RAGIONI DELLO SCISMA FRA LE CHIESE
E’ facile capire per quale motivo i Padri della Chiesa reagissero così fortemente e con una tale determinazione agli sforzi degli eretici per modificare l’insegnamento della fede ortodossa. Durante i primi otto secoli la Chiesa era stata unita dall’Est all’Ovest e insieme, l’Oriente e l’Occidente, avevano combattuto le eresie. I patriarchi ed i vescovi avevano la responsabilità di condurre i loro greggi rispettivi e ciascuna Chiesa locale era autonoma nel governo e nella amministrazione. Ogni volta in cui sorgeva una questione importante quale la lotta contro le eresie, veniva convocato un Concilio locale o ecumenico e la Chiesa cattolica (“universale”) decideva il da farsi. Mai, nella storia della Chiesa, un vescovo, qualunque fosse la sua posizione, avrebbe potuto innovare senza che la Chiesa, riunita in Concilio locale o ecumenico, avesse espresso il proprio parere al riguardo. Tutti i Padri hanno umilmente obbedito ai decreti della Chiesa che è, secondo l’Apostolo Paolo, “la colonna e il fondamento della verità”. Non è un ecclesiastico, qualunque sia il suo rango, che ha il diritto di dire - al posto della Chiesa - quale sia la verità. Questo antico ed apostolico ordine che prevaleva nell’unità della Chiesa è stato frantumato nel corso del nono secolo allorchè la Chiesa d’Occidente ha preteso dei privilegi che non le spettavano nella Chiesa apostolica ed ha manifestato i primi sintomi del suo desiderio di dominio. Più tardi, questa volontà di dominio ha condotto la Chiesa d’Occidente a degli errori dogmatici che hanno minato le basi dell’unità e causato lo scisma che permette ancora oggi che i Cristiani siano divisi.
IL PRIMATO DEL PAPA
Ogni Chiesa locale era autonoma e responsabile nella propria regione. La Chiesa cattolica non ha mai accordato ad un vescovo di una provincia più importante il diritto di intervenire negli affari di un’altra Chiesa. La sola cosa che la Chiesa riconosceva era il primato d’onore, vale a dire che il prescelto era il primo a sedere in un Concilio, il primo ad essere menzionato, ecc. Inoltre, il Secondo Concilio Ecumenico aveva definito nel suo terzo canone che il vescovo di Costantinopoli doveva avere “il primato d’onore dopo il vescovo di Roma, poiché Costantinopoli è la Nuova Roma”. La Chiesa riconosceva unicamente un primato d’onore e di anzianità ma non d’autorità sul resto dei vescovi di una Chiesa; tale è stato il suo comportamento nei primi otto secoli dell’era cristiana. Nel corso del nono secolo Papa Nicola I (858-867), sorprendendo sia i vescovi dell’Oriente come quelli dell’Occidente, cercò di presentarsi come il “sovrano della Chiesa e del mondo intero, per diritto divino”. Manifestando un tale atteggiamento monarchico, il Papa cercò di intervenire in un affare puramente interno della Chiesa di Costantinopoli ai tempi dei patriarchi Fozio e Ignazio. Naturalmente la Chiesa di Costantinopoli reagì a queste pretese monarchiche ed anti-ecclesiali del Papa ma, purtroppo, il Papa ed i suoi teologi continuarono le innovazioni nella Chiesa d’Occidente. In effetti, nonostante gli Ortodossi rimanessero fedeli agli insegnamenti dei Padri ed ai Concili ecumenici, gli occidentali li trattarono come eretici. Come se non bastasse, le innovazioni e le aspirazioni imperialiste del Papa cominciarono ad incrinare l’unità della Chiesa. Il Papa, ignorando il fatto che il capo della Chiesa è soltanto Colui che si è offerto in sacrificio per Essa, Nostro Signore Gesù Cristo, che il Padre “ha donato per Capo supremo della Chiesa, la quale è il Suo corpo” (Efes. 1, 22-23), volle un’autorità suprema; pretendeva in pari tempo di essere “il successore dell’apostolo Pietro, il più eminente fra gli Apostoli” ed “il vicario di Gesù Cristo sulla terra”. Questo insegnamento è assolutamente contrario allo spirito delle Scritture e dei Padri della Chiesa; il suo solo fondamento è l’aspirazione egoistica ed assolutistica del Papa di divenire capo e despota, giudice e sovrano di tutto l’universo. Quale contraddizione, in verità, fra lui e Colui di cui è il supposto vicario sulla terra, il fondatore di quella religione che dichiara: “Il mio regno non è di questo mondo” (Gv. 18, 36) e “colui che fra voi vuole essere il primo sarà vostro servo” (Mt. 20, 26). Questa opposizione del Papa alla lettera e