac, mentre
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno visitato la tomba di Stepinac”.
Del resto, lo scorso luglio il patriarca serbo Irinej aveva già confermato il niet sulla visita del Papa in un’intervista all’agenzia di stampa “Tanjug”.
Ciò che il primate serbo ha rivelato riguarda un certo ruolo giocato
dal patriarcato moscovita (nonostante le dichiarazioni siano state
smentite proprio il mese scorso): nell’intervista, Irinej ha dichiarato
che la chiesa russa avrebbe “problemi con il Vaticano a causa del
proselitismo” dei cattolici; tanto che, ha dichiarato Irinej, “il Patriarca russo
ha detto che sarebbe potuto anche non venire a Nis se il Papa fosse
stato presente. La nostra Chiesa ha così deciso di invitare i capi di
tutte le chiese ortodosse e di chiedere alle altre chiese di inviare
delegazioni al più alto livello”.
Anche Irinej, però, non ha mancato di citare il “nodo Stepinac”;
secondo il patriarca serbo, infatti, la beatificazione del cardinale
croato “è stata percepita come un segnale negativo nelle relazioni
interreligiose e molti in Serbia pensano che sarebbe necessario che la
Chiesa cattolica esprimesse cordoglio per le vittime serbe in Croazia e
in altre regioni oppresse dal regime ustascia”. Irinej ha inoltre
aggiunto che: “Malgrado ciò, bisogna tenere a mente che i rapporti tra
Chiesa serbo-ortodossa e cattolica non si possono ridurre alle relazioni
serbo-croate. E neppure a quelle tra cattolici e ortodossi in Serbia e
Croazia”.
Del resto, non si può omettere che, al di là delle dichiarazioni
ufficiali e della gerarchia, come in tutti i paesi balcanici, nelle
realtà ecclesiali serbe è presente un radicato tradizionalismo
nel modo in cui intendere i rapporti con la Chiesa di Roma. Proprio la
Serbia, infatti, è la terra di uno dei maggiori teologi ortodossi del XX
secolo, l’archimandrita Justin Popovic (1894-1979), glorificato nel
2010 e il cui pensiero è integralmente una teologia della “resistenza”
ortodossa tanto contro le politiche ecumenistiche quanto contro lo
stesso nazionalismo serbo. Allievo di Popovic è stato il vescovo kosovaro Artemije,
deposto due anni fa da Belgrado a causa delle sue posizioni
anti-ecumenistiche e per le dichiarazioni critiche nei confronti delle
potenze occidentali. Non è stato facile, però, destituire l’anziano e
storico padre spirituale di una regione martoriata: il vescovo Artemije
ha raccolto fedeli e monasteri e si è aggiunto all’ortodossia della
resistenza. Proprio dello scorso mese è un documento ufficiale del
Sinodo greco in resistenza di Oropos e Philì che avanza un’eventualità
d’intesa con il vescovo di Raska-Prizren; si tratta dello stesso sinodo
greco che ha accolto sotto la sua giurisdizione, negli USA e in
Australia, alcune parrocchie serbe in disaccordo con le politiche di
Belgrado.
La storica visita di un Papa in Serbia dovrà dunque attendere e, forse, non si tratterà di pochi anni.
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