allo spirito delle Sante Scritture indica che si è separato dalla verità espressa dalla Chiesa, e questa separazione, naturalmente, lo pone al di fuori di Essa. Lo studio dei primi Padri e dei Concili ecumenici della Chiesa dei nove primi secoli ci persuade facilmente che il Vescovo di Roma non è mai stato considerato come l’autorità suprema ed il capo infallibile della Chiesa. Ogni vescovo è il capo della propria Chiesa locale e non si sottomette se non alle ordinanze sinodali e alle decisioni della Chiesa universale, che sola è infallibile. Solo Nostro Signore Gesù Cristo è il Principe eterno ed il Capo immortale della Chiesa, poiché “Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa” (Col. 1, 18) ed ha detto ai suoi divini discepoli ed apostoli in occasione della sua ascensione ai cieli: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt. 28, 20). Nelle Sante Scritture, l’Apostolo Pietro, che i partigiani del Papa (fondandosi sulle “pseudo-Clementine”, testi apocrifi del secondo secolo) rivendicano come fondatore della Chiesa romana e loro primo vescovo, partecipa al Sinodo apostolico di Gerusalemme come eguale fra gli eguali. Si arriva persino al punto che lo stesso apostolo Paolo gli rivolge dei rimproveri, come si apprende nell’Epistola ai Galati. Inoltre, coloro che appoggiano questa teoria sanno bene essi stessi che il passaggio del Vangelo sul quale appoggiano le loro pretese: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt. 16, 18) è stato interpretato in modo molto diverso nei primi secoli della Chiesa, alla luce della Tradizione dei Santi padri. La confessione di fede di Pietro “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!” (Mt. 16, 16) è in verità la roccia sulla quale il Signore ha stabilito la sua Chiesa contro la quale le porte dell’Inferno non prevarranno. Fondato su questa confessione di fede, l’annuncio salvifico del Vangelo per mezzo degli Apostoli e dei loro successori rimane indistruttibile. L’apostolo Paolo, che fu rapito ai cieli, interpretando questo passaggio sotto l’ispirazione divina disse: “Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo” (Cor. 3, 10-11). I Santi padri, che mantennero fermamente le tradizioni apostoliche, non potevano aver concepito alcuna idea del primato assoluto dell’apostolo Pietro e dei vescovi di Roma; a maggior ragione non poterono donare a questo passaggio del Vangelo un’interpretazione sconosciuta alla Chiesa ma soltanto ciò che era veramente vero e giusto; non poterono inventare arbitrariamente e da soli una nuova dottrina che accordava privilegi eccessivi al vescovo di Roma come successore di Pietro, del cui ministero apostolico a Roma non vi sono relazioni, ma dall’apostolo Paolo, il cui ministero apostolico a Roma è ben conosciuto da tutti. I Santi Padri, onorando nel vescovo di Roma il vescovo della capitale dell’Impero, gli donarono la prerogativa di presiedere nell’onore e lo considerarono semplicemente come il primo vescovo nella gerarchia, il che significa “primo fra eguali” (“primus inter pares”). In seguito donarono la stessa prerogativa al vescovo di Costantinopoli quando questa città divenne la capitale dell’Impero Romano, come testimonia il 28° Canone del Quarto Concilio Ecumenico di Calcedonia che afferma, fra l’altro: “Noi stabiliamo e decretiamo le stesse cose concernenti le prerogative della santissima Chiesa di Costantinopoli, che è la Nuova Roma. I Padri hanno donato, con giustizia, la preminenza al trono dell’antica Roma, poiché era la città imperiale. Ed i 153 religiosi vescovi, mossi dalla stessa considerazione, assegnano una preminenza uguale al santissimo trono della nuova Roma”. In seguito a questo Canone, è evidente che il vescovo di Roma risulta eguale nell’onore al vescovo di Costantinopoli e a quelli delle altre Chiese. Nessun Canone e nessuno dei padri ci permette di ritenere che il vescovo di Roma sia mai stato principe della Chiesa universale, giudice dei vescovi delle altre Chiese indipendenti ed autonome né il successore dell’apostolo Pietro ed il vicario di Gesù Cristo sulla terra. “Al tempo dei sette Concili Ecumenici ogni Chiesa autonoma, in Oriente come in Occidente, era totalmente indipendente e si amministrava da sola. Così come i vescovi delle Chiese d’Oriente, quelli delle Chiese di Africa, Spagna, Gallie, Germania e Bretagna vedevano i loro affari risolti da sinodi locali senza che il vescovo di Roma avesse diritto d’ingerenza. Lui stesso era tenuto a sottomettersi ai decreti dei Sinodi. Ma sulle questioni importanti che necessitavano della sanzione della Chiesa universale, si faceva appello ad un Concilio Ecumenico che solo era, ed è, l’istanza suprema della Chiesa universale. Tale era l’antica prassi della Chiesa. Nessun vescovo hai mai rivendicato dei diritti monarchici sulla Chiesa universale e allorquando qualche vescovo ambizioso della Chiesa di Roma cercava delle pretese eccessi vedi un assolutismo sconosciuto sino ad allora, veniva rimproverato. E’ del tutto inesatto ed è un errore lampante affermare, come fanno i sostenitori del Papa, che prima del periodo di Fozio il Grande il nome del trono romano era onorato fra tutti i popoli del mondo cristiano e che l’Oriente, come l’Occidente, in accordo e senza opposizione, era sottomesso al pontefice romano quale successore legale dell’apostolo Pietro e, di conseguenza, vicario di Gesù Cristo sulla terra. Durante i nove secoli dei Concili ecumenici, la Chiesa ortodossa orientale non ha mai riconosciuto le pretese eccessive al primato dei vescovi di Roma né si è sottomessa ad esse, come la storia della Chiesa ci testimonia pienamente… Il celebre Fozio, il santo prelato, luminare di Costantinopoli, difese questa indipendenza della Chiesa di Costantinopoli nel nono secolo, prevedendo, l’imminente perversione dell’organizzazione ecclesiale in Occidente ed il suo allontanamento dall’Oriente ortodosso; si sforzò dapprima di prevenire il pericolo in modo pacifico ma il vescovo di Roma, Nicola I, con la sua ingerenza non canonica in Oriente, fuori dai limiti della sua diocesi e per il suo tentativo di sottomettere la Chiesa di Costantinopoli, affrettò il processo della desolante separazione delle Chiese”. I Padri Teofori, convinti che la storia è diretta da Dio e che la Chiesa è governata da Cristo, non hanno mai ricercato il potere politico. Desiderosi di preservare il tesoro della fede, hanno subito le persecuzioni, l’esilio e persino il martirio. Non hanno mai posto la gloria secolare ed il potere del mondo al di sopra della loro fede. Il Papato, al contrario, cercando la gloria ed il potere mondani, si è identificato nei governanti di questo mondo ed è divenuto indifferente agli insegnamenti della Chiesa ed alla verità del Nuovo Testamento, separandosi dalla Chiesa e dalla grazia di Dio. S. marco d’Efeso dichiarò: “Noi considereremo il Papa come uno dei Patriarchi a condizione che sia ortodosso”. E’ interessante che anche dei teologi occidentali come Hans Kung rifiutino il primato e l’infallibilità del Papa (Boston Sunday Globe”, 16 novembre ’80). Se è vero che Nostro Signore Gesù Cristo ha posto l’apostolo Pietro al di sopra di tutti gli altri santi Apostoli, perché il Primo Sinodo Apostolico era presieduto dall’apostolo Giacomo e non da Pietro? E perché, nella stessa circostanza, l’opinione dell’apostolo Paolo ebbe la prevalenza su quella dell’apostolo Pietro? Storicamente non vi è dubbio alcuno che il fondatore della Chiesa di Roma sia l’apostolo Paolo e non Pietro. Il fatto che l’apostolo Pietro abbia predicato a Roma non giustifica affatto il primato papale. E’ inoltre noto, secondo le Scritture, che l’apostolo Pietro abbia soggiornato lungamente ad Antiochia e che vi abbia predicato ai Cristiani. Perché non è stato trasmesso un tale privilegio ai vescovi di Antiochia? E’ dunque chiaro che la pretesa del vescovo di Roma di essere il successore di Pietro non è fondata sulle Sante Scritture ma che si tratta di un’invenzione del Papa per affermare le sue aspirazioni monarchiche così contrarie non soltanto allo spirito ma anche alla lettera della Scrittura. Nessuno dei santi Apostoli ha rivendicato una priorità distinta sugli altri, disistimandoli o considerandoli come inferiori. Questo perché conservavano lo spirito del Cristo che aveva loro insegnato l’umiltà e la semplicità. Il Papa, al contrario, tradendo lo spirito del Cristo e perdendo la sua grazia, ha preteso il primato, dimenticando le parole che Gesù aveva rivolto agli apostoli Giovanni e Giacomo che Gli domandavano il primo posto: “Voi non sapete ciò che state chiedendo” (Mc. 10, 38).
